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PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE: I CRITERI DI CALCOLO DELLE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE

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PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE: I CRITERI DI CALCOLO DELLE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE

La Corte di Giustizia CE, con sentenza relativa alla causa C- 527/13 del 15 aprile 2015, si è pronunciata in merito al caso di una lavoratrice spagnola che ha contestato il criterio di calcolo della pensione di invalidità.

Nello specifico, la causa sottoposta al vaglio della Corte verte sulla corretta interpretazione del principio di non discriminazione previsto dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e della parità di trattamento di uomini e donne in occasione di interruzioni dal versamento dei contributi previdenziali.

Per la soluzione della questione viene richiamata la disciplina comunitaria di cui alla Direttiva 97/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, nonché la Direttiva 97/81/CE e l’allegato Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

La Corte afferma che sono soggette ai summenzionati principi le norme nazionali che dispongono trattamenti pensionistici derivanti direttamente dal rapporto di lavoro tra lavoratore e datore, e non anche i trattamenti la cui origine è legata più a valutazioni di carattere sociale che non al rapporto di lavoro in sé.

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IL CASO

La Sentenza della Corte di giustizia CE C-527/13 del 14 aprile 2015 fornisce alcune indicazioni circa la corretta applicazione della disciplina comunitaria in tema di

parità di trattamento in materia previdenziale tra lavoratori di sesso femminile e maschile, nonché tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno.

Nel caso oggetto della pronuncia, la sig.ra Fernández ha versato contributi al sistema previdenziale spagnolo dal settembre del 1971 all’aprile del 2010, quando ha richiesto all’Istituto nazionale di sicurezza sociale (INSS) l’erogazione di una pensione di invalidità, per una sopraggiunta incapacità totale di esercitare la sua professione.

La lavoratrice, nel periodo indicato, ha lavorato principalmente a tempo pieno, salvo il periodo dal 1° settembre 1998 al 23 gennaio 2002, durante il quale ha lavorato a tempo parziale, e nel periodo dal 23 gennaio 2002 al 30 novembre 2005, durante il quale non ha versato contributi.

L’INSS ha accettato la richiesta della pensione di invalidità, calcolando l’importo della stessa secondo la legge spagnola, in funzione dei contributi versati negli otto anni precedenti la richiesta e applicando alle basi contributive minime di ciascun anno in cui non vi è stato versamento di contributi, un coefficiente riduttore relativo all’ultimo rapporto di lavoro a tempo parziale.

Avverso tale decisione, la lavoratrice ha avanzato ricorso, sostenendo che nel periodo dal gennaio 2002 al novembre 2005 dovesse essere preso a parametro l’importo integrale delle basi contributive minime, senza la riduzione per il lavoro a tempo parziale. Secondo i calcoli proposti dalla sig.ra Fernández, l’importo della pensione di invalidità a lei spettante sarebbe più che doppio rispetto a quello calcolato dall’INSS.

Il ricorso, respinto in primo luogo dall’INSS, poi dal tribunale amministrativo locale, è infine giunto al Tribunale Superiore di Giustizia della Galizia, il cui giudice ha espresso alcuni dubbi in ordine alla conformità della legge spagnola alla Direttiva 79/7/CEE, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale, nonché in ordine all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla Direttiva 97/81/CE.

Il giudice, in particolare, si chiede se dall’applicazione del metodo di calcolo previsto dalla legge spagnola non derivi una discriminazione indiretta alle lavoratrici di sesso femminile, sulla base della considerazione che sono principalmente le donne ad assentarsi per periodi più o meno lunghi dal lavoro e pertanto ad avere interruzioni contributive, nonché a lavorare a tempo parziale. Tenendo conto dell’intera vita lavorativa, e non solo dell’ultimo periodo, l’eventuale applicazione del coefficiente di riduzione – secondo il giudice spagnolo – non porterebbe a penalizzazioni.

Per tali motivi, il giudice ha deciso di sospendere il procedimento e rivolgersi alla Corte di Giustizia UE per avere dei chiarimenti circa la normativa comunitaria in materia.

CONTESTO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

La pronuncia della Corte, come anticipato sopra, riguarda la corretta interpretazione della normativa comunitaria contenuta nella Direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in

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materia di sicurezza sociale, nonché dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 e successive modifiche.

Premesso che il richiamo alla Direttiva 97/7/CEE è coerente con il caso in esame nel procedimento principale, in quanto questa trova applicazione ai lavoratori la cui attività si sia interrotta per malattia, infortunio o disoccupazione involontaria, nonché ai regimi previdenziali che assicurano una protezione contro l’invalidità, il principio esposto dall’articolo 4 comma 1 mira ad evitare qualsiasi discriminazione tra uomini e donne e in particolare afferma:

“Il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

• (…);

• il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni. (…).”

Il giudice spagnolo nelle sue questioni pregiudiziali fa riferimento anche all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, del quale è opportuno richiamare le clausole n. 4, punto 1 e n. 5, punto 1, lettera a):

“Clausola 4: Principio di non discriminazione

1. Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.

Clausola 5: Possibilità di lavoro a tempo parziale

1. Nel quadro della clausola 1 del presente accordo e del principio di non- discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno:

a) gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge o alle prassi nazionali, dovrebbero identificare ed esaminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli; (…).”

Per quanto riguarda il diritto nazionale spagnolo, la Sentenza della Corte Europea cita la legge generale sulla previdenza sociale (LGSS), laddove alla settima disposizione aggiuntiva, paragrafo 1, terza regola, lettera b), viene affermato che:

“Ai fini del calcolo delle pensioni di vecchiaia e di invalidità permanente derivante da una malattia non professionale, l’integrazione dei periodi durante i quali non vi è stato alcun obbligo contributivo viene effettuata utilizzando la base contributiva minima tra quelle applicabili in ciascun momento, corrispondente al numero di ore risultanti da contratto da ultimo effettuate”.

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LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

Partendo dalle valutazioni richiamate in precedenza, il giudice del tribunale superiore di giustizia ha deciso di sospendere il giudizio per sottoporre alla Corte Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

• se l’articolo 4 della Direttiva 79/7/CEE sia contrario ad una norma interna che incide essenzialmente su di un gruppo femminile e secondo cui la copertura delle interruzioni contributive, presenti nel periodo di riferimento della base di calcolo di una pensione contributiva di invalidità permanente e successive a un impiego a tempo parziale, venga effettuata prendendo in considerazione le basi contributive minime vigenti in ciascun momento, ridotte secondo il coefficiente di lavoro a tempo parziale di detto impiego precedente all’interruzione contributiva, mentre nell’ipotesi di lavoro a tempo pieno non si verifichino riduzioni;

• se la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale osti a una norma interna che incide essenzialmente su di un gruppo femminile e secondo cui la copertura delle interruzioni contributive, presenti nel periodo di riferimento della base di calcolo di una pensione contributiva di invalidità permanente e successive a un impiego a tempo parziale, venga effettuata prendendo in considerazione le basi contributive minime vigenti in ciascun momento, ridotte secondo il coefficiente di lavoro a tempo parziale di detto impiego precedente all’interruzione contributiva, mentre nell’ipotesi di lavoro a tempo pieno non si verifichino riduzioni.

LA SOLUZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE

La Corte di Giustizia UE ricorda in primo luogo che il diritto dell’Unione rispetta le competenze dei singoli Stati in materia previdenziale, non essendo presente un’armonizzazione europea su tale argomento, il che comporta che ogni Stato membro è libero di disciplinare le condizioni per la concessione delle prestazioni previdenziali, pur dovendo a loro volta rispettare il diritto comunitario.

Sulla base di questo principio, la Corte non entra nel merito del criterio di calcolo adottato dal legislatore spagnolo per la pensione di invalidità, che limita a otto anni il periodo di riferimento su cui parametrare l’indennità nonché nell’applicare il contestato coefficiente riduttore qualora l’interruzione contributiva sia immediatamente successiva a un periodo di lavoro a tempo parziale. Tuttavia, afferma la Corte, “occorre verificare se, nel procedimento principale, tale scelta sia conforme alla direttiva 79/7”.

Sul punto, i giudici europei ritengono che la norma nazionale in questione non comporti una discriminazione diretta sulla base del sesso dei lavoratori, trovando applicazione indistintamente per soggetti di sesso maschile o femminile. Circa una possibile discriminazione indiretta derivante dalla norma, questa sarebbe presente laddove l’applicazione del provvedimento nazionale risulti sfavorevole ad un numero molto più alto di donne che di uomini, come da giurisprudenza prevalente.

La prima questione pregiudiziale si basa sul duplice presupposto che la normativa nazionale riguarda i lavoratori a tempo parziale, che generalmente sono in ampia maggioranza di sesso femminile. La Corte di Giustizia UE evidenzia, però, che la normativa nazionale in questione non riguarda “tutti i lavoratori a tempo parziale”, ma soltanto coloro che hanno avuto un’interruzione nel versamento dei contributi

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previdenziali nel corso del periodo di riferimento della norma stessa, qualora tale interruzione segua un impiego a tempo parziale. Inoltre, se da un lato l’applicazione della norma ha un effetto negativo sul lavoratore, come nel caso della ricorrente, nell’eventualità in cui il contratto che ha preceduto l’interruzione contributiva sia stato a tempo pieno, ma per il resto della vita lavorativa il lavoratore avesse svolto la sua attività a tempo parziale, l’effetto sarebbe invece decisamente favorevole al lavoratore stesso.

Pertanto, alla luce di tali valutazioni e considerando che non esistono dati statistici che consentano di valutare con oggettività la prevalenza di un effetto discriminatorio della norma, i giudici della Corte di Giustizia UE sentenziano che

l’articolo 4, paragrafo 1 della Direttiva 97/7/CE non è contrario ad una norma nazionale come quella prevista dalla settima disposizione aggiuntiva della Legge generale sulla previdenza sociale spagnola.

Sulla seconda questione pregiudiziale, con la quale il giudice spagnolo chiede se la norma nazionale in esame sia contraria all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, la Corte è interessata di due aspetti:

• in primo luogo, valutare la rispondenza del criterio di calcolo previsto dalla norma nazionale al principio di non discriminazione previsto dalla disposizione comunitaria;

• in secondo luogo, chiarire se la norma nazionale in questione possa essere considerata un “ostacolo di natura giuridica o amministrativa”, tale da limitare l’accesso al tempo parziale.

La Corte UE precisa innanzitutto che nelle “condizioni di impiego” dei lavoratori a tempo parziale, sulle quali si concentra il principio di non discriminazione, rientrano i trattamenti pensionistici che dipendono da un rapporto di lavoro e non le pensioni legali di previdenza sociale, che di fatto dipendono meno dal rapporto di lavoro ma da altre considerazioni di carattere sociale.

La pensione di invalidità su cui verte il ricorso della sig.ra Fernández si configura come una pensione legale di previdenza sociale e, pertanto, la stessa non rientra nel campo di applicazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

In relazione al secondo punto, la Corte ammette che dare un’interpretazione dei termini “ostacoli di natura giuridica o amministrativa”, presenti nella Clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, tale da imporre agli Stati membri di adottare misure legate ad un trattamento pensionistico come quello in esame, che per quanto sopra affermato non rientra nelle “condizioni di impiego”, equivarrebbe a imporre agli Stati stessi obblighi in materia di politiche sociali, che non rientrano nel campo di applicazione dell’accordo.

In considerazione, inoltre, della potenziale limitata platea dei lavoratori interessati e degli effetti negativi o positivi della disposizione stessa in funzione della tipologia di rapporto avuto dal lavoratore prima dell’interruzione, la Corte di Giustizia UE afferma che la norma di diritto spagnolo che dispone il criterio di calcolo della pensione di invalidità nel caso di lavoratori che hanno avuto interruzioni nella contribuzione versata

“(…) non può essere considerata un ostacolo giuridico idoneo a limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale.”

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CONSIDERAZIONI NORMATIVE

La Sentenza relativa alla Causa C-527/13 della Corte di Giustizia Europea consente di effettuare alcune considerazioni circa l’applicabilità dei principi di non discriminazione previsti dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

In primo luogo, appare importante la distinzione posta dalla Corte UE circa le prestazioni pensionistiche o sociali che rientrano nelle “condizioni di impiego”, termine genericamente riportato nella Clausola 4 dell’accordo medesimo: i giudici europei affermano che sono riconducibili a tale dicitura, e pertanto soggette al principio di non discriminazione, le prestazioni pensionistiche che dipendono direttamente dal rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, come ad esempio, nel caso italiano, della trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità. I trattamenti pensionistici che, invece, non dipendono direttamente dal rapporto di lavoro, ovvero vi dipendono in misura limitata, sono esclusi dal novero degli appartenenti alle “condizioni di impiego” e pertanto non sono soggetti ai principi indicati nell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

Peraltro, considerando l’ordinamento italiano, l’introduzione del sistema contributivo, che tiene conto dei contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa, quale metodo di calcolo per i trattamenti pensionistici per tutti i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 (primo accredito contributivo a decorrere dal 1°

gennaio 1996), nonché la computazione con il medesimo metodo dei periodi contribuiti successivi all’anno 2011 per tutti i lavoratori (anche se con contributi versati prima del 1996), alla luce delle recenti modifiche normative, oltre a garantire la sostenibilità futura del sistema pensionistico italiano, mira anche a eliminare potenziali discriminazioni derivanti dallo svolgimento di un’attività lavorativa a tempo parziale. Con il sistema contributivo, infatti, il lavoratore avrà diritto ad una prestazione pensionistica parametrata ai contributi versati nell’intera vita lavorativa.

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