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LA TURCHIA CONTEMPORANEA TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

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politica politica

LA TURCHIA CONTEMPORANEA TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONEPARALLELI

LA TURCHIA CONTEMPORANEA TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

LA TURCHIA CONTEMPORANEA TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

Questo quaderno cerca di esplorare alcuni dei “mille volti” della Turchia, paese complesso e dinamico teatro di cambiamenti importanti soprattutto negli ultimi vent’anni. Una riflessione sul ruolo geo-strategico che la Turchia potrà giocare nei prossimi anni e sulle trasformazioni intense della sua stratificata società.

Le attività di Paralleli sono sostenute dalla

POLITICA

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LA TURCHIA CONTEMPORANEA

TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

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Indice

Note di lettura 2

I Quaderni di Paralleli di Rosita Di Peri 3

Introduzione di Renato Lattes 6

Secularization in Turkey: women and Islam di Fulya Atacan 15

Unpacking European discourses: conditionality,

impact and prejudice in EU-Turkey relations di Nathalie Tocci 25

AKP and secular pillars of Turkish Republic di Kemal Kaya 53

New directions of Turkish foreign policy: a radical shift

from Ankara’s Westpolitik? di Matteo Fumagalli 59

Resoconto della Tavola Rotonda “Dove va la Turchia?”

di Stefanella Campana 73

Bibliografia 85

Note sugli autori 87

Il presente quaderno riporta gli interventi di un convegno.

Ovviamente ogni oratore è responsabile di quanto afferma.

I “quaderni” sono un progetto di Paralleli

“La Turchia contemporanea tra realtà e rappresentazione”

è un’iniziativa di Rosita Di Peri Responsabile editoriale: Rosita Di Peri Curatore: Rosita Di Peri

Revisioni: Laura Odasso, Kamilah Khatib

Realizzazione grafica a cura di Sunrise.adv, Torino

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Il dibattito su un possibile ingresso della Turchia nell’Unione Europea ha portato questo paese alla ribalta dello scenario internazionale.

Il suo ruolo a cavallo tra Occidente e Medio Oriente, il suo essere membro della NATO e, al contempo, un paese la cui “islamicità”

potrebbe minacciare la “cristiana Europa” lo rendono un ibrido regionale che, ormai da anni, suscita dibattiti più o meno intensi presso l’opinione pubblica mondiale.

Le complesse vicende storiche che hanno attraversato questo paese da quando all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso, il “padre dei turchi (Atatürk)” Mustafa Kemal portò avanti la gloriosa rivoluzione conducendo il paese all’indipendenza dall’Impero Ottomano hanno contribuito a segnarne il destino politico. Il segno dell’originalità turca è stato dato dalla volontà di staccarsi dal passato ottomano e da quello arabo-islamico proprio attraverso la negazione dell’islàm e del suo preteso significato politico: dall’abolizione del califfato, prima temporale poi spirituale, alla dichiarazione di laicità dello Stato; dall’introduzione dell’alfabeto turco in sostituzione di quello arabo ad una secolarizzazione di usi e costumi; dalla riforma del diritto di famiglia alla chiusura delle scuole coraniche e delle confraternite mistiche. Il tentativo turco di una “nazionalizzazione dell’ottomanismo”, per certi versi naturale continuazione delle riforme conosciute con il nome di tanzimat (1839-1876), ha dato vita ad una società che ha fatto proprio della turchizzazione spesso esasperata una delle costanti della vita politica e sociale del paese, favorita dalla assidua presenza e rilevanza del ruolo dell’esercito.

Come la costruzione di una identità turca sia passata anche attraverso la negazione del ruolo delle minoranze e come l’esercito stesso abbia al contempo utilizzato l’islàm come collante e come minaccia per le masse nella costruzione dell’idea di nazione, sono due tra i capisaldi che furono posti alla base della nascita della nuova repubblica.

Il presente quaderno prende le mosse da alcune delle questioni appena sollevate cercando di analizzare gli sviluppi più recenti della vita politica e sociale di questo paese. Si tratta di un quaderno composito che attinge da tre diverse occasioni di confronto e di dialogo proposte e promosse dall’Istituto Paralleli nell’ambito delle iniziative “Turchia- Italia due penisole un mare”. L’introduzione, scritta dal nostro compianto Presidente Renato Lattes, riporta molto lucidamente alcune delle questioni che sono state sollevate durante una Tavola Rotonda dal titolo “Turchia nella UE. Perché no?” svoltasi il 7 febbraio del 2008 a Torino. L’analisi di Lattes tratteggia una realtà in chiaroscuro, complessa e interessante, che evidenzia le aspirazioni e i problemi di una società come molte altre nel nostro tempo stretta tra le maglie di una globalizzazione accerchiante e una ricchezza culturale legata al territorio ed alle tradizioni che sono la vera forza di questo paese. Da fine osservatore e uomo politico Lattes ci indica la strada da seguire per elaborare riflessioni originali e non scontate, frutto della sua pluriennale esperienza nel mondo da protagonista attivo. E guarda dentro una società in mutamento che, ancora all’alba del nuovo millennio deve confrontarsi con i fantasmi del passato, con le spinte e le tendenze autoritarie, con il ruolo invasivo dell’esercito.

I quaderni di Paralleli

Note di lettura

Per facilitare la lettura del quaderno ad un pubblico anche non specialistico, il curatore ha deciso di introdurre alcune note (inserite nel testo tra parentesi quadre) la trascrizione dei caratteri arabi è stata semplificata per una maggiore leggibilità.

Ovviamente, errori e/o omissioni in tali inserti sono sotto diretta responsabilità del curatore.

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Il terzo saggio, quello di Kemal Kaya, collaboratore dell’Italian Center for Turkish Studies, dopo una breve rassegna storica dei principali fatti che hanno caratterizzato l’avvio della repubblica turca passa ad analizzare le posizioni e le strategie dell’AKP (partito politico turco al governo di orientamento islamista) soprattutto all’indomani della sua vittoria nelle elezioni del 2002. Il suo insediamento al governo ha provocato un dibattito molto pressante sul rinnovato ruolo della religione nella secolare repubblica turca provocando una divisione tra le élite turche ed una crescita della tensione politica nel paese che ha avuto ripercussioni anche sugli assetti macro-economici e, quindi, sulla stessa società.

In linea con il saggio precedente l’ultimo intervento di Matteo Fumagalli, ricercatore presso l’Università Centrale di Budapest, affronta la vittoria dell’AKP da una diversa prospettiva, cercando cioè di misurare il suo impatto sugli orientamenti di politica estera della Turchia. Il saggio si concentra in particolare sulle recenti direzioni della politica estera turca ossia sulle “nuove” relazioni con stati che in passato non avevano avuto un ruolo strategico per questo paese ossia la Siria, l’Iran e la Russia. Fumagalli fa notare come, pur non perdendo il suo orientamento filo-occidentale, testimoniato dalla sua presenza nella NATO e dal processo di “europeizzazione”, la Turchia dell’AKP abbia avviato una nuova era della sua politica estera. Il saggio dunque analizza le ragioni di questo apparente mutamento di strategia mettendo in evidenza le nuove prospettive e le loro potenzialità. Ma, come evidenzia Fumagalli nelle sue conclusioni, non si tratta di un mutamento completo di indirizzo in quanto le nuove alleanze sono strumentali al conseguimento di specifici obiettivi politici.

Il quaderno si conclude con un resoconto di Stefanella Campana, responsabile dell’area Media dell’Istituto Paralleli, che rende la complessità e la ricchezza della Tavola Rotonda da lei ideata svoltasi a Torino il 10 giugno 2008 dal titolo “Dove va la Turchia. La percezione del paese nei media turchi e italiani”. Un incontro che ha visto confrontarsi giornalisti italiani e turchi non soltanto sullo sviluppo e sul ruolo dei media in Turchia ma, anche, su come il paese viene visto e rappresentato dai media e dai giornalisti italiani. Il resoconto rende al meglio un dibattito a volte anche molto acceso che ha messo in luce una società stratificata e moderna che convive con la tradizione ma che guarda al futuro con occhio attento.

Desidero concludere dedicando il presente quaderno alla memoria di Renato Lattes, Presidente e amico che ho avuto il privilegio di conoscere e stimare.

Rosita Di Peri Curatrice della collana E proprio la società civile con le sue sfide, le sue richieste e le sue

trasformazioni è al centro del dibattito attuale: il suo essere portatrice di una “modernizzazione della tradizione”, il suo voler affrontare le sfide sociali partendo da strategie non scontate e da percorsi non ovvi.

E, infatti, proprio sulla stratificazione e multi-dimensionalità della società turca si concentra il primo intervento di questo quaderno, quello della politologa turca Fulya Atacan presentato al Convegno di studi “La Turchia tra passato e presente” svoltosi sempre a Torino il 17 marzo del 2008. Atacan affronta uno degli aspetti più controversi e attuali legati all’identità turca ossia al ruolo della donna in seno alla società. Il saggio parte da un lavoro sul campo che Atacan ha svolto raccogliendo diverse testimonianze di donne turche provenienti da vari strati della popolazione ed analizza i complessi rapporti esistenti tra le donne, la società e lo Stato. Una riflessione ancora più rilevante se si pensa alle recenti discussioni sul tema del velo nelle università turche e su un presunto revival religioso. Atacan offre una prospettiva che mette al centro la dimensione sociale e, soprattutto, quella economica e di classe, due elementi imprescindibili, secondo l’autrice, quando si parla di condizione femminile. Il confronto a distanza tra le vite di due delle donne intervistate (entrambe appartenenti a gruppi islamici), sulle loro aspirazioni, abitudini e sfide, mette in risalto un paese dalla mille sfaccettature ma, soprattutto, quanto siano ancora rilevanti le questioni legate al censo, all’istruzione, alla cultura politica. Sebbene, come sottolinea l’autrice nel suo saggio le dinamiche di crescita del paese, soprattutto negli ultimi dieci anni, abbiano portato ad un mutamento delle strategie interne dei gruppi femminili, anche in quelli più tradizionali, determinando un nuovo tipo di relazione tra queste ultime al loro interno e nei confronti dello Stato modificando un loro possibile ruolo a livello politico.

Il secondo saggio del quaderno, quello di Nathalie Tocci, ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, affronta una questione che affonda le sue radici proprio nelle dinamiche di cambiamento della società turca a partire dal processo che ha visto il paese fare richiesta di adesione all’Unione Europea (nel 1999 alla Turchia è stato concesso lo status di paese candidato). Ciò che Tocci mette in evidenza attraverso il suo saggio, frutto di un progetto di ricerca pluriennale, è proprio l’aspetto legato ai pregiudizi, alla percezione del dibattito pubblico che ha interessato la richiesta di membership della Turchia alla UE. Al di là dell’ambito puramente istituzionale in cui molto è stato detto, si registra una lacuna proprio sul terreno del dibattito pubblico, delle percezioni, spesso degli stereotipi e dei pregiudizi che hanno connotato questo confronto. Il saggio, partendo da queste premesse analizza proprio come si è sviluppato il dibattito in questione e quale è stato il suo impatto sull’opinione pubblica e sui media regionali. Il principale aspetto che traspare leggendo il saggio della Tocci è che mentre non è difficile individuare una dimensione europea del dibattito manca un’analisi dettagliata dei dibattiti condotti a livello dei singoli stati (lacuna che è stata colmata dalla prosecuzione del progetto di ricerca).

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Il 2007 ed il 2008 hanno visto Paralleli impegnato in un articolato programma di iniziative che hanno avuto al centro la Turchia.

Vi hanno partecipato attori del mondo economico, politico, culturale regionale e torinese: il Politecnico, la Camera di Commercio; archeologi e studiosi di architettura comparata;

artisti figurativi, scrittori e registi cinematografici. Sono stati realizzati incontri tra amministratori, con il coinvolgimento dei Sindaci di Torino e di Bursa.

Molti angoli di osservazione, per costruttori di “ponti”, dei quali Paralleli vuole favorire la realizzazione; coerentemente con la propria mission centrale, di costruttore di reti; all’incrocio tra cultura, ricerca e politica.

Nel 2008 la prima tappa di questo viaggio nella Turchia contemporanea è stata l’organizzazione di un colloquio sui nodi politici più importanti rispetto all’entrata della Turchia nell’Unione Europea (UE).

In Italia la discussione pubblica su questo tema non è molto diffusa: né sui media, né tra o all’interno delle forze politiche, né nelle Università. Nulla di confrontabile, comunque, con quanto avviene, ad esempio, in Francia e in Germania.

In Italia l’immigrazione dalla Turchia è limitata (ben diversa la situazione in Germania dove vivono oltre un milione di turchi); ne’ l’Italia è stata meta privilegiata (come, invece, è avvenuto in Francia) di rifugio dei sopravvissuti agli eccidi e alla cacciata degli armeni e di altre minoranze dai territori del Nord-Est della Turchia o già all’interno dei territori della stessa Armenia alla fine della prima guerra mondiale.

Questa situazione può essere un’opportunità per aprire una riflessione più libera, meno emotiva e condizionata da fattori di politica interna.

Naturalmente, se questa è la situazione nell’“opinione pubblica”, va rilevato che alcune forze hanno seguito l’evoluzione del dossier Turchia con interesse: la FIAT è presente in Turchia da molto tempo e l’intero settore dell’automotive piemontese ha con tale paese rapporti commerciali e tecnici consolidati.

Recentemente si è tenuta ad Istanbul una mostra sul design italiano e torinese in particolare.

Anche per queste relazioni la Turchia è seguita con attenzione crescente da settori universitari: a Torino la facoltà di Ingegneria, si è aggiunta a quella di Architettura (coinvolta in ricerche storico/archeologiche da 50 anni).

Il Politecnico ha deciso di dichiarare il 2008 “anno della Turchia”.

La domanda di inclusione della Turchia nella Comunità Europea ha però sollevato reazioni e fatto emergere contraddizioni che vanno al di là di questi interessi specifici investendo questioni identitarie e storico-culturali di fondo.

Può un paese a cultura islamica essere parte dell’Europa (si dimentica spesso che da secoli c’è un islàm europeo in

INTRODUZIONE

di Renato Lattes

Italia-Turchia:

due penisole un mare

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Bosnia)? La critica vaticana, enfatizzata dal Papa, all’Europa

“dimentica delle sue radici cristiane” trova forte assonanza con chi vuole escludere, per ragioni identitarie, la Turchia dalla famiglia europea.

Ma, al di là delle questioni identitarie, sono diversi i fattori che rendono particolarmente complessa la discussione. In Europa come in Turchia. Cerchiamo di ordinarle.

L’esercito turco ha una storia orgogliosa di creatore della Repubblica turca; è stato lo strumento centrale su cui, 90 anni fa, Atatürk, padre della Patria, alla testa del movimento dei “giovani turchi”, formato prevalentemente da ufficiali, ha raccolto e radicalmente cambiato l’eredità dell’Impero Ottomano, ridotto in cenere dopo la prima guerra mondiale, squassato e insanguinato da conflitti inter-etnici, invaso da eserciti stranieri che puntavano a spartirsene le spoglie.

Custode, da quel momento, della laicità e dell’unità della Repubblica turca, bastione centrale della NATO (con gli USA che ne curarono la formazione militare e la fornitura di armi) in funzione prevalentemente antisovietica, l’esercito interpretò molte volte, a suo modo, la difesa della democrazia, diventando attore di colpi di Stato e gestore di regimi autoritari dove erano ridotte al lumicino le garanzie democratiche, le libertà e i diritti civili, politici, sociali (libertà di stampa e diritti sindacali sono stati le prime vittime per almeno tre occasioni e periodi).

Merito storico indubbio di Kemal Atatürk è stata la modernizzazione a tappe forzate della società turca. Il limite, ben messo in evidenza dalla situazione odierna, è stata l’omogeneizzazione obbligata di una società assai complessa e variegata. “Felice chi si dice turco” fu il motto lanciato dal fondatore della repubblica. Ma chi è turco?

Allora e oggi. Il libro presentato da Paralleli nel mese di Novembre, La Turchia contemporanea di Hamit Bozarslan, ci descrive bene la miriade di gruppi etnici e religiosi che popolano il grande territorio della penisola. Minoranze religiose eredi del cristianesimo siriano, ellenico e armeno.

Quindici milioni di curdi. Dieci milioni di musulmani aleviti considerati eretici dall’islàm sunnita. La Turchia è un mosaico che il kemalismo ha tentato di ridurre a unità, alimentando, purtroppo, un nazionalismo esasperato di cui si nutrono i ben organizzati gruppi di estrema destra e non solo.

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Di fatto nella Turchia moderna non tutti i cittadini sono eguali davanti allo Stato: le minoranze hanno meno diritti, siano esse etniche o religiose.

Ad esempio, agli aleviti, una confraternita non settaria nella tradizione sufi, vengono negati gli aiuti dallo Stato che sono invece previsti per legge all’islàm sunnita; chi non è sunnita difficilmente può accedere a cariche pubbliche; è vietato l’insegnamento del curdo, ecc.

Periodicamente questa contraddizione di fondo riemerge sotto la spinta di fattori interni ed esterni e il paradigma culturale su cui il kemalismo ha fondato l’identità nazionale entra in tensione. Il sociologo Baskin Oran parla di “sindrome di Sèvres” [ndc. a Sèvres nel 1920 fu deciso, da parte delle grandi potenze, lo smembramento dell’Impero Ottomano]: il complotto imperialista, i nemici interni che minacciano l’unità della nazione, il pericolo ai confini.

Il motto dei fascisti nazionalisti è “ Turchia: chi non l’ama se ne vada” ed era scritto sullo striscione del veicolo militare che doveva arrestare il terrorista responsabile dell’assassinio di un giornalista armeno!

I democratici turchi non mancano di denunciare questa paranoia identitaria che già in passato ha portato a veri e propri pogrom contro le minoranze: nel settembre 1956, in occasione della crisi di Cipro, corse la voce che era stata incendiata la casa di Atatürk e a Istanbul furono saccheggiati e bruciati negozi e case di cristiani, ebrei e aleviti. Oggi i lupi grigi minacciano di morte i curdi sospetti di simpatia per il PKK [ndc. partito dei lavoratori del Kurdistan di Öcalan].

La Turchia è un paese di 68 milioni di abitanti. Un possibile grande mercato in più per le economie dei paesi UE. Un largo bacino di manodopera a basso costo: molte grandi multinazionali americane, europee e asiatiche vi hanno stabilimenti. Se fosse accolto nell’Unione Europea, sarebbe il secondo Stato per popolazione, dopo la Germania.

Questo fa paura a molti politici e a molti cittadini europei.

Paura facilmente manovrabile in Europa dal populismo di destra che fa perno sulla “paura del diverso”, sulla ricerca di capri espiatori, sull’esasperazione di teorie come lo “scontro delle civiltà”. Far entrare 68 milioni di turchi in Europa suonerebbe come la legittimazione, ad aspiranti cittadini

Il ruolo dell’esercito...

...e quello di Atatürk

Il dibattito sull’ingresso nella UE

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europei, dei molti milioni di immigrati extracomunitari di cultura islamica, che, provenienti dall’Africa e/o dall’Asia, sono già residenti in Europa.

Significativamente queste paranoie identitarie europee si sposano con quelle kemaliste prima descritte, dimostrando che, in fondo, gli stessi motivi che possono spingere una parte dei cittadini europei a diffidare dell’entrata della Turchia nella UE, possono renderlo interessante per altri.

“La Turchia ha bisogno di fare i conti, nel bene e nel male con il suo passato e con se stessa. L’Europa ci deve aiutare”

(Orhan Pamuk).

Paralleli è impegnato, per sua stessa natura, a tessere legami e a consolidare reti culturali, politiche, economiche, sociali tra i vari popoli, nazioni, paesi del Mediterraneo.

Per questo, guarda alle condizioni e alla possibilità che la Turchia entri nella UE come a un fattore di grande portata.

Non più confronto/scontro tra identità fossilizzate, ma incontro tra culture aperte all’influenza dell’altro, che si contaminano nel riconoscimento di valori comuni.

L’Europa della modernità non può essere quella di Carlo Magno e nemmeno quella coloniale delle grandi potenze.

La Turchia moderna non è Solimano il Magnifico e la sede del Califfato. Questo è il lavoro comune da svolgere andando oltre il concetto di dialogo che è tipico dell’ordine delle religioni istituzionalizzate e “rivelate” ove ciascuno dialoga partendo dalla sua verità.

La Turchia è un grande paese che, anche sotto la spinta impressa alla possibile entrata in Europa, ha compiuto soprattutto negli ultimi anni, un notevole avanzamento nelle condizioni democratiche e laiche del proprio sistema di governo.

È un percorso non compiuto. Grandi problemi sono tuttora irrisolti, come abbiamo visto, sia per quanto riguarda la sfera dei diritti delle persone e delle libertà democratiche per la società civile (a partire dalla libertà di stampa, di religione e, più in generale, di manifestazione delle proprie idee); sia sul terreno della libertà di organizzazione delle tante minoranze etniche, linguistiche, religiose (a partire dal complicato, ma centrale, problema curdo) e della loro rappresentanza politica; sia, infine, sul piano della soluzione del conflitto che ha diviso l’isola di Cipro in due stati, dal 1974.

Così come l’Europa è divisa nella volontà di accoglierla al proprio interno, anche in Turchia sono presenti spinte in direzioni diverse.

Sono forti le spinte all’entrata in Europa, soprattutto tra le nuove generazioni, tra la parte più “moderna” e colta della popolazione, tra gli strati che più hanno tratto stimoli e/o vantaggi dalle esperienze di emigrazione nell’ultimo mezzo secolo. Tra chi spera che l’entrata in Europa possa concludere un processo di modernizzazione. Tra chi vede oggi i limiti della secolarizzazione imposta dal kemalismo: la soppressione di confraternite sufi, la forzata omogeneizzazione culturale del paese con l’umiliazione e la messa al bando di ogni particolarismo identitario (politico, linguistico, religioso) considerato minaccia all’unità dello Stato.

Sono intense le spinte conservatrici e nazionaliste, anche con forti correnti di stampo fascisteggiante. Hanno una base di massa nelle popolazioni rurali dell’interno dell’Anatolia, più legate a cultura e identità derivate da un’interpretazione più chiusa del nazionalismo e della fede religiosa. Alcuni guardano all’identità asiatica, ad antiche, mai cancellate immagini e agli orizzonti di riunificazione della “grande nazione turca”, dall’Asia Centrale fino ai Balcani e al Mediterraneo; alla grande attrazione di un processo di nuova immersione in contesti di comunità del Mediterraneo non europeo, più segnate dalle culture islamiche e anche dalle loro derivate più fondamentaliste.

In tale quadro di fondo, è significativo e, fino ad ora, piuttosto equilibrato il ruolo del partito islamico vincitore delle ultime due tornate elettorali e a guida dell’attuale Governo [ndc. Partito della Giustizia e dello Sviluppo, AKP]. Un partito islamico che afferma di credere e di voler difendere il ruolo laico dello Stato e di volerne trasferire la difesa e la garanzia alla politica, svincolandole dal ruolo di

“tutoraggio” svolto, nel passato, dall’esercito.

Anche noi, in passato, abbiamo visto, o vissuto direttamente, esempi simili.

Dal ruolo che, in Italia, ha svolto, nel primo dopoguerra, Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio; il quale, pur riaffermando la propria fede religiosa, si è battuto con impegno per garantire la laicità della politica e dello Stato, anche in dura polemica con il Vaticano.

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Fino alle molte tragedie innescate, negli ultimi due decenni, dalle scelte di una parte del fondamentalismo islamico nella politica e/o nello scontro militare, nell’uso globalizzato del terrorismo: dalla storia del FIS in Algeria, alle strategie di Al Qaeda, che dichiara di battersi per l’unità della ‘umma, per l’islamizzazione degli stati, perché la loro legge centrale sia la shari‘a.

L’attuale leadership turca appare impegnata nell’implementazione del processo di avvicinamento all’Unione Europea.

Per molti anni una parte consistente dell’opinione pubblica e politica liberale e di sinistra in Europa ha valutato come tollerabili gli “eccessi” nella funzione di tutoraggio compiuti dall’esercito; più spaventata del pericolo di un prevalere dell’islamismo che attenta ai bisogni di democrazia e libertà espressi da una parte crescente della società civile.

Anche una parte della sinistra politica interna alla Turchia stessa ha sostenuto interpretazioni di questo genere;

perdendo il rapporto con importanti settori più moderni e dinamici nella società.

Oggi la leadership politica della Turchia è impegnata in un’impresa complessa, come quella della revisione della Costituzione.

Molti sostengono che l’Unione Europea, anche per le note riserve da parte di alcuni tra i membri più importanti sull’entrata della Turchia, sovente “alzi l’asticella del salto in alto” mentre l’“atleta sta già correndo”.

Come Paralleli siamo convinti che:

1. vanno chiarite molto bene le ulteriori condizioni legate ai diritti civili e politici del paese così come vanno sostenuti gli sforzi per una normalizzazione pacifica della situazione di Cipro;

2. è importante sostenere questo processo di avvicinamento, dando, nuovamente, il messaggio di un grande interesse dell’UE all’entrata della Turchia;

3. scommettere sul ruolo geopolitico importante che una Turchia matura, dal punto di vista democratico, può giocare nel rapporto tra l’UE e il Mediterraneo; esempio importante di un paese a prevalente cultura islamica

con modello di democrazia Occidentale;

4. scommettere sulla possibilità di importanti ritmi di sviluppo, anche economico e sociale, quando la sua economia e la sua organizzazione sociale fossero maggiormente integrate con quelle dell’Unione Europea;

5. l’entrata della Turchia nell’UE potrebbe avere come effetto anche quello di consolidare le tendenze già presenti per una maggior autonomia delle comunità musulmane presenti in Europa, per una cultura islamica europea che sia protagonista di un accordo forte con la

“modernità”, anche indebolendo i legami ideologici con le culture delle comunità islamiche nei paesi di origine.

Siamo convinti che guardare ad un futuro di convivenza pacifica, con reciproca influenza e contaminazione tra popoli, culture e nazioni diverse è una condizione essenziale nel Mediterraneo.

Forse perché siamo figli di culture politiche e storiche, ferme nei principi democratici, relativiste e razionaliste nel concreto operare, pensiamo siano molto importanti le direzioni che i processi storici ci rimandano.

Con molti limiti, ma riteniamo che la direzione messa in luce in questi ultimi anni vada valorizzata.

Siamo convinti che la Turchia sia un nodo centrale di questa prospettiva e che essa stessa è di fronte a diverse possibilità strategiche per il futuro: diventare un importante “ponte” tra l’Europa e i paesi delle rive africane e asiatiche del Mediterraneo;

oppure guardare a un suo ruolo di leadership, con nuove forme di alleanza da costruire, nell’Asia Centrale e nel Medio Oriente; e, come tale, interloquire con l’Unione Europea.

Questa seconda scelta potrebbe facilmente spingere la Turchia ad accentuare il proprio volto islamista e a diminuire quello europeo/democratico.

Anche la funzione di piattaforma centrale per la difesa/

offesa militare nei confronti dell’ex Unione Sovietica, si è molto affievolita dopo la caduta del muro di Berlino.

Noi siamo tra coloro che, in passato, hanno ritenuto un errore politico grave non gestire politicamente, non sostenere i timidi tentativi di superare i confini difficilmente

Il futuro

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accettabili della democrazia nell’Iran degli Ayatollah, portata avanti, tra mille contraddizioni e grande cautela, anni fa, dal Presidente Khatami. Il risultato non è stato positivo.

Siamo tra coloro che preferirebbero non fossero fatti errori analoghi (pur in un contesto molto differente) nel caso della Turchia.

In sostanza, crediamo che vada rimessa al centro la politica con visioni lunghe.

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Religious groups/organizations operate in a particular context, which is composed of social, political and economic conditions, at a certain historical moment.

Religion becomes important when it is organized and it has gained importance as a political actor in the power structure of any given society. The roles played by different religious organizations in the socio-political structure of a given country or the positions held by them in the power struggles are various. At this point, not only the structure and the ideas of the religious group, but also the social, political and legal structure of the country and the international conjuncture become important as components of the change in these groups. The relations among different religious groups (internal and external) and between these groups and the State must be examined.

SECULARIZATION IN TURKEY:

WOMEN AND ISLAM

di Fulya Atacan

Religious groups and the State

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