• Non ci sono risultati.

Niente di tutto ciò: l’ha comprato per sé! Vediamo molte cose che non fece nemmeno il povero e frugale Apicio

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Niente di tutto ciò: l’ha comprato per sé! Vediamo molte cose che non fece nemmeno il povero e frugale Apicio"

Copied!
3
0
0

Testo completo

(1)

Ed ecco di nuovo Crispino, devo spesso richiamarlo in causa, un mostro che nessuna virtù ha potuto affrancare dai vizi, un damerino rammollito, forte solo nella sfrenatezza, un adultero che disdegna solo le donne senza marito. Che importa allora quanti siano i porticati in cui sfinisce le sue giumente, quanto sia ampia l’ombra dei boschi in cui si fa portare, quanti iugeri possegga vicino al foro, quali case abbia comprato questo scellerato, con cui giaceva, appena cinta delle bende sacre, una sacerdotessa che se ne sarebbe andata sotto terra col sangue ancora pulsante?

Ma parliamo ora di cose più leggere. Certo, se fosse stato un altro a fare lo stesso sarebbe finito davanti al censore: ciò che sarebbe stato vergognoso per un Tizio o un Seio, gente onesta, a Crispino ben si addiceva. Che vuoi farci, se è una persona più ignobile d’ogni possibile accusa?

Ecco, ha comprato per seimila sesterzi una triglia che pareggia in libbre le migliaia di sesterzi, stando a quelli che di cose grandi fanno racconti più grandi ancora. Avrei approvato questo piano da maestro, se con un così gran dono avesse strappato a un vecchio senza eredi il primo posto nel suo testamento, o a maggior ragione, se l’avesse mandato a un’amica importante, che si fa trasportare in una lettiga chiusa da vetri trasparenti. Niente di tutto ciò: l’ha comprato per sé! Vediamo molte cose che non fece nemmeno il povero e frugale Apicio. E questo fai tu, Crispino, che una volta ti cingevi la veste fatta del papiro della tua terra? A tanto prezzo compri squame? Per meno forse si sarebbe lasciato comprare il pescatore che il pesce; per una simile cifra la provincia vende interi poderi, ma la Puglia ne vende anche di più grandi. Quali pietanze dobbiamo allora immaginare che abbia inghiottito l’imperatore, se per una parte marginale della sua modesta cena ha eruttato tanti sesterzi questo parassita porporato del gran Palazzo, che ormai è principe dei cavalieri, ma che una volta era abituato a sgolarsi per vendere pesci avariati suoi compaesani?

Comincia, Calliope! Ma possiamo anche sederci: non c’è da cantare, si tratta di una storia vera.

Narrate, fanciulle Pieridi! E che possa giovarmi l’avervi chiamato «fanciulle»...

Al tempo in cui l’ultimo Flavio dilaniava il mondo ormai esanime, e Roma era serva di un calvo Nerone, un rombo adriatico di dimensioni prodigiose capitò davanti al tempio di Venere

che domina la dorica Ancona e riempì le reti; vi rimase impigliato, non meno grande di quelli che la Meotide rinchiude tra i suoi ghiacci e talvolta, disciolta dai raggi del sole, riversa fino alle bocche dell’impetuoso Ponto, resi lenti dall’immobilità e gonfi dal lungo freddo. Il signore di barca e reti destina questo prodigio della natura al Pontefice Massimo. Chi avrebbe d’altra parte osato mettere in vendita o comprare un pesce del genere, quando le coste erano così piene di delatori? Sparsi dovunque, gli ispettori dell’alga avrebbero denunciato il nudo rematore, né avrebbero esitato a sostenere che il pesce fuggitivo fosse stato a lungo nutrito negli allevamenti del Cesare e che,

(2)

essendo fuggito da lì, dovesse essere riportata all’antico padrone. Se diamo retta a Palfurio o ad Armillato, tutto ciò che vi sia di notevole e di bello in tutto il mare, dovunque nuoti, è cosa del fisco. Gli sarà allora donato, quindi, prima che vada perduto.

Già l’autunno mortifero cedeva il posto alle nevi, già i malati speravano nella febbre quartana e mugghiava il deforme inverno, che avrebbe conservato la recente preda; e ciò nonostante lui si affretta, come incalzato dallo Scirocco. Giunti in prossimità del lago, dove Alba, per quanto in rovina, custodisce il fuoco troiano e onora una più piccola Vesta, una folla ammirata gli ostacolò per un po’ l’ingresso in città. Quando riuscì a passare, le porte si spalancarono sul cardine ben scorrevole; lasciati fuori, i senatori guardano la portata che viene introdotta.

Si va dinanzi all’Atride. «Accetta» disse allora il Piceno «una meraviglia troppo grande per focolari privati. Questo giorno sia proclamato di festa; affrettati a liberare lo stomaco da ogni altro cibo, e consuma questo rombo riservato al tuo regno. Lui stesso ha voluto farsi catturare». Quale adulazione poteva essere più sfacciata? E tuttavia già gli si drizzavano le penne: non c’è nulla che non sia disposto a credere di se stessa una potenza pari agli dei quando viene lodata.

Non c’era però una pentola della misura giusta per il pesce. Vengono allora convocati in consiglio gli ottimati, che lui aveva disprezzato, sul volto dei quali stava il pallore di un’amicizia infelice quanto potente. Al grido del Liburno: «Presto, è già in seduta!», per primo si affrettava, trascinando con sé il mantello, Pegaso, da poco posto a fattore della città sbalordita. Ma d’altra parte potevano essere altro i prefetti? Di tutti loro era il migliore, il più onesto interprete delle leggi, sebbene pensasse che, di quei tempi crudeli, ogni cosa andasse trattata con una giustizia inerme. Arriva anche Crispo, un piacevole vecchietto, dai costumi pari alla sua eloquenza e dal carattere mite. Chi più di lui sarebbe stato compagno utile a colui che reggeva mari, terre e popoli, se solo sotto quel flagello sanguinario fosse stato consentito

condannare la crudeltà e dare un parere onesto? Ma cosa c’è di più violento dell’orecchio di un tiranno, con cui rischiava la vita un amico che avesse voluto parlare della pioggia, del caldo o dei temporali di primavera? E allora lui non volse mai le braccia contro corrente, né era cittadino tale da dire apertamente i propri pensieri e rischiare la vita per amor di verità. Così vide molti inverni e ottanta solstizi, protetto da queste armi persino in quella corte. Si affrettava a tenergli dietro Acilio, della stessa età, con quel giovane che non meritava la morte così crudele che incombeva su di lui, tanto affrettata dalle spade del tiranno; da tempo è un miracolo se un nobile arriva alla vecchiaia, ed è per questo che preferirei essere il fratellino di un gigante. A quel disgraziato non valse a nulla trafiggere corpo a corpo orsi di Numidia, nudo cacciatore nell’arena di Alba. C’è ancora qualcuno che non capisca gli stratagemmi dei patrizi? C’è chi ancora si meraviglia di quella tua antica astuzia, Bruto? É facile farla a un re barbuto!

(3)

Con un volto non certo migliore, nonostante l’umile origine, andava Rubrio, colpevole di un’offesa antica che è meglio tacere, e tuttavia più impudente di un cinedo che scrivesse satire. Vi è poi anche Montano, un gran pancione impacciato dal suo grasso, e Crispino, che fin dal mattino trasudava tanto amomo, quanto a stento ne manderebbero due cadaveri, e ancor più crudele di lui Pompeo, cui bastava un tenue sussurro per far aprire gole, e Fusco, che riservava le viscere agli avvoltoi di Dacia meditando battaglie nella sua villa marmorea, e il prudente Veientone con il mortifero Catullo, che ardeva d’amore per una fanciulla mai vista, portento grande e notevole anche per il nostro tempo, adulatore cieco e crudele servitore, degno di mendicare dal ponte al passaggio dei carri per Ariccia e di mandare molli baci alle carrozze che si allontanano.

Nessuno più di lui si meravigliò del rombo; molto lo lodò, infatti, rivolto a sinistra, mentre l’enorme pesce giaceva a destra. Così al Circo lodava i combattimenti e i colpi di Cilicio, e a teatro le macchine sceniche e i fanciulli rapiti fin sul velario. Non è da meno Veientone che, come un sacerdote colpito dal tuo furore, o Bellona, comincia a profetizzare ed esclama: «Ecco per te un gran presagio, di un grande e illustre trionfo: catturerai qualche re, o forse Arvirago cadrà dal suo carro britannico. La bestia viene da lontano: vedi le pinne dritte sul dorso?». Ci mancava solo che raccontasse da dove veniva e quanti anni aveva il rombo.

«Allora che ne pensi? Lo si taglia?»

«Lungi da lui un simile disonore!» interviene Montano, «Si prepari piuttosto una pentola profonda, che tra pareti sottili racchiuda una grande circonferenza. Per una padella simile ci vuole un grande e rapido Prometeo. Presto, preparate l’argilla e la ruota del vasaio; ma d’ora in poi, o Cesare, che i vasai seguano il tuo accampamento!».

Ebbe la meglio questa proposta, degna di chi la avanzava: aveva conosciuto l’antica corruzione dell’impero, le lunghe notti di Nerone, e quella seconda fame, quando i polmoni bruciano per il Falerno. Nessuno, ai miei tempi, era più esperto di lui nel mangiare: venissero dal capo Circeo, dagli scogli del Lucrino o dai fondali di Rutupie, lui era un esperto nel riconoscere le ostriche al primo boccone, e a prima vista sapeva dire un riccio da quale spiaggia venisse.

La seduta è tolta e, sciolto il consiglio, si ordina di andar via ai patrizi, che il gran condottiero si era trascinato dietro, disorientati, nella rocca di Alba, costretti ad affrettarsi come se avesse dovuto discutere dei Catti o dei crudeli Sicambri, quasi che con rapido volo gli fosse giunto un messaggio inquietante dalle più remote regioni del mondo.

Ma magari avesse impiegato in queste sciocchezze tutta la sua crudele vita, in cui strappò alla città tante anime illustri e famose, impunito e senza nessun Vindice! Ma fu perduto quando cominciò a spaventare anche la plebaglia: questo lo rovinò, mentre ancora grondava del sangue dei Lamii.

Riferimenti

Documenti correlati

cies in mortarium piper, iigusticum ; fricabis ; suflundes liquamen, vinum, et liquamine lenipe- rabis ; in cacabo adjicies oleum modicum ; facies ut ferveat; cum

vèrsi di mìa invenzione , nei quali la semplicità della composizione mi è sembrata più naturale nella vasta estensione dell’ arte della Cucina ; onde troverà il

- Dice in qualche modo la legge che la cosa migliore è tenersi il più possibile calmo nelle disgrazie e non irritarsi, dato che né è chiaro il bene e il male in tali eventi, né

Interventi: Giovanni Fiandaca, Università di Palermo, Centro Studi giuridici e sociali Aldo Marongiu Fausto Giunta, avvocato, Università di Firenze, Centro Studi giuridici

Com’è evidente, siccome non è possibile disgiungere la sapienza dalla felicità — e siccome la saggezza è l’espressione operativa della sapienza —,

Cause anatomiche : Il vomito nelle atresie è tanto più precoce quanto più l’alterazione anatomica è alta e varia di colorito dal chiaro al biliare, al fecaloide quanto più

L’errore  sorge  nel  momento  in  cui  la  ragione  avendo  definito  un  proprio  campo  di  applicazione  riduce  ciò  che  eccede  ad  errore.  La 

G ILSON , Lo spirito della filosofia medievale: «Ciò che i filosofi del Medioevo chiedono loro (scil. ai filosofi antichi) è invece tutto e soltanto ciò per cui sono veri;