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Famiglie migranti e servizi: rappresentazioni e pratiche

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Academic year: 2021

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Attraverso le prospettive

dell’investimento sociale e delle culture sulla «buona» genitorialità l’articolo esplora barriere e sfide professionali del rapporto tra genitori migranti e operatrici di nidi d’infanzia e Centri famiglie. Attingendo a questionari

somministrati ai Centri famiglie del Piemonte, a interviste a testimoni qualificati e a padri e madri da Marocco, Tunisia, Perù e Romania, l’articolo analizza in particolare quali siano le rappresentazioni e le pratiche di conciliazione di famiglie migranti

con figli in età prescolare. In un contesto di carenza di investimenti sociali, i genitori migranti incontrano numerosi ostacoli nell’usufruire dei servizi considerati, perché con posizioni e condizioni nel mercato del lavoro difficili e perché a confronto con rappresentazioni di (non) adeguatezza genitoriale da parte dei servizi. Le operatrici evidenziano altresì diverse aree di criticità legate alla complessità dei bisogni di queste famiglie, al lavoro di rete con altri enti pubblici o privati, e alle esigenze formative.

1. Introduzione

L’ascesa in tutta Europa, e non solo, di movimenti identitari, populisti e sovranisti può contribuire a forme, pur differenziate nei diversi paesi, di

welfare chauvinism. Mentre nelle retoriche e nel discorso pubblico anche

la Brexit sembra contribuire alle crescenti preoccupazioni per il «welfare tourism» (Eurofound, 2015; Oecd, 2013), in Italia, come in altri paesi di immigrazione, donne, uomini, bambini, ragazzi e ragazze stranieri che vivono nelle nostre città sono sempre più spesso componenti di uno stesso nucleo familiare, per cui si può parlare di «famiglie in emigrazio-ne». Eppure conosciamo ben poco dei bisogni, delle strategie di cura e di conciliazione tra famiglia e lavoro delle famiglie migranti e poco sap-piamo dell’effettivo accesso e uso da parte delle famiglie migranti di ser-vizi pubblici rivolti a famiglie con bambini piccoli, quali i nidi d’infanzia (come eccezioni Ponzo e Ricucci, 2013; Bonizzoni, 2014; Premazzi e Ricucci, 2014; Caponio e Santero, 2019; Santero e Naldini, 2020),

men-Famiglie migranti e servizi:

rappresentazioni e pratiche

Manuela Naldini e Arianna Santero

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tre sono state evidenziate importanti sfide professionali per i servizi (cfr. Di Rosa, 2017; Spinelli, 2015; Tognetti Bordogna, 2004). In particolare, il personale dei servizi a livello locale si trova a operare con sempre meno risorse a fronte di un aumento del numero, della complessità ed eterogeneità dei bisogni delle famiglie migranti.

La mancata ricalibratura nel welfare state italiano e in particolare lo scarso investimento sociale sull’infanzia (Sabatinelli, 2017), così come la carenza di politiche di conciliazione, rendono particolarmente diffi-cile tenere insieme famiglia e lavoro. Com’è noto, molti genitori in Italia non ricevono un sostegno adeguato alla responsabilità di crescere un figlio, sia sul piano del sostegno al costo dei figli, e di lotta alla povertà economica e culturale, sia sul piano del sostegno alla conciliazione tra lavoro e cura dei bambini. Una bassa partecipazione al mercato del la-voro dei genitori, in particolare delle madri, si traduce in un alto rischio di povertà familiare e soprattutto minorile. La conciliazione può diven-tare una corsa a ostacoli per le donne a bassa istruzione, per quelle che hanno meno risorse economiche e culturali o ridotte possibilità di atti-vare la rete sociale. A partire da queste considerazioni, questo articolo cerca di indagare alcuni aspetti del ruolo dei nidi d’infanzia e dei Centri per le famiglie nelle pratiche di conciliazione di famiglie migranti con figli in età prescolare. Due sono le domande che guidano il lavoro: quale ruolo rivestono i servizi educativi per l’infanzia e i servizi per le famiglie nelle pratiche di conciliazione dei genitori migranti con figli in età pre-scolare? Nello specifico, quali rappresentazioni e pratiche emergono nel rapporto tra operatrici, servizi e famiglie migranti?

Studi e ricerche su servizi e famiglie straniere, spostando l’attenzione dalla conciliazione all’infanzia, evidenziano l’importanza delle pari op-portunità di accesso ai servizi prescolastici per tutti i bambini, inclusi i migranti, che è stata ampiamente riconosciuta dalle indicazioni di policy dell’Unione europea (es. Eacea, 2009; Donatiello e Ricucci, 2019) come parte del Social Investment Packages, oltre che da numerosi risultati di ri-cerca sul ruolo dell’educazione prescolastica nel ridurre svantaggi socio-economici e linguistici dei bambini e delle loro future chance in istru-zione (es. Dahlberg e Moss, 2005; Moss, 2013; Ullrich, 2014; Oecd, 2006 e 2011). Tuttavia evidenze empiriche mostrano che proprio le fa-miglie con minori risorse socio-economiche e culturali tendono a uti-lizzare di meno i servizi educativi prescolastici (Sime, 2014) e che tale divario nel contesto italiano risulta essersi esacerbato dopo la crisi eco-nomica (Gambardella e al., 2015; Bergamante e Solera, 2019). Perdita del lavoro di un genitore e importo della retta, per quanto modesta,

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sono fattori tenuti in conto non solo dai servizi (nei criteri e meccanismi di selezione delle domande di ammissione), ma anche dalle famiglie, che, quando uno dei due genitori non lavora o lavora «in nero», pos-sono essere scoraggiate a far partecipare i figli ai servizi prescolastici (Santero e Naldini, 2020). Diversi studi hanno quindi indagato le bar-riere e resistenze incontrate dalle famiglie, e dalle famiglie immigrate in particolare, rispetto all’accesso ai servizi educativi prescolastici (es. Tienda e Haskins, 2011; Karoly e Gonzalez, 2011; Caponio e Santero, 2019). Ciò che emerge è che questo accesso varia in funzione di una molteplicità di fattori. Contano le risorse socio-economiche, le caratte-ristiche demografiche, le credenze e i valori dei genitori sulla (esterna-lizzazione al di fuori della famiglia della) cura dei bambini, e la struttura famigliare e rete parentale, condizionati dal paese di origine, oltre che caratteristiche dei bambini come età, sesso, carattere e condizione di salute (Pungello e Kurtz-Costes, 1999; De Feyter e Winsler, 2009; Kou-ry e Votruba-Drzal, 2014). Anche la limitata conoscenza della lingua del paese di arrivo sembra contare, ad esempio nell’orientarsi verso la rete dei connazionali per avere supporto alla cura dei bambini invece che verso le istituzioni pubbliche (Lim e Lim, 2003), oltre che aspetti che derivano dal percorso migratorio famigliare come status migrato-rio, residenza e anzianità migratoria, processi di «acculturazione» ed esperienze di socializzazione con i servizi educativi nel paese di arrivo (Vesely, 2013). Contano anche le caratteristiche dell’offerta dei servizi educativi prescolastici: le procedure di iscrizione (Ponzo e Ricucci, 2013; Premazzi e Ricucci, 2014) e le modalità di traduzione dei diritti formali di accesso in effettiva fruizione dei servizi (Donatiello e Ricucci, 2019). Aspetti pratici e organizzativi apparentemente neutrali – come orari di apertura e collocazione dei servizi sul territorio, competenze, formazione e atteggiamenti del personale e relazioni famiglie-educa-trici, flessibilità organizzativa – oltre che aspetti che riguardano nello specifico i migranti – come presenza di mediatori interculturali, dispo-nibilità di servizi privati nel migrant network, associazioni di connazionali o religiose – possono avere esiti diversi per famiglie con risorse diverse. A partire dai risultati delle ricerche precedenti, questo articolo contri-buisce al dibattito cercando di individuare, attraverso la ricostruzione delle pratiche di accesso e uso dei servizi nonché attraverso il raffronto tra le rappresentazioni di genitori e quelle del personale dei servizi (non solo educatrici ma anche assistenti sociali), quali dimensioni che atten-gono all’operare delle istituzioni e alle risorse dei genitori condizionino l’accesso delle famiglie immigrate ai servizi pubblici rivolti alle famiglie

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con bambini. Il contributo concentra l’attenzione in particolare sui nidi d’infanzia e sui servizi offerti dai Centri famiglia presenti a livello terri-toriale, i primi in quanto principale servizio pubblico per l’infanzia e per la conciliazione per famiglie con bambini sotto i tre anni, e i secondi in quanto principale servizio pubblico di sostegno alla genitorialità.

2. Prospettive di analisi

L’analisi delle principali barriere all’accesso e il confronto tra le rappre-sentazioni della genitorialità delle famiglie migranti e dei servizi verran-no realizzati a partire da due approcci di analisi al tema: quello dell’in-vestimento sociale e quello delle culture della «buona» genitorialità. Il primo approccio parte dall’idea che una delle strade da percorrere per rispondere alle sfide dei «nuovi rischi sociali» sia quella di aumentare gli «investimenti sociali» considerando i bambini fin dall’infanzia e dalla loro più tenera età uno dei principali ambiti su cui investire. Dal punto di vista dell’approccio dell’investimento sociale, i servizi per la primis-sima infanzia, nel caso italiano i «nidi d’infanzia», ma anche l’investi-mento in tutte le misure che sono ritenute sostenere la conciliazione famiglia-lavoro, si configurano infatti come servizi strategici, nell’am-bito della ricalibratura del welfare, e particolarmente cruciali sono i ser-vizi per la primissima infanzia rivolti ai bambini di famiglie «svantag-giate» (Esping-Andersen e al., 2002; Bonoli, 2005; Hemerijck, 2015) e i servizi per la conciliazione famiglia-lavoro.

All’approccio dell’investimento sociale, che insiste sull’importanza di alimentare lo sviluppo cognitivo e intellettuale del bambino fin dalla più tenera età, si è affiancata e spesso contrapposta una prospettiva che, a partire dalla voce degli «esperti» e da alcuni campi del sapere professio-nale legato alla famiglia (pediatri, psicologi dell’età evolutiva, in primo luogo, ma anche pedagogisti ed educatori), vede i genitori, da un lato, come sempre più cruciali nello sviluppo dei figli, dall’altro, come biso-gnosi di essere educati (Faircloth e Murray, 2015). Come evidenzia Frank Furedi (2002) nella sua opera Paranoid Parenting (genitorialità pa-ranoica), è in corso la trasformazione dell’allevamento dei figli in un tema oggetto di crescente attenzione sia da parte degli esperti e del mer-cato in espansione dei manuali di soccorso per genitori – che parlano di genitori «ansiosi» (Nelson, 2010) –, sia da parte dei policy maker, con interventi a sostegno della «genitorialità». Ciò sembra coincidere non solo con una nuova visione dell’infanzia – che mette al centro da un

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lato la soggettività dei bambini e dall’altro la sempre maggiore vulnera-bilità a cui i bambini possono essere esposti durante il loro sviluppo – ma anche con una nuova più ampia definizione delle (in)competenze genitoriali che finisce per far sentire i genitori sempre «sotto giudizio» (Faircloth e al., 2013). Nella letteratura di alcuni paesi occidentali (Fran-cia e Olanda, per esempio) la questione del controllo e dell’ipernorma-tività degli esperti sui genitori ha iniziato a essere oggetto di una rifles-sione più ampia (Martin, 2015; Hopman e Knijn, 2015), molto meno in Italia in cui prevalgono visioni che insistono sugli elementi «disfunzio-nali» che possono essere associati alle attività svolte dai genitori. Nel-l’opinione pubblica e nel discorso politico anche italiano, dunque, la «genitorialità» viene sempre più vista come «una questione di salute pubblica» e i genitori hanno sempre più bisogno di «essere educati» (Dermott e Pomati, 2016). All’interno di questa prospettiva di rinno-vata ipernormatività e rinnovato controllo della «genitorialità», si inse-riscono anche quelle prospettive che evidenziano come con sempre maggior frequenza i genitori migranti vengano visti come genitori «bi-sognosi» e «inadeguati» (es. Kim, 2009; Crozier e Davies, 2007) e quindi da «educare», invece di rilevare quanto (le barriere a) l’utilizzo dei servizi stessi e le relazioni con gli operatori dei servizi a supporto dell’infanzia e della famiglia possano contribuire alla costruzione sociale del «deficit» dei genitori migranti.

3. Dati e metodo

L’articolo integra dati raccolti attraverso la somministrazione di un que-stionario strutturato rivolto agli operatori di tutti i 37 Centri per le fa-miglie della Regione Piemonte1, con l’analisi di 20 interviste qualitative

con testimoni qualificati che lavorano come educatrici dei nidi d’infan-zia pubblici, assistenti sociali e funzionari responsabili nei due ambiti di intervento, in particolare nell’area metropolitana di Torino, scelta per-ché caratterizzata da un’elevata incidenza del fenomeno migratorio. Le rappresentazioni sulla genitorialità che emergono dall’analisi dei mate-riali empirici sopra descritti sono confrontate con quanto emerge dal-l’analisi di 44 interviste qualitative semi-strutturate rivolte a padri e

ma-1Nell’ambito del progetto socio-giuridico InFaCt - Changing Families, Changing

In-stitutions? coordinato da M. Naldini, Università degli Studi di Torino, finanziato

da Compagnia di S. Paolo, disponibile all’indirizzo internet: http://www.dcps. unito.it/do/progetti.pl/Show?_id=unen. Risposte pervenute: 35/37.

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dri con almeno un/a figlio/a sotto i sei anni di età, single o in coppia, nati rispettivamente in Marocco, Tunisia, Perù e Romania. Tali paesi di origine sono stati individuati in modo da includere circuiti migratori numericamente significativi nell’area territoriale dei testimoni qualifi-cati, diversi per composizione di genere (Zontini, 2010; Tognetti Bor-dogna, 2012), cittadinanza Ue ed extra Ue (Bertolani e al., 2014; An-derson e al., 2014; Kofman, 2002; Halevy e al., 2018). I brani di inter-vista e le risposte ai questionari citati sono resi in forma anonima attra-verso l’utilizzo di pseudonimi2.

4. Il confronto tra genitori migranti e servizi: risultati

In un contesto caratterizzato da segmentazione etnica e di genere del mercato occupazionale e precarizzazione del lavoro, oltre che dalla ca-renza di politiche familiari e di investimenti sociali, i genitori migranti incontrano numerosi ostacoli aggiuntivi per accedere ai servizi e alle politiche a sostegno della conciliazione a causa della loro posizione so-cio-economica e giuridica strutturalmente svantaggiata (Halevy e al., 2018); inoltre hanno limitate aspettative di potervi beneficiare (Alber-tini e Sembrebon, 2018; Santero, 2016). Ciò vale per l’utilizzo non sol-tanto dei congedi (es. Bonizzoni, 2014), ma anche dei servizi educativi prescolastici.

D’altro canto, le educatrici dei nidi e le assistenti sociali nei due ambiti di intervento considerati evidenziano alcune aree di criticità e sfide pro-fessionali sollecitate dalla relazione con i diversi contesti familiari dei bambini migranti, rispetto al rapporto con l’utenza straniera, al lavoro di rete con altre agenzie ed enti pubblici o privati per le famiglie del territorio e di tipo organizzativo e formativo.

Attraverso l’adozione di una prospettiva multi-attore, attenta sia al punto di vista delle famiglie che a quello dei servizi, emergono diversi tipi di barriere all’accesso e alla fruizione dei servizi da parte delle fami-glie migranti e – specularmente – dimensioni di criticità nella relazione tra famiglie e servizi.

Le principali barriere all’accesso ai servizi delle famiglie migranti con figli nelle rappresentazioni di genitori e personale dei servizi prendono forma all’interno di due principali ambiti che operano a vari livelli: quello

2 Una prima versione di questo contributo è stata discussa durante la Conferenza

Espanet Italia 2018 e durante il seminario Ais Vita Quotidiana 2019. Ringraziamo le coordinatrici e le partecipanti per i loro suggerimenti.

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strutturale – che attiene alla dimensione socio-economica delle risorse familiari e alla dimensione delle risorse di contesto-istituzionali – e quello culturale.

4.1 Le risorse socio-economiche

Un primo livello di criticità attiene al posizionamento delle famiglie mi-granti nella società di arrivo (rispetto alla conoscenza della lingua, alle risorse socio-economiche, allo status giuridico e alla cittadinanza; cfr. ad es. Ambrosini, 2005, 2013; Saraceno e al., 2013; Reyneri e Fullin, 2011), che plasma l’effettiva capacità dei genitori migranti di negoziare con le istituzioni del paese di destinazione per vedersi riconosciuti i propri diritti sociali.

Dalle interviste con i genitori emerge innanzitutto una diffusa carenza di informazioni sulla pluralità di servizi esistenti e sulle procedure per richiederne l’accesso e la fruizione (poco note in particolare sono le attività dei Centri per le famiglie, anche nel caso di genitori arrivati da tempo in Italia), che sembra ridursi secondo le operatrici nel caso di immigrati con più elevato capitale sociale o culturale. Inoltre emergono la carenza di titolarità all’accesso ai nidi per posizione debole nelle liste d’attesa dei nuclei famigliari non dual-earner, non residenti o senza con-tratti di lavoro regolari (lavoratori e lavoratrici informali) e la bassa par-tecipazione alle iniziative dei nidi, ad esempio in qualità di rappresen-tanti dei genitori, o agli incontri informativi, di socializzazione o a so-stegno della genitorialità organizzati dalle educatrici o assistenti sociali nei nidi e nei Centri per le famiglie. Questo avviene, oltre che per pro-blemi nelle comunicazioni quotidiane, per questioni linguistiche o in-comprensioni, o per difficoltà di conciliazione dovute a orari lavorativi lunghi o asociali dei genitori migranti. Ad esempio, secondo quanto ri-levato dai questionari ai Centri per le famiglie:

Nella realizzazione delle attività del Centro per le famiglie le difficoltà che si incontrano sono sia di carattere comunicativo e di sensibilizza-zione della popolasensibilizza-zione poiché nonostante la campagna informativa (giornali, locandine, volantini, ecc.) non sono molte le famiglie che spon-taneamente si rivolgono al Centro e soprattutto sono poche le famiglie immigrate/miste (magari anche a causa delle difficoltà linguistiche).

Centro per le famiglie n. 2

Questi elementi concorrono a consolidare l’immagine dei genitori im-migrati come più «difficili da raggiungere» dalle operatrici e dalle inizia-tive dei servizi:

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Difficoltà riscontrate nel nostro Centro: coinvolgere le famiglie immi-grate in percorsi formativi e informativi specie se serali (es. nell’incontro con le ostetriche del consultorio erano presenti solo due mamme stra-niere); coinvolgere le famiglie straniere in percorsi formativi per i propri figli (es. nel corso di musica al momento attivo all’interno del Centro non c’è nessun bambino straniero iscritto)

Centro per le famiglie n. 4 Ci sono fasce di popolazione che accedono al Centro meno di quanto ci si potrebbe immaginare, ad esempio le famiglie immigrate.

Centro per le famiglie n. 24

4.2 Le risorse istituzionali

Insieme alle risorse socio-economiche delle famiglie, dalle interviste e dai questionari ai testimoni privilegiati emergono come importanti an-che le risorse istituzionali del contesto in cui si trovano a lavorare gli operatori.

Nel contesto organizzativo e istituzionale sopra descritto, un’impor-tante sfera di criticità emersa attiene alla (mancanza di) formazione spe-cifica delle operatrici in tema di diversità e alle non sufficienti risorse concretamente investite per promuovere l’adozione di un approccio in-terculturale3, che conducono a mancanza di pratiche, strumenti,

strate-gie e sensibilità verso l’inclusione, malgrado da lungo tempo diverse iniziative siano state condotte a livello locale in questa direzione. Inoltre, in un contesto di scarso investimento sociale come quello ita-liano, emergono anche gli effetti dovuti alla mancanza di continuità di risorse (e quindi di iniziative):

In generale per il lavoro con ogni tipo di famiglia la difficoltà riscontrata è quella della precarietà delle risorse private o «prestate» da altri servizi, che non hanno a volte un inquadramento chiaro, che sono presenti a singhiozzo a causa di ostacoli o di finanziamenti o di tempistiche ammi-nistrativo-burocratiche che nulla hanno a che vedere con le necessità organizzative del servizio.

Centro per le famiglie n. 18 3 Con differenze tra servizi, aree territoriali e disposizione personale dei

profes-sionisti, per diverse ragioni tra cui carenza o riduzione di fondi, clima organizza-tivo del servizio, difficoltà di collaborazione con altre istituzioni o agenzie del territorio, composizione socio-economica degli utenti, sovraccarico di ruoli e compiti attribuiti a educatrici e assistenti sociali.

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4.3. Assunti, valori e rappresentazioni

Il raffronto tra le riflessioni dei genitori e del personale dei servizi fa emergere un secondo livello di criticità attinente alla sfera delle rappre-sentazioni culturalmente significative, delle credenze e dei valori intor-no alla famiglia, all’infanzia e alla genitorialità. In particolare emergointor-no diverse definizioni normative di «buona madre e buon padre», di «cure appropriate» e del «meglio per il bambino», oltre che differenti idee sul ruolo dei servizi educativi e sociali da parte delle famiglie migranti. Come emerge dalla testimonianza sotto riportata, questo può compor-tare valutazioni negative dell’adeguatezza genitoriale dei migranti.

Un po’ le difficoltà sono […] per certi versi non cadere noi stessi nel pre-giudizio. E quindi per certi versi avere un’attenzione che è a quella dimen-sione famigliare e a quella famiglia. Mi viene in mente un esempio… estremo, di una segnalazione che poi per fortuna non ha prodotto un provvedimento, ma di una segnalazione […] all’Autorità giudiziaria, di due piccoli bimbi di un nucleo di maghrebini. Questi bambini erano stati se-gnalati dai vicini di casa, in un condominio residenziale della città di To-rino, più e più volte, perché trascorrevano molto del loro tempo nel bal-cone di questa casa. Appartamento che stava a pian terreno […]. A un’ana-lisi più approfondita, si era verificato che […] questi bambini erano arrivati in Italia da pochissimo tempo, da un villaggio del sud di Casablanca, e erano quindi nati e vissuti fino a pochi mesi prima in un villaggio, e non in una grande città, essendo abituati a stare all’aria aperta, e non in una grande città. E quindi, chiusi nelle quattro mura domestiche, erano inge-stibili, e questa mamma nella sua semplicità, ma nella sua attenzione nei confronti di questi bambini, si era inventata questa strategia, per cui li an-dava a prendere a scuola – già questi faticavano a stare a scuola – e li teneva in balcone, fino alle sette di sera, alle otto di sera, alle nove di sera. [Questa] è l’estremizzazione del non aver colto la differenza […] culturale, e il non essersi sufficientemente soffermati sulle ragioni. Perché la stessa fotografia poteva essere trascuratezza eh. Cioè, una valutazione su un’altra famiglia poteva comportare il fatto che li metti lì e li lasci lì.

Anna, assistente sociale

Inoltre, malgrado significativi sforzi verso l’adozione di un approccio interculturale intrapresi nel contesto indagato, soprattutto da parte dei servizi educativi, frames cognitivi e strumenti delle professioniste dei ser-vizi rimangono basati principalmente su una prospettiva eurocentrica della famiglia, dell’infanzia e dei rapporti adulto-bambino, intesi in sen-so universalistico e neutrale in particolare nell’ambito dei servizi sen-

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assistenziali territoriali, come se tali visioni e strumenti fossero in sé un «antidoto» nei confronti di visioni stereotipate.

L’operatore che deve purificarsi e applicare […] la prassi, la teoria e la pratica del servizio.

Ada, assistente sociale

D’altra parte dalle interviste con i genitori migranti emergono le loro difficoltà di comunicazione (sui nidi d’infanzia cfr. anche il contributo di Bosisio e Santero in questo numero) che si accompagnano talvolta con il timore di essere valutati, categorizzati, giudicati come «cattivi ge-nitori», soprattutto da parte dei servizi sociali, per via delle differenze culturali e socio-economiche, o discriminati, anche se si tratta di posi-zioni minoritarie, come nello stralcio dell’intervista con Ramona:

C’era un bambino che gli toccava il culetto, il bambino me l’ha detto a me, e io sono andata dalla maestra a dirgli cosa è successo e il bimbo ha fatto vedere quale bambino e la maestra ha detto «ma anche lui è rumeno come voi», questo bimbo... Allora io, va beh è rumeno però dopo un po’ ho capito che quel bambino non era rumeno […]. E diciamo che un po’ mi sono sentita, se è rumeno allora vuol dire che il rumeno tocca... di-ciamo un po’ mi sono sentita... razzismo, didi-ciamo così. Nel senso che solo i bambini rumeni sono capaci a fare queste cose. Però sono brave, solo che quell’episodio, diciamo, non mi è piaciuto […], come se i ru-meni facessero delle cose diverse dagli altri bambini.

E poi glielo aveva chiesto?

Non ho più chiesto niente, [poi] non è più successo perché gli chiedo sempre se, non gli è più successo, perché dicono che gli hanno tenuto un bel discorso.

Ramona, Romania

Le difficoltà di comunicazione e di comprensione reciproca emergono dal seguente estratto di intervista con Chiara, educatrice presso un nido che si trova in un quartiere della città con alta incidenza di famiglie im-migrate, sia neo-arrivate sia seconde e terze generazioni, e famiglie miste:

Difficoltà di comunicazione e a volte proprio di comprensione della loro cultura da parte nostra e viceversa, nel senso che sono talmente diversi nella gestione ed educazione dei figli che a volte a noi sembra che alcuni bambini siano un po’ trascurati o che comunque non vengano seguiti nel modo corretto […]: tu spieghi molto, molto una cosa in tutti i modi

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e ti dicono di aver capito e poi fanno esattamente l’opposto. […] è un po’ frustrante devo dire la verità… nell’ultimo periodo perché da parte nostra c’è stato un grosso impegno di cambiamento e proprio rispetto anche ai giochi del nido, alla funzione sociale, educativa del nido e con loro questa cosa qua è proprio difficile… molto difficile… Non colgono assolutamente o pochissimo comunque.

Chiara, educatrice nido

Questi timori sembrano alla base della riluttanza a richiedere supporto da parte delle famiglie migranti e creare un rapporto di fiducia con le operatrici, in particolare assistenti sociali, come spiega Anna:

Molto spesso le famiglie diverse che si presentano ai servizi, e penso soprattutto al target degli arcobaleno e al target dei migranti, portano una rappresentazione di pregiudizio. E quindi spesso la difficoltà è quella di costruire una relazione con queste persone che invece permetta a que-ste persone il più possibile di considerare che quello è un ambito in cui cerchiamo per quanto riusciamo di trattare tutti allo stesso modo […], il fondamento del servizio sociale è che tu utilizzi i criteri scientifici e va-lidati, per fare valutazioni delle competenze genitoriali, per tutti uguali. Che sembra un paradosso ma non è un paradosso, perché la funzione genitoriale tu la devi verificare in relazione a quella famiglia, senza il pre-giudizio che c’hai davanti, due maschi, due femmine, un mussulmano e un cattolico…

Anna, assistente sociale

Mentre i genitori migranti intervistati, certamente «auto selezionati» dalla disponibilità a partecipare volontariamente alla ricerca, hanno co-munque espresso un riconoscimento del valore educativo e socializ-zante del nido per i bambini, come investimento per il futuro inseri-mento linguistico e sociale nel contesto italiano, le educatrici rilevano come talvolta sembri prevalere in alcuni dei genitori migranti una vi-sione del nido come servizio principalmente di conciliazione tra fami-glia e lavoro, in mancanza di una rete informale. Ma non tutti i genitori migranti sono uguali e in particolare le loro risorse educative possono fare la differenza nella capacità di stimolare i servizi a introdurre inno-vazioni, come spiega Brasov, infermiere e psico-terapeuta romeno:

Abbiamo provato a superarle [sott.: le difficoltà con gli insegnanti] anche sulla gestione del […] bilinguismo, no? Forse prima… quindi abbiamo

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provato a farli un po’ più attenti, a stimolarli, a vedere che quello non è un deficit ma che è un… qualcosa in più… […]. E li abbiamo… siamo riusciti a con… a stimolarli al punto che ci hanno chiesto per esempio degli elenchi di parole in, no?, tradotte, uhm, per poterli così utilizzarli. Brasov, Romania

Emerge anche dai dati raccolti dai questionari somministrati ai Centri per le famiglie l’importanza della collaborazione con altre agenzie del territorio per comprendersi e far dialogare le diverse rappresentazioni sull’infanzia, la genitorialità e i servizi.

Per quanto riguarda le coppie miste e le famiglie straniere, a volte, si presenta la difficoltà di comprendere il loro background culturale. In questo senso il partenariato con associazioni e con il privato sociale è una risorsa del centro: ad esempio X, associazione facente parte della rete del centro, ha un focus specifico sulle relazioni interculturali e, da qualche settimana, il centro collabora con l’associazione Y che si occupa di mediazione interculturale e consulenza psicologica soprattutto alle se-conde generazioni.

Centro per le famiglie n. 18

5. Conclusione

L’accesso al sostegno pubblico per le famiglie con bambini sembra es-sere particolarmente importante per le famiglie migranti e transnazio-nali, soprattutto quando, più spesso che nel caso delle famiglie «native», i genitori e i bambini non possono contare sul supporto informale, in particolare quello intergenerazionale-parentale. Tuttavia emergono esiti ineguali. Dal punto di vista delle famiglie migranti, in un contesto di maggiore precarizzazione del lavoro e caratterizzato dalla carenza di servizi e di investimenti sociali, i genitori migranti incontrano numerosi ostacoli aggiuntivi per accedere alle politiche familiari e nello specifico per riuscire a utilizzare i servizi per l’infanzia e per le famiglie. Questo comporta anche una maggiore vulnerabilità di queste famiglie, in primo luogo rispetto alle risorse da impiegare per la conciliazione tra famiglia e lavoro quando i bambini sono piccoli, ma anche rispetto alle perce-zioni e rappresentaperce-zioni legate alle definiperce-zioni da parte dei servizi di «buona genitorialità» o (non) adeguatezza delle famiglie migranti, che risultano condizionate da storia migratoria, posizione lavorativa, risorse

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socio-culturali e linguistiche delle famiglie. D’altro canto, le educatrici dei nidi e le assistenti sociali nei due ambiti di intervento considerati evidenziano diverse aree di criticità e sfide professionali, quali la com-plessità dei bisogni delle diverse forme famigliari dei bambini migranti, il necessario lavoro di rete con altre agenzie ed enti pubblici o privati per le famiglie del territorio e infine, ma non per importanza, le esigenze di tipo formativo. In termini di policy implications e in una prospettiva critica nei confronti dell’approccio dell’investimento sociale, questi risultati suggeriscono che investire in culture degli esperti sull’infanzia più inter-culturali e strumenti per ridurre gli effetti penalizzanti delle barriere strutturali (socio-economiche e istituzionali) nell’accesso ai servizi siano elementi cruciali per favorire non solo la conciliazione famiglia-lavoro e dunque partecipazione occupazionale e reddito di questi nuclei fami-gliari, ma anche inclusione, sostenibilità, fiducia e coesione sociale.

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