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CAPITOLO II IL MERCATO UNICO DIGITALE 2.1. Le nozioni di mercato comune e di mercato interno come antecedenti del mercato unico digitale.

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70 CAPITOLO II

IL MERCATO UNICO DIGITALE

2.1. Le nozioni di mercato comune e di mercato interno come antecedenti del mercato unico digitale.

Il mercato unico digitale ha il suo antecedente nel concetto di mercato comune introdotto dal Trattato di Roma nel 1958 e teso ad eliminare le barriere commerciali tra gli Stati membri, al fine di accrescere la loro prosperità economica e di contribuire a “un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. Si vuole cioè con questa nozione, eliminare ogni intralcio per gli scambi intercomunitari, al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il più possibile simile a un vero e proprio mercato interno, così da garantire vantaggi, oltre che ai commercianti di professione, anche ai privati che si trovino a intraprendere operazioni economiche oltre le frontiere nazionali. 89

Il mercato comune deve infatti comprendere la libera circolazione delle merci (ovvero l’unione doganale), delle

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Corte di giustizia, sentenza del 5 maggio 1981, Gaston Schul Douane-expediteur BV, Domanda di pronuncia pregiudiziale: Gerechtshof ’s-Hertogenbosch – Paesi Bassi. C – 15/81. Racc. 1982, 1409

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persone, dei servizi e dei capitali, ma anche politiche comuni in materia di trasporti, commercio, agricoltura, concorrenza, per assicurare l’integrazione economica.

Esso è stato realizzato tramite l’unione doganale del 1968, l’eliminazione dei contingenti, la libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori, oltre ad una certa armonizzazione fiscale ottenuta con l’introduzione generalizzata dell’IVA nel 1970.

Tuttavia, la persistenza di pratiche anticoncorrenziali imposte dalle autorità pubbliche, la scelta di un metodo che prevedeva un’armonizzazione legislativa troppo dettagliata e la norma che richiedeva l’unanimità per l’adozione delle decisioni da parte del Consiglio di Stato continuavano a limitare la liberalizzazione degli scambi, di merci e servizi e la libertà di stabilimento. 90

Secondo la Relazione “Cecchini”, un’indagine dal titolo “il costo della non Europa” voluta dalla Commissione, la mancata piena realizzazione del mercato comune avrebbe comportato notevoli perdite in termini economici, traducibili in una riduzione del PIL fra il 4,25% e il 6,5% :12 miliardi di Ecu all’anno per le formalità alle frontiere, 50 miliardi di Ecu

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Il mercato interno: principi generali in www.europarl.europa.eu.

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all’anno per la non armonizzazione di una serie di norme e regole tecniche nazionali applicabili a vari prodotti, 40 miliardi di Ecu all’anno per le prassi discriminanti dei pubblici poteri nazionali, le cui aggiudicazioni degli appalti pubblici spesso privilegiano imprese nazionali.91

Verso la metà degli anni ‘80 si aprì sull’argomento un dibattito politico a favore di un approccio più radicale che portò, con l’approvazione dell’Atto unico europeo entrato in vigore il 1 luglio 1987, all’introduzione della nozione di “mercato interno”. L’espressione, che ha sostituito quella di mercato comune nei Trattati, è contenuta nell’articolo 3 del TU ed è definita nel TFUE all’art. 26.2. In ciascuna di queste disposizioni l’Unione europea si prefigge di adottare le misure necessarie all’instaurazione o al funzionamento del mercato interno, cioè di riprodurre un mercato le cui condizioni siano assimilate a quelle di un mercato nazionale. I vari mercati nazionali debbono cioè fondersi in un mercato unico con le caratteristiche di un mercato interno, cioè di uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione

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E. ALLEGRINI, La progettazione formativa. Esperienze di progettazione finanziata, pp. 9-10.

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delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (art. 26, TFUE). 92

I contesti in cui si articola il mercato interno sono dunque tre: le merci, le persone economicamente attive (i lavoratori subordinati, i prestatori di un servizio in via occasionale o stabile), i capitali; ciascuno soggetto ai soli limiti giustificabili in funzione di un interesse pubblico.

Secondo la sentenza della Corte di giustizia del 30 novembre 1995 gebhard tale interesse è sussistente se i provvedimenti nazionali limitativi della libertà di circolazione soddisfano determinate condizioni, quali: l'applicazione non discriminatoria, la sussistenza di motivi imperiosi di carattere pubblico a loro giustificazione, l'idoneità a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e la limitazione del ricorso ad essi circoscritto a quanto è necessario per tale conseguimento. La nozione di mercato interno si differenzia da quella di mercato comune in quanto non mira ad un mero coordinamento dei mercati degli Stati membri, ma ad una vera e propria integrazione, nella quale si bilanciano una dimensione mercantile e una sociale.

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Corte di Giustizia, sentenza 9 febbraio 1982, Polydor linted verso records e Harlequin Record Shops Limited a Simon Records Limites, C-270/7, Racc. 1982, 330.

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Con la realizzazione del mercato interno l'Unione europea si prefigge infatti di garantire uno sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e su un elevato livello di tutela della qualità dell'ambiente. 93

Una tale integrazione implica l’eliminazione di tutte le barriere alla circolazione dei fattori di produzione, siano esse statali o private e si distingue in negativa e positiva.

Essa consiste, rispettivamente, nell'astenersi dall’adottare misure di ostacolo alla libera circolazione di beni, persone e capitali, nonché nel ridurre quanto più possibile i divari esistenti tra i paesi.

Sotto il profilo dell'integrazione negativa sono dunque da eliminare gli ostacoli classici come i dazi doganali e le quote per le merci, oltre alle misure discriminatorie. L'unione doganale di cui all'art. 28 TFUE, quale presupposto del mercato interno, presenta una dimensione interna ed una esterna a cui corrisponde, rispettivamente, il divieto fra gli Stati membri dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, nonché l'adozione di una tariffa

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DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, 2010, pp. 22-23

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doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. Quanto invece al divieto di misure discriminatorie, secondo il concetto di level-playing field tutti i produttori devono poter competere ad armi pari, cioè con un’unica disciplina per l’intero spazio economico comunitario e i consumatori devono poter beneficiare dell’accesso alle merci originarie da altri Stati membri, alle stesse condizioni con cui accedono ai prodotti o servizi interni.

Dal canto loro anche le imprese private devono astenersi dal porre in essere comportamenti lesivi della concorrenza, rispettando la normativa in materia che, assicurando la competitività delle imprese, contribuisce all’instaurazione a al mantenimento del mercato interno. 94

Sono dunque vietati gli accordi fra imprese responsabili, nel commercio interstatale, della scompartimentazione del mercato comune in mercati nazionali distinti.

La fase della cosiddetta integrazione negativa si è realizzata con un discreto successo nei primi anni dopo l’entrata in vigore del TCEE per poi incorrere in un certo stallo decisionale, che influenzò negativamente la realizzazione della fase dell’integrazione positiva.

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F. MARTINES, Il mercato interno dell’Unione europea, Sant’Arcangelo di Romagna (RN), 2014, pp. 4ss.

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Quest'ultima è resa possibile da misure che definiscono orientamenti e condizioni necessarie per garantire un progresso equilibrato nell'insieme dei settori considerati e da quelle relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri.

L'adozione delle prime è di competenza del consiglio che delibera su proposta della commissione, adottando misure differenziate che tengano conto, secondo i principi di necessità e proporzionalità, del differente grado di sviluppo delle diverse economie.

Più problematica è l'individuazione della competenza per l'adozione delle misure di armonizzazione normativa, per due ordini di ragioni:

in primis la non facile distinzione tra i provvedimenti che hanno per oggetto l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno (art. 114 TFUE) e quelli che hanno un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento di esso.

La confusione deriva dalla probabilità di poter considerare ad incidenza diretta tutte quelle misure la cui adozione è direttamente necessaria a consentire il buon funzionamento del mercato interno. L'altra difficoltà sta nello stabilire quali settori del mercato interno ricadono nella disciplina generale di cui

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all'art. 114 TFUE e quali in altre disposizioni specificamente dettate.

È ad esempio sottratta alla regola generale la libertà di circolazione delle persone, per la presenza di disposizioni ad hoc che individuano la specifica procedura normativa da utilizzare nei settori che riguardano i lavoratori subordinati e i prestatori di servizi in via occasionale o stabile.

La libertà di circolazione dei capitali e dei pagamenti è invece soggetta all'art. 114 TFUE, per l'assenza di disposizioni specifiche; così anche la libertà di circolazione delle merci, ad eccezione della materia relativa alla cooperazione doganale.

Ciò si deduce sia dall'assenza nell'intera parte del trattato di un regime normativo specifico, sia dal ricorso diffuso da parte delle istituzioni a misure di ravvicinamento fondate sull'art.95 ce, ora divenuto art. 114 TFUE. 95

A fondamento della necessità dell'integrazione positiva vi è la consapevolezza che la diversità delle regolamentazioni nazionali, pur se non discriminatorie, può ostacolare la libera circolazione. Una merce, infatti, è impossibilitata a circolare se non risponde alle caratteristiche richieste dallo Stato in cui viene commercializzata; allo stesso modo i servizi, così come un lavoratore dipendente o autonomo

95

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, 2010, pp. 23-24

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deve avere certe qualifiche per poter prestare determinate attività. L’armonizzazione delle legislazioni nazionali era prevista all’art. 100 del Trattato CEE per la realizzazione di quello che all’epoca era chiamato mercato comune.

Nella versione attuale di tale disposizione la competenza ad adottare le misure per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati che mirano ad instaurare il mercato interno è affidato al Parlamento europeo e al Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale. 96

Il processo di armonizzazione normativa fu rilanciato dalla Commissione Delors nel suo programma del 1985, dopo aver incontrato uno stallo a causa della norma che richiedeva l’unanimità in Consiglio per l’adozione delle relative direttive.

L'armonizzazione può essere massima o minima a seconda che gli spazi lasciati alla normazione nazionale siano molto ristretti o addirittura inesistenti o molto ampi. L’armonizzazione minima definisce i principi essenziali e vincola gli Stati ad accettare la disciplina di dettaglio degli altri Stati membri. Ognuno di questi deve cioè riconoscere le disposizioni tecniche

96

F. MARTINES, Il mercato interno dell’Unione europea, Sant’Arcangelo di Romagna (RN), 2014, pp. 5-6.

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e regolamentari applicate dagli altri Stati, a meno che i requisiti della merce, del servizio importato o le qualifiche personali del lavoratore non fossero tali da soddisfare gli obiettivi dello Stato importatore. 97

L'armonizzazione normativa ha il suo presupposto nel principio del riconoscimento reciproco elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e fatto proprio da gran parte delle decisioni quadro dell'Unione assunte a partire dal 1999 fino al trattato di Lisbona. Esso rappresenta una tecnica di coordinamento fra ordinamenti. Si tratta infatti dell'obbligo per le autorità degli Stati membri di dare ingresso alle decisioni giudiziarie delle omologhe autorità nazionali in modo pressoché automatico, non tanto per operare un collegamento fra compartimenti stagni, ma per costruire una struttura istituzionale che condivide principi, valori e impegni, dotata di proprie fonti del diritto con efficacia diversa, ma pur sempre vincolanti. Il principio del reciproco riconoscimento non può essere di immediata applicazione, poiché non si sostanzia in obblighi di tipo negativo, ma richiede norme di armonizzazione in ambito di diritto civile e penale, sia processuale che sostanziale.

97

F. MARTINES, Il mercato interno dell’Unione europea, Sant’Arcangelo di Romagna (RN), 2014, pp. 5-6.

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Sul piano penale processuale esso si concretizza con l'individuazione di norme e procedure che assicurino il riconoscimento in tutta l'Unione di qualsiasi tipo di decisione giudiziaria, la prevenzione dei conflitti di giurisdizione, la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri in relazione all'azione penale e all'esecuzione delle decisioni.

Quanto alla prevenzione dei conflitti di giurisdizione, la Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari dell'Unione e quella contro la corruzione individuano modalità di radicamento della giurisdizione in capo a questo o a quel giudice nazionale. La cooperazione giudiziaria penale è invece resa possibile sia facilitando le tradizionali modalità di essa, come l'estradizione, il riconoscimento delle sentenze penali, il trasferimento dei procedimenti; sia introducendone di nuove come l'obbligo di depositare presso il segretariato generale del consiglio la cosiddetta dichiarazione sulla buona prassi dell'assistenza giudiziaria in materia penale relativa alle modalità di esecuzione delle domande di assistenza giudiziaria. Un'altra modalità inedita di cooperazione giudiziaria penale, introdotta con la decisione quadro 2002/584, è il mandato di arresto europeo che prevede la consegna della persona fondata sul riconoscimento del provvedimento restrittivo della libertà personale adottato dall'autorità giudiziaria di un altro Stato

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membro. Il vantaggio di questo istituto rispetto all'estradizione è quello di evitare il vaglio di opportunità delle autorità politiche amministrative, pur mantenendo le garanzie giurisdizionali previste a tutela della persona di cui si richiede la consegna. Si tratta di un esempio di armonizzazione degli ordinamenti processuali nazionali quanto a modalità e contenuti della decisione del mandato di arresto, a modi e tempi dell'emissione della sua esecuzione, a garanzie a tutela della persona detenuta nel corso del procedimento, agli effetti della consegna. In quest'ottica la decisione quadro prevede di sottrarre al controllo sulla sussistenza della doppia incriminazione del fatto 32 condotte considerate più gravi, mentre prevede di sottoporvi tutte le altre e quei reati con pena o misura privativa della libertà stabilita dall'ordinamento nazionale di emissione del mandato inferiore a tre anni. Il rispetto delle garanzie per la persona è invece subordinato alla sussistenza di alcuni requisiti formali quali la verifica sul non intervento dell'amnistia, il rispetto del principio del ne bis idem, la maggiore età del responsabile dei fatti all'origine del mandato di arresto. La mancanza di tali requisiti determina l'obbligo di rifiuto del trasferimento.

Un contributo determinante all'armonizzazione del diritto penale sostanziale è stato dato dal Trattato di Lisbona che ha

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operato un ampliamento delle forme di criminalità in relazione alle quali l'unione può esercitare poteri normativi. Ciò ha il suo presupposto giuridico nel riferimento all'adozione di norme minime che evoca sia la tecnica dell'armonizzazione delle legislazioni nazionali, sia la ricerca dell'uniformità di queste, ma anche attraverso la sostituzione della nozione di criminalità organizzata con quella di sfere di criminalità particolarmente grave dotate di una dimensione transnazionale. L'Unione è intervenuta normativamente in materia di protezione degli interessi finanziari, di lotta contro la corruzione, di terrorismo, di lotta alla tossicodipendenza, di tratta degli esseri umani. In particolare il regolamento del consiglio 2988/95 ha previsto gli elementi costitutivi della condotta di frode pregiudizievole per il bilancio comunitario, sia sul fronte delle entrate che delle spese; ha posto a carico degli Stati l'obbligo di prevedere sanzioni penali proporzionate e dissuasive di natura detentiva, per il caso di frodi gravi, di natura amministrativa per le frodi di lieve entità. La convenzione generale sulla lotta contro la corruzione invece, obbliga gli Stati contraenti a prevedere come reato all'interno della propria legislazione le condotte di corruzione dei funzionari e degli agenti delle comunità, dei parlamentari europei, dei componenti delle altre istituzioni, nonché dei funzionari dei paesi membri. Quanto alle condotte di terrorismo, significativa è la decisione quadro 2008/919 del

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consiglio, che ha armonizzato la definizione di reato di terrorismo, individuando un elemento soggettivo ed uno oggettivo:

l'uno consiste nell'animo di spargere terrore fra la popolazione costringendo un governo o una organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compire un qualsiasi atto ovvero distruggendo le strutture economiche sociali e politiche o costituzionali di essi; l'altro consiste nel compiere una delle condotte stabilite come gravi, come la cattura di ostaggi, l'estorsione, la fabbricazione di armi...

Il Trattato di Amsterdam ha ricondotto la materia della lotta alla tossicodipendenza dal punto di vista sanitario alla competenza comunitaria; poi con una serie di decisioni quadro si è definita la nozione di droga, di comportamenti penalmente rilevanti, la responsabilità delle persone giuridiche e le sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. Altra materia su cui l'Unione è intervenuta a scopo di armonizzazione normativa è la tratta di esseri umani ai fini di sfruttamento di manodopera o sessuale. La fattispecie criminosa è stata definita dalla decisione quadro 2002/629 come qualsiasi forma di reclutamento, trasporto, trasferimento o accoglienza di persona i cui diritti fondamentali sono conculcati, anche quando vi sia il consenso della vittima,

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se questo è accompagnato da frode, abuso di autorità, influenza, pressione. 98

Quanto all'armonizzazione del diritto civile, significativo è l'art. 81 TFUE così come integrato dal Trattato di Lisbona: l'uno conferisce all'Unione il compito di stabilire misure nel settore della cooperazione giudiziaria, allo scopo di ravvicinare alcuni settori specifici del diritto contrattuale trasnazionale; l'altro include nella cooperazione l'adozione di misure intese ad avvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. La competenza normativa dell'Unione è subordinata a dei presupposti come il nesso di funzionalità tra l'atto normativo e la realizzazione di uno spazio aereo di libertà, sicurezza e giustizia e la dimensione trasnazionale della situazione.

Essa è esercitata dal parlamento europeo e dal consiglio tramite la procedura legislativa ordinaria, ad eccezione della materia del diritto di famiglia che richiede l'unanimità.

Per quanto riguarda il diritto civile sostanziale, l'armonizzazione dei sistemi è stata perseguita negli anni con direttive per fattispecie contrattuali specifiche, che hanno introdotto nuove forme di tutela circa l'effettiva consapevolezza

98

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, 2010, pp. 16 ss

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del consumatore, norme sulla previsione di specifici obblighi formali e sul ricorso ad un nuovo formalismo negoziale.

La Commissione europea ha inoltre esercitato la competenza in materia di conflitti di legge nel campo del diritto societario e dei contatti di assicurazione, di lavoro, di agenzia e di trasferimento dei dati personali, ovvero conclusi con i consumatori. Esemplificativa al riguardo è la convenzione di Roma del 18 giugno del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

Sul piano del diritto processuale civile si hanno numerosi esempi di armonizzazione normativa come il regolamento 44/2001 che determina la competenza dei giudici di uno Stato membro sulla base del criterio di collegamento costituito dal domicilio del convenuto; stabilisce altresì il riconoscimento automatico e l'esecutività delle sentenze in virtù di una dichiarazione di esecutività da parte del Giudice nazionale, su istanza della parte interessata.

Il regolamento 1346/2000 prevede, nel caso che al procedimento principale si affianchino procedure secondarie, l'automatico riconoscimento della decisione del Giudice competente nel procedimento principale in ogni altro Stato membro, in accoglimento del principio dell'universalità della procedura. In materia di diritto di famiglia, il regolamento

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4/2009 si prefigge di armonizzare le procedure di esecuzione delle sentenze emesse nei diversi Stati membri dell'Unione in materia di obbligazioni alimentari, di conflitti di legge e di giurisdizione; mentre il regolamento Bruxelles II bis, con riferimento alle decisioni sulla responsabilità genitoriale, applica il principio della competenza del Giudice del luogo di

residenza abituale del minore.

Su queste premesse era stata fissata la realizzazione del mercato interno nel 31 dicembre 1992.

A tale scadenza il 90% degli atti legislativi previsti nel Libro bianco del 1985, era stato adottato, con l’effetto di aver contribuito in modo notevole alla prosperità e all’integrazione economica europea:

dall’incremento degli scambi all’interno dell’UE di circa il 15% l’anno per dieci anni, all’aumento della produttività, alla riduzione dei costi grazie all’abolizione delle formalità doganali, all’armonizzazione e al riconoscimento reciproco delle norme tecniche, all’abbassamento dei prezzi determinato dalla concorrenza, all’aumento dei posti di lavoro.

È nella prospettiva sopra descritta, volta a garantire una libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, quale che sia la cittadinanza, nazionalità e residenza che si colloca la strategia del mercato unico digitale.

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2.2.La libera circolazione delle merci come principio-presupposto del mercato unico digitale.

La progressiva costituzione del mercato interno prende le mosse dal riconoscimento della libertà di circolazione delle merci, che ha poi condizionato quella delle persone, dei servizi e dei capitali. 99

Non a caso, secondo la definizione fornita dall'art. 26, TFUE, con tale nozione si indica uno spazio senza frontiere nel quale sono assicurate le quattro diverse libertà economiche di circolazione, limitabili solo in presenza di precise condizioni. Come stabilito infatti dalla sentenza della Corte di giustizia del 30 novembre 1995 ghebhard, i soli provvedimenti nazionali che possono ostacolare l'esercizio di tali libertà fondamentali sono quelli giustificabili da motivi imperiosi di carattere pubblico, idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, tali da non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo e purché applicati in modo non discriminatorio.

La disciplina della libertà di circolazione delle merci si articola nel TFUE in tre principali gruppi di norme che si occupano,

99

L.DANIELE, Diritto del mercato unico europeo, Milano, 2012.

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rispettivamente, degli ambiti di applicazione della disciplina sulla libera circolazione delle merci (artt. 28 e 29), delle regole in tema di unione doganale (artt. 30, 31, 32 da integrarsi con l'art. 110 che pone obblighi complementari diretti a vietare imposizioni fiscali), dei divieti di restrizioni quantitative tra Stati membri. 100

Quanto all'ambito di applicazione, la nozione di merce è stata fornita dalla Corte di giustizia, non essendo contenuta nel TFUE. Si tratta, secondo la sentenza del 10 dicembre 1968, di tutti quei beni suscettibili di valutazione pecuniaria che li rende idonei allo scambio commerciale.101

Il carattere ampio di una tale definizione consente di ricomprendervi gli oggetti d'interesse artistico, storico, archeologico o etnologico, i rifiuti, inclusi quelli non riciclabili,102

le risorse naturali come il gas e l'elettricità 103

, i prodotti agricoli per determinazione dell'art. 38.2 del TFUE. 104

100

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, pp.13.

101

Corte di Giustizia, sentenza del 10 dicembre 1968, Commissione contro Italia, C-7/68, Racc. 1968, 562.

102

Corte di giustizia, sentenza del 2 luglio 1992, Commissione contro Belgio. C-2/90, Racc. 1992, I-4471.

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Non sono invece ricompresi nella sfera di applicazione le monete aventi corso legale e i prodotti che riguardano la sicurezza in senso stretto (come il materiale bellico), in quanto gli Stati membri possono limitare il loro commercio per motivi di sicurezza. Per quanto riguarda l'ambito di applicazione circa l'origine delle merci, esso comprende sia i prodotti originari degli Stati membri che quelli provenienti da Stati terzi e importati nella CE in osservanza delle pertinenti disposizioni; per quanto riguarda il profilo soggettivo la disciplina ha come destinatari gli Stati membri (compresi gli altri territori come i dipartimenti francesi d'oltremare, le Azzorre e le Canarie), cui impone una serie di obblighi circa la liberalizzazione degli scambi, mentre non ricomprende i singoli che possono solo beneficiare dell'effetto diretto eventualmente prodotto negli ordinamenti nazionali da alcune norme comunitarie.105

La libera circolazione delle merci fra gli Stati membri è assicurata sia dall'unione doganale che dalle regole che impongono il divieto di restrizioni quantitative o di misure di

103

Commissione c. Francia, sentenza del 23 ottobre 1997, C- 159/94.

104

Commissione c. Belgio, sentenza, causa C-92/90.

105

F. MARTINES, Il mercato interno dell'Unione europea, Sant'Arcangelo di Romagna (RN), 2014, pp. 7-8.

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effetto equivalente alle restrizioni quantitative. Lo scopo di entrambi gli obblighi è quello di vietare ogni misura che possa restringere gli scambi tra gli Stati membri o creare discriminazioni tra commercio interno di uno Stato membro e commercio intra-comunitario. 106

In particolare l'unione doganale comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione, inclusi quelli di carattere fiscale e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, oltre all'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i terzi. 107

Come precisato dall'art. 32, TFUE si vuole in questo modo promuovere gli scambi commerciali fra gli Stati membri e i paesi terzi e contribuire all'evoluzione delle condizioni di concorrenza all'interno dell'Unione e alla necessità di approvvigionamento dell'Unione in materie prime e prodotti semilavorati.

L'unione doganale è materia di competenza esclusiva dell'Unione e precisamente del Consiglio che agisce su

106

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p.4.

107

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, Milano, 2010, p. 24.

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proposta della Commissione, sia determinando i dazi della tariffa doganale, ossia quegli oneri riscossi da uno Stato membro per il passaggio di merce attraverso una frontiera intercomunitaria (art. 31 TFUE), sia concludendo accordi commerciali e tariffari relativi agli scambi di merci e servizi. Mediante il regolamento, il Consiglio ha adottato una tariffa doganale comune e una nomenclatura combinata. Quest'ultima è un sistema di classificazione e codificazione delle merci oggetto di scambio internazionale e comprende migliaia di voci contraddistinte da un codice numerico di 8 cifre. Di queste le prime 6 rappresentano il codice della merce e le ultime due identificano le sottovoci.

Per ogni voce e sottovoce della nomenclatura sono determinati un dazio autonomo, la cui quota è definita autonomamente dalla Comunità e un dazio convenzionale, la cui quota è determinata in base ad accordi internazionali che vincolano la CE. In base agli atti del Consiglio o della Commissione, nomenclatura e dazi vengono adeguati ai mutamenti della politica commerciale CE.

Ogni anno la Commissione fornisce un quadro aggiornato della nomenclatura e delle aliquote, compiendo una sistemazione organica e adottando un regolamento; inoltre pubblica una

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tariffa integrata della Comunità europea (TARIC) per integrare tutti gli atti in materia doganale. 108

Essa consiste in una comunicazione che si basa sulla nomenclatura combinata e riprende le aliquote dovute secondo i provvedimenti di politica commerciale di cui sopra.

L'applicazione della tariffa doganale esterna comune è regolata, oltre che dalle norme relative alla classificazione delle merci, da quelle che riguardano il calcolo del valore in dogana e l'origine delle merci. Per valore in dogana delle merci si intende quello ad esse attribuito al momento dell'importazione/esportazione. Per la sua determinazione si tiene conto del prezzo effettivamente pagato per le merci, aumentato delle spese di mediazione, trasporto, imballaggio e assicurazione.

Se invece il valore non può essere determinato sul prezzo effettivo sono previsti criteri sussidiari come il valore di merci similari o l'uso di criteri ragionevoli. Spesso il dazio corrisponde ad una percentuale di questo valore; in altri casi si calcola sulla base di unità di misura della merce.

108

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p.p. 20 ss.

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I dazi applicati all'importazione possono variare a seconda dell'origine della merce, determinare la quale non è così semplice quando il bene in questione è il risultato di un processo produttivo differenziato in diverse fasi che si svolgono in paesi diversi o quando, pur essendo il bene prodotto in un unico paese, si sono utilizzate componenti che sono originarie di altri paesi.

Gli Stati utilizzano criteri diversi, la cui ratio comune è l'idea che un prodotto è originario di un certo paese se presenta un apporto sostanziale dell'economia di quel paese, cioè se è stato completamente prodotto o ha subito l'ultima sostanziale trasformazione in esso. 109

Il codice doganale dell'UE, oltre a definire il territorio doganale di ogni Stato membro, stabilisce dei criteri differenziati per definire l'origine delle merci, a seconda che allo Stato di provenienza si applichi o meno un regime tariffario preferenziale. Nel primo caso si rinvia agli accordi presi dalla comunità con tali Stati; nel secondo caso si applica la regola per cui le merci sono originarie del paese in cui sono state interamente prodotte o, se prodotte con il contributo di più

109

F. MARTINES, Il mercato interno dell'Unione europea, Sant'Arcangelo di Romagna (RN), 2014, p. 3.

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Stati, si considerano originarie dello Stato in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o la lavorazione sostanziale.

La libera circolazione delle merci tra Stati membri è assicurata sia dall'unione doganale che dalle regole che impongono il divieto di restrizioni quantitative sia all'importazione che all'esportazione o di misure di effetto equivalente alle restrizioni stesse. Le prime sono misure volte a provocare una preclusione totale o parziale agli scambi inter-comunitari di merci (artt. 34-35 TFUE).

Con il relativo divieto si vuole evitare che uno Stato membro possa determinare la quantità massima importabile o esportabile di un bene sul proprio territorio, così da controllare gli scambi ostacolando la libera circolazione delle merci. La nozione di misure di effetto equivalente è stata introdotta con la formula Dassonville contenuta nella sentenza della Corte di giustizia europea 8 febbraio 1974, che la identifica con ogni normativa commerciale degli Stati membri idonea ad ostacolare direttamente o indirettamente gli scambi intracomunitari. L'esigenza di riferire il divieto di restrizioni quantitative anche alle misure ad effetto equivalente si giustifica con la mancanza di una completa armonizzazione delle normative degli Stati membri relative alle modalità di produzione, alle caratteristiche

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dei prodotti, alla loro composizione, presentazione, nonché alle modalità di vendita degli stessi.

Le misure di effetto equivalente sono riconducibili a tre gruppi:

le restrizioni formali applicabili ai soli prodotti importati da altri Stati membri, riguardanti le modalità di fabbricazione, di importazione, di trasporto, di vendita; le restrizioni materiali, formalmente applicabili sia ai prodotti nazionali che a quelli importati ma di fatto gravanti solo o soprattutto su questi ultimi; le misure non discriminatorie o indistintamente applicabili a tutti i prodotti nazionali ed importati. In via esemplificativa, sono vietati i provvedimenti che stabiliscono i prezzi massimi, indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati; tra quelli applicati in modo distinto ai prodotti nazionali e ai prodotti importati e esportati, sono altrettanto vietati i provvedimenti che impongono autorizzazioni per le importazioni e esportazioni o che richiedono certificati attestanti la qualità dei prodotti importati o che impongono prezzi diversi ai prodotti nazionali e a quelli importati.

Sono altresì vietate le misure che stabiliscono prezzi minimi ad un livello così elevato da neutralizzare il vantaggio concorrenziale posseduto dalle merci importate per il loro prezzo inferiore, o quelle che stabiliscono un prezzo massimo

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ad un livello talmente basso da portare alla vendita in perdita dei prodotti importati, in quanto incapace di coprire i costi di importazione. 110

Un'esemplificazione delle principali misure di effetto equivalente è contenuta nella direttiva 70/50 della commissione, che ha anche specificato come il divieto di discriminazione relativa alle prescrizioni sulla forma, dimensioni, peso, composizione, imposto dal divieto di misure di effetto equivalente, riguardi anche la fase della commercializzazione, quando tali prescrizioni eccedano il contesto degli effetti propri di una regolamentazione commerciale.

La giurisprudenza della Corte di giustizia ha modificato nel tempo la nozione di misure di effetto equivalente. Nella fase antecedente alla pronuncia sul caso Cassis de Dijion, vigeva il principio del paese di destinazione, per cui alle merci prodotte in uno Stato membro ed esportate in un altro Stato membro, veniva garantita la parità di trattamento con le merci del paese di destinazione conformemente al principio di non discriminazione. Di conseguenza, non erano considerate misure di effetto equivalente le regole tecniche nazionali che

110

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p.p. 27 ss.

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stabiliscono la composizione o le caratteristiche dei prodotti. Con la sentenza “cassis de dijon” al principio del paese di destinazione è subentrato quello del mutuo riconoscimento, ovvero del paese d'origine. Con essa la Corte si è pronunciata sulla commercializzazione del liquore francese cassis in Germania. La questione giuridica da affrontare riguardava la conformità alle norme del trattato dell'imposizione, da parte del governo tedesco-federale, di una gradazione alcolica minima dei liquori posti in vendita; il che non permetteva la vendita del liquore francese avente una gradazione inferiore al minimo previsto.

La Corte rilevò che un tale divieto costituiva una misura di effetto equivalente, trattandosi di un ostacolo alla libera circolazione delle merci che deriva dall'assoggettamento delle merci provenienti da altri Stati membri, in cui siano state legalmente fabbricate e immesse in commercio, a norme dello Stato di destinazione, anche se indistintamente applicabili a tutti i prodotti, che dettano i requisiti ai quali le stesse devono rispondere. 111

111

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, Milano, 2010, p.p. 26-27.

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Il principio del mutuo riconoscimento introduceva così l'obbligo per lo Stato membro di ammettere nel proprio territorio le merci provenienti da altro Stato membro, a condizione che queste fossero state prodotte e commercializzate secondo le norme tecniche vigenti nello Stato di provenienza.

In questo caso, se lo Stato membro applicasse a tali merci la propria disciplina tecnica, ostacolerebbe gli scambi e ciò costituirebbe una misura di effetto equivalente. Tali ostacoli sono invece legittimi solo se rispondono a finalità di interesse generale prevalenti sulle esigenze della libera circolazione delle merci; si pensi in via esemplificativa alle esigenze imperative attinenti all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà nei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori.

La Corte ha successivamente stabilito la necessità che la normativa tecnica sia indistintamente applicabile e proporzionata all'obiettivo perseguito e che nella materia regolata non sia stata adottata una disciplina comunitaria di armonizzazione. 112

112

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p. 34.

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Il ruolo di questa sentenza è fondamentale nell'evoluzione del diritto comunitario, perché ha esteso la tutela ad ambiti in origine non ricompresi nel trattato istitutivo, come ad esempio la protezione dei consumatori.

La giurisprudenza successiva ha ulteriormente precisato la categoria delle misure ad effetto equivalente, escludendovi le normative statali che limitano o vietano talune modalità di vendita indistintamente applicabili, in quanto al massimo si potrà avere una contrazione eventuale delle vendite, ma non più di quanto possano risultarne ostacolati i prodotti nazionali e non un ostacolo agli scambi. Per questo stesso motivo non sono da considerarsi misure ad effetto equivalente, le normative nazionali che dettano prescrizioni relative ai luoghi e agli orari di vendita, come anche quelle che vietano la pubblicità televisiva nel settore della distribuzione; quest'ultime in quanto non mirano a disciplinare gli scambi tra gli Stati membri, né pregiudicano la possibilità per i distributori di usare altre forme di pubblicità.

Così ha disposto la sentenza Keck e Mithouard pronunciandosi sul divieto di vendere merci sottocosto. Essa ha, pur riconfermando la giurisprudenza cassis de dijon, ridefinito i confini dell'art. 34 TFUE e ristretto l'interpretazione della giurisprudenza dassonville, che aveva dato luogo in precedenza

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100

ad una serie di pronunce in materia di modalità di vendita in senso opposto.

Tuttavia il confine tra le normative nazionali relative alle caratteristiche dei prodotti e quelle inerenti alle modalità di vendita non è sempre così netto.

Il discrimine sta nel punto del processo produttivo in cui va ad incidere la regola nazionale, per cui ad esempio è da considerarsi misura ad effetto equivalente quella che, pur disciplinando alcuni aspetti della messa in vendita dei prodotti, richiede una modifica degli stessi.

Si pensi, in via esemplificativa, alla normativa spagnola sui requisiti riguardanti l'etichettatura e il confezionamento dei prodotti di cacao e di cioccolato contenenti sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao, che appunto rappresenta una misura di effetto equivalente.

Il principio del mutuo riconoscimento, se da un lato elimina degli ostacoli alla libera circolazione della merce, dall'altro potrebbe accentuare le divergenze con le norme nazionali tecniche dei vari paesi in temi importanti quali la salute pubblica e la sicurezza, che invece richiederebbero una normativa comune. Per tale motivo la Commissione europea ha provveduto e provvede all'armonizzazione delle legislazioni nazionali (artt. 114 e 115 TFUE), affidando l'elaborazione delle

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101

regole tecniche a specifici organi europei che si configurano come enti privati, creati come associazioni degli enti nazionali rappresentativi dei vari interessi del mondo produttivo.

Se il prodotto è fabbricato secondo tali norme europee armonizzate, è ritenuto conforme ai requisiti essenziali stabiliti dalla normativa comunitaria tramite direttiva. In caso contrario, è onere del fabbricante dimostrare la conformità dei suoi prodotti ai requisiti stabiliti dalla direttiva, tramite un attestato rilasciato da un organismo competente designato da ogni Stato e notificato alla commissione e agli altri Stati membri, con riferimento ad un esemplare della sua produzione.

Una tale conformità è attestata con l'apposizione al prodotto di una marcatura contenente il simbolo CE e quello che identifica l'organismo di certificazione.

Altro rischio collegato al principio del mutuo riconoscimento è quello di provocare discriminazioni a rovescio. Per effetto della sua applicazione infatti, i prodotti di uno Stato membro potrebbero subire un trattamento meno favorevole rispetto alle merci provenienti da altri Stati membri, qualora la legislazione dello Stato in questione prevedesse restrizioni applicabili unicamente alle merci di produzione nazionale. La soluzione è rimessa ai giudici nazionali, come ad esempio nel caso “pasta” su cui si è pronunciata la Corte costituzionale italiana.

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Quest’ultima in assenza di una regolamentazione uniforme in ambito comunitario, richiamando i principi di eguaglianza e di libera iniziativa economica, ha impedito che le imprese nazionali fossero gravate da oneri, vincoli, divieti che il legislatore non potrebbe imporre alla produzione comunitaria. Le decisioni più recenti della Corte di giustizia sono invece orientate a ricomprendere nell’ambito comunitario anche le ipotesi di discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali, almeno nei casi di potenziale pregiudizio agli scambi tra gli Stati membri. Si pensi alla causa carbonati apuani riguardante una tassa comunale applicata sui marmi estratti nel territorio del comune di Carrara, a seguito del loro trasporto al di fuori di tale parte del territorio italiano e quindi relativa all’esportazione di merci.

Per la Corte un tale tributo costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione, malgrado essa gravi anche sulle merci la cui destinazione finale si trova all’interno dello Stato interessato; ciò perché l’assenza di tasse con le caratteristiche di un dazio doganale o di una tassa di effetto equivalente, siano esse tra gli Stati o all’interno degli

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Stati, costituisce un presupposto indispensabile alla realizzazione di un’unione doganale. 113

Il divieto di restrizioni quantitative e delle misure equivalenti è però soggetto a delle deroghe, come disposto dall’art. 36 TFUE, che giustifica l’adozione di provvedimenti restrittivi all’importazione, all’esportazione o al transito, se ritenuti necessari per la tutela degli interessi tassativamente previsti dalla norma. Si tratta di eccezioni alla libera circolazione delle merci come ad esempio la moralità pubblica, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita, la protezione del patrimonio artistico archeologico, della proprietà industriale e commerciale.

Ciascuna di queste misure è giustificata se risponde a determinati criteri. Deve cioè trattarsi di deroghe circoscritte ai motivi tassativamente indicati all’art. 36 TFUE e dunque riferibili ai soli provvedimenti di natura non economica, oltre che ai soli obblighi stabiliti dagli artt. 34 e 35, per cui non sono giustificate quelle al divieto di dazi doganali e di misure ad essi equivalenti; non devono prevedere discriminazioni arbitrarie e restrizioni dissimulate al commercio tra gli Stati membri;

113

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, Milano, 2010, p.29.

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devono essere adeguate e proporzionate allo scopo perseguito, cioè questo non deve poter essere perseguibile con misure meno restrittive per gli scambi intercomunitari; devono essere oggettivamente giustificate, cioè imposte per soddisfare un’esigenza realmente necessaria. 114

È stata ad esempio considerata legittima, perché posta a tutela della salute pubblica, una normativa nazionale che vieta la vendita delle lenti a contatto e dei prodotti collaterali in stabilimenti commerciali, che non siano diretti o gestiti da persone che soddisfino alle condizioni necessarie per l’esercizio della professione di ottico. Altrettanto giustificata, secondo la Corte di giustizia, è la normativa nazionale che subordina l’uso della denominazione di origine protetta “prosciutto di Parma” del prosciutto commercializzato a fette, alla condizione che le operazioni di accertamento e confezionamento siano effettuate nella zona di produzione. Si tratta di una misura posta a tutela della denominazione di origine protetta a beneficio dei consumatori, giustificata perché rispondente ai requisiti di cui all’art. 36, TFUE, cioè necessaria per l’obiettivo perseguito, nel senso che non esistono misure

114

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p.40.

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alternative meno restrittive ugualmente idonee al conseguimento dello scopo. 115

Numerose questioni interpretative si pongono per ciascuno dei motivi enunciati all’art. 36, TFUE, come la moralità pubblica, la tutela della salute di persone o animali o di preservazione di vegetali e la tutela della proprietà industriale e commerciale. Nel primo caso la giurisprudenza comunitaria ha stabilito che uno Stato può porre il divieto di importare alcune merci ritenute oscene, solo se in esso non esiste un commercio interno lecito delle stesse; nel secondo caso essa ha vietato di invocare il motivo di tutela della salute di persone o animali o di preservazione di vegetali per vietare l’importazione di un prodotto, che abbia un valore nutritivo minore di altri prodotti in commercio nello Stato, escludendo che ciò possa costituire un reale pericolo per la salute.

In materia di tutela della proprietà industriale e commerciale, i titolari dei diritti di brevetto e marchio possono pretendere che venga vietata nel loro Stato l’importazione di prodotti aventi marchio identico o confondibile, purché tale restrizione sia

115

DRAETTA, PARISI, Elementi di diritto dell'Unione Europea, Parte speciale. Il diritto sostanziale, Milano, 2010, p. 28.

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indispensabile a raggiungere lo scopo di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà. Così disponendo la Corte ha conciliato la libera circolazione delle merci con la tutela della proprietà di beni immateriali. L’art. 36 ha sollevato un’altra questione interpretativa, perché sembrerebbe crearsi una sovrapposizione tra i motivi di deroga di cui all’art. 36 e le esigenze imperative contemplate in deroga al principio del mutuo riconoscimento.

La sovrapposizione è solo apparente, essendo diversa la sfera di applicazione degli uni e delle altre. Infatti le esigenze imperative possono essere invocate solo per misure applicate indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli importati e possono riferirsi anche a motivi non compresi nell’art. 36 TFUE, mentre i motivi di cui all’art. 36 TFUE sono applicabili anche ad una misura che riguardi solo le importazioni. Quindi la sovrapposizione può operare solo su una misura applicabile indistintamente ai prodotti nazionali e alle importazioni, giustificata da un motivo contemplato sia dall’art. 36 che dalle esigenze imperative. 116

116

G. STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, parte speciale. Il diritto sostanziale, 2015, Milano, p.40.

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2.3. La strategia del mercato unico digitale.

Uno dei punti dell’Agenda digitale prevede la confluenza dei mercati digitali in un unico mercato online, così da rendere l’economia digitale europea più competitiva, superando il ritardo dell’UE nel mercato dei servizi dei media, nell’accesso da parte dei consumatori e nella creazione dei posti di lavoro. Il superamento delle divisioni nazionali presuppone la creazione di aziende digitali in Europa che possano fornire servizi accessibili per i cittadini; l’approvazione di una regolamentazione comune delle transazioni commerciali on line; il raggiungimento di un maggior livello di sicurezza nei business online; lo sviluppo di un mercato unico europeo dei servizi delle comunicazioni elettroniche che assicuri un unico sistema di concessione delle licenze.

Le enormi possibilità di innovazione, crescita e occupazione dell’economia digitale e al contempo la trasformazione già in atto della vita personale e professionale per effetto del suo pervadere un sempre maggior numero di settori della nostra società, ha indotto la Commissione europea ad elaborare una strategia per la realizzazione di un tale mercato.

Si tratta di un piano dell’UE che mira a tale obiettivo, così da garantire ai cittadini di fare acquisti on line oltre frontiera e alle

(39)

108

imprese di vendere in tutta l’UE, in qualsiasi parte del suo territorio si trovino.117

Con la Comunicazione del 6.5.2015 al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e europeo e al Comitato delle regioni, sono stati individuati tre principali obiettivi della strategia per la realizzazione di un mercato unico digitale, con la programmazione dei relativi interventi:

“Un migliore accesso online ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e le imprese”; la creazione di “un contesto favorevole affinché le reti e i servizi digitali - si possano- sviluppare; la massimizzazione del “potenziale di crescita dell’economia digitale”. 118

Ad ostacolare il primo obiettivo interviene la mancanza di una normativa comune, chiara e semplice, che regolamenti il commercio elettronico transfrontaliero, così da incoraggiare le imprese a vendere e i consumatori ad acquistare online. Ad oggi, infatti, le norme dell’UE stabiliscono un’armonizzazione minima tra le discipline degli Stati membri, che rimangono così liberi di adottare discrezionalmente disposizione più rigorose.

117

Mercato unico digitale in Europa in www.consilium.europa.eu.

118

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e europeo e al Comitato delle regioni, Bruxelles, 6.5.2015.

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Altrettanto ostativo è il costo eccessivo dei servizi di consegna transfrontalieri e la loro inefficienza dovuta anche alla mancanza di interoperabilità tra i diversi operatori. Nell’ottica di superare il primo ostacolo la Commissione si è prefissa di presentare entro il 2015 una proposta legislativa modificata che permetta ai venditori di basarsi sulla normativa del proprio paese, fatto salvo un insieme mirato di diritti contrattuali obbligatori stabiliti dall’UE per la vendita online nazionale e transfrontaliera di beni materiali; oltre ad una proposta di revisione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori che sviluppi le competenze delle autorità di esecuzione e ne renda più efficace il coordinamento nel monitoraggio del mercato, così da facilitare il rilevamento delle infrazioni.

A completamento di questo intervento è prevista l’istituzione nel 2016 di un’unica piattaforma di risoluzione delle controversie online. Questa è stata attivata il 15 Febbraio 2016(c.d.ODR) e consente ai consumatori e agli operatori commerciali dell’Unione europea l’accesso alla procedura stragiudiziale per le vertenze derivanti da acquisti effettuati online nel proprio Paese o all’estero.

Esse vengono inoltrate agli organismi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) collegati alla piattaforma e

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110

selezionati dalle autorità nazionali competenti, sulla base dei criteri indicati all’art.20, paragrafo II della Direttiva 2013/11/UE.

Si tratta di un sito web interattivo dall’accesso gratuito, multilingue e di facile utilizzo, anche perché scevro da tecnicismi, così da consentire a chiunque, anche se non in possesso di conoscenze tecniche, di gestire in autonomia la procedura.

La procedura che si attiva accedendo alla Piattaforma si articola in due fasi distinte, di cui la prima è preliminare all’instaurazione della procedura vera e propria ed è gestita dalla Piattaforma stessa;la seconda, eventuale e dipendente dall’esito della prima, è gestita dagli organismi ADR designati dalle parti di comune accordo.

Dal momento dell’instaurazione fino alla sua conclusione, la sequenza temporale della procedura ricomprende:

la presentazione e l’invio del reclamo; la designazione dell’organismo di risoluzione della controversia-fasi queste, entrambe gestite dalla Piattaforma-; la trattazione della controversia da parte dell’organismo, gestita dall’organismo ADR eventualmente designato.

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111

Quanto all’ostacolo dei prezzi elevati e dell’inefficienza del processo di consegna dei pacchi, la Commissione si è prefissa, valutati i risultati di un esercizio di autoregolamentazione di settore sulla qualità anche in termini di rapidità di consegna, di proporre misure che migliorino la trasparenza dei prezzi delle consegne in Europa e assicurino una maggiore sorveglianza sul loro corretto funzionamento attraverso le frontiere. Il terzo ostacolo allo sviluppo del commercio elettronico transfrontaliero è rappresentato dal così detto “blocco geografico”, che risponde ad esigenze di protezionismo nazionale e produce l’effetto di limitare la libertà di scelta dei consumatori e di frammentare i mercati. Si tratta di tutte quelle pratiche messe in atto da venditori online per motivi commerciali, volte ad impedire o limitare l’accesso ai siti web basati in altri stati membri.

Secondo stime della Commissione nel 2015 si è fatto ricorso al geo-blocking nel 37% dei siti di e-commerce dell’area Ue.

Talvolta il consumatore può accedere al sito, ma non può compiere acquisti; talaltra l’acquisto è possibile ma a prezzi differenziati in base all’ubicazione geografica, talaltra gli è negata la consegna o il trasporto transfrontaliero delle merci.

Il geoblocco si giustifica in rari casi, ad esempio in adempimento di obblighi specifici a cui è soggetto il venditore

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112

come quello di registrazione presso le autorità fiscali di destinazione, a causa di norme nazionali dirette a proteggere l’ordine pubblico negli Stati membri o per i costi aggiuntivi previsti per gli operatori commerciali. Nella gran parte dei casi,però, il geo-blocking è del tutto immotivato. Esso scaturisce ora da una decisione unilaterale degli operatori del mercato, ora da accordi tra concorrenti per spartirsi il mercato, ora da accordi verticali sui diritti di distribuzione in un dato territorio. Su questa premessa la Commissione si è prefissa di presentare nel primo semestre 2016, delle proposte legislative che vietino espressamente questa pratica, con ripercussioni sulla disciplina del commercio elettronico e del quadro giuridico instaurato dall’art. 20 della direttiva dei servizi sulla non discriminazione dei destinatari dei servizi (direttiva 2006/123/CE).

In particolare, la Commissione ha avanzato un Regolamento, c.f.r. COM/2011/0284 COD, Bruxelles, che vieta il geo-blocking nel caso di acquisto all’estero di vestiti, di prodotti di elettronica, di servizi forniti in modalità elettronica, come servizi cloud, data warehousing, hosting di siti web; nel caso in cui l’acquisto del bene avvenga nella sede del fornitore o in una location fisica dove il fornitore è operatore, come la stanza di un hotel o l’affitto di un auto. Inoltre la proposta abolisce il

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113

divieto di accesso a siti e l’utilizzo del re-routing automatico e fissa nuove regole per evitare qualunque tipo di discriminazione sul pagamento delle merci e dei sevizi acquistati oltrefrontiera. Al fornitore sarà cioè consentito di offrire un ampio ventaglio di modalità di pagamento e il cliente potrà sceglierne una senza discriminazione di sorta. Un altro limite al commercio elettronico transfrontaliero è rappresentato dalle restrizioni imposte dal diritto di autore, che rendono spesso i contenuti digitali che ne sono coperti non disponibili o inaccessibili a chi intende acquistarli dal loro paese.

La modernizzazione del diritto d’autore facilitando la concessione di licenze di diritti per la distribuzione online di contenuti audiovisivi e dunque l’accesso ai contenuti digitali in via transfrontaliera, potrebbe essere d’aiuto al superamento del geoblocco.

Le cause delle restrizioni al diritto d’autore si rinvengono nella territorialità del diritto d’autore e nelle difficoltà associate con la relativa liberatoria o nelle limitazioni contrattuali concordate tra titolare del diritto e distributore o nelle decisioni commerciali assunte dal distributore o nel carattere esclusivamente territoriale dell’incidenza di certi finanziamenti per determinati di tipi di opere.

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Ne deriva un quadro giuridico poco chiaro perché differenziato a livello nazionale, che ostacola l’innovazione nella ricerca, con finalità sia commerciali che non e la conseguente esigenza di un regime del diritto d’autore più armonizzato, in grado di assorbire le differenze fra le discipline nazionali. È questo l’obiettivo che si è prefissa la Commissione impegnandosi a formulare una proposta legislativa entro il 2015, così da aprire maggiormente agli utenti l’accesso online alle opere in tutta l’UE e superare i limiti della normativa europea sul diritto d’autore risalente al 2001 e poco rispondente alle nuove tecnologie. La proposta della Commissione del 25 maggio 2016 di modifica della Direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi (Direttiva SMA) si prefigge l’obiettivo di creare condizioni più eque per tutti gli operatori, di promuovere i prodotti europei, di tutelare i minori e di creare un nuovo approccio alla regolamentazione delle piattaforme on line che offra agli utenti nuove modalità di fruizioni dei media audiovisivi e che tenga conto delle differenze tra i diversi settori. Da una valutazione effettuata nell’ambito della strategia del mercato unico digitale è risultato che l’approccio di parificazione nella regolamentazione delle piattaforme on line, comprendenti servizi estremamente diversificati come gli e-commerce, i social media, i siti per la condivisione di contenuti e di video, i motori di ricerca, i sistemi di pagamento…ha

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limitato il pieno sfruttamento da parte dei consumatori delle opportunità offerte dal mercato digitale.119

Con la predetta proposta di modifica della Direttiva 2010/13/UE, la Commissione prevede di includere nel suo ambito di applicazione anche le piattaforme di video-sharing, che consentono l’archiviazione e l’organizzazione di un gran numero di contenuti generati dagli utenti e per i quali la piattaforma non ha responsabilità editoriale.

La proposta di modifica prevede inoltre alcune misure dirette a garantire l’indipendenza dai governi e dall’industria delle autorità di regolamentazione e di controllo, affinché i servizi media audiovisivi operino nell’interesse degli utenti.

Altre misure sono previste a tutela della creatività e dello sviluppo del mercato europeo de contenuti, imponendo a carico dei fornitori di servizi di media audiovisivi di garantire che almeno il 20% del proprio catalogo sia costituito da opere europee, mentre gli Stati membri potranno prevedere che i fornitori contribuiscano finanziariamente alla produzione delle stesse.

119

Domande e risposte - La strategia relativa al mercato unico digitale in www.europa.eu.

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Quanto invece al tema della pubblicità, la proposta attribuisce una maggiore flessibilità alle emittenti e ai fornitori di servizi a richiesta, sia per quanto riguarda la collocazione temporale degli annunci nel corso della giornata – fermo restando il limite del 20% del tempo di trasmissione nella oraria dalle 7 alle 23 -, sia per la sponsorizzazione e l’inserimento di prodotti all’interno delle trasmissioni. 120

Il problema della differenziazione normativa che porta con sé spesso elevati oneri amministrativi riguarda anche la disciplina dell’IVA sia tra gli Stati membri, sia tra gli Stati membri e i paesi terzi. Si pensi all’esenzione dell’IVA per l’importazione di piccole spedizioni provenienti da fornitori di paesi terzi estesa anche agli ordini online.

Questa deroga comporta un’evidente distorsione del mercato in violazione del principio della parità di condizioni di concorrenza, poiché riserva ai fornitori dei paesi terzi un vantaggio concorrenziale rispetto ai fornitori dell’UE. La proposta che la Commissione europea si impegna ad elaborare nel 2016 prevede la rimozione dell’esenzione descritta e, sempre nell’ottica di armonizzare la normativa sull’IVA così da alleviare al massimo gli oneri previsti dai diversi regimi,

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Domande e risposte - La strategia relativa al mercato unico digitale in www.europa.eu.

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l’estensione dell’attuale meccanismo di registrazione elettronica e pagamento unici alle vendite online di beni materiali all’interno dell’UE e con paesi terzi. In questo modo le imprese, anziché dichiarare e versare l’IVA in ciascun singolo Stato membro in cui sono basati i clienti, possono presentare una dichiarazione unica nel rispettivo Stato membro dove pagare l’IVA in un’unica soluzione.

All’obiettivo della semplificazione e dell’armonizzazione del regime IVA si aggiunge quello di contrastare le frodi transfrontaliere, che si stima rappresentino nell’Unione europea una perdita di gettito IVA pari a circa 50 miliardi di euro all’anno. Come osserva Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari, nel 2013 la differenza fra il gettito IVA riscosso e quello previsto è di 170 miliardi di euro. Questa dati sono confermati dal Vicepresidente Valdis Dombrovskis per il quale ogni anno le frodi transfrontaliere in materia di IVA costano agli Stati membri e ai contribuenti circa 50 miliardi di euro. L’attuale sistema dell’IVA per il commercio transfrontaliero, entrato in vigore nel 1993 ed essendo stato ideato come sistema transitorio non è riuscito a stare al passo con le sfide dell’economia moderna. Nel tentativo di modernizzarlo la Commissione ha presentato a Bruxelles il 7 aprile 2016 un piano d’azione che si prefigge di superare i

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limiti del sistema attuale, ossia: la sua vulnerabilità alle frodi, la frammentarietà, gli elevati oneri amministrativi che comporta per le PMI e le imprese online.

Quanto all’obiettivo di realizzare un contesto favorevole allo sviluppo delle reti e dei servizi digitali, la Commissione rileva alcune criticità in termini di gestione dello spettro radio e dunque di diffusione dei servizi a banda larga, di piena concorrenza a livello di infrastrutture, di disomogeneità della regolamentazione cui sono soggetti gli operatori delle telecomunicazioni, di efficacia del quadro istituzionale. Il superamento di questi limiti è condizione necessaria alla realizzazione di un settore delle telecomunicazioni forte, competitivo e dinamico, che poggi cioè su reti e servizi ad alta velocità, efficienti ed economicamente accessibili. Ciò implica la diffusione dei servizi a banda larga che hanno il loro presupposto nello spettro radio, gestito in modo differenziato dai vari Stati nazionali, così da ostacolare la concorrenza e disincentivare gli investitori che si trovano di fronte ad uno scenario di minore prevedibilità. Ai fini della realizzazione di un mercato digitale con i requisiti sopra descritti, è auspicabile una gestione armonizzata dello spettro radio, con criteri e obiettivi uniformi in tutta l’UE. Altrettanto necessaria è l’incentivazione degli investimenti nelle reti a banda larga ad

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