• Non ci sono risultati.

Università Telematica Pegaso. Indice

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Università Telematica Pegaso. Indice"

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

L L A A C CR RI IS SI I

P P RO R OF F . . D D OM O ME EN NI I CO C O P P OS O S C C A A

(2)

Indice

1 CRISI DEL COMPARTO PROFESSIONI --- 3

2 I COMMERCIALISTI INNOVATORI --- 5

3 SUPERARE LA CRISI. INNOVAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE --- 7

BIBLIOGRAFIA --- 16

(3)

1 Crisi del comparto professioni

Stiamo vivendo un’epoca caratterizzata da grandi correzioni economiche che interessa il mondo intero dal 2008 e che, nel nostro paese, persiste, in assenza di segnali di ripresa che, seppur contenuti, vengono registrati negli altri stati. Negli USA i dati della variazione del PIL stanno registrando risultati molto lusinghieri, mentre in Italia le stime aggiornate registrano una crescita bassissima anche per quest’anno. Il nostro paese sconta, in aggiunta alle altre difficoltà, problemi di decifit e di spending review che impediscono di immaginare dinamiche di espansione della domanda nel breve periodo.

In buona sostanza la crisi italiana è totale. Di domanda, di deficit, di ordine politico e istituzionale, di capacità del paese nell’attrazione degli investimenti esteri. Il futuro del comparto professionale, naturalmente, risente del contesto economico profondamente mutato.

I commercialisti, più degli altri professionisti, sono chiamati a comprendere come orientarsi perché operano più a stretto contatto con gli imprenditori e, inevitabilmente, risentono delle sorti di questi ultimi. Dalla capacità di comprendere i paradigmi del nuovo scenario dipende il loro stesso futuro. A cominciare dall’individuazione delle inefficienze delle imprese e dei conseguenti ambiti professionali che possono aprirsi, proprio in conseguenza della crisi che li ha messi a nudo.

D’altro canto, oltre alle difficoltà con le quali i professionisti in generale devono fare i conti, sono i mancati interventi normativi per rendere davvero più aperto e efficiente il mercato delle professioni.

Negli ultimi anni solo il 35 per cento, un professionista su tre, è riuscito a lavorare in modo continuativo. La gran parte ha vissuto a singhiozzo. Con il lavoro che va e viene. Nel complesso, nell'arco di cinque anni dal 2008 al 2013 sono stati coinvolti dalla discontinuità del lavoro il 66,4 per cento dei professionisti. Quanto al reddito le cose non vanno meglio. In media, nel 2012, il

(4)

reddito medio annuale è stato inferiore a 15 mila euro per il 44,6 per cento degli iscritti agli albi professionali, ovviamente con marcate differenze tra le singole categorie. Tra i giovani commercialisti ( fino a 35 anni di età e con meno di tre anni di attività ) più della metà non è arrivato a 10 mila euro. Tempi di attesa e accesso al credito rappresentano un altro ostacolo. Sei su dieci sono stati costretti ad aspettare più di sessanta giorni prima di emettere la fattura e ricevere il pagamento. Un altro 71 per cento dichiara di avere avuto difficoltà ad accedere al credito. Solo il 24 per cento arriva a fine mese senza difficoltà.

Anche nel caso dei professionisti il primo ammortizzatore sociale è il ricorso all'aiuto dei genitori. Ne fa ricorso, spesso o qualche volta, il 53,8 per cento. Questo spiega peraltro il dato della fortissima riduzione degli iscritti agli ordini professionali negli ultimi 10 anni. Nel caso dei commercialisti, richiamiamo ancora una volta l’attenzione sulle iscrizioni al registro dei praticanti - i commercialisti di domani -, che, in base ai dati diffusi di recente, sono in fortissimo calo.

(5)

2 I commercialisti innovatori

Vediamo ora come i professionisti dell’area economica possono sfruttare a loro vantaggio gli effetti della crisi e il nuovo scenario da questa disegnato. Possono farlo sia come consulenti d’impresa per orientare le scelte delle PMI clienti che per riorganizzare e ripensare la propria stessa attività. A tal fine dovranno imparare a “trovare le opportunità nelle avversità”, fondamentalmente in tre modi: trasformando le difficoltà in opportunità per la crescita, sfruttando i vincoli, adattandosi costantemente a un ambiente in continuo cambiamento grazie alla capacità di improvvisare soluzioni adeguate alle nuove sfide.

Per fare questo, i commercialisti devono innovare. Facendo riferimento alla formazione giuridico economica e alla capacità di implementare soluzioni organizzative e adeguamenti tecnici in tempi rapidi, grazie al rapporto personalizzato con le PMI clienti. Nel prosieguo indicheremo con il termine “commercialisti innovatori” i professionisti che adottano le tecniche e le strategie di innovazione di cui stiamo discutendo.

Se l’imprenditore ha difficoltà a realizzare un volume di vendite necessario all’equilibrio economico della sua azienda, dopo aver ridotto i costi al minimo e non sa più cosa fare, si aspetta dal suo consulente non più solo la pianificazione fiscale e il controllo degli adempimenti formali. E’

alla ricerca di suggerimenti che gli possano garantire la sopravvivenza ed è disposto a pagare bene questo tipo di consulenza. Magari a success fee, ma comunque si tratta di una commessa di valore importante per il commercialista oltre che qualificata. Sia chiaro, non stiamo dicendo che il commercialista si debba sostituire all’imprenditore. Lui resta pur sempre un consulente. E’ in tale veste che può indicare soluzioni innovative al suo cliente in difficoltà. Un problema di fatturato si può affrontare valutando strategie di internazionalizzazione, anche in consorzio o in rete con PMI della stessa filiera o dello stesso territorio, se la dimensione dell’impresa lo impone. Una proposta consulenziale di questo tipo presuppone che il commercialista faccia parte di una struttura

(6)

professionale differenziata e specializzata che abbia all’interno le competenze richieste, ovvero, di un network professionale che gli consenta di ricorrere alla collaborazione sinergica di colleghi che possano fornire al suo cliente quel servizio. Questo è un esempio di approccio positivo per trasformare un’avversità (calo delle vendite) in opportunità (internazionalizzazione).

(7)

3 Superare la crisi. Innovazione e internazionalizzazione

Competenze e innovazione delle PMI

L'Italia si posiziona al di sotto della media in questo settore, sia per quanto riguarda le competenze che l'innovazione.

Tabella - Competenze e innovazione delle PMI Italiane rispetto alla media UE

Il nostro paese ottiene i risultati migliori in alcuni degli indicatori principali di misurazione dello spirito innovativo interno alle imprese (percentuale di PMI che innovano in-house, PMI che introducono innovazioni di prodotto, di processo, o riguardanti la commercializzazione o l’organizzazione), ma la capacità di innovazione delle imprese non si traduce in innovazione verso l'esterno, né in collaborazione con le altre aziende, in partecipazione ad attività di ricerca finanziate dall'UE o nella vendita di prodotti innovativi. Tali tendenze sono confermate dagli ultimi dati forniti

(8)

per il 2010 dall'indagine comunitaria sull'innovazione. Per quanto concerne gli indicatori di innovazione nelle Tecnologie di Informazione e Comunicazione, le PMI italiane sono in ritardo rispetto alla media dell'UE sia negli acquisti sia nelle vendite online. L'indicatore riguardante la formazione mostra risultati positivi, ma solo perché la media UE delle imprese che offrono formazione è scesa in maniera considerevole mentre le PMI italiane hanno mantenuto la loro offerta formativa. Inoltre, le microimprese continuano a posizionarsi al di sotto della media UE in termini di percentuale dei dipendenti che ricevono istruzione e formazione.

Sul fronte delle misure adottate, è stata approvata una serie di nuove misure per diffondere l'innovazione a diversi livelli. È stato creato il fondo per la crescita sostenibile per promuovere progetti strategici di ricerca e per incrementare la produzione. L'agenzia per l'agenda digitale è stata avviata congiuntamente a una strategia pervasiva nazionale per l'agenda digitale, che promuove istituti tecnici e poli professionali e assicura l'interoperabilità dei Sistemi TIC in linea con i parametri europei. È stato introdotto un nuovo regolamento per le start-up innovative al fine di fornire benefici e incentivi nei primi anni, facilitando così la creazione e la crescita delle imprese.

Sono previsti in tal senso incentivi fiscali, riduzione dei costi per le start-up, semplificazione delle procedure e incentivi per gli investimenti che si sommano a un sistema di certificazione per gli incubatori di start-up in linea con la definizione di cui a tale misura normativa. Il potenziale dell’Ict non è sfruttato appieno. Nel 2013, solo il 5 per cento delle imprese sopra i 10 addetti dichiara di vendere on line almeno l’1 per cento del proprio fatturato, contro il 14 per cento della media europea.

(9)

Tabella – Confronto UE tra imprese che operano online

Non si tratta però di un problema dimensionale: fra le imprese al di sopra dei 250 addetti l’Italia sconta un ritardo di 19 punti rispetto alla media europea. Con riferimento alla quota di imprese che acquistano on line almeno l’1 per cento degli ordini, l’Italia mostra un valore più basso di 3 punti percentuali rispetto alla media europea; il ritardo sale a 8 punti se consideriamo le imprese al di sopra dei 250 addetti.

Il motivo di questo divario non sembra riferibile alla carenza di infrastrutture digitali. La quota di imprese al di sopra dei 10 addetti che si connette a Internet tramite banda larga fissa o mobile è infatti pari al 95 per cento nel 2013, 2 punti percentuali al di sopra della media europea.

(10)

In questo settore dell’innovazione e della diffusione delle nuove tecnologie tra le PMI è determinante il ruolo del commercialista, consulente dell’imprenditore.

PMI e internazionalizzazione

In un contesto di persistente debolezza della domanda interna, gli stimoli alla crescita per il Sistema produttivo italiano derivano in buona misura dalla capacità delle imprese di operare con successo sui mercati internazionali, intercettando i segmenti di domanda internazionale in crescita.

Il ruolo dei commercialisti è fondamentale per agevolare il processo di internazionalizzazione delle PMI, nella misura in cui possono stimolare le piccole e medie imprese clienti a svilupparsi all’estero, facendo leva sulla naturale fiducia di cui godono presso gli imprenditori. Attraverso un lavoro di rete si possono supportare le imprese nelle varie fasi di questo processo, senza trascurare che è necessario implementare le competenze per poter fronteggiare le criticità che inevitabilmente s’incontrano, collaborando con altri colleghi che fanno parte di reti di professionisti con i quali condividere informazioni, relazioni e competenze.

A fronte di una ancora limitata (seppure fortemente crescente) apertura internazionale delle nostre imprese,nel corso degli anni si è gradualmente modificata la composizione dei mercati di sbocco delle esportazioni italiane: si è ridotto il peso delle vendite dirette verso l’Unione europea(dal 59,7 al 53,7 per cento; da 220,3 a 209,3 miliardi di euro tra il 2008 e il 2013) ed è aumentato quello dei paesi emergenti,in particolare dell’Asia orientale (dal 6 per cento all’8,3per cento nello stesso periodo; da22,3 a 32,4miliardi di euro) o dell’America centromeridionale (da 3,3 a 3,7 per cento; da12,2 a 14,6 miliardi di euro).

Tali dinamiche sono state favorite, nello stesso periodo, da un recupero di competitività di

(11)

l’accresciuto avanzo della bilancia di parte corrente dell’area dell’euro e la ripresa degli afflussi di capitali hanno portato a un apprezzamento della moneta europea sul mercato dei cambi.

In tale contesto, ai fini di un rafforzamento della presenza delle imprese italiane sui mercati emergenti risulta quindi determinante il ruolo delle caratteristiche strutturali e delle scelte strategiche adottate dalle imprese esportatrici. Le imprese esportatici italiane si differenziano da quelle degli altri paesi dell’Ue non solo in termini dimensionali ma anche per il ruolo limitato dell’intermediazione commerciale, che spiega il 40 per cento delle importazioni e solo il 14 per cento delle esportazioni attivate dal sistema delle imprese. Con riferimento all’export, solo la Germania, tra le principali economie dell’Ue, presenta valori simili all’Italia (in Spagna e Regno Unito la quota si aggira intorno al 27 per cento, e supera di poco il 30 in Francia). Tuttavia, in un paese come l’Italia nel quale, come si è ricordato all’inizio, le piccole e medie imprese rappresentano la quasi totalità delle unità produttive e realizzano oltre il 50 per cento dell’export, un ampliamento della funzione di intermediazione commerciale potrebbe costituire un importante fattore di stimolo per la competitività del sistema produttivo sui mercati esteri, in particolare su quelli nuovi, più distanti e complessi. Un altro elemento qualificante del potenziale di crescita all’estero è la capacità di diversificare i prodotti e i mercati di sbocco. Indicazioni su questo aspetto provengono dagli esportatori che realizzano annualmente un fatturato estero pari almeno a 250 mila euro,che nel 2013 erano poco più di 50 mila – pari a circa un quartodel totale degli operatori attivi sui mercati esteri– e rappresentavano oltre il 96 per cento del valore complessivo delle esportazioni italiane. La loro attività internazionale è geograficamente estesa: circa il 71 per cento di essi è attivo in oltre cinque paesi e quasi un terzo in un numero di paesi compreso tra 6 e 15, ma la quota maggiore del valore dei beni esportati (64 per cento) si deve al 21 per cento di imprese presenti in oltre 25 paesi (laddove gli operatori in 6-15 paesi sono il 13 per cento).

(12)

Tabella – Operatori con fatturato estero di almeno 250mila euro

Tali quote sono rimaste sostanzialmente stabili nel corso dell’ultimo decennio, ma l’importanza di investire nel presidio di un numero elevato di mercati si riflette sia nella (pur lieve) ricomposizione delle quote a favore dell’insieme di esportatori attivi in 15-25 paesi, sia nel fatto che, soprattutto successivamente alla caduta del commercio internazionale del 2009, la crescita più sostenuta dell’export (+37 per cento) è stata registrata da chi esportava in oltre 15 paesi. Da una recente ricerca del corriere internazionale UPS ( White Paper settembre 2014 ) emerge che le microimprese, le piccole imprese e le medie imprese di tutta Europa stanno cogliendo l’opportunità di vendere all’estero. Le medie imprese sono quelle più inclini a effettuare spedizioni all’estero e fanno il maggior numero di consegne all’estero. Tra le spedizioni all’estero delle PMI, il 60% viene effettuato da medie imprese, il 30% da piccole imprese e il 10% da microimprese. In Germania, le spedizioni all’estero sono distribuite più uniformemente tra microimprese (35%), piccole imprese (35%) e medie imprese (30%). In particolare la ricerca evidenzia che la percentuale più alta di microimprese che spediscono all’estero spetta alla Germania (35%),che si contrappone a una percentuale inferiore al 20% negli altri mercati. Le piccole imprese della Polonia effettuano il 50%

(13)

responsabili della percentuale più elevata di esportazioni in tutti i sette Paesi oggetto d’indagine a eccezione della Germania, dove effettuano solo il 30% delle spedizioni .

Tabella – Esportazioni per dimensioni di imprese ( fonte White Paper UPS sulle esportazioni delle PMI – settembre 2014 )

L’efficienza aiuta l’internazionalizzazione delle PMI

La possibilità di beneficiare dell’espansione del commercio mondiale richiede, come si è visto, una capacità crescente di raggiungere mercati lontani, caratterizzati da difficoltà di accesso di varia natura, e di diversificare prodotti e aree di sbocco. La competizione globale, se da un lato ha aumentato le opportunità di crescita delle imprese, dall’altro richiede condizioni aziendali non

(14)

sempre riscontrabili in imprese di piccola dimensione. In questo quadro, il raggiungimento di condizioni di elevata efficienza può consentire, alle piccole imprese, di affrontare con margini più ampi la pressione (sui costi e sulla gestione aziendale) legati all’attività di export . Qui I commercialisti giocano, ancora una volta, un ruolo chiave, che consiste, in primis nel mettere in condizione le imprese di migliorare la loro efficienza con interventi di tipo organizzativo.

Internazionalizzare per servire i mercati locali

Alcune evidenze prodotte recentemente dall’Istat sembrano indicare, per alcune tipologie di imprese fortemente orientate all’export, un ruolo positivo della delocalizzazione come stimolo delle loro esportazioni, in una fase caratterizzata dal crollo della domanda interna italiana. Sebbene sulla base dei dati attuali una misurazione precisa del fenomeno non sia ancora possibile, tuttavia la disponibilità di nuove informazioni sull’impiego del fatturato realizzato all’estero dalle multinazionali italiane permette di delineare alcuni aspetti delle strategie alla base dell’internazionalizzazione delle nostre imprese, distinguendo tra un orientamento indirizzato alla penetrazione commerciale diretta nei mercati di destinazione (specie nei mercati geograficamente più distanti) e uno rivolto ad esempio alla frammentazione del processo produttivo, con spostamento di alcune fasi produttive all’estero alla ricerca di un contenimento dei costi di produzione. Dai dati disponibili è possibile in primo luogo conoscere la finalità della produzione realizzata dalle unità produttive controllate all’estero: in quale misura sia destinata al mercato locale, ad altri mercati esteri o alla riesportazione in Italia. Nel comparto manifatturiero, diversi settori produttivi si segnalano per una prevalenza della quota di fatturato delle affiliate estere (di imprese italiane) destinata al mercato estero locale. Si tratta in gran parte di produzioni di tipo

(15)

i macchinari (58,7 per cento), ma quote significative si osservano anche nella farmaceutica (66,2 per cento), e nell’alimentari bevande e tabacco (68,4 per cento). In tutti queste attività, la restante parte di fatturato è diretta in altri paesi esteri, e solo una minima parte (meno di un sesto) viene esportata in Italia.

Tabella - Destinazione del fatturato realizzato all’estero dalle imprese manifatturiere a controllo nazionale - Anno 2011 (composizioni percentuali)

(16)

Bibliografia

 Miolo Vitali P. Corso di Economia Aziendale Vol. I Modelli Interpretativi Aziendale, G.Giappichelli Editore

 DOMENICO POSCA, “Commercialista 2.0”, Giuffrè, 2015.

 DOMENICO POSCA, “Diritto e Management Del Commercialista”, Ad Maiora, 2017.

 DANIELE DI NUNZIO, GIULIANO FERRUCCI, SALVO LEONARDI, Ricerca Ires-Cgil “Professionisti: a quali condizioni?”, aprile 2011.

 NAVI RADJOU, JAIDEEP PRABHU, SIMONE AHUJA, “Jugaad Innovation”

Edizione italiana a cura di Giovanni Lo Storto e Leonardo Previ, Ed. Rubbettino, 2014.

Riferimenti

Documenti correlati

• La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a un massimo di dieci giorni si applica per recidiva nelle

• Titoli del candidato e curriculum scientifico professionale (curriculum degli studi, tesi di dottorato di ricerca/scuola di specializzazione o abstract, diplomi di

to dalla pronuncia richiamata del 2018 9 , e per altro verso, ad affermare “che, in ragione della esigenza primaria di tutela del finanziato, sia giocoforza comparare il T.e.g. del

Il networking professionale si avvia a diventare un aspetto fondamentale della strategia dello studio professionale, permettendo di sviluppare una rete di contatti, ovvero di

Il motivo che mi ha portato a prendere in considerazione questo argomento è la mia esperienza lavorativa nella Struttura Organizzativa Complessa (SOC) Malattie

Se Sikafloor®-81 EpoCem® è utilizzato come barriera temporanea all’umidità, lo spessore dello strato deve essere di almeno 2 mm (ca. 4.5 kg/m 2 ). Provvedere sempre ad una

Nella valutazione di ciascuna pubblicazione, la commissione terrà conto, inoltre, della congruenza con il settore concorsuale ed il settore scientifico disciplinare,

Il quadro conoscitivo sul consumo di suolo è disponibile grazie ai dati aggiornati annualmente da parte del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e, in