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La mia. Africa VIAGGI.

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Academic year: 2022

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Inizia questa settimana il racconto del mondo da parte di Vittorio De Felice, sidernese che

per motivi di lavoro ha girato tutto il globo

VITTORIO DE FELICE

L’arrivo in Africa riesce sempre a sorprendermi e trasportarmi in una dimensione completamente diversa da quella a cui siamo abituati noi europei. Non è solo una questione di clima, ma proprio di aria, quella che respiro in questo continente e che sembra più densa e soddisfacente. Chi arriva per la prima volta, inizia a conoscere queste terre dall’alto: man mano che l’aereo si avvicina al suolo, si fanno più distinte le distese immense che, senza una ragione, alternano aree assolutamente brulle a praterie punteggiate da enormi baobab e palme frondose. E poi, poco prima dell’atterraggio, a far da contraltare ai grandi spazi, si sorvolano centri densa- mente popolati in cui minuscole case dai tetti in lamiera si affiancano a principeschi palazzi magnificamente progettati. E’ la povertà che va a braccetto con la ricchez- za in una specie di disarmonica armonia che stupisce chi si è culturalmente evoluto con i modelli occidentali.

E poi si atterra. Questa volta sono a Mombasa, in Kenya, da dove proseguirò via terra il mio viaggio verso Watamu, una striscia di terra e sabbia corallina affaccia- ta su un meraviglioso parco marino. Pochi minuti per ascoltare i messaggi di benvenuto della responsabile di cabina e l’aereo ha raggiunto l’area di parcheggio. Si aprono le porte e si rimane senza fiato, soprattutto se si arriva dall’inverno europeo. L’aria che satura la cabina dell’aereo è calda, umida, piena di odori e fragranze che, se avessimo l’olfatto dei cani, ci farebbe impazzire nel vano tentativo di scandire e classificare ogni singolo com- ponente. L’aria è una cosa solida che avvolge come un mantello. Si avverte pesante sulla pelle e leggera nei pol- moni, fa sudare e respirare nello stesso tempo.

I processi doganali sono lenti, pedanti. Gli ufficiali del- l’immigrazione, chiusi nelle loro guardiole, scrutano attentamente visi e passaporto, controllano il visto e, finalmente, lasciano transitare verso l’aera del ritiro bagagli. Quando si viene in Africa bisogna spogliarsi mentalmente, oltre che fisicamente. Il viaggiatore che pretendesse l’efficienza e la velocità europee si arrab- bierebbe moltissimo e inutilmente. E’ opportuno imparare subito che il tempo da queste parti ha una valenza completamente diversa da quella europea, sia nel senso letterale che in quello metaforico. Il Kenya è attraversato dalla linea dell’equatore, dunque l’equilib- rio tra giorno e notte è quasi perfetto: dodici ore di luce e dodici di buio, inclusi alba e tramonto. I locali contano le ore in maniera diversa: Il conteggio parte dall’alba e arriva al tramonto, poi si ripete durante la notte.

Praticamente, quando qui si dice che sono le due, per noi italiani sono le otto del mattino o le otto della sera; basta aggiungere sei ore (o cinque, dipende dall’orario in vig- ore in Europa) e il gioco è fatto. Se la spiegazione del tempo fisico è piuttosto semplice, ben altra cosa è rius- cire a comprendere come un africano considera lo scor- rere del tempo. Qui non ci si affretta, il concetto di fren- esia è sconosciuto e non c’è nulla di urgente. Tutto som- mato è un buon modo di intendere la vita, ma per noi che siamo abituati a ritmi intensi, può essere destabiliz- zante.

Finalmente esco dall’aeroporto e sono fuori, nel sole accecante. L’autista è già lì, regge un grande cartello con il mio nome. Ovviamente qualche lettera è stata storpia-

ta, ma riesco a comprendere. Ci immergiamo nel caos del traffico di Mombasa: piccoli furgoni strapieni usati come taxi comuni pieni di gente pigiata all’inverosimile, moto taxi attrezzati con ombrellone (fissato incauta- mente tra l’ammortizzatore e lo sterzo) per dare sollievo a passeggero e conducente, venditori di noccioline, gior- nali e acqua che si aggirano tra le lunghe file disordinate di auto strombazzanti. E su tutto questo il martello di un sole spietato che picchia sull’asfalto costellato di buche.

Alla fine, dopo un tempo che sembra interminabile, siamo fuori dalla città e prendiamo la strada costiera in direzione nord. Il viaggio mi consente di ammirare le piantagioni di ananas e i grandi palmeti da cui si ricavano l’olio e le noci di cocco. Un’ora circa e siamo a Watamu.

Lo spettacolo è magnifico: la località sorge proprio davanti al parco marino, un mare incontaminato ricco di biodiversità. La particolarità più suggestiva è costituita dai “mapango”, bassi rilievi verdissimi che, a seconda delle maree, diventano isolotti o si ricollegano alla ter- raferma per mezzo di lingue di sabbia popolate da pic- coli granchi bianchi di cui i cormorani vanno ghiotti.

Passeggiare sulla spiaggia è un’esperienza incredibile: il rumore del silenzio è un ossimoro che ben descrive l’at- mosfera magica nella quale mi trovo immerso. Rari stridii di gabbiani, lo sciabordio della risacca e il vento che accarezza le palme sottolineano l’assenza di suoni umani e mi fanno sentire lontano da tutto, in perfetta armonia con la Bellezza della natura. La sabbia è bianca e soffice, tiepida di notte e fresca di giorno, un controsen- so dovuto alla particolare natura della polvere di corallo che trattiene il calore del sole e lo rilascia durante le ore più fresche. I cicli delle maree - qui particolarmente intense perché all’Equatore la luna esercita la sua massi- ma potenza di attrazione sugli oceani – scoprono e rico- prono d’acqua i coralli rendendoli particolarmente bril- lanti. Piccoli pesci e minuscoli crostacei, sorpresi dalla bassa marea, nutrono gabbiani e cormorani. Lo spetta- colo del tramonto è affascinante e repentino: il sole diventa un’immensa palla rossastra, impone la sua pre- senza come a voler ricordare che sta andando via ma tornerà l’indomani. E all’improvviso si tuffa in mare con una sinfonia di colori pastello lasciando interdetti gli ani- mali e gli uomini: è durato un attimo, ma è stato bellissi-

mo e rimango ad ascoltare il soffio del Kaskazi, il vento della stagione secca, che increspa le onde. All’alba aloni rosati circondano gli isolotti e un’atmosfera di attesa sembra avvolgere l’universo. Per un attimo tutto si ferma, poi all’improvviso, come un consumato attore che emerge dalle quinte per strappare l’applauso del pubblico, il sole prorompe inondando di luce la terra e il mare. Dura pochi istanti, tuttavia si percepisce la nascita del giorno con tutte le aspettative e le lotte quotidiane che caratterizzano la natura dell’Africa.

E giorno sia, allora! In un resort l’inizio della giornata è sempre pieno di impegni e si comincia molto presto, intorno alle 6,30. Mentre mi dirigo al ristorante per far colazione, considero la fortuna di poter andare al lavoro percorrendo due o trecento metri sotto le palme nella quiete dell’alba. Quando sono in Italia, la tangenziale di Milano al mattino non riconcilia con il mondo come la mia camminata nel fresco delle prime ore della giorna- ta! E’ un momento molto bello: riallaccio i fili degli ulti- mi pensieri della sera precedente e, poi - da sempre e stranamente - ogni giorno, in ogni parte del mondo in cui mi trovo, mi sorprendo a pensare alla Calabria, a Siderno. Comparo le passeggiate mattutine sul lungo- mare di casa mia con queste africane. Sono cose diverse, lo so, spettacoli entrambi di una bellezza meravigliosa e toccante. Provo un po’ di rabbia a pensare a come – noi calabresi - non siamo capaci di estrarre l’oro del turismo dalla nostra ricchissima riserva naturale. Ma questi sono pensieri già pensati, frustrazioni già vissute.

Inizio la giornata incontrando i miei collaboratori, i capi servizio ricevono le liste degli arrivi e delle partenze e parliamo di come si svilupperanno gli eventi della gior- nata cecando di prevedere e prevenire i piccoli o grandi incidenti di percorso che possono turbare il soggiorno degli ospiti. E’ una specie di tela di Penelope che ogni giorno viene tessuta e che puntualmente ritroviamo dis- fatta il giorno dopo perché se in Africa la vita quotidiana è piuttosto semplice, i problemi di lavoro vengono ingi- gantiti dalla mancanza di risorse. Molto spesso bisogna inventare soluzioni, trovare strade alternative per risol- vere un problema. In questo gli africani sono bravissimi:

sanno di non poter contare su un mercato ricco che mette a disposizione tutto il necessario per far fronte alle

rotture, alle mancanze e alle improvvise necessità. Si dice di noi italiani che siamo un popolo ricco di inventiva – ed è vero – ma credo che non siamo neppure lontanamente paragonabili alle genti di queste latitudini. Ho visto aggiustare e dare nuova vita ad oggetti che in Italia but- teremmo via senza pensarci due volte; per strada si incontrano veicoli stranissimi e fantasiosi: motociclette costruite in India riparate con parti di auto provenienti dalla Cina o dalla Corea. Si vedono camion che cammi- nano tutti storti con un semiasse originale e l’altro preso chissà dove; parti di carrozzeria di una vecchia Mercedes montati su fuoristrada Toyota che hanno percorso mil- ioni di chilometri.

La gente è particolare, sempre allegra benché povera.

Tutti hanno un telefonino più o meno di ultima gener- azione, anche coloro che vivono in capanne costruite con argilla e sterco di mucca, e il tetto fatto di foglie di palma intrecciate – tra parentesi, queste case sono freschissime perché i materiali usati sono naturalmente coibenti – e prendono il fresco su una piccola panca di legno sistem- ata vicino all’uscio. Il Kenya è un vero crogiuolo di popo- lazioni, infatti vi si trovano più di settanta differenti etnie suddivise - come in tutta l’Africa – in numerose tribù che, finalmente abbandonata la via delle armi, si danno battaglia in parlamento per conquistare il potere politi- co. La molteplicità della provenienza tribale determina anche una moltiplicazione delle lingue parlate (non def- initeli dialetti!): circa 68 idiomi diversi che rendono le nazioni africane tante piccole Babele. Le lingue ufficiali sono l’inglese (obbligatorio a scuola e parlato da tutti) e lo Swahili che è la parlata più diffusa nell’Africa orien- tale. La convivenza tra i vari gruppi è piuttosto pacifica e non vi sono frequenti episodi di intolleranza, anche per- ché questi popoli sono da sempre abituati ad invasioni ed influenze provenienti da diverse parti del mondo. Il gruppo arabo è particolarmente numeroso sulla costa (qui i mercanti di schiavi avevano un floridissimo com- mercio) che fino al secolo scorso sentiva fortemente l’in- fluenza del sultanato dell’Oman; non mancano indiani, europei e cinesi. Una particolare citazione meritano i Masai, anche se non è corretto definirli propriamente kenyani. I Masai, popolo nilotico di allevatori e guerrieri, una volta nomadi ma ora sempre più stanziali, popolano gli altopiani dell’interno e sono molto numerosi in Kenya e in Tanzania. Parlare diffusamente dei Masai richiederebbe tantissimo spazio, quindi rimando l’argo- mento (estremamente interessante per storia e tradizioni) ad un altro appuntamento.

Finalmente arriva la sera. E’ un momento speciale per andare sulla spiaggia e passeggiare sulla sabbia tiepida, sedersi e guardare le stelle. Il cielo è molto diverso da quello italiano: costellazioni che da noi sorgono di giorno, qui sono visibili e particolarmente luminose anche a causa della mancanza di inquinamento lumi- noso: il buio è davvero buio e consente un’osservazione perfetta del cielo. Il fenomeno delle stelle cadenti è con- tinuo: la volta celeste è graffiata da migliaia di bolidi che precipitano verso il nostro pianeta bruciando nelle parti più alte dell’atmosfera. La giornata è conclusa: si va a dormire ascoltando i versi degli animali notturni e il vento di Kaskazi che porta un po’ di refrigerio e fa stormire le fronde delle palme.

La mia

Africa

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Ho letto con grande interesse l'intervista alla Stampa di Monsignor Bregantini, già indimenticabile Vescovo della nostra Diocesi. Una netta critica al modo in cui Renzi ha aperto la crisi e l'auspicio di un intervento di "responsabili" per evitare la caduta del governo, in presenza di una drammatica crisi sanitaria ed economico- sociale.

Padre Giancarlo si spinge oltre e ipotizza una nuova formazione politica di ispi- razione cattolico- democratica, che potrebbe nascere nel solco del lavoro condotto dal gruppo "Insieme", coordina- to da Stefano Zamagni con Conte a guidarla.

Non sarebbe un improbabile ritorno al passato, ma certamente il recupero e l'at- tualizzazione della dottrina sociale della Chiesa e del popolarismo di don Sturzo.

Il partito popolare nacque nel 1919 dalle comuni riflessioni di don Sturzo e Murri.

Alla base c'era una caratterizzazione ide- ale precisa, in contrapposizione dialettica con il laicismo e il socialismo.

Non escludeva, però, convergenze con le istanze sociali più radicali. Fu sciolto da Mussolini. Le correnti di pensiero cattoli- co, laico, socialista e comunista trovarono sintesi nella lotta al fascismo e scrissero la Costituzione della Repubblica.

De Gasperi nel 1942 fondò la DC, sulla scia dei popolari. "Un partito di centro che guarda a sinistra". Anche se non sem- pre andò così.

Yalta divise il mondo in due blocchi, anche ideologici e inevitabilmente la DC, come il PCI, fecero una scelta di campo.

Le diverse alleanze di Governo della DC, centriste e di centro-sinistra, non hanno fatto da ostacolo al confronto ideale e poi politico con il PCI.

Ricordo il discorso di Togliatti a Bergamo sui destini dell'uomo, conosciuto come il discorso ai cattolici, la distinzione giovan- nea tra errore ed errante, il dialogo di Monsignor Bettazzi con Berlinguer, il

“compromesso storico”. Da Gramsci in poi il dialogo e il rapporto tra le grandi masse popolari, finalizzato alla difesa della democrazia e allo sviluppo delle forze produttive, divenne una precisa costante.

Doppiezza, in particolare di Togliatti?

Lungimiranza, piuttosto, e consapevolez- za delle condizioni politiche nazionali e internazionali. Sappiamo tutti cosa è accaduto con l'uccisione di Moro e la caduta del muro di Berlino. Anche prima di questi eventi i cattolici non si ritrova-

vano in un solo partito. Naturale in un Paese come l'Italia. Le categorie con le quali abbiamo letto il '900 sono evidente- mente superate. La stessa dialettica tra capitale e lavoro va letta alla luce della globalizzazione, dei conflitti religiosi, del- l'emigrazione, della rivoluzione informat- ica e così via.

Una nuova formazione politica, ove nascesse, deve usare queste nuove cate- gorie e rivendicare i valori forti su ecolo- gia, solidarietà, accoglienza, rifiuto del sovranismo, ai quali fa riferimento il Pontefice.

Qui va tracciata la linea di discrimine.

Leggo così la suggestione di Monsignor Bregantini e mi chiedo come facciano i cattolici a convivere con alcune posizioni dell'attuale destra italiana.

Lo stesso interrogativo l'ho posto più volte ai compagni socialisti, auspicando il superamento delle contrapposizioni del passato.

Conte ha chiesto e ottenuto la fiducia, anche al Senato nonostante lì non abbia raggiunto la maggioranza assoluta.

Per ora non si è costituito il gruppo di cen- tro che aveva sollecitato. Forse in seguito.

Il Governo va avanti ma il percorso è acci- dentato. La collaborazione di Governo e il ruolo di Conte, hanno consentito al Movimento 5 Stelle di superare posizioni del passato, facendo chiarezza innanzitut- to sulla collocazione europeista.

La creazione, ora, di una nuova for- mazione politica con a capo il premier rischierebbe di indebolire l'equilibrio esistente. Più che una rincorsa al centro, penso sia utile richiamare le forze politiche, le singole personalità, alla coerenza con i valori indicati.

Lo stesso appello può essere fatto pen- sando alle elezioni regionali in Calabria. Il centrodestra è attualmente maggioranza.

All'interno convivono profonde contrad- dizioni tra formazioni di origini diverse.

Penso alle politiche di accoglienza, al rap- porto pubblico/privato, ai temi istituzion- ali e via elencando.

In ragione di ciò sarebbe opportuno sol- lecitare una discussione preliminare di carattere ideale e programmatico che tenga conto delle grandi questioni accen- nate, con l'obiettivo di riunificare, su un terreno di valori condivisi, le forze social- iste, laiche e cattoliche oggi impropria- mente collocate nel centrodestra.

Francesco Riccio

Ciccio Riccio:

“Le forze cattoliche

dovrebbero tornare al centrosinistra”

Lo storico dirigente comunista Francesco Riccio, racconta il suo

rapporto con Monsignor Bregantini, la sua politica di sviluppo su cui si basò quando era responsabile Mezzogiorno, la reale “casa” politica

delle forze laiche, ma anche cattoliche, socialiste, che il centrodestra ha attirato.

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POLITICA

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Perché la

pandemia non frena i rialzi …

FRANCESCO FEMIA

Chi ha più di dieci anni di esperienza di mercati finanziari si chiede da svariati mesi a cosa è dovuto il ciclo di rialzo dei corsi azionari borsistici. Come è possibile che in presenza di una pandemia, che sconvolge il mondo e che causa morti, disastri eco- nomici e disoccupazione, le Borse mondiali abbiamo fatto registrare record al rial- zo per tutto il 2020 e non sembrano fermarsi neanche in questo ancora tragico 2021?

Proviamo, senza finire in tecnicismi astrusi, a spiegarlo. Non con i soliti punti di vista, non con le ovvie “io credo…io penso…io pronostico”. Non c’è niente di peggio in campo economico o nell’analisi dei corsi finanziari mettere il proprio punto di vista in risalto. Si finisce (quasi) sempre per sbagliare tranne che nella previsione che un giorno tutti moriremo. Diceva l’avvocato Agnelli che sarebbe bene non parlare mai di Borsa. Ma lui, si sa, era un vero snob e comunque questa affermazione avveniva nel secolo scorso quando, specie nel vecchio continente, i mercati finanziari erano frequentati da èlite. Oggi non è più così e gli investitori vanno dai Fondi sovrani, Fondi privati, Istituzioni fino agli investitori singoli. Niente previsioni, quindi, ma analizziamo i fatti, così come dovrebbe fare un oculato risparmiatore che deve pro- teggere il suo capitale. E i fatti che dovrebbero analizzare coloro che per conto pro- prio o, maggiormente, per conto altrui sono i seguenti. I tassi di interesse, vale a dire i tassi con cui viene remunerato il denaro, sono a zero se non addirittura sottozero.

Avere il denaro depositato in banca costa e non dà frutti. Il denaro prestato allo Stato, i famosi titoli di stato, nel caso di un Paese a rischio frutta pochissimo, nel caso di un Paese come la Germania si arriva addirittura al fatto che chi compra i bund deve pagare. Ergo le obbligazioni sono “sparite” se non nei portafogli delle Banche Centrali. Queste ultime continuano ad emettere denaro nel sistema e continuano a favorire l’indebitamento dei Paesi in difficoltà. Ne deriva che le valute perdono il loro appeal e che le banche locali diventeranno sempre più emanazioni delle Banche Centrali. La FED (America), la BCE (Europa), BPOC (Cina) guideranno la più grande trasformazione dei mercati finanziaria appena iniziata. Le economie sono in profonda trasformazione, mai come in questa fase storica. Si registra un trasferimento di profondo interesse da Ovest a Est. Asia e Cina sono i nuovi leader, tanto che la crescita in Cina viene stimata da qui al 2025 del 27,7%, pari alla cresci- ta di tutte le altre economie messe assieme che registrerebbero un totale del 27,6%.

Il settore, a cui tutti guardano, è il settore dell’alta tecnologia e della ricerca. In questo quadro si verificheranno bolle finanziarie di inaudite proporzioni. Per citare due esempi: il corso delle azioni della Tesla e quello del Bitcoin. L’ascesa verticale di entrambe non ha precedenti tanto da indurre gestori di fondi altamente specializza- ti a vendere allo scoperto sia la Tesla che il Bitcoin, perché il loro previsto ridimen- sionamento è matematicamente possibile. Di contro, pare che per gli investitori pri- vati l’ottimismo e l’euforia siano al massimo. E forse non è male ricordare che non bisogna mai sottovalutare la speculazione selvaggia, non bisognerebbe scommettere mai contro l’azione delle Banche Centrali (FED, BCE, BPOC) e tenere bene a mente che le bolle tanto più sono belle tanto più male fanno. Chi, da professionista, segue i mercati studia i loro andamenti sotto due profili: quello tecnico e quello fon- damentale. Con il primo si studiano i grafici, sempre più spesso condizionati da algo- ritmi che determinano automaticamente acquisti o vendite. Con il secondo si regis- trano i dati macroeconomici, bilanci e prospettive future delle aziende. Molti para- metri, sia tecnici che fondamentali, sono saltati e diventa estremamente difficile ori- entarsi. Al mio esordio, nel lontano 1978 in qualità di rappresentante alla Borsa Valori di Roma di una grande banca, il Presidente degli Agenti di Cambio, romano verace, nel darmi il benvenuto d’obbligo ebbe ad aggiungere, in privato e in romanesco, “a morè, ricordate che la Borsa nu è facile, perché sennò spazzini in giro nu ce sarebbero”. Il consiglio valeva allora e vale più che mai oggi.

BORSE E COVID

Al mio esordio, nel lontano 1978 in qualità di rappresentante alla Borsa Valori di Roma di una grande banca, il Presidente

degli Agenti di Cambio, romano verace, nel darmi il benvenuto d’obbligo ebbe ad aggiungere, in privato e in romanesco, “a

morè, ricordate che la Borsa nu è facile, perché sennò spazzini in giro nu ce sarebbero”. Il consiglio valeva allora e

vale più che mai oggi.

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ROSARIO VLADIMIR CONDARCURI Come ho scritto subito dopo il primo incontro a Riace, mi sembra ci sia molta attenzione per questa candidatura, per questo ho cercato di sco- prire di più, rivolgendo delle domande a Luigi De Magistris.

Luigi De Magistris, una complessa esperienza da magistrato in Calabria, un ritorno da candi- dato a Governatore dopo la parentesi da sinda- co di Napoli. Perché?

Coincidendo con la fine del mio mandato ho avuto in queste settimane molte sollecitazioni dal basso, cioè da cittadini calabresi ma non solo calabresi per intraprendere questa avventura cosi straordinariamente affascinante che può portare i calabresi onesti, che hanno voglia di riscatto e di libertà, a

essere protagonisti del loro destino. Quindi, comincia un’avventura in terra di Calabria che può far diventare la Calabria un laboratorio dell’alter- nativa politica.

Sei venuto in Calabria ed hai subito chiarito chi sono i tuoi alleati, Tansi, la sinistra vicina a Lucano e la gente. Con loro vinci?

Io mi rivolgo a tutti i calabresi, mi rivolgo a quelli che hanno voglia di riscatto, di libertà, di rot- tura di quel sistema che mette insieme pezzi della politica, del mondo degli affari, massonerie devia- te e criminalità organiz- zata. Dare voce alle tante storie credibili di questa regione straordinaria, di donne e uomini che lot- tano come individui, ma anche come elementi di collettività. Anche ammi- nistratori locali, consi- glieri comunali, assessori.

E’ una convergenza tra forze civiche e militanza politica.

Non sei Calabrese, pensi di convincere i calabresi

a votarti?

Io sono sicuramente più calabrese di alcuni che hanno contribuito a distruggere la loro terra, per esempio a fermarmi quando da magistrato stavo facendo luce, i fatti di questi ultimi mesi dimo- strano l’assoluta bontà del mio operato, quando da magistrato indagavo su quel sistema crimina- le che opprimeva la Calabria. Io sono un uomo del Sud, quindi mi sento profondamente legato a questa terra da quando ero bambino, ci vengo da sempre, ho tanti legami, ci ho lavorato per 9 anni incessantemente e facendo il PM in prima linea, lavorando mai meno di 15 ore al giorno. Credo nell’autonomia del Sud, credo nell’orgoglio meridionale, credo nell’idea di costruire un Sud forte, autorevole e dignitoso che non sta mai più con il cappello in mano. E, poi, i protagonisti di questa avventura saranno i calabresi.

La lista di Tansi alle ultime elezioni si è distinta per un forte civismo, anche tu pensi di non avere connotazioni precise di destra o sinistra?

Io sono un uomo di sinistra, che però non si chiu- de in un recinto di sinistra o di centrosinistra:

parla ai calabresi con un programma chiaro, idee chiare e persone credibili, nella consapevolezza che tanti in questi anni si sono definiti di “sini- stra” non hanno fatto nulla di sinistra, quindi non sarò il candidato del centrosinistra. Credo molto però a un civismo che non è pressappochi- smo, qualunquismo o grida che poi non corri- spondono a capacità di governo. Credo molto nel fatto di parlare alla gente, rendere protago- niste le persone, mettere insieme un programma che coniughi capacità di rottura del sistema ma anche capacità di governo. Quindi, civismo che vuol dire anche militanza politica.

Penso sia giunta l’ora per la Calabria di un defi- nitivo decollo economico e sociale, per realizzar- lo serve un governatore che guardi avanti, senza fare polemica con il passato, condividi?

C’è bisogno di innovazione nell’identità. La Calabria è una Regione fortemente identitaria che ha bisogno di innovazione, di servizi, di uno sviluppo che metta al centro l’ambiente, la per- sona, il territorio, l’entroterra, il mare, che sap- pia coniugare infrastrutture più moderne con turismo e cultura e che sappia difendere la pro- pria storia, la propria forza e anche quello di vin- cere la sfida di una migrazione di ritorno. Cioè che i giovani non se ne debbano andare per necessità, ma per scelta. E io credo che se si fa un grande lavoro collettivo la Calabria è una Regione in cui si può puntare all’obiettivo della piena occupazione.

Come nemici temi di più la ndrangheta oppure i baroni calabresi che da Roma comandano il mondo?

Io come nemico temo quel sistema criminale, che ha talvolta il collante nelle massonerie deviate, che mette insieme in pezzo importante del ceto politico, il mondo degli affari e dei “prenditori” e pezzi collusi anche all’in- terno delle stesse Istituzioni. Quello è il sistema criminale che ha soffocato la Calabria in questi decenni, detenuto da una minoranza della popolazione che però ha esercitato un potere molto forte. Bisogna spezzare questo guinza- glio che ha il suo collante nel controllo della spesa pubblica.

La rivoluzione arancione sarà la liberazione della Calabria?

Questo lo decideranno i calabresi, sarà la rivolu- zione dei calabresi e io sarò uno di loro.

“Io calabrese tra i calabresi, molto

più di tanti altri”

Io sono un uomo del Sud, quindi mi sento profondamente legato a questa terra da quando ero bambino, ci vengo da sempre, ho tanti legami, ci ho lavorato per 9 anni incessantemente e facendo il

PM in prima linea, lavorando mai meno di 15 ore al giorno. Credo nell’autonomia del Sud, credo nell’orgoglio meridionale, credo nell’idea di costruire un Sud forte, autorevole e dignitoso che non sta

mai più con il cappello in mano. E, poi, i protagonisti di questa avventura saranno i calabresi.

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INTERVISTA

DE MAGISTRIS CANDIDATO A PRESIDENTE DELLA CALABRIA

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Viaggiamo su binari paralleli.

Per ora…

Abbiamo parlato con De Magistris dell’esperienza di Crotone e della “rivoluzione arancione”

in modo molto positivo, come la voglia della gente di reagire a questo sistema diventato ormai asfissiante. La gente non ne può più di questa politica e di questa sanità, assolutamente, e noi, che siamo alternativi alla devastazione, pensiamo, ne siamo anche convinti, che quel vento

che ha spirato a Crotone possa ora soffiare sull’intera Calabria”.

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INTERVISTA

PIETRO MELIA

Martedì 19 gennaio, tardo pomeriggio. Chiama Carlo Tansi, da me cer- cato (inutilmente) in mattinata. E’ appena terminato il primo faccia a faccia ufficiale con Luigi De Magistris, che ha da poco sciolto la riserva:

si candida a governatore della Calabria e il suo primo incontro “preelet- torale” lo dedica al geologo ex responsabile della Protezione civile regio- nale, già in campo da settimane.

Chiedo a Tansi: come è andata?

“Direi bene. Intanto abbiamo fatto conoscenza e tra noi ci sono molte cose in comune. Innanzitutto l’amore per la nostra terra, lui al 50%, con solide radici in Calabria, e poi la complementarietà: io conosco meglio e bene i problemi del territorio e lui conosce bene la macchina ammini- strativa, e non a caso è stato confermato in due mandati sindaco in un contesto, anche burocraticamente molto complesso, come Napoli.

Mettere insieme queste forze rappresenta anche una unione d’intenti.

Un altro elemento che ci accomuna è la totale distanza dalla partitocra- zia. Quantomeno da questa partitocrazia calabrese, al di là dei colori: e noi costituiamo un blocco civico che si oppone ai partiti della burocra- zia…”.

E’ stato dunque stipulato l’accordo?

“C’è la voglia, l’intento di camminare insieme. Ovviamente siamo entrambi candidati a Presidente, quindi stiamo camminando su binari paralleli, verso la stessa direzione. Ma sono certo che al momento in cui si dovrà fare una scelta non avremo difficoltà tra due persone perbene che in fondo hanno lo stesso intento, lo stesso scopo individuare un punto d’accordo”.

Ma il passo indietro, se si rendesse necessario, mi sa che dovresti farlo tu, perché De Magistris, ne sono certo, non accetterebbe un accordo in posizione subordinata ad altri. O no?

“Su questo non c’è nessuna preclusione da parte mia, e anche da parte sua”.

L’ipotesi eventuale di un ticket tra voi due è verosimile, realizzabile: De Magistris candidato governatore e tu suo vice?

“Non abbiamo preso nessuna decisione sul punto. Non abbiamo parla- to assolutamente di tutto questo. Ci siamo detti reciprocamente che siamo l’uno riferimento dell’altro. Su questo non c’è dubbio. Per poter proprio sconvolgere il sistema,

insomma come un macigno nello stagno…”.

Ma alla fine, come ben sai, non ci potranno essere due candidati a Presidente, il candidato dovrà per forza essere uno…

“Quando sarà il momento decideremo…”.

Ma personalmente che orientamento hai, alla luce anche dalle “spinte” che arrivano dal tuo movimen- to “Tesoro Calabria” secondo il quale non può esserci candidato Presidente al di fuori di Tansi? Ti toc- cherà lavorare duro per convincerli che potresti non essere tu il numero 1 della partita…

“Io devo parlare e devo condividere que- sta decisione. Ma già penso che non avre- mo difficoltà a parlarne. Io non devo con- vincere nessuno, perché può darsi pure che sia esattamente il contrario. Ripeto:

io e De Magistris stiamo camminando in questa fase su due binari paral- leli e con un obiettivo unico: il bene della Calabria. Il resto verrà dopo”.

Si profila uno slittamento delle elezioni, qualcuno indica addirittura nel prossimo settembre il mese idoneo post pandemia: quale è, sul punto, la tua opinione?

“L’emergenza è una cosa, d’accordo, ma durante l’emergenza si è vota- to a Crotone, quindi si può votare, perché no’, anche in Calabria. Lo stato di emergenza non vuol dire allerta rossa o allerta arancione, e per allerta intendo codice rosso o codice arancione. Può essere in emergen- za, in codice rosso o in codice arancione ma c’è anche il codice bianco.

Per cui bisognerò vedere come evolverà il quadro pandemico, se riuscia- mo nel frattempo a vaccinare più gente possibile e contenere la poten- za del virus. Abbiamo visto l’anno scorso che da maggio in poi l’inten- sità dell’ondata è diminuita, peraltro in assenza di vaccino, e dunque si potrebbe, stavolta, votare anche a maggio o giugno. Sono d’accordo con te che non si voti ad aprile, mi sembra del resto una stupidata, perché poi seguiranno le elezioni comunali e spendere soldi

in più non è proprio il caso di differenziare regiona- li e comunali. La soluzione ottimale a mio giudizio sarebbe il voto in maggio o giugno”.

A proposito di Crotone: lì la “rivoluzione arancio- ne” ha avuto un successo straordinario. Ne avete parlato con De Magistris, che di quel colore in Campania e in Italia è il “portabandiera”?

“Abbiamo parlato molto positivamente, come la voglia della gente di reagire a questo sistema diventa- to ormai asfissiante. La gente non ne può più di que- sta politica e di questa sanità, assolutamente, e noi, che siamo alternativi alla devastazione, pensia- mo, ne siamo anche convinti, che quel vento che ha spirato a Crotone possa ora soffiare sull’intera Calabria”.

PRIMO “FACCIA A FACCIA” TANSI-DE MAGISTRIS

L’AUTOCANDIDATURA DI DE MAGISTRIS

Scagli la prima pietra chi non ha scheletri

negli armadi

Scorri le agenzie, leggi le note stampa e non sai se piangere o ridere. Da sinistra, da destra e dal centro: tutti col mal di pancia per l’autocandidatura di Luigi De Magistris alla guida della Regione. E tutti a menar fendenti, allo

“straniero”, al “colonizzatore”, al “manettaro giustizialista”

in cerca di un posto al sole. Insomma, il “coro unanime delle vergini della politica”. I giornalisti, però, dovrebbero avere

“memoria lunga”, e non limitarsi a pubblicare le “veline”

imbucate nelle poste elettroniche delle loro redazioni. E se scavassero scoprirebbero tante cose, che rinfrescherebbero la memoria ai Graziano e agli Oddati (ma questi da dove vengono, non mi pare che siano calabresi autentici e autoc- toni, e meglio farebbero, loro per primi, a cucirsi la bocca…), per non far nomi, ma anche agli altri “colleghi”

chiamati a gestire partiti inesistenti o presenti solo sulla carta, dunque virtuali. A questi signori non dicono nulla i D’Attorre, le Bindi e, andando anche indietro nel tempo, gli Ingrao, gli Occhetto, i Ruffolo, i Villari, i Gasparri (sì, pro- prio lui, Gasparri, il “dichiarante” tanto al chilo…)? Chi li sceglieva, chi li imponeva a capolista o in liste blindate? I cal- abresi? Allora, prima di avventurarsi nei commenti, facessero mente locale e un serio esame di coscienza. De Magistris – e in questo non c’è, sia chiaro, una scelta di campo, un giornale che vuole essere e restare libero non si schiera se non nelle battaglie di civiltà e di progresso sociale, per l’affermazione di principi e valori che si richiamano alla Costituzione, a difesa degli ultimi della terra, per la libertà e la democrazia! – ha dunque tutto il diritto di proporsi in una importante competizione amministrativa come quella del prossimo 11 aprile. Saranno poi i calabresi, autonoma- mente, a premiarlo o bocciarlo.

pm

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ROBERTO GALATI*

Il peggiore fallimento di pianificazione infrastruttura- le degli ultimi 30 anni, in Calabria, impallidirebbe di fronte alla più recente bozza del Piano Nazionale di Ripresa a Resilienza, relativo all'utilizzo delle risorse del Recovery Fund.

I roboanti annunci degli scorsi mesi sulla realizzazione di una reale ferrovia ad Alta Velocità (quindi con velo- cità massima di 300 km/h) da Salerno a Reggio Calabria finanziata attraverso il Recovery Fund, si sono liofilizzati in un paio di righe all'interno del docu- mento pubblicato nelle ultime ore: "Si estenderà l’Alta Velocità al Sud, lungo la direttrice Napoli-Bari che viene conclusa, e con la massima velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria, ottimizzando gli interventi."

Molto semplicemente, si realizzerà la cosiddetta "Alta Velocità di Rete - AVR", ovvero la velocizzazione del- l'attuale Ferrovia Tirrenica Meridionale da Salerno a Reggio Calabria. Peraltro già in corso da anni, con alcune opere già realizzate essendo state finanziate a partire dal 2010: parliamo per esempio della variante e relativo nuovo ponte sul fiume Petrace a Gioia Tauro. Non c'è ancora alcun dettaglio su come si pensa di realizzare questa "massima velocizzazione della Salerno - Reggio Calabria", considerando che gran parte del tracciato non permette un upgrade fino a 250 km/h, fondamentalmente la massima velocità raggiun- ta su alcune linee ferroviarie tradizionali elettrificate a 3000 V cc, ma con caratteristiche plano-altimetriche da tratte AV/AC. Come si pensa di realizzare una fer-

rovia da almeno 250 km/h? Si è tenuto conto della obbligata costruzione di varianti (Sapri - Ogliastro) e quadruplicamenti (Rosarno - Villa San Giovanni)? E se lo si è fatto, il gioco vale effettivamente la candela, a livello di costi, rispetto alla realizzazione di una nuova linea AV da 300 km/h solo viaggiatori (AV LARG), come più volte proposto e illustrato dal Prof.

Francesco Russo, ex Vice Presidente della Regione Calabria ed esperto di trasporti? Ricordiamo che una nuova linea AV, percorribile integralmente a 300 km/h da Salerno fino a Villa San Giovanni, abbatterebbe i tempi di percorrenza tra Reggio Calabria e la Capitale, attorno alle 3 ore. Difficile pensare quindi che, l'attuale Ferrovia Tirrenica Meridionale, velociz- zata, possa portare a tempi simili. Capitolo a parte per la Ferrovia Jonica: anche in questo caso, difficilmente si riesce a comprendere cosa si voglia fare. Il docu- mento recita: "Si prevedono specifici investimenti di upgrading, elettrificazione e resilienza al sud (tra le linee specificatamente interessate si possono citare Ionica Sibari-Catanzaro Lido-Reggio Calabria, Venafro - Campobasso – Termoli, Nodo di Catania, Raddoppio Decimomannu Villamassargia, Collegamento ferroviario aeroporto di Olbia, e altre)".

Quando si parla di investimenti di upgrading ed elet- trificazione per la Ferrovia Ionica Sibari - Catanzaro Lido - Reggio Calabria, cosa si intende? Si intende esattamente quello che c'è scritto, cioè che avverrà l'upgrade infrastrutturale (peraltro già in corso) ed anche l'elettrificazione della tratta Catanzaro Lido - Melito di Porto Salvo, per la quale manca ancora il

finanziamento? O si intende, molto semplicemente, quello che già si sta facendo da anni, ovvero l'elettrifi- cazione solo della Sibari - Catanzaro Lido e la velociz- zazione e rinnovo di tutta la Sibari - Reggio Calabria?

Ma del resto ci sarebbe da discutere anche sull'elettri- ficazione in corso tra Sibari e Catanzaro Lido, finan- ziata per 150 milioni di Euro con fondi Regionali FSC dalla giunta Oliverio, e sulla quale pendono ancora numerosi dubbi sull'attraversamento della Galleria di Cutro e sulla progettazione delle Sottostazioni Elettriche.

Ancora una volta, inoltre, risulta non pervenuta la Catanzaro Lido - Lamezia Terme Centrale: in questo caso non solo non si spacciano per appena finanziati con il Recovery Fund lavori già in corso, ma si evita completamente di menzionare questa linea per la quale sono stati già stanziati altri 80 milioni di euro nel 2018 per rettifica ed elettrificazione, ma dove di lavori non vi è ancora alcuna traccia. Ma possiamo anche citare la rete di Ferrovie della Calabria, le ex Calabro- Lucane: nessuno ha pensato che grazie al Recovery Fund, come più volte ribadito, e al chiaro indirizzo UE di investire in mobilità sostenibile, si poteva pensare alla realizzazione della "Metropiana", ovvero la tra- sformazione delle Ferrovie Taurensi in tramvie extraurbane, come da anni proponiamo assieme al Comitato Pro-Taurensi ed al nostro socio onorario Giuseppe Pedà?

Non parliamo poi di Ferrovia Silana, per la quale si stanno cercando di individuare risorse che ammonta-

no attorno ai 25 milioni di Euro per realizzare il com- pleto ripristino della linea, per servizi turistici e TPL: il Recovery Fund poteva essere un'ottima occasione per velocizzare questo processo. Eventualmente anche la stessa Catanzaro - Cosenza, interrotta da 10 anni e sulla quale i lavori della messa in sicurezza dei movi- menti franosi proseguono con estenuante lentezza, poteva essere interessata dall'utilizzo di risorse "fre- sche" per velocizzare le lentezze di anni, generate da difficoltà economiche. Chi si è impegnato nel resto d’Italia, a grandi linee, qualcosa di concreto ed ade- guato alle esigenze del territorio, bene o male ha otte- nuto. Tutti, tranne la Calabria, nonostante la cospicua presenza di senatori & deputati di ogni colore politico, che a loro volta potevano rivolgersi ad altrettante figu- re politiche del territorio. L'Associazione Ferrovie in Calabria ha scritto ormai interi trattati sulle esigenze del nostro territorio, per quanto riguarda trasporti fer- roviari. Sarebbe bastato capire e percepire le nostre (e non solo nostre) istanze, per capire le necessità della Calabria, una Regione che di fatto è una terza isola ita- liana, e che con una nuova linea AV, connessa alla grande T dell'Alta Velocità Salerno - Roma - Bologna - Milano - Torino e Torino - Milano - Venezia, avrebbe finalmente colmato un gap secolare. Niente da fare:

continueremo ad accontentarci. Ovviamente speria- mo di essere smentiti, e saremo pronti a porgere le nostre scuse, se eventuali figure politiche nazionali e/o regionali riusciranno a decifrare gli oracoli presenti nel documento del Recovery, fugando tutti i nostri dubbi.

*Associazione Ferrovie in Calabria

Fallimento gigantesco!

“Chi si è impegnato nel resto d’Italia, a grandi linee, qualcosa di concreto ed adeguato alle esigenze del territorio, bene o male ha ottenuto. Tutti, tranne la Calabria, nonostante la cospicua presenza

di senatori & deputati di ogni colore politico, che a loro volta potevano rivolgersi ad altrettante figure politiche del territorio.”

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ATTUALITÀ

RECOVERY FUND E FERROVIE IN CALABRIA

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Rosario Condarcuri: l’argomento dei borghi è abbastanza delicato, coinvolge tutta una serie di elementicome il turi- smo e la cultura. I primi in classifica di questa graduato- ria sono Roghudi e Roccella Jonica. È stata una bella sod- disfazione?

Vittorio Zito:

E’ stata una grande soddisfazione, perché quando abbiamo deciso di partecipare sapevamo di con- correre con una serie di borghi, che hanno caratteristiche più importanti di quelle che possiamo vantare noi. Il borgo antico di Roccella, caratterizzato dal castello, in gran parte è andato perduto. Quindi, abbiamo messo in campo una progettazione particolare che investe sia la collina del Castello, sia la chiesa di San Giuseppe. Questo, perché uno degli elementi di questo bando era la capacità di fare del borgo antico un elemento di sviluppo economico. Noi abbiamo puntato sulla costituzione di un centro che possa ospitare congressi e cerimonie nuziali, con la creazione di un marchio vero e proprio “Il Borgo Carafa Wedding and Conference Destination”, capace di offrire vari servizi.

Una cosa del genere diventa molto importante dal punto di vista economico.

Rosario Condarcuri: i comuni, oggi, sono diventati un’a- zienda?

Vittorio Zito: Si, questa è infatti la sfida che hanno dovuto

cogliere tutti i grandi monumenti in Italia. E’ crollato, infatti, il tabù del monumento che non può essere vissuto, questo succede perché i costi della gestione di un immobi- le come un Castello sono importanti, per questo bisogna far di tutto per mantenerlo.

Rosario Condarcuri: mi chiedo che cosa farà da grande questa Regione?

Vittorio Zito: La mia idea di sviluppo si indirizza nell’agri-

coltura, perché se noi riuscissimo a fare in tutti i settori quello che è stato fatto nel settore agricolo, negli ultimi 20 anni, riusciremo a dare uno scossone alla regione.

Rosario Condarcuri: Roghudi è arrivato al primo posto nella classifica, è stata una grande soddisfazione?

Pier Paolo Zavettieri: Roghudi è un paese che insieme ad

altri otto della Calabria che è stato dichiarato inagibile nel 1971, quindi ha dovuto abbandonare le sue case. Il borgo rimane suggestivo, ha dei panorami da mozzafiato.

Abbiamo fatto il co-finanziamento, l’obiettivo è di rimet- tere in carreggiata il comune.

Rosario Condarcuri: Come è la situazione nel settore dei trasporti?

Pier Paolo Zavettieri:

Sono previsti collegamenti veloci come navette, anche per evitare lo spopolamento comple- to. In questa prospettiva i finanziamenti sono mirati a creare un indotto, un indotto di turismo di qualità che nel tempo deve arrivare a dare quei servizi, che oggi mancano.

Rosario Condarcuri: Sono convinto che la Calabria sia prossima allo sviluppo, sono anche convinto che in questi anni è mancata una programmazione. L’agricoltura è il settore più avanti. Tu che ne pensi?

Pier Paolo Zavettieri: Sono d’accordo con te, in agricoltu-

ra è successo solo una parte di miracolo, ma si può fare di più, perché noi viviamo soprattutto di agricoltura e di turi- smo.

(RCV)

Borghi e centri storici:

oro di Calabria

Rosario Vladimir Condarcuri ha intervistato i sindaci che hanno raggiunto il primo ed il secondo posto della graduatoria definitiva delle domande ammesse a finanziamento; per Roghudi, Pierpaolo

Zavettieri; per Roccella Jonica, Vittorio Zito

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INTERVISTA

FORUM WEBTV RIVIERA

BANDO BORGHI REGIONE, I NOSTRI 13 COMUNI

“PREMIATI”

Roghudi (1.499.957,84 punteggio 70,32) Roccella Jonica (1.350.000,00 punteggio 68,56) Gerace (1.500.000,00 punteggio 65,56) Bova (1.500.000,00 punteggio 63,72)

Gioiosa Jonica (1.500.000,00 punteggio 59,80) Stilo (1.500.000,00 punteggio 54,64)

Monasterace (1.500.000,00 punteggio 51,56) Bova Marina (1.060.000,00 punteggio 49,16) Bruzzano Zeffirio (1.500.000,00 punteggio 42,08) Bovalino (1.500.000,00 punteggio 42,00) Benestare (1.500.000,00 punteggio 40,92) Bivongi (1.400.000,00 punteggio 40,60) Samo (1.500.000,00 punteggio 40,08)

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La salute

a Siderno sarà un optional?

Franco Martino ripercorre la storia recente dell’impianto TMB di San Leo, richiamandoci ai nostri doveri di cittadini, che includono saper protestare con forza – e non solo sui social – contro il lento e inesorabile declino

ambientale di Siderno, con collettamenti regionali decisi senza consultare la popolazione, ma anche senza informarla, che provocherebbero ulteriori danni sanitari alla popolazione.

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ATTUALITÀ

Una condivisione di olezzi che in altre parti avrebbe portato a forti proteste.

Mugugni e proteste nei social, ma niente di clamoroso.

Si trovano sempre i soliti messaggi: “Godiamoci il bel mare e il bel tempo estivo. Che bello il nostro mare, sfondi cristalli- ni….”.

Assuefazione al vivere tranquillo.

Si da il caso che qualcuno lavora nell’ombra, prima di finire il suo mandato, l’Amministrazione regionale, senza renderci bene conto ci ha appioppato un “ampliamento” dell’attuale impianto.

Appena insediata, la nuova maggioranza prosegue nel suo intento di risolvere i problemi dei rifiuti, e quale migliore solu- zione che proseguire nell’iter burocratico e requisire altre aree.

Quattro linee diverse, due per il recupero dei materiali, tutte che emettono le identiche sostanze velenose, tossiche e puz- zolenti e il raddoppio dell’area occupata.

Nasce il Comitato “Siderno ha già dato”, che sta cercando di farsi ascoltare e bloccare questo ulteriore e devastante impianto dei rifiuti per la zona.

Un incontro con l’Assessore De Caprio e i suoi tecnici, in questi giorni, ha dimostrato con quanta noncuranza, scarsa competenza è gestita questa pratica, appaltata di fatto al pro- gettista.

Ci compreranno con 42 milioni, 60 posti e la speranza che non si sentano le “puzze” dei veleni e che un altro incendio non illumini la notte di San Leo?

Bastasse questo, abbiamo il depuratore consortile, sempre nella stessa zona, che ogni tanto spurga odori e olezzi, sempre piacevoli, quando le pompe sono sovraccariche o si bloccano.

Visto che ci siamo, Siderno è il centro della Locride, il paese delle puzze e dei veleni dal 1980, perchè non trasferire gli sca- richi delle acque di tutto il comprensorio, altre condotte che dai paesi montani e dai paesi costieri convergano sul Novito, a completare un disegno che porterà Siderno ad essere l’uni- co paese della zona che ha un chiuso il ciclo dei rifiuti solidi e liquidi di tutti.

Faremo contenti i sindaci del Torbido che, nella loro area, l’impianto non lo hanno accettato; quelli di Canolo, Agnana e Gerace che scaricheranno merda e piscio in chilometri di condutture, malgrado il progetto previsto anni fa si sia dimo- strato fallimentare.

Avremo il ringraziamento degli attuali gestori che dichiarano di avere un impianto all’avanguardia, che è sottoutilizzato, promettendoci, anche loro, che questo ci permetterebbe di avere costi di gestione inferiore e quindi guadagni per tutti (i profitti aumenterebbero di sicuro).

E le puzze chi se le prende? Sempre San Leo e non solo!

I Commissari governativi, alla riunione del 13 ottobre in Regione, hanno detto chiaro e tondo che non lo accetteran- no!

Di cosa dobbiamo preoccuparci, tra poco apriranno la Casa della Salute!

Saranno in ritardo con i tempi, ma appena avremo tutti que- sti impianti funzionanti alla perfezione, senza alcuna emissio- ne, niente veleni, tutti, vecchi e anziani, con il clima che abbia- mo non avremo bisogno di niente, saremo tutti, giovani e vec- chi, perfettamente sani e baldanzosi.

Per quattro lenticchie, ci stiamo vendendo il futuro di Siderno.

Se non abbiamo una visione diversa sulle attività che portano occupazione, lavoro e benessere per tutti, la Casa della Salute invece di essere una opportunità, diventerà una necessità per l’aumento degli ammalati, per malattie polmonari e anche cardiovascolari, causa inquinamento ambientale.

Vorrei confrontarmi con giovani e vecchi su come vorremmo Siderno tra 10 anni: una bella cittadina turistica oppure il paese degli ammalati?

Francesco Martino Ormai mi viene da pensare che a Siderno, invece di risolve-

re i problemi ambientali e sanitari, si tenda a peggiorare la situazione.

A partire dall’aprile 2016 tutte quelle problematiche presen- ti sono venute fuori, chiudere gli occhi non è servito a molto.

Come cittadini di Pantanizzi volevamo risolvere il problema della presenza di un’azienda chimica (ex Axim), che anni prima avendo impuzzolentito con i suoi odori l’aria.

I cittadini avevano raccolto 700 firme, inviate agli enti prepo- sti e ai Commissari, ma come al solito nessun ascolto.

Improvvisamente il mostro nascosto, dimenticato, la BP viene tirato fuori dal sindaco Pietro Fuda, a noi increduli.

Per fortuna, Sasà Albanese, ha un lampo di memoria e trova il modo di far uscire, dalle tenebre o meglio dai cassetti chiu- si, i documenti del 2003 dell’ex Commissario straordinario dei rifiuti, che attestano che la fabbrica ha ancora nella sua pancia dei materiali tossici e velenosi.

Non passa molto tempo e ad inizio 2017 esplode la questio- ne dei veleni sotto la SIKA, azienda che ha acquisito la Axim, e nei pozzi privati della zona intorno.

Nel frattempo iniziano i problemi legati alla raccolta diffe- renziata dei rifiuti e nel tempo l’abitudine ad inondarsi di fetide puzze nella zona di San Leo e Pellegrina.

Basterebbe questo per farci uscire di casa e protestare, ed infatti l’8 luglio 2017 2.500 cittadini, anche di altri paesi con i sindaci della Locride, a fianco del Sindaco Fuda e il vescovo Francesco Oliva, attraversano Siderno e si riversano in Piazza Portosalvo a chiedere la soluzione delle problemati- che ambientali.

Sembrava fosse arrivata una fresca aria di cittadini che si organizzano per chiedere i più basilari diritti.

La Regione interviene, nel 2018 finanzia con solo 300 mila € la bonifica della BP, malgrado una richiesta di 1.570 mila.

In questi giorni sono iniziati i lavori per eliminare i bidoni e le cisterne presenti, per allontanare i rischi di ulteriori fuoriu- scite di veleni.

Giorni fa, è stato promesso dall’Assessore De Caprio un ulteriore finanziamento per risolvere una volta per tutte la questione.

Aspettiamo, sperando che le promesse vengano mantenute.

Almeno, una vittoria parziale si è ottenuta, merito di tutti, amministrazione comunale, tutti i consiglieri, associazioni ambientaliste e cittadini in primo luogo che ci hanno seguito e partecipato alle nostre manifestazioni e anche i commissa- ri che hanno continuato a seguire la pratica, fino ad adesso.

Il problema dei veleni nei pozzi privati e nei piezometri Sika si scontra con l’incapacità di Arpacal di trovare l’”assassino”, malgrado continue analisi, buchi nell’acqua e 170 mila € di finanziamento.

Proposte alternative, da parte delle associazioni ambientali- ste, alle ipotesi dell’Arpacal per come condurre le indagini non vengono accettate.

Ci troviamo in un cul de sac.

Sono arrivate al Comune le ultime analisi della Sika sui vele- ni presenti nei piezometri aziendali.

Le “puzze” provenienti dall’impianto TMB di San Leo ci permettono di goderci effluvi odorosi, in gran quantità d’e- state, e costringono i residenti vicini a chiudere le finestre di casa.

Ci mancava pure un incendio a settembre per farci rizzare le orecchie.

Da anni la Regione ci fa proposte di impianti d’intimo diver- so a quello attuale, primo è stato un impianto anaerobico, rifiutato perchè le spore velenose e mortali di botulismo e altro resistono alle temperature, e in caso di fuoriuscita si rischiamo epidemie.

Un fantomatico impianto di carbonizzazione idrotermale, respinto in ogni luogo, anche questo sonoramente bocciato dalle associazioni ambientaliste nel 2018.

Sembrava che potessimo stare tranquilli, malgrado le estati con le finestre chiuse causa veleni, identificate come puzze, continuassero a spostarsi tra Agnana, Locri e Siderno.

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CENTENARIO

DEL PARTITO COMUNISTA

QUANDO LA POLITICA ERA PASSIONE, BUON COMPLEANNO VECCHIO PCI

ITALIANO

SPECIALE

DI VITO PIRRUCCIO

PEPPINO BRUZZESE, “DECANO” DEI COMUNISTI JONICI

DI AMEDEO MACRÌ

ESATTAMENTE CENTO ANNI FA NASCEVA A LIVORNO IL PARTITO COMUNISTA

DI ILARIO AMMENDOLIA

LA STORIA DEL PCI E IL SENSO DEL COMUNISMO OGGI

DI MIMMO PANETTA

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Mimmo Panetta ci racconta la storia del Partito Comunista d’Italia, fondato esattamente 100 anni fa, proponendo delle riflessioni attuali sull’esempio che i politici di allora hanno dato, sulla fine del comunismo in Italia con la morte di Enrico Berlinguer e sul ruolo del comunismo oggi.

MIMMO PANETTA

Il 21 gennaio del 1921 nasceva il Partito Comunista d’Italia. Sono passati cent’anni da quel giorno di grande fermento e di infi- nite aspettative per gli ultimi della scala sociale, non solo del nostro Paese. Quel giorno avviava il suo percorso una forma- zione politica che doveva scontrarsi con tutte le forze che si opponevano al proget- to di rinnovare la società italiana attraver- so l’abbattimento delle disuguaglianze e l’attuazione di una strategia di governo fondata sui valori della giustizia sociale e dei diritti fondamentali dei lavoratori e della persona umana. Insomma, il sogno del socialismo prendeva a camminare anche nel nostro Paese. Costretto alla clan- destinità dal regime fascista questo Partito era diretto da persone di una spiccata pas- sione politica e da una incommensurabile carica ideale, nonché da una assoluta ed esemplare onestà. Dirigenti che non deflettevano per nulla al mondo da quello che consideravano il loro percorso politico, da perseguire ad ogni costo, anche sacrifi- cando la propria libertà e persino la pro- pria vita. Andarono incontro ad ostacoli e difficoltà che al solo pensiero ci vengono i brividi e nel contempo fanno aumentare in noi l’ammirazione e la stima per quei Dirigenti che, con il loro sacrificio, hanno costruito le fondamenta della nuova Italia.

Per chi ha creduto in quel progetto politi- co, sposandolo sin dalla giovane età, quan- do ancora gli echi di quelle lotte e di quei sacrifici erano ancora forti e suscitavano la voglia di partecipare e dare il proprio modesto contributo, oggi nascono doman- de e riflessioni.

Dunque quel progetto è fallito perché non era valido o per quali altri motivi?

Se quella visione del mondo, che guardava ai molti, per aumentare loro giustizia socia- le, è stata sconfitta da un altro sistema, il capitalismo, che guardava ai pochi, per aumentare loro profitti e privilegi e di con- seguenza la creazione a dismisura di disu- guaglianze e disastri globali, si può conclu- dere che la prima fosse sbagliata e la seconda giusta? Sinceramente se ci fermia- mo a guardare lo stato in cui si trova il nostro pianeta e anche considerando il fal- limento dei sistemi statuali che a quella visione del mondo in parte si possono col- legare, mi sembra, senza essere smentito, che il fallimento del capitalismo è oramai acclarato dai suoi devastanti risultati. Ad un secolo esatto da quella partenza siamo alle prese, però, con la ricerca di trovare gli elementi per un nuovo inizio; ricerca resa ancora più difficile perché indeboliti da quel fallimento. Appartengo a quanti sostengono che quella visione del mondo non può essere accantonata, però, benché la Storia ci consegni una narrazione non edificante, perché inevitabilmente si ripre- senterà per una nuova speranza di cambia- mento. Essendo fuori discussione che lo stato in cui si trova la Sinistra italiana può essere appellato in modo chiaro come la sconfitta di un progetto, tante sono le domande a cui occorrerebbe dare risposta.

Consideriamo solo alcune: Perché? Di chi è la colpa? La sconfitta è definitiva?

Gli Uomini che hanno costruito quell’im- menso patrimonio politico e culturale, fatto di lotte, di idee e progetti politici, non ci hanno lasciato soltanto il vuoto con la loro scomparsa, ma anche un enorme inse-

gnamento, che in modo sciagurato è stato accantonato da quella che doveva essere la classe dirigente del nostro tempo. Quel gruppo Dirigente, pur agendo nel gorgo tempestoso di situazioni piene di difficoltà estreme non diminuiva di autorevolezza e prestigio nel corso degli anni e gli adepti a quel progetto politico andavano sempre aumentando, senza che i nuovi seguaci seguissero principi e valori che non fossero in sintonia con quelli dei loro maestri. Chi si avvicinava a quel progetto politico sape- va di aderire a un Partito che aveva come obiettivo quello di cambiare il mondo e renderlo in sintonia con le aspirazioni di masse sterminate di diseredati, di senza

lavoro e senza diritti, di lavoratori privi del riconoscimento del ruolo fondamentale del lavoro per il buon funzionamento di ogni società civile. Da Gramsci a Berlinguer (senza tralasciare i tantissimi Dirigenti che hanno sacrificato la vita per il bene del nostro Paese), i ceti popolari ita- liani sapevano di contare sulla serietà, lun- gimiranza e validità delle scelte politiche, perché li sentivano pertinenti e non in con- trasto con le proprie aspirazioni.

Si può dire che oggi avviene la stessa cosa?

Che oggi nei Partiti ci sono solo e soltanto militanti spinti dalla stessa carica ideale?

La risposta mi sembra scontata: NO!

Quindi non ci sono eredi di quella famiglia di Dirigenti politici, che ha dato vita a quel glorioso processo di trasformazione della società insperatamente interrotto? La risposta è purtroppo nei fatti ed in quello che oggi si presenta sotto i nostri occhi, anche se il nostro cuore continua a manda- re impulsi di dolore alla nostra mente. Se pensiamo al PD, lo sconforto ci assale per- ché in esso sembra siano confluiti coloro che provenivano da quella esperienza. Ma non possiamo concludere che esso sia il Partito erede del PCI, essendosi allontana- to abissalmente da quel patrimonio ideale, programmatico e comportamentale. Un esempio per tutti per comprendere cosa sia stato quell’abbandono è fotografato dall’arrivo di Renzi alla guida di quel Partito: non mi si venga a dire ancora che non si è trattato di un irresponsabile pro- getto quello di mettere assieme i due Partiti storicamente antagonisti, PCI e DC.

Il risultato è incontrovertibile: il Popolo ita- liano è stato privato di un soggetto politico nato per difenderlo e farlo progredire. Ne

possiamo pensare lo siano i gruppetti che stanno alla sinistra del PD, che a me sem- bra non abbiano né il carisma, né la voca- zione per riconquistare un ruolo nello sce- nario politico e dare vita ad un rinnovato progetto di cambiamento in grado di riconquistare la fiducia e la stima, e pertan- to il consenso, di quelle masse di cui si dice- va prima.

Chi può farlo dunque?

Credo sia difficile vedere all’orizzonte una schiera di volenterosi priva del peccato ori- ginale, ovverosia senza il marchio di appar- tenenza al gruppo che ha abbandonato il percorso tracciato in quel 21 gennaio di cent’anni fa. Difficile non significa impossi- bile, però, soprattutto se si vuole fare teso- ro degli insegnamenti di quei nostri Maestri, le cui idee sono di una attualità incontestabile. Ripartire da Gramsci e Berlinguer, attraverso la diffusione delle loro idee, progetti e lotte aiuta a squarcia- re la nebbia che avvolge il termine Sinistra e ciò che esso sta a significare per la stra- grande maggioranza del popolo italiano:

Libertà, giustizia sociale, lavoro e diritti della persona, attraverso un nuovo model- lo economico rispettoso della vita sul nostro pianeta. Cent’anni sembrano molti ma in fondo sono pari alla vita di una gene- razione che, se non ha visto nascere il Partito Comunista d’Italia, certamente ha dentro di sé la voce di quel messaggio di speranza.

Oggi, dopo i disastri del Covid, può essere considerato il 2021 l’anno che porti ad una seria e reale riflessione in grado di farci riprendere il cammino del progresso socia- le, interrotto tanti anni fa, magari con la morte di Enrico Berlinguer?

Oggi, il modo migliore per partecipare al compleanno del centenario del Partito Comunista Italiano, con tutte le cicatrici ma con l’orgoglio di non sentirci completamente ex, è di trattenere nel vissuto quotidiano il bagaglio culturale e formativo di quella militanza diventata Storia. Un pezzo di PCI, sono convinto, chi ha percorso quel cammino se lo porta dentro. Con le sue cadute e le sue rialzate, ma se lo porta dentro. È nostro, anche se il vecchio combattente ha raggiunto il secolo con tante rughe e tormenti.

VITO PIRRUCCIO

La pandemia, la crisi di governo, la poli- tica al tempo di facebook hanno messo nell’angolo un appuntamento, i 100 anni della nascita del PCI il 21 gennaio 2021, che produce un po’ di emozione e tristez- za in chi ha militato ed è cresciuto nella più grande comunità politica del movi- mento operaio dell’Occidente.

Non è solo la nostalgia ad intristire il pre- sente pensando alla baldanza di un’età ricca di ideali e di conquiste sociali, ma è, soprattutto, la valanga di ricordi e la com- parazione di un modo di fare politica organizzata proiettati sull’oggi che butta- no il morale per terra. È l’oggi che intri- stisce chi è figlio del movimento politico che portava in bella vista nei cortei lo slo- gan coniato da Palmiro Togliatti:

“Veniamo da lontano, andiamo lonta- no!”

È l’oggi che ci rende tristi, non per quel- lo che più non abbiamo (la comunità politica che si fa lotta per la causa), ma perché la Storia per come si è evoluta ci ha imposto di assistere impotenti all’eva- porazione della causa.

La storia del PCI ha i suoi errori (enor- mi) e le sue contraddizioni (tantissime) che sarebbe sbagliato non riconoscere quando, ormai, siamo nell’orbita della storia e non in quella della cronaca poli- tica. Ma quanta nobiltà dietro quella

bandiera con la falce e il martello!

Ogni militante comunista potrebbe por- tare la sua storia e il filo rosso dell’impe- gno per una causa alta segnerebbe ad ogni latitudine i contorni nobili di un modo di fare politica oggi letteralmente scomparso. Mentre raggomitolo fram- menti della nostra baldanza giovanile un fermo immagine mi riporta al 13 giugno del 1984, quando in Piazza San Giovanni, la piazza romana delle organizzazioni operaie, sotto una cappa di calore e di tri- stezza, davamo l’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer. Una fila composta tagliava in quattro corsie, di andata e ritorno, Via delle Botteghe Oscure fino all’Altare della Patria. Ore di fila dopo una notte in viaggio sul “treno del Sud” per soffer- marci solo un istante con il pugno chiuso dinanzi al feretro del grande dirigente comunista. E i compagni delegati della nostra federazione a prestare il picchetto d’onore per cinque minuti, mentre sfila- vano a pochi centimetri Nilde Iotti, Giancarlo Pajetta, Yasser Arafat e, persi- no, l’avversario fascista Giorgio Almirante. Tutti con gli occhi lucidi nei quali ognuno di noi rifletteva la sua pic- cola/grande “scelta di vita”, così definì la militanza comunista Giorgio Amendola in un famoso libro pubblicato da Rizzoli nel 1976.

Molti di noi che avevano abbracciato la causa comunista guardando al partito di

Enrico Berlinguer nel pieno della sua esplosione ideale ed elettorale, all’indo- mani dell’89 ci sentimmo orfani e, forse e senza forse, non ritrovammo più la stra- da. Ogni appartenenza successiva, azzar- dato chiamarla militanza rispetto alla sto- ria precedentemente vissuta, sarà una scia impalpabile del partito che fu. E, ancora oggi, ognuno di noi si sente orfa- no anche se il tempo ha rimarginato le ferite, consci che la storia non si ripete ed è incalzata dal tempo e dalle vicende degli uomini. Per troppo tempo dopo la

“fine della storia” ci siamo sentiti incom- piuti fino al punto in cui non abbiamo più fatto caso rassegnati a far maturare in noi stessi il giudizio implacabile degli eventi.

Quel Muro eretto e sostenuto dall’ottusa cecità ideologica, quando è crollato sulle nostre vite ha sepolto per sempre un modo di fare politica che aveva dato dignità e riscatto a donne e uomini entra- ti a pieno titolo nei meandri della storia.

Quel Muro, inutile negarlo, è, anche, la nostra colpa e la nostra ferita.

Quest’ultima in Italia siamo stati bravi a rimarginarla, ma la cicatrice è lì a dimo- strala.

Oggi, il modo migliore per partecipare al compleanno del centenario del Partito Comunista Italiano, con tutte le cicatrici ma con l’orgoglio di non sentirci comple- tamente ex, è di trattenere nel vissuto quotidiano il bagaglio culturale e forma-

tivo di quella militanza diventata Storia.

Un pezzo di PCI, sono convinto, chi ha percorso quel cammino se lo porta den- tro. Con le sue cadute e le sue rialzate, ma se lo porta dentro. È nostro, anche se il vecchio combattente ha raggiunto il secolo con tante rughe e tormenti.

Vorrei che gli auguri per il secolo com- piuto dal mio PCI transitato, oramai, nella storia, venissero segnati da un nuovo sogno come dice Francesco Guccini ne “La Locomotiva” che canta- vamo a squarcia gola nei concerti e nelle Feste de L’Unità: “La storia ci racconta come finì la corsa / la macchina deviata su una linea morta … / Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al vapore / men- tre fa correre via la macchina al vapore. / E che ci giunga ancora un giorno la noti- zia, di una locomotiva, come una cosa viva / lanciata bomba contro l’ingiustizia

…”

L’ingiustizia ha bisogno dei suo avversar- si, ma soprattutto dei suoi costruttori. Di costruttori che nulla hanno a che fare con i trasformisti dell’attuale momento politico, ma di soggetti organizzati di uomini e donne in carne e ossa chiamati a dare corsa a “una cosa viva / lanciata bomba contro l’ingiustizia …”

Auguri!

N. B. – F. Guccini LA LOCOMOTIVA – Cliccare sul link:

https://youtu.be/KeX1Yb8CSjw

Quando la politica era passione, buon compleanno vecchio PCI

SPECIALE/ CENTENARIO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

La storia del PCI e il senso

del comunismo oggi

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