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l'accoglimento della domanda di condono comporta il venire meno di ogni contestazione sull'esistenza del debito contributivo e che è priva di effetto

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Academic year: 2022

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Contributi - Retribuzione imponibile - Indennità di trasferta - Esonero per il cinquanta per cento dalla contribuzione previdenziale ex art. 12 legge n. 153 del 1969 - Applicabilità all'indennità corrisposta ai

"trasfertisti", ex art. 9 ter D.L. n. 103 del 1991 - Efficacia retroattiva ex art. 4 quater D.L. n. 6 del 1993 - Fattispecie anteriore alla nuova disciplina ex D.Lgs. n. 314 del 1997.

Corte di Cassazione - 9.10/23.11.2001, n. 14894 - Pres. Ianniruberto - Rel. Vigolo - P.M. Napoletano (Conf.) - Clocchiatti S.p.A. (Avv.

Scognamiglio) - INPS (Avv.ti Sgroi, Coretti, Fonzo).

La regola della sottoposizione a contribuzione previdenziale per una quota del cinquanta per cento, stabilita dall'art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153 per l'indennizza di trasferta, è applicabile - in base alla

disciplina posta dall'art. 9 ter del D.L. 29 marzo 1991 n. 103 (introdotto dalla legge di conversione n. 166 del 1991) e avente valore interpretativo e quindi retroattivo (salva la prevista irripetibilità dei contributi già versati) ai sensi dell'art. 4 quater del D.L. 15 gennaio 1993 n. 6

(introdotto dalla legge di conversione n. 63 del 1993) - anche per le indennità corrisposte ai "trasfertisti", cioè ai lavoratori tenuti per contratto ad un'attività lavorativa in luoghi variabili, diversi da quello della sede aziendale.(Fattispecie anteriore alla nuova disciplina della materia ex D.Lgs. n. 314 del 1997). (Massima non ufficiale)

FATTO. - Con sentenza n.285/1996 il Pretore di Udine - decidendo sulla domanda proposta dalla S.p.A. Clocchiatti, perché fosse dichiarato non assoggettabile a contribuzione l'intero importo convenzionale

dell'indennità di trasferta (soggetta a contribuzione solo per il 50%) e l'intero importo di £. 3.000 dell'indennità di mensa, previsto

dall'accordo integrativo del 2 novembre 1980 in favore del personale, non fruente dell'intero servizio (sull'importo effettivamente corrisposto di

£. 2.000, erano già stati pagati i contributi); - e perché l'INPS fosse condannato a restituire la somma di £. 87.054.000, corrisposta a seguito di verbale di accertamento e di domanda di condono per l'anno 1991, ma con riserva di ripetizione - ha disatteso l'eccezione dell'INPS di

inammissibilità del ricorso, proposto dopo la presentazione di domanda di condono; ha affermato non assoggettabile a contribuzione l'indennità di mensa ed ha condannato l'INPS a restituire la somma complessiva di £.

46.539.294, oltre interessi dalla domanda al saldo; ha invece respinto la domanda concernente la non assoggettabilità a contribuzione dell'indennità di trasferta.

Su appello principale dell'Istituto ed incidentale della soc. Clocchiatti, il Tribunale della stessa sede, con sentenza in data 6/23 novembre 1998, dichiarava inammissibili le domande della società di accertamento di insussistenza dell'obbligo contributiva e di ripetizione delle somme versate a titolo di condono previdenziale, relativamente ai contributi afferenti all'anno 1991, mentre, per quelle pretese per l'anno successivo, dichiarava non assoggettabile a contribuzione l'indennità di trasferta e, quanto all'indennità mensa, la sua non assoggettabilità nella misura

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dell'intero importo convenzionale, previsto dall'accordo integrativo del 2 novembre 1980.

Il Tribunale ha ritenuto non assoggettabile a contribuzione il servizio mensa, conformemente a quanto disposto dall'art. 1 del D.L. 9 ottobre

1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389 e dall'art. 6 D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, alla luce della giurisprudenza, secondo la quale, se il servizio mensa viene apprestato dal datore di lavoro senza previsione di corresponsione di una indennità sostitutiva per chi non possa o non voglia avvalersene, non è ravvisabile il requisito della corrispettività con la prestazione lavorativa, sicché il servizio ha natura assistenziale e si sottrae

all'obbligo contributivo. Nel caso di specie l'accordo integrativo del 27 novembre 1980 non prevedeva una indennità sostitutiva del servizio mensa, talché andava escluso l'obbligo contributivo sul valore convenzionale della stessa. Secondo il Tribunale, doveva quindi essere respinto l'appello principale dell'INPS.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre in via principale la S.p.A.

Clocchiatti con unico motivo e memoria illustrativa.

L'INPS resiste con controricorso contenente altresì ricorso incidentale, pure affidato ad unico motivo, cui resiste a sua volta la società con controricorso.

DIRITTO. - I ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, vengono riuniti (art.335 c.p.c.).

Con l'unico motivo del ricorso principale la S.p.A. Clocchiatti deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 81, n. 9 della legge 23 dicembre 1998, n. 448) invocando lo ius superveniens

rappresentato dalla norma ora citata sulla validità delle clausole di

riserva apposte alle domande di condono previdenziale e, in considerazione della retroattività della norma, era ammissibile la domanda di

accertamento, anche per il 1991, della non assoggettabilità a

contribuzione al 100% degli importi corrisposti a titolo di trasferta e della infondatezza della correlativa pretesa dell'INPS e di condanna dall'Istituto a restituire £. 40.514.706.

Il motivo è fondato.

Dispone, infatti, l'art. 81, comma nono, della legge 23 dicembre 1998, n.

448: Le clausole di riserva di ripetizione, subordinate agli esiti del contenzioso per il disconoscimento del proprio debito, apposte alle

domande di condono previdenziale presentate ai sensi dell'art. 4 del D.L.

28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e precedenti provvedimenti di legge sempre in materia di condono previdenziale, sono valide e non precludono la possibilità di accertamento negativo in fase contenziosa della sussistenza del relativo debito. Per tali fattispecie sulle eventuali somme da rimborsare da parte degli enti impositori, a seguito degli esiti del contenzioso, non sono comunque dovuti interessi.

Tale disposizione è stata introdotta a seguito di un contrasto

giurisprudenziale sulla validità delle clausole di riserva apposte alla domanda di condono, composto dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 15 maggio 1998, n. 4918, con la quale è stato affermato che

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l'accoglimento della domanda di condono comporta il venire meno di ogni contestazione sull'esistenza del debito contributivo e che è priva di effetto la riserva di accertamento negativo del debito eventualmente apposta dall'interessato alla stessa domanda. Di conseguenza, secondo le Sezioni unite della Corte, doveva essere rigettata la domanda di

accertamento negativo dell'obbligo contributivo proposta dopo

l'adempimento degli obblighi derivanti dalla disciplina sul condono.

L'Istituto di previdenza prospetta dubbi sulla natura interpretativa,

sulla efficacia retroattiva e sull'applicabilità ai giudizi in corso della norma di cui all'art. 81, comma nono, sopra trascritto, e sostiene che non si tratterebbe di una vera e propria norma interpretativa e che a tale proposito non è sufficiente che la norma stessa si autodefinisca come tale al fine di conseguire il carattere della retroattività.

Nel caso di specie, peraltro, la norma in esame è intervenuta nel vivo del dibattito giurisprudenziale (seppure dopo che le Sezioni unite avevano composto i diversi orientamenti manifestatisi nelle Sezioni semplici) ed ha inteso dare una interpretazione delle norme concernenti l'istituto del condono previdenziale, come previsto, non solo dal D.L. 28 marzo 1997, n.

79, convertito con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, ma anche dai precedenti provvedimenti di legge sempre in materia di condono, con l'affermare la validità delle clausole di riserva nel senso che le stesse non precludono la possibilità di accertamento negativo in fase contenziosa della sussistenza del debito.

Non può quindi dubitarsi del carattere interpretativo della norma in punto di ammissibilità dell'accertamento negativo; dal che consegue la

fondatezza del motivo di ricorso principale.

Col motivo di ricorso incidentale, l'INPS denuncia violazione e falsa applicazione del capo IV, Tit. II, Libro IV cod. civ., dell'art. l2 L. n.

153/69, dell'art. 6 D.L. 6.333/92 convertito con modifiche nella legge n.

359/92. Vizio di motivazione.

Sostiene che il Tribunale ha erroneamente esaminato la questione della sottoponibilità a contribuzione degli importi erogati per indennità

sostitutiva della mensa, sulla quale, nei limiti delle lire 2.000 erogate, la stessa società aveva corrisposto i contributi, con riconoscimento,

quindi, dell'an debeatur, mentre era in discussione l'assoggettamento a contribuzione della differenza pecuniaria tra quanto erogato (£. 2.000) e quanto previsto dall'accordo collettivo provinciale (£. 3.000,

successivamente aumentate per la rivalutazione pattuita col contratto collettivo).

Tale questione avrebbe dovuto essere risolta in senso affermativo, dato il riconoscimento circa l'an debeatur della debitrice e il chiaro disposto dell'art. 17 del contratto provinciale di settore.

Doveva anche tenersi conto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui ove la mensa sia da considerare, alla stregua della relativa

disciplina collettiva, come retribuzione in natura, in quanto collegata alla previsione di un'indennità sostitutiva, l'incidenza quantitativa di essa sugli istituti indiretti deve essere determinata non con riguardo al valore reale del pasto, ma con riferimento all'importo dell'indennità sostitutiva quale determinato dalla contrattazione collettiva (Cass. n.

11339/93; Cass. n. 581/94).

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Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono.

Vero è che non può essere condiviso l'assunto secondo cui con il pagamento della contribuzione su una parte soltanto dell'indennità di mensa la

società avrebbe sostanzialmente riconosciuto che la contribuzione stessa avrebbe dovuto essere corrisposta sull'intero importo previsto

dall'accordo integrativo degli edili della Provincia di Udine del 27 novembre 1980. Altra è, infatti, la questione, pur essa prospettata nei giudizi di merito, e cioè se la contribuzione dovesse essere limitata all'indennità di fatto corrisposta o se dovesse estendersi all'intero costo convenzionale del pasto, costo indicato, in sede di contrattazione collettiva, con dichiarazione a verbale, pur sostenendosi dalla società che si era in tal sede escluso l'obbligo di corrispondere una indennità sostitutiva della mensa.

Pertanto, con il pagamento della contribuzione sull'importo dell'indennità di fatto corrisposta, non può ritenersi che la società avesse riconosciuto il proprio debito sull'intero importo del costo convenzionale del pasto, determinato (secondo l'assunto della Clocchiatti) non ai fini della

corresponsione di una (non prevista) indennità sostitutiva della mensa.

Peraltro, il Tribunale ha ritenuto che il problema dell'assoggettabilità a contribuzione della differenza rispetto all'importo preteso dall'INPS

dovesse risolversi sulla base della individuazione dei principi generali che regolano l'assoggettamento a contribuzione dell'indennità di mensa, pervenendo per tal via a negare in assoluto l'assoggettabilità a

contribuzione.

Il giudice dell'appello ha, così, esaminando in radice una questione sulla quale vi è stato contrasto nell'ambito di questa Sezione del lavoro,

essendosi affermato, da un lato (sentenze 6 aprile 1996, n. 3218 e 6

agosto 1996, n. 7187), che non sussiste obbligo contributivo sul servizio mensa quando non sia prevista una indennità sostitutiva per i lavoratori che non intendano fruirne. Mancherebbe, in tale ipotesi, il carattere della corrispettività del servizio rispetto alla prestazione lavorativa.

D'altro lato, la giurisprudenza assolutamente prevalente (Cass. 18 luglio 2000, n. 9435(1); 5 aprile 2000, n. 4234; 17 febbraio 2000, n. 1767(2); 10 novembre 1999, n. 12485; 9 febbraio 1999, n. 1103; 14 dicembre 1996, n.

11175 e, in relazione all'art. 12 legge 30 aprile 1969, n. 153, Cass. 26 gennaio 1993, n. 932; 2 ottobre 1991, n. 10242; 12 agosto 1987, n.

6907(3);19 maggio 1986, n. 3303) ha affermato, in tema di determinazione della base imponibile ai fini contributivi, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969 - relativamente ai periodi d paga ai quali non sono applicabili l'art. 9 bis, comma primo del D.L. n. 103 del 1991, convertito dalla legge n. 166 del 1991 e l'art. l7 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.

503 e successive modificazioni - che sussiste per il datore di lavoro l'obbligo di corrispondere i contributi ed i premi per le assicurazioni obbligatorie sulle somme erogate, in base alla legge o al contratto, per il servizio mensa - a meno che egli dimostri la non dipendenza delle

erogazioni dal rapporto di lavoro oppure che i lavoratori corrispondano il costo reale dell'indicato servizio - senza che rilevino in contrario la facoltatività dell'utilizzazione del servizio stesso e la mancata

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previsione di un'indennità sostitutiva per i lavoratori che non intendano fruirne.

I termini del contrasto sono stati puntualmente riepilogati nella sentenza di questa Corte n. 4234/2000, cit., la quale ha aderito al secondo

indirizzo e ha rilevato che l'orientamento accolto si fonda sulla considerazione che l'ambito della retribuzione imponibile, ai fini

previdenziali ed assistenziali, non coincide con quello dell'obbligazione retributiva del datore di lavoro nei confronti del dipendente. Ciò può rilevarsi dalla stessa lettura dell'art. l23 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore, in danaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro).

Sicché, ai fini della determinazione della base imponibile dei contributi previdenziali, rientra nella retribuzione, oltre al corrispettivo della prestazione lavorativa, tutto ciò che il datore di lavoro eroga per il miglior rendimento dei lavoratori e per realizzare una più efficiente collaborazione in vista del buon andamento aziendale e quindi anche il servizio di mensa, sicché non assume rilievo, in senso contrario, la circostanza che la fruizione del servizio sia facoltativa o la non

previsione di un'indennità sostitutiva in caso di mancata utilizzazione.

Si è posto in rilievo nella citata sentenza n. 4234/2000 di questa Corte che l'autonomia della nozione giuridica di retribuzione ai fini

previdenziali ed assistenziali ha trovato puntuale conferma nella

disciplina introdotta dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, il quale al terzo comma dell'art. 6 dispone che (salva diversa previsione dell'autonomia collettiva in ordine alla qualificazione della mensa come retribuzione in natura) il valore del relativo servizio e l'importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a

istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato, stabilendo, peraltro, al successivo comma quinto che rimangono in ogni caso ferme le norme relative all'inserimento del valore del servizio di mensa nella base imponibile per il computo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale.

Il Collegio ritiene pienamente appaganti le ragioni per le quali si è

inteso, nell'ambito della Sezione, superare il contrasto giurisprudenziale nel senso fatto proprio dalla sentenza n. 4234/2000 cit..

Poiché non trovano applicazione, nel caso in esame, le previsioni del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, relative all'esclusione dalla base contributiva imponibile dei corrispettivi dei servizi di mensa e

trasporto, in quanto tali previsioni hanno decorrenza solo dal 1° gennaio 1994, il motivo merita accoglimento anche se non appare pertinente il riferimento dell'INPS alla giurisprudenza formatasi sul diverso problema dell'inserimento dell'indennità di mensa nel computo di elementi

retributivi e in particolare dei c.d. istituti indiretti.

Conclusivamente, entrambi i ricorsi debbono essere accolti.

La sentenza impugnata deve essere annullata e la causa deve essere

rinviata ad altro giudice equiordinato, designato in dispositivo il quale si uniformerà al principio secondo cui, in tema di determinazione della base imponibile ai fini contributivi ai sensi dell'art. 12 della legge n.

153 del 1969 - relativamente ai periodi d paga ai quali non sono

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applicabili l'art. 9 bis, comma primo del D.L. n. 103 del 1991, convertito dalla legge n. 166 del 1991 e l'art. 17 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.

503 e successive modificazioni - sussiste per il datore di lavoro

l'obbligo di corrispondere i contributi ed i premi per le assicurazioni obbligatorie sulle somme erogate, in base alla legge o al contratto, per il servizio mensa - a meno che egli dimostri la non dipendenza delle

erogazioni dal rapporto di lavoro oppure che i lavoratori corrispondano il costo reale dell'indicato servizio -, senza che rilevino in contrario la facoltatività dell'utilizzazione del servizio stesso e la mancata

previsione di un'indennità sostitutiva per i lavoratori che non intendano fruirne.

Stabilito, dunque, che l'indennità sostitutiva del servizio mensa è

soggetta a contribuzione, il giudice di rinvio, che non si è attenuto al principio sopra enunciato, il quale prescinde dalla previsione

dell'indennità sostitutiva, dovrà acclarare se e in quale misura (se per

£. 2000 o per somma superiore) fosse dovuta in concreto ai lavoratori l'indennità di mensa, alla luce della contrattazione collettiva.

Allo stesso giudice è opportuno demandare altresì la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

(Omissis)

(1) V. in q. Riv., 2000, p. 1320 (2) Idem, idem, p. 530

(3) Idem, 1988, p. 754

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