Capitolo II : Il Sileno di Alcibiade
1. Eros ed ironia.
La figura di Socrate è sviante, ambigua, inquietante.
1La prima immagine che ci riserva è quella della bruttezza fisica, testimoniata da Platone e da altri suoi contemporanei.
A tal proposito Nietzsche ricorda i suoi occhi sporgenti, le sue labbra tumide, il suo ventre cascante
2mentre nel Simposio di Platone Alcibiade pronuncia un discorso di elogio nei confronti dell’amato Socrate. Perché proprio Alcibiade?
Nell’Alcibiade Primo Platone, parlando della relazione tra Socrate e Alcibiade, spiega che il legame tra i due era generato dalla forza erotica che animava Alcibiade e dalla disponibilità di Socrate, attratto dalla bellezza del giovane, ad educarlo. Socrate è certamente colpito dalla bellezza fisica di Alcibiade ma anche e soprattutto dalla bellezza d’animo che Alcibiade potrebbe acquisire sotto la sua guida: Socrate infatti nota la sfrenata ambizione del giovane e il suo desiderio di conquista sempre maggiore, ma è anche convinto di poter guidare Alcibiade ad una conoscenza di sé stesso (Plat. Alc. Ma., 103 a – 106 d). Ciò che impedisce ad Alcibiade di giovarsi dell’amicizia del filosofo è l’ambizione e l’irrequietezza, che minano la forza interiore necessaria ad apprezzare e seguire l’insegnamento di Socrate. Di qui l’imbarazzo che contraddistingue il suo rapporto con Socrate, a
1 Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, p.88.
2 Nietzsche, Socrate e la tragedia,p. 39.
cui lo lega il desiderio e l’amore per il sapere, ma da cui lo separa il sentimento della gelosia. Si spiega così il suo proposito di dire la verità su Socrate , compromesso dalla passione e dalla gelosia che gli impediscono di comprende totalmente le lezioni di Socrate. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto comporre l’elogio di Socrate. Ci converrà leggere le parole stesse di Alcibiade che entra ubriaco al banchetto:
Socrate, o uomini, io cercherò di lodarlo così, per immagini. (…) io dico che Socrate è similissimo a quei Sileni che si trovano nelle botteghe degli scultori, quelle statuine che i demiurghi, gli artigiani, lavorano con zampogne e flauti e che, poi, aperte in due mostrano all’interno di possedere immagini degli dei. E dico anche che somiglia al satiro Marsia. Che per la forma esteriore tu sia simile a loro, Socrate, neppure tu lo metteresti in dubbio . (Plat. Symp.
215 a – b).
Socrate è simile ai Sileni sia per la bruttezza esteriore e dunque fisica, sia per la bellezza interiore: se i Sileni nascondevano dentro di sé immagini divine, Socrate, essendo saggio, nasconde al suo interno la verità. È simile anche al satiro Marsia per la potenza e la capacità d’incanto che proviene dalla sua bocca, con la differenza che la potenza di Marsia derivava dal suono dello strumento musicale del flauto, quella di Socrate invece dipende dalle parole che uscivano dalla sua bocca, quei discorsi di Socrate che producono uno stordimento iniziale e l’effetto è paragonato da Alcibiade a quelli dei riti coribantici. Con la stessa immagine non viene rappresentato solo il suo viso, ma anche i suoi discorsi:
Ma ecco, anche questo ho tralasciato di dirvi all’inizio. Che pure i suoi discorsi sono similissimi
alle statuine di sileni che si aprono. Se infatti uno volesse ascoltare i discorsi di Socrate, gli
apparirebbero inizialmente del tutto ridicoli, di tali termini ed espressioni sono avvolti da fuori, come la pelle di un satiro tracotante. E infatti parla di asini da soma e di fabbri e di calzolai e di conciapelli, e sembra che dica sempre le stesse cose con le stesse parole, tanto che ogni uomo inesperto o ignorante finirebbe per deridere i suoi discorsi. Ma se uno li vede aperti e entra in essi, innanzitutto scoprirà che sono i soli a possedere all’interno un intelletto, eppoi che sono divinissimi e possiedono in sé moltissime immagini di virtù e che tendono verso ciò che è più grande, o meglio verso tutto quel che spetta ricercare a chi voglia diventare bello e buono.(Plat.
Symp. 221 e – 222a).
Sono splendide raffigurazioni che rispecchiano quell’ ambiguità che caratterizza non solo il messaggio di Socrate, ma il metodo stesso dell'ironia con cui egli lo comunica, e addirittura il suo modo di essere e di vivere.
Da questo elogio possiamo ricavare un’ulteriore conferma del fatto che Socrate e
i suoi discorsi non furono ben compresi dagli Ateniesi perché non tutti erano in
grado di cogliere quindi la sua ironia. In questo caso infatti, legata all’ironia
socratica vi è l’ironia dell’amore. Ricordando che l’amore di cui si tratta qui è un
amore omosessuale, perché è un amore educatore. Infatti nella Grecia dei tempi
di Socrate, l’amore maschile è un ricordo dell’educazione guerriera arcaica
secondo cui il giovane nobile si formava alle virtù aristocratiche , nel quadro di
un’amicizia virile, sotto la guida di un amico di età maggiore. Nell’epoca
sofistica la relazione maestro-discepolo è concepita secondo questo modello e si
esprime con una terminologia erotica. L’ironia amorosa di Socrate consiste nel
fingere di essere innamorato, finché colui che colma delle sue attenzioni, per il
rovesciamento dell’ironia, non si innamori a sua volta. Il brutto Socrate che si
presenta amante dei bei giovani diventa, alla fine, lui stesso l'amato, mentre i bei giovani diventano gli amanti, come ancora Platone fa dire ad Alcibiade nel Simposio:
Voi vedete che Socrate si comporta in maniera erotica con i belli e sta sempre intorno a loro e ne è sconvolto, eppoi ignora tutto e non sa nulla. Questo suo modo di presentarsi non è da sileno?
Ma certo (. . .) Sappiate che neppure se uno è bello a lui importa nulla, ma lo disprezza a tal punto che nessuno potrebbe crederci, e neppure se uno è ricco e neppure se uno ha qualcun altro onore di quelli che sono considerati beati dai molti. (Plat. Symp. 216 d - e).
E dopo aver narrato il suo tentativo fallito di conquistare Socrate con la propria bellezza fisica e aver elogiato Socrate per le sue virtù, Alcibiade conclude :
Del resto non ha fatto questo soltanto a me, ma anche a Carmide, figlio di Glaucone, e a Eutidemo, figlio di Diocle, e davvero a moltissimi altri, che lui ha ingannato, presentandosi come Amato anziché l'amante. (Plat. Symp. 222 b).
Alcibiade racconta anche di essere stato “ingannato”: Alcibiade, convinto che Socrate facesse sul serio, lo invita per sedurlo: dormono nello stesso letto, abbracciati ma Socrate rimane padrone di sé e non si lascia sedurre. (Plat. Symp.
219 b-c). Socrate non perché disprezzi la bellezza esteriore e di Alcibiade ma
perché, in quanto amante delle belle anime, pensa sia necessario sviluppare in
Alcibiade un pensiero autonomo, e allo stesso tempo, abbandonare l’amore per il
solo corpo. Per Alcibiade il lato negativo di Socrate è la tracotanza e l’inganno
che attua per ribaltare i ruoli dell’eros: il fingersi seduttore, amante per poi
rivelarsi l’amato. Dunque l’ironia amorosa di Socrate consiste nel fingere di
essere innamorato; con le sue dichiarazioni Socrate fa credere di desiderare che
colui che finge di amare gli conceda non più il suo sapere, ma la sua bellezza fisica: Socrate non è bello, il giovane è bello ma questa volta la persona amata scopre dall’atteggiamento di Socrate, di essere incapace di soddisfare l’amore perché non ha in sé una vera bellezza. Scoprendo allora di cosa è manchevole, si innamora di Socrate, cioè non della bellezza fisica di cui Socrate è privo, ma dell’amore che, secondo la definizione data da Socrate (Plat. Symp. 200e), è il desiderio della bellezza di cui si è privi.
Essere innamorati di Socrate quindi vuol dire essere innamorati dell’amore.
Questo è il senso del Simposio in cui si può scorgere un’identità tra la figura di Socrate e quella di Eros. Prima dell’arrivo di Alcibiade i convitati stavano elogiando, a turno, il dio Eros. Socrate, dal canto suo, espone la verità che egli stesso ha appreso da Diotima, sacerdotessa di Mantinea, che gli aveva raccontato il mito della nascita di Eros. Il giorno del compleanno di Afrodite ci fu un banchetto degli dei e alla fine del pasto andò a mendicare Penia “Povertà, Privazione”. Vide allora Poros, “Espediente, Ricchezza”, ubriaco e addormentato nel giardino e per rimediare alla sua miseria Penia decise di avere un figlio da Poros. Fu così che concepì Eros. Eros nacque dunque il giorno del compleanno
di Afrodite,e ne è perciò seguace e amante del bello, visto che Afrodite è bella;
Eros ha ereditato dal padre il suo spirito inventivo e scaltro, dalla madre la sua
condizione di mendicante e di povertà; è per parte di madre sempre povero, rude,
sporco e scalzo, ma ha anche caratteristiche del padre in quanto ottimo
cacciatore, occupato a trovare sempre qualche trucco, pieno di risorse. Eros non è
bello perché in quanto figlio di Penia è privo della bellezza, ma per parte di
padre sa rimediare a tale privazione, è desiderio e perciò non si può desiderare che ciò di cui si è privi. Perciò, per Socrate, Amore ama e non è un dio ma solo un demone, un essere intermedio tra il divino e l’umano. Il demone descritto da Diotima è indefinibile al pari di Socrate: non è un dio né un uomo, né bello e né brutto, né saggio né insensato. Ma è appunto desiderio, perché come Socrate è cosciente di non essere bello e di non essere saggio. Per tal motivo egli è filo- sofo, innamorato della saggezza e desideroso di raggiungere un livello dell’essere
coincidente con quello della perfezione divina. Dunque Eros è desiderio della propria perfezione e aspira a raggiungerla. Così, quando gli altri uomini amano Socrate – Eros, ciò che amano è questa aspirazione, l’amore di Socrate per la bellezza e la perfezione dell’essere. Trovano così in Socrate il cammino verso la propria perfezione. Proprio come i Sileni che devono essere aperti per accedere a loro, allo stesso modo Socrate è un Sileno che si apre su qualcosa che sta al di là del Sileno stesso. Questo è il filosofo: un richiamo all’esistenza. Infatti Alcibiade ricorda nel discorso che Socrate lo mise in guardia:
Una bellezza invincibile vedresti in me e completamente diversa dalla bellezza di forme. E se scorgendola cerchi di metterti insieme a me e di scambiare bellezza con bellezza, be’ hai in mente di prevaricare a mie spese non di poco, perché cerchi di acquistare, al posto dell’apparenza, la verità di ciò che è bello, e davvero “oro con rame” pensi di barattare (Plat.
Symp. 218e).