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I paradigmi della mímēsis. Peripezie di un modello aristotelico in epoca moderna.

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UNIVERSITÁDIPISA

SCUOLADIDOTTORATOINDISCIPLINEUMANISTICHE PROGRAMMA«DISCIPLINEFILOSOFICHE»

in co-tutela con

UNIVERSITÉPARIS-ESTCRÉTEIL

ÉCOLEDOCTORALE«CULTURESETSOCIÉTÉS»

TITOLO

I paradigmi della mímēsis.

Peripezie di un modello aristotelico in epoca moderna.

Tesi presentata e discussa da Mariagrazia GRANATELLA Direttori di tesi: Prof. Alfonso M. Iacono – Prof. Claudio W. Veloso

Jury:

Pierre CAYE, Directeur de recherche au CNRS, Centre Jean Pèpin Elio FRANZINI, Professore ordinario, Università di Milano Alfonso IACONO, Professore ordinario, Università di Pisa

Giovanni LOMBARDO, Professore ordinario, Università di Messina

Baldine SAINT GIRONS, Professeur émerite, Université Paris Ouest Nanterre la Défense-IUF Claudio W. VELOSO, Enseignant chercheur indépendet, Université Paris Est-Université de Rouen

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Ringraziamenti

La stesura di una tesi dottorato costituisce un’esperienza singolare, per certi versi paragonabile ad una navigazione in solitaria, tanto baciata dallo splendido sole dei mari aperti, quanto scossa dai venti delle tempeste. Voltandosi indietro a ripercorrere il viaggio, ci si rivede però accompagnati da forze altre, affettive, psicologiche ed intellettive che, a vario modo, hanno fornito i materiali per l’equipaggiamento, le indicazioni fondamentali di ancoraggio e gli aiuti nelle situazioni più complesse. È così che, ripensandomi nel mio percorso di studi, tengo a ringraziare in primo luogo la mia famiglia. I miei nonni, Graziella e Serafino, che non hanno la benché minima idea di cosa sia un dottorato (tanto più in filosofia) di cosa sia la mímēsis e di chi siano Aristotele e Vico. Ma è a loro che questo lavoro è dedicato perché se una tesi si inserisce in un viaggio personale, loro ne hanno da sempre fornito la bussola. Ringrazio poi i miei genitori, Ottavia e Giovanni, e mia sorella Laura, che hanno sempre creduto in me e nei miei studi, dandomi coraggio, spensieratezza e non facendomi mai sentire sola. Ringrazio Fausto che mi è stato pazientemente e gioiosamente vicino, sopportando e supportando il disordine generale che la stesura di una tesi di dottorato comporta.

Ringrazio poi i membri del jury, per avere pazientemente atteso e compreso i miei tempi, e per avermi fatto l’onore di leggere questo lavoro. Ringrazio Pierre Caye, per avermi concesso di entrare a conoscenza delle sue ricerche sull’Umanesimo e il Rinascimento. Ringrazio Elio Franzini, per i nostri scambi estetico-diderottiani. Ringrazio Giovanni Lombardo, per i preziosi consigli e le indicazioni di cui è stato prodigo in tutti questi anni.

Ringrazio poi i miei direttori di tesi: Claudio Veloso, per avermi permesso di avviare e portare a termine la cotutela con l’Université Paris Est, e per avermi dato possibilità di leggere i suoi lavori sulla mímēsis aristotelica; Alfonso M. Iacono, per essermi sempre stato vicino, nonostante la distanza, e per avermi fatto capire quanto sia importante e raro il privilegio di fare ricerca in autonomia.

E in fine ringrazio Baldine Saint Girons, che mi ha accolta tra i suoi allievi e, dandomi vera fiducia, mi ha incoraggiata a lavorare con sempre maggiore impegno e dedizione. E ancora la ringrazio, per avermi concesso l’onore di esperire quanto sia bella e vera quella filosofia non libresca, che si manifesta nell’anima, come una scintilla di fuoco.

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Straniero : Vedi dunque quanto sia vero affermare che questa belva è variegata e, come si suol dire, «inafferrabile da una sola mano».

Teeteto : Allora bisogna prenderla con tutte e due!

Straniero : Si, è necessario e bisogna farlo, per quanto è possibile, tenendo dietro a una sua certa traccia che vado a dirti.

Platone, Sofista, 226 a-b

Je suis un artificier. Je fabrique quelque chose qui sert finalement à un siège, à une guerre, à une destruction. Pour qu’on puisse passer, pour qu’on puisse avancer.

Michel Foucault, Entretiens.

«Che fai?» gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda.

«Qual è la forma dell'acqua?»

«Ma l'acqua non ha forma!», dissi ridendo, «Piglia la forma che le viene data».

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PREMESSA

L’individuazione e l’analisi di un tema quale i paradigmi della mímēsis sono qui sollecitate dal riferimento all’importanza e alla complessità assunta da tale concetto nella nostra contemporaneità. Com’è noto, dopo una lunga fase di declino e di relativo oblio, la mímēsis si ritrova nuovamente, e ancor più vigorosamente, al centro dell’attenzione dei dibattiti e degli orientamenti più disparati: dalla filosofia alla teoria delle arti e della letteratura; dalle scienze umane e sociali alle bio-scienze. Stando all’inflazione bibliografica che ormai la contraddistingue, l’impressione che si ha è di un netto recupero del tempo perduto. Tuttavia, come spesso accade in questi casi, la sovrabbondanza di informazioni rischia di creare una povertà di comprensione, e l’aspirante studioso della mímēsis rischia di sentirsi disorientato, se non addirittura confuso, di fronte a questa «notion-totem»1 dai poteri quasi magici, poiché capace di fondere prodigiosamente casi ed interessi eterogenei, in una unità concettuale che dice praticamente tutto e il contrario di tutto.

Da qui l’interrogativo principale con cui ha mosso i suoi primi passi la composizione del presente lavoro: che cosa significa, oggi, interessarsi, misurarsi, porsi al cospetto della divina

mímēsis (per “rubare” il titolo ad un’opera di Pier Paolo Pasolini) e delle ragioni della sua fortuna? La prima e più immediata risposta a tale interrogativo ci è suggerita dalle

rivendicazioni unanimemente avanzate dagli interpreti contemporanei, nonostante la diversità delle loro posizioni. Quello che da più parti, con differenti metodi e varie strategie, si è compiuto e decretato è «una operazione di restauro»2, volta a ristabilire la ricchezza semantica dell’antica mímēsis di contro al discredito in cui essa era stata incapsulata, specialmente nell’età del Romanticismo.

1 Didi-Huberman G., 1990, p. 90. 2 Mattioli E., 1993, p. 6.

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2 Come dimenticare, a tal proposito, quelle lezioni dedicate all’Estetica in cui Hegel condannava senza mezzi termini la dottrina mimetica, colpevole di avvilire l’arte distogliendola dal suo vero fine, ed equiparandola «all’abilità di colui che aveva imparato a lanciare, senza sbagliare, delle lenticchie in una piccola fessura»? Nello sforzo di aderire e di riprodurre un modello «che già esiste nel mondo esterno», l’arte mimetica si presenta come servile «caricatura della vita», e «acquista l’aspetto di un verme che si sforza di strisciare dietro a un elefante»3.

Ora, l’orientamento che accomuna il dibattito contemporaneo è da intendersi come superamento di questa immagine tormentata ed angusta della mímēsis, in una direzione che nel complesso ne rivendica e ne valorizza la componente attiva nei confronti del modello. Ad essere preso di mira è stato principalmente l’utilizzo della variante latina dell’imitatio, in cui la profondità semantica del greco mímēsis sarebbe stata notevolmente impoverita. La battaglia dei “restauratori” contemporanei si è così compiuta sotto l’egida del tentativo di rimetterne a fuoco l’ampio spettro semantico, mediante un duplice movimento di andata e di ritorno che, per un verso ha enfatizzato la polivalenza dei risultati espressivi, rappresentativi, psicologici e cognitivi che la mímēsis è capace di produrre; per altro verso, è giunto a ri-concettualizzarla nei modi più disparati (espressione, rappresentazione, ripresentazione, trasposizione, trasfigurazione, etc.).

Sennonché, alla fine di questa operazione di slittamento semantico da un senso passivo e “scimmiesco” della mímēsis, ad uno più ampio ed attivo, si ha l’impressione che i conti non tornano proprio perché, se così si può dire, tornano in eccesso. Tra la sterminata letteratura e le molteplici proposte interpretative; tra i più svariati esercizi di identificazione e di classificazione delle accezioni di mímēsis, la sensazione che si ha è non solo di essere

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3 reindirizzati allo stadio precedente la formulazione della nostra domanda (quello dell’information overload, per adoperare un’espressione alla moda), ma addirittura di essere immessi in una sorta di circolo vizioso tale per cui mettere a fuoco la polivalenza del concetto di mímēsis significherebbe sostanzialmente constatarne ed accreditarne l’indeterminatezza. È così che, ancora per magia, il circolo da vizioso diventerebbe virtuoso.

Emblematiche sono al riguardo le più recenti voci di dizionario, dove a caratterizzare la

mímēsis è sempre, in prima battuta, l’argomento dell’ambiguità semantica. Così ad esempio

Massimo Modica, in apertura della voce IMITAZIONE della Enciclopedia Einaudi scrive:

Sostenere che “imitazione” è termine ambiguo e polivalente è affermazione tanto ovvia e scontata quanto accettabile, almeno in prima istanza: un bilancio critico e teorico di tale nozione non può non tener conto della sua polisemia, della notevole varietà di letture e interpretazioni cui il termine ha dato luogo, arricchendosi via via di nuovi sensi e valori4.

Sulla stessa linea si pongono Jacqueline Lichtenstein ed Élisabeth Décultot, autrici della voce MÍMĒSIS del Vocabulaire européen des philosophies.

Dès la Renaissance, la traduction et donc l’interprétation du terme mímēsis ont été à l’origine d’importants débats philologiques et théoriques […]. Or toutes ces questions s’inscrivent dans une problématique largement déterminée par l’ambiguïté sémantique du concept de mímēsis dans le champ de la philosophie grecque. […] Tous les déplacements, toutes les adaptations et les ‘traductions’ qui se sont effectués d’une langue à l’autre n’ont fait en un sens que développer l’un des aspects du concept de mímēsis et exploiter sa prodigieuse richesse sémantique5.

In fine, particolarmente esplicative sono le parole adoperate da Gunter Gebauer e Christoph Wulf, in apertura della voce MÍMĒSIS della Encyclopedia of Aesthetics diretta da Michael Kelly.

4 Modica M., 1979, p. 2.

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If we examine the history of the word mimesis, often rendered as imitation, we discover that the ease with which it is used cloaks a myriad of meanings that can be and have been attached to the term. Indeed, this indetermination is perhaps the most constant feature of mimesis.

Pertanto, concludono i due studiosi,

Mimesis resists the construction of theory. We violate mimesis if we try to specify it in conceptual and logical terms6.

Seppur di fondo corretta, questa tesi sulla plurivocità semantica della mímēsis (o meglio, del verbo miméomai, alla cui famiglia il sostantivo mímēsis appartiene) rischia di rimanere vaga ed elusiva se si lascia impregiudicato il punto essenziale, vale a dire: di che cosa parliamo quando parliamo di mímēsis. Tra la riduzione in termini logici e l’aperta interpretabilità, c’è una terra di mezzo in cui la ricerca storico-filosofica sui concetti e la tradizione che li accompagna può, e deve, a buon diritto collocarsi ed esercitarsi.

In ordine a questa intenzione, però, non credo che l’impegno dell’aspirante studioso della

mímēsis debba indirizzarsi alla descrizione ed all’enumerazione di tutte le più svariate teorie e

precettistiche cui essa ha dato luogo; operazione, del resto, bollata già come infruttuosa e difficoltosa da quel Quatremère de Quincy che disperava di contenerne l’estensione e la varietà nella presa inclusiva di una trattazione completa7. D’altra parte, non credo nemmeno che uno studio sul concetto di mímēsis e la sua storia debba necessariamente esaurirsi in analisi troppo specifiche e circoscritte, rinunciando a priori nella possibilità di un lavoro di

6 Cfr. Gebauer G. & Wulf C., 1998, pp. 232-237. 7

«L’imitation est quelque chose de si étendu et de si varié, quand on en considère les rapports et les effets, dans tout ce qui peut être du ressort de la faculté d’imiter, faculté qui constitue un des caractères distinctif de l’homme, qu’il faut désespérer d’avoir jamais un traité complet sur cette matière. […] Embrasser dans son universalité la théorie de l’imitation, ce serait donc soumettre à une analyse infinie, tous les actes de la vie humaine, tous les objets qui entrent dans les rapports de l’existence sociale». Quatremère de Quincy A., 1823, p. V.

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5 ampio respiro. Piuttosto, considerando il gran numero di informazioni e di studi specialistici ormai a nostra disposizione, mi pare che i tempi siano maturi per tentare di avventurarsi in una zona forse poco esplorata, dove ad essere chiamati in causa sono i paradigmi attraverso i quali l’uso di tale nozione è stato filtrato, codificato e cristallizzato, nella tradizione del pensiero occidentale.

Il termine paradigma è qui adoperato nell’accezione propriamente epistemologica conferitagli da Thomas Kuhn nel suo celebre volume La struttura delle rivoluzioni

scientifiche. Com’è noto, merito di Kuhn è stato l’avere innovato radicalmente la maniera

tradizionale di guardare alla storia della scienza, sostenendo che l’asse portante delle discipline scientifiche non è identificabile nella teoria (vale a dire in un insieme deduttivamente chiuso di proposizioni e di principi) ma risiede, appunto, nel paradigma, nella matrice pre-teorica all’interno della quale si strutturano, si organizzano e si legittimano le teorie. Dal punto di vista dell’interrogazione filosofica, parlare di paradigmi significa parlare dei presupposti funzionali ed operativi che allestiscono le teorie e che, se condivisi “spontaneamente”, rischiano di essere subiti acriticamente. Occorre però fare attenzione poiché, come rilevato dallo stesso Kuhn, di un paradigma non si può fornire una definizione esaustiva. Esso costituisce una certa immagine che si ha delle cose, un certo modo di

in-tenderle (nel senso letterale di farle tendere-a), tale da concretizzarsi poi in diverse teorie. Da

questo punto di vista, non è cercando ragione di cosa sia un paradigma che se ne può cogliere il valore, ma è solo individuandone la proprietà pragmatica essenziale che se ne può comprendere il funzionamento. Esattamente a questo livello si colloca, sul piano della ricerca, l’alto potenziale euristico del concetto di paradigma. Esso consente infatti di operare una sintesi di teorie che, seppur differenti, vengono riconosciute come aventi alla base una

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6 somiglianza paradigmatica. In virtù di questa sua capacità, un paradigma è «veicolo di ricerca»8.

Mutuando nel presente lavoro questa linea ermeneutica, il percorso d’analisi da me delineato è espressamente riferito al tentativo di mettere a fuoco la nozione di mímēsis esaminandone la struttura paradigmatica, ossia provando a precisare con cura quale ne è stata l’intelaiatura concettuale e come questa ha funzionato storicamente9. L’ipotesi in base alla quale qui si parla di paradigmi della mímēsis configura qualcosa come uno scarto, un esubero, rispetto alle abituali indagini centrate sulle teorie dell’imitazione. A ben vedere, si tratta di uno scarto che si annuncia nel termine stesso “mímēsis”, prendendo corpo e suono nel suo suffisso nominale ( –sis) proprio, nella lingua greca, dei nomi d’azione. Per l’appunto, è in una sfera d’azione, in un movimento che crea relazione, che la mímēsis si lascia cogliere nella sua natura distintiva; ed è sulla struttura paradigmatica di questa azione, su come essa è stata storicamente intesa e declinata, che la mia ricerca intende focalizzare l’attenzione.

L’ipotesi da me sostenuta è che sebbene le vicende concettuali della mímēsis ci presentino una carrellata di teorie e di precettistiche varie e alternative, sono esse riconducibili ad un impianto di fondo che permane come struttura paradigmatica di riferimento. È questo quello che qui ho definito il paradigma classico dell’imitazione. All’interno di esso, ciò che si teorizza e si pratica è una semiotica binaria in cui la mímēsis è configurata come la relazione tra un “oggetto imitato” ed un “oggetto imitante”, dove il primo precede il secondo e ne significa l’operatività.

8 Masterman M., 1985, p. 151. In questo articolo Margaret Masterman distingue ben ventinove sensi diversi

attribuiti da Kuhn al termine paradigma, senza poi escludere la possibilità di trovarne altri. Tuttavia, precisa l’autrice, al di là di questa differenziazione la funzione del paradigma è sempre la stessa. « Il paradigma di Kuhn è una concreta "immagine" di qualcosa, A, che è usato analogicamente per descrivere qualcos'altro di concreto, B […]. Esso ha così due tipi di concretezza, non uno solo: la concretezza che si è portato con sé con l'essere una "immagine" di A e la seconda concretezza che ha ora acquisito, col venire applicato a B», cfr. ibidem.

9 Lo stesso Kuhn, del resto, parlando del suo lavoro ebbe a dire: «Molti di quelli che lo hanno letto con

piacere, ne sono rimasti soddisfatti, non tanto perché esso illumini la scienza, quanto perché essi possono interpretare le sue tesi come applicabili anche a molti altri campi». Cfr. Kuhn T., 1999, p. 249.

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7 Le modalità di questo riferimento possono essere variamente qualificate a seconda del valore conferito, ora alla somiglianza tra l’imitante e l’imitato, ora alla loro differenza. Questo spiega, del resto, la varietà di teorie e di pronunce sulla mímēsis, che hanno attraversato e dato forma alla sua storia. Appropriandoci ancora una volta della prospettiva epistemologica messa a punto da Kuhn, possiamo dire che all’interno di tale paradigma si è variamente tentato di risolvere i rompicapo generati dalla dialettica tra i due termini della relazione binaria, elaborandone di volta in volta un’interpretazione o una soluzione, che comunque confermava il paradigma stesso. Per avvedersene, basti prendere rapidamente in considerazione due differenti prese di posizione sulla mímēsis espresse più o meno nello stesso periodo. Se György Lukács, in chiave marxista, fa della mímēsis «il fatto estetico fondamentale»10, dal momento che compito dell’arte è quello di raffigurare la totalità estensiva del reale, cogliendone la struttura dialettica; su tutt’altro versante si colloca il Manifesto del futurismo con il suo proclama «disprezzare profondamente ogni forma di imitazione; esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima»11. In entrambi i casi però – ed è questo l’aspetto che qui propriamente ci interessa – la mímēsis è intesa nei termini della relazione binaria tra un elemento primo, cui un elemento secondo si riferisce. Parlare di

mímēsis significa chiamare in causa questa relazione; significa disciplinarla in un regime di

razionalità che fa dell’imitato il principio di intelligibilità che fonda e sorregge la significatività dell’imitante. Da questo punto di vista, coniugare tale relazione nei termini dell’adeguamento o della contrapposizione dell’imitante all’imitato, non equivale per nulla a smontarne l’ingranaggio. È quanto la citazione tratta dal Manifesto del futurismo ci dà a vedere, giudicando sì la relazione mimetica come restrittiva e vincolante, ma pur sempre

10 György L., 1970, vol. I, p. 575.

11 Scritto da Filippo T. Marinetti come raccolta concisa di pensieri, convinzioni e intenzioni, il testo fu

pubblicato per la prima volta in italiano sulla «Gazzetta dell’Emilia», il 5 febbraio 1909. A distanza di soli 15 giorni, apparve in francese su «Le Figaro».

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8 presupponendola come condizione di discorso sul cui sfondo (e per contrapposizione) si rende possibile il proclama dell’originalità.

Ora, parlare di un paradigma classico dell’imitazione è già un modo di lasciare intravedere, in poche battute e con una buona dose di “sospetto”, la grande ombra che una certa strategia intellettuale ha proiettato sulle vicende concettuali della mímēsis, nella tradizione del pensiero occidentale. Al centro vi si trova la tesi secondo la quale l’azione della

mímēsis è in qualche modo diretta dalla struttura compatta e ben formata di una realtà che sta

alle sue spalle, ma allo stesso tempo ne anticipa, ne disciplina, ne guida, in una parola ne

fonda l’operare, garantendone la significanza. È stata questa strategia intellettuale ad

assicurare la millenaria fortuna del concetto di mímēsis, comparendo anche là dove meno ce lo si aspetta, ad esempio in Pablo Picasso:

on imite toujours quelque chose, à son insu même […]. Moi je vise toujours à la ressemblance12.

Ne esce consolidata una certa immagine tormentata e bifronte della mímēsis, cui siamo tradizionalmente abituati; una mímēsis consegnata a una strategia intellettuale di tipo fondazionale, che rischia continuamente di ridurla ad «una inutile cerimonia», alla mera «esplicitazione di un ordine delle cose o dell’esperienza previamente acquisito»13.

Che lo si voglia o no, il riferimento a Platone come a colui che di questa tradizione ha fissato i motivi più intensi e determinanti, scatta in modo quasi automatico. Dalle pagine dei libri III e X della Repubblica, a quelle del Sofista; dal motivo polemico dello specchio, alla

12 Cit. in Brassai G. H., 1964, pp. 228-335.

13 Prendo qui in prestito le parole adoperate da Aldo G. Gargani nel suo volume, Il sapere senza fondamenti

(cui il mio lavoro di tesi è profondamente debitore), confidando in un loro utilizzo fedele a quella filosofia della libertà che l’Autore difendeva. Cfr. Gargani A. G., 20092, p. 52.

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9 ricerca di un criterio che possa «selezionare i pretendenti»14, c’è ampio materiale per dar conto dell’azione della mímēsis nei termini della relazione binaria qui brevemente delineata. Tuttavia, la rigida ratio della dottrina delle idee ha fatto sì che la questione della mímēsis rimanesse una costante difficoltà del platonismo. È all’allievo Aristotele, invece, che parrebbe spettare l’onore e l’onere di averla superata, compiendo l’unica mossa possibile: l’esemplarità dei modelli ideali diventa l’esemplarità del mondo reale, e il rigido dualismo di sensibile e soprasensibile viene risolto nella compiutezza della natura, dal punto di vista della possibilità. In seno alla natura (totalità del reale e del possibile), tutto ciò che l’uomo può solamente, ma legittimamente fare, è ricollegarsi al patrimonio eidetico già dato, o per imitarlo o per portarlo a compimento15.

Alla luce di queste considerazioni, Aristotele sembrerebbe a buon diritto il vero padre fondatore del paradigma classico dell’imitazione, non solo perché supera le difficoltà del platonismo, riscattando la mímēsis da “autorevoli” accuse; ma soprattutto perché la eleva al rango di téchnē, facendone derivare il movimento da una méthodos che può essere codificata e insegnata16. Basterebbe aprire la Poetica per vedere questa mímēsis in azione, per ritrovarvi il ricettario dei principi preposti alla buona imitazione; e basterebbe pensare alla mímēsis in connessione ad un’attitudine produttiva quale è quella inerente alla téchnē, per comprendere lo specifico utilizzo che Aristotele fece di tale concetto. È così che, stando ad una vulgata più che diffusa, la mímēsis acquisterebbe la sua specificità come fare relativo a un modello che, fungendo da supporto e da indispensabile riferimento, si pone a garanzia di senso, di apprezzamento e dunque di legittimità della démarche mimetica.

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Da questo punto di vista, convengo con quanto afferma da Gilles Deleuze, e cioè che «Le seule problème qui traverse toute la philosophie de Platon, qui préside à sa classification des sciences ou des arts, c'est toujours de mesurer les rivaux, de sélectionner les prétendants, de distinguer la chose et ses simulacres au sein d'un pseudo-genre ou d'une grosse espèce». Cfr. Deleuze G., 1968, p. 85.

15 Cfr. Aristotele, Phys. II, 8, 199a 15-17. 16 Cfr. Aristotele, Met. 1.980b 25-981b 20.

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10 Ora, l’obiettivo principale del qui presente lavoro è di mettere alla prova l’interpretazione che, tanto associa ad Aristotele questa immagine bifronte della mímēsis; quanto lega gli intenti della Poetica a quelli di un’opera di scienza produttiva, in cui il fare della mímēsis è descritto e prescritto. L’impresa è più difficile di quanto non appaia dal momento che, come ci ricorda Hans George Gadamer, «il mondo dei concetti in cui il filosofare si dispiega è qualcosa dentro cui siamo già sempre collocati, allo stesso modo in cui il mondo linguistico nel quale viviamo sempre ci determina», ed è pertanto difficile prendere le distanze da quelle che sono divenute delle vere e proprie abitudini di pensiero. Tuttavia, «la consapevolezza del pensiero esige proprio che si prenda coscienza di questa originaria collocazione. È una nuova coscienza critica quella che deve accompagnare ogni filosofare responsabile che porti le abitudini linguistiche e mentali […] davanti al tribunale della tradizione storica, alla quale tutti apparteniamo»17.

Accogliendo come stimolo alla ricerca queste parole di Gadamer, ciò che mi propongo di fare nella prima parte del presente lavoro è di indagare, rispettivamente, le ragioni filosofiche, filologiche e storiche in virtù delle quali il paradigma classico dell’imitazione, tanto si è istituito e accreditato (nella tradizione del pensiero occidentale); quanto si è ricondotto ad Aristotele come al suo padre fondatore. Dopo un primo capitolo volto a questionare la natura di tale paradigma e le battute di inciampo cui esso, inevitabilmente, va incontro; il secondo capitolo tiene fermo lo sguardo sulla fase storica che ne decretò la paternità aristotelica. Nello specifico, mi riferisco alla vicenda culturale italiana dell’età umanistico-rinascimentale, che vede la realtà vivente dell’arte (aggiornata dalle nuove scoperte tecniche) entrare in rapporto con i principi “dotti” elaborati dagli antichi scrittori. Sotto il segno degli autori classici, riscoperti, tradotti e volgarizzati, si afferma un nuovo atteggiamento intellettuale che va alla

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11 ricerca di regole e di norme “mondane”, capaci di sottrarre l’umana arte, e alla contingenza della mano, e alle preoccupazioni teologali della civiltà medievale. È in questo contesto che riappare la Poetica di Aristotele, tradotta per la prima volta in latino da Giorgio Valla nel 1498, e destinata a divenire dominante a partire dalla metà del Cinquecento. Sebbene non manchino studi centrati sulla fortuna moderna del trattato, la ricostruzione da me proposta tende a fare interagire le querelles sull’imitazione, tradizionalmente racchiuse nei confini della teoria letteraria, con la più ampia riflessione umanistico-rinascimentale sulle arti figurative. L’intento non sarà quello di offrire un panorama completo del pensiero italiano di questo periodo, né tantomeno di fornire una sommaria sintesi interpretativa delle teorie sulle arti e sulla poesia. Si tratterà piuttosto di scandagliare l’orientamento e le preoccupazioni generali all’interno dei quali gli studia humanitatis fagocitarono la Poetica e intesero il concetto di mímēsis. Nel far questo, adopererò come osservatorio privilegiato il discorso su

L’idea del pittore, dello scultore e dell’architetto dell’erudito storico dell’arte Giovanni Pietro

Bellori, la cui pertinenza per il nostro discorso è rafforzata dalla presenza all’interno della sua opera (Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni) di una icona della mímēsis. Questa analisi ci permetterà di comprendere come la ricezione moderna abbia assegnato contorni ben mercati alla Poetica, de-contestualizzandola dal quadro generale del pensiero aristotelico, e diffondendo quell’immagine bifronte della mímēsis che ancora ci condiziona.

In epoca moderna, però, accade qualcos’altro di molto interessante, destinato a segnare le vicende della concezione aristotelica della mímēsis. Nello specifico, se nel campo della teoria delle arti essa si avvia a divenire «un istituto teorico»18, nel più ampio panorama della riflessione filosofica la mímēsis assurge ad emblema dei vincoli e dei limiti che soffocano la libera operatività umana. A questa trattazione sarà dedicato il terzo capitolo del mio lavoro

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12 dove, adoperando come chiave di lettura l’approccio antropologico alla mímēsis prospettato da Hans Blumenberg, ci si interrogherà sul «pathos veemente»19 con cui la modernità filosofica cercò di sanzionare la crisi della millenaria mímēsis, ponendo al centro del mondo un nuovo tipo umano: non più appendice esplicativa di una natura da imitare, ma soggetto demiurgico che impone al reale le sue creazioni e si auto-comprende in esse. Anche in questo caso, l’intento non sarà quello di offrire una panoramica completa della modernità filosofica, ma piuttosto di focalizzare l’attenzione su due momenti paradigmatici, rispettivamente rappresentati dalle posizioni “anti-mimetiche” di Nicolò Cusano e di Francesco Bacone. In sede d’analisi storiografica, questa indagine ci permetterà di rilevare quanto al paradigma

classico dell’imitazione e al suo rifiuto si siano legati alcuni grandi temi della cultura

moderna.

La prima parte della tesi si sviluppa, dunque, attraverso un lavoro di ricostruzione storico-concettuale, che ha come precisa intenzione quella di interrogare e di rendere visibili i differenti processi attraverso cui l’immagine paradigmatica che fa della mímēsis un concetto bifronte è stata, per un verso formulata e codificata; per altro verso ricondotta ed attribuita ad Aristotele come ad un’autorità, tanto ossequiata, quanto attaccata.

La seconda parte della tesi ha come esplicito obiettivo quello di sottrarre la concezione aristotelica della mímēsis alla presa inclusiva di questo paradigma. Come espressamente indicato nel sottotitolo del presente lavoro, oggetto d’analisi sono qui le peripezie di un modello aristotelico della mímēsis, vale a dire, di un modo di guardare e di problematizzare l’utilizzo che il filosofo di Stagira fece di tale concetto nella sua Poetica. Ai fini di tale indagine, tutto sta nell’esplicitare il senso dell’indeterminativo un che ne regge l’idea programmatica, così da declinarla non tanto come una interpretazione tra le altre, quanto

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13 come una sorta di deriva eretica rispetto ai dogmi delle ricostruzioni ufficiali. Da questo punto di vista, la mia trattazione è profondamente debitrice agli studi, e sulla Poetica, e sull’utilizzo aristotelico del concetto di mímēsis, recentemente condotti da Claudio W. Veloso. A mio avviso, merito di Veloso è stato l’avere operato quello che con Paul Valéry potremmo definire un «nettoyage de la situation verbale».

J’ai costume de procéder à la mode des chirurgiens qui purifient d’abord leurs mains et préparent leur champ opératoire. C’est ce que j’appelle le nettoyage de la situation verbale20.

Applicando allo studio della Poetica questa modalità “chirurgica”, Veloso porta in primo piano la natura squisitamente teoretica della trattazione aristotelica, il cui scopo non può certamente ridursi a «quello di insegnare a comporre poemi. Anche se il poeta è un produttore, non lo è colui che studia il suo produrre, cioè “come bisogna comporre le storie” (Poet. 1). Questa è attività contemplativa»21. Secondo Veloso, la Poetica ci presenta un’indagine sull’uomo considerato sotto un certo aspetto, indicatoci proprio dall’utilizzo aristotelico del concetto di mímēsis. Nello specifico, proprio nella Poetica Aristotele procede a una rifondazione della mímēsis da una specola biologica e psicologica, centrata sul dualismo delle nostre due facoltà cognitive: la percezione e l’intellezione. L’azione della mímēsis mette in relazione l’intellezione con la capacità sensibile e percettiva, permettendoci di concludere che «questo è quello»; ad esempio che una particolare sovrapposizione di colori è un effetto di nebbia o di immersione in acqua22. Bisogna sin da subito sottolineare, però, che in questa azione non c’è nulla di semplice o di banale, dal momento che l’espressione «questo è quello» è la formula della comprensione tout court23. Da questo punto di vista, la Poetica rappresenta

20

Valéry P., 1945b, p. 131.

21 Veloso C. W., 2002, p. 101.

22 Cfr. Aristotele, De Sensu, 3.440a 8-9.

23 Cfr. Poet. 4, 1448b18; Rhet. III, 11, 1412 a 11-15, a proposito del filosofo; Rhet. III, 10, 1410b 19, a

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14 il terreno ideale per indagare tale capacità propriamente umana, dal momento che i suoi prodotti sono destinati ad essere “utilizzati” dall’intelletto, attraverso la percezione dei mezzi dell’imitazione24; in altri termini, il loro utilizzo consiste nel riconoscimento di un contenuto intellegibile nel percettibile.

Non in termini differenti ne parlerà proprio Paul Valéry, descrivendo la «propriété admirable et caractéristique entre toutes» della poesia, con l’immagine di un pendolo che oscilla tra due punti simmetrici: da un lato i caratteri sensibili e percettibili del linguaggio (il suono, il ritmo, gli accenti, il timbro, etc); dall’altro, i contenuti intellegibili, i cosiddetti valori significativi (le immagini, le idee, etc.).

Observez alors les effets de la poésie en vous-mêmes. Vous trouverez qu’à chaque vers, la signification qui se produit en vous, loin de détruire la forme musicale qui vous a été communiquée, redemande cette forme. Le pendule vivant qui est descendu du son vers le sens tend à remonter vers son point de départ sensible, comme si le sens même qui se propose à votre esprit ne trouvait d’autre issue, d’autre expression, d’autre réponse que cette musique même qui lui a donné naissance. Ainsi, entre la forme et le fond, entre le son et le sens, entre le poème et l’état de poésie, se manifeste une symétrie, une égalité d’importance, de valeur et de pouvoir25.

Ricontestualizzate nel quadro della presente indagine, le parole di Valéry ci consentono di cogliere in profondità il mutamento di paradigma che un differente modello aristotelico della

mímēsis porta con sé: lungi dallo strutturarsi nei termini della relazione binaria tra un “oggetto

imitato” ed un “oggetto imitante”, dove il primo fonda e precede il secondo, significandone l’operatività; l’azione della mímēsis viene per Aristotele a racchiudersi e mostrarsi nell’esercizio congiunto di percezione ed intellezione.

24 Dal punto di vista aristotelico, ogni prodotto tecnico è in vista di un certo uso. Cfr. Pol. I 9, 1257a 6 sg. Ma

uno stesso prodotto può essere caratterizzato anche da più utilizzi differenti. Cfr. Pol. I 2, 1251a 34-b 5; IV 15, 1299b 9-10; PA IV 6, 683a 24-25.

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15 La seconda parte del mio lavoro di tesi ha dunque come scopo principale quello di restituire un differente paradigma aristotelico della mímēsis, inserendola nel contesto suo proprio, e problematizzandone al tempo stesso il rapporto con Platone.

La terza parte del lavoro mira infine a ritrovare alcuni retaggi di questo differente paradigma aristotelico proprio in quella modernità che è parsa tradirlo. Si tratterà di un’analisi per così dire “sperimentale” che, in assenza di riscontri testuali diretti, si propone più che altro come un dialogo tra due filosofi: Aristotele e Giambattista Vico. È chiaro che Vico eredita dalla tradizione umanistico-rinascimentale proprio quella immagine della mímēsis e della

Poetica che qui mi propongo di decostruire; ed è noto, del resto, che Aristotele non compare

nella lista vichiana degli autori «in obbligo di leggere»26. Tuttavia, credo che un loro accostamento, in nome della mímēsis, possa acquisire spessore e rilevanza grazie alla messa in evidenza di un comune interesse speculativo, diciamo pure estetico, se per estetica intendiamo non tanto la dottrina filosofica che si occupa del bello e dell’arte; quanto una riflessione sulle forme dell’aisthesis nel senso dell’etimo (la sensibilità, la percezione), con conseguenze considerevoli sull’idea di sapere e di conoscenza che da essa derivano.

Se Aristotele, nel cuore della sua Poetica, parlerà dell’uomo come dell’animale più

mimetico (Poet. 4, 1448b 7-8), poiché capace di disporre diversamente della dimensione

materiale e sensibile che lo accomuna agli altri animali, vale a dire di rielaborarla, accrescendone la risonanza e dispiegando una presa differente sul reale; sulla stessa linea Vico, nella sua Scienza Nuova, parlerà della «indeffinita natura della mente umana» (SN44, §120), prendendo seriamente in considerazione il darsi di un’istanza materiale e sensibile nel funzionamento della cognizione umana.

26 Vico G., 1990, p. 44. Gli autori cui Vico si riferisce, nella sua Autobiografia, sono, in ordine: Platone,

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16 Sia per Vico che per Aristotele, il cosiddetto “pensiero” non discende in modo diretto da un’entità pura, distaccata dal corpo e dalle facoltà che vi si radicano; né, d’altro canto, si riduce alle componenti materiali, che pur sono necessarie al suo operare. Piuttosto, ciò che in esso si registra è l’originario intrecciarsi di percezione ed intellezione che, tanto assicura la presa umana sul mondo; quanto è da monito contro qualsivoglia barbarie della riflessione.

In questo quadro, la parte finale della tesi sarà centrata su un’analisi della “scoperta” vichiana degli universali fantastici come feconda applicazione, su scala ontogenetica e filogenetica, della concezione aristotelica della mímēsis.

Nel complesso, quello che in questa tesi mi propongo di seguire è un percorso di lettura, non di certo unico tra quelli che intendono restituire il concetto aristotelico di mímēsis alla realtà della sua consistenza bio-cognitiva e del suo effettivo funzionamento. Nella mia prospettiva, però, lettura è un termine che va usato in senso forte, poiché l’attenzione cade sul punto in cui l’indagine storico-filosofica su un concetto (quello di mímēsis) può divenire appropriazione di una memoria speculativa (quella di Aristotele) utile, nella nostra contemporaneità, per ripensare i temi della conoscenza e dell’elaborazione simbolica nei processi cognitivi.

Le considerazioni introduttive che adesso seguono, ambiscono a delineare tale status

quaestionis, interrogandosi sulla fortuna contemporanea del concetto di mímēsis e sulla sfida

che il suo studio lancia a chi oggi voglia occuparsene.

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INTRODUZIONE

A partire dalla metà del secolo scorso, il concetto di mímēsis è stato oggetto di una riscoperta di ampia portata, che si è progressivamente imposta come dato storico-teorico degno di attenzione. Se ancora Benedetto Croce nella sua Estetica come scienza

dell'espressione e linguistica generale, datata 1902, condannava la mímēsis ad una sorta di

inoperatività speculativa, affermando che con tale concetto «spesso, non si è pensato nulla di preciso»27; l’exploit di studi e di interessi che da lì a poco si sarebbe registrato, ebbe il merito di spalancare al concetto di mímēsis le porte di una rivalsa insolentemente persistente e versatile. Per avvedersene, basta prendere in esame alcune delle ormai numerose opere di sintesi e di comparazione (monografie, voci di dizionario, raccolte di testi) che tanto fanno il punto sulle frontiere della ricerca in materia di mímēsis, quanto ne testimoniano le principali linee di tendenza. Filosofi, letterati e storici dell’arte, ma anche antropologi, bio-scienziati e sociologi, tutti concordano nel ritenere che, superati i vecchi clichés dell’imitazione (intesa nel senso peggiorativo di copia e di scimmiottatura del già dato), si possa attingere a piene mani nella ricchezza multiforme di una nozione prismatica, tale da illuminare i domini dell’azione, della parola e del pensiero umano.

È esattamente in questi termini che ne parlano, per esempio, Günter Gebauer e Christoph Wulf, in apertura di un volume significativamente intitolato Mimesis: Culture-Art-Society.

Conventional understandings of mímēsis fall short of the complexity and significance of the concept. It is restricted in some cases to aesthetics, in others to imitation. These definitions reveal neither the anthropological dimension of mímēsis nor the variety of meanings that can be and have been attached to the term. And this is the case even though mímēsis plays a critical role in nearly all areas of human thought and action, in our ideas,

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speech, writing, and reading. Mímēsis is a conditio humana at the same that it is responsible for variations among individual human beings28.

A differenza di Croce, che aveva additato nella polisemia della mímēsis la principale causa e ragione della sua condanna, assistiamo qui ad un vero e proprio rovesciamento interpretativo che, cosciente delle modificazioni concettuali intervenute nel corso della sua storia, ne promuove la natura polivalente a garanzia e sigillo di scientificità. E difatti, tale rovesciamento interpretativo non si lascia cogliere ed apprezzare se non configurando la

mímēsis come conditio humana, vale a dire come una nozione di forte valenza antropologica,

poiché capace di aprire una prospettiva dinamica e trasversale sull’intero ambito del comportamento e della cognizione umana.

Per questo aspetto, se a ragione Giambattista Vico, nel lontano 1708, osservava che:

i fatti umani non possono misurarsi con il criterio di una rettilinea e rigida regola mentale: occorre considerarli, invece, con quella misura flessibile di Lesbo, che, lungi dal voler conformare i corpi a sé, si snodava in tutti i sensi per adattare se stessa alle diverse forme dei corpi29.

E se ancora a ragione, secoli dopo, George Canguilhem avrà a dire a più riprese che:

le problème de l’individu ne se divise pas30,

mi pare che l’attuale revival di interesse per la nozione di mímēsis ci istruisca ad iscriverla nel registro di una regola flessibile, di un principio di intellegibilità poliedrico, capace di guardare all’uomo nella sua interezza, cioè nel complesso di quelle attività che lo contraddistinguono peculiarmente.

28

Gebauer G. & Wulf C., 1995, p. 1.

29 Vico G., 1990, pp. 131-133. Si deve notare che la fonte di Vico è qui Aristotele, Etica Nicomachea V, 10,

1137 a-b. Per una ricostruzione storico-filologica dei precedenti del topos vichiano si veda Giarrizzo G., 1981, pp. 145 e sgg.

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0.1 Le ragioni di una fortuna

Affrontare lo studio di una nozione così feconda impone però delle scelte argomentative da esplicitarsi chiaramente. Ciò che mi propongo di fare nell’immediato prosieguo di questo discorso introduttivo, è di sviluppare un’ampia panoramica sui principali studi contemporanei che, a titolo diverso, si sono interessati al concetto di mímēsis. Tale analisi ha due obiettivi principali: in primo luogo indagare le ragioni che ne hanno decretato l’odierna fortuna; in secondo luogo, mettere bene a fuoco la sfida che la mímēsis lancia a chi oggi voglia farne il tema di una ricerca.

In generale, possiamo che dire gli interpreti contemporanei hanno operato più o meno in questi termini. A partire da un’assunzione della mímēsis come nozione variabile e ambivalente, la cui identità si lascerebbe cogliere ed identificare nella dialettica di somiglianza e differenza, innovazione e ripetizione, assimilazione ed espulsione che, sin dai tempi più remoti, ne avrebbe siglato l’ambiguità31; a partire da questa assunzione, dunque, la novità messa a capo dagli studi contemporanei è consistita nell’utilizzo di tale dialettica come strumento euristico per indagare i cosiddetti “fatti umani”. Prendendo in prestito una figura propria alla tradizione della retorica, potremmo dire che si è operata una sorta di metalepsi, una transunzione concettuale, tale per cui i termini consueti della dialettica che storicamente ha attraversato e strutturato il campo concettuale della mímēsis, sono slittati oltre il loro piano originario di codificazione e di appartenenza, assurgendo a figura dotata di un potenziale ermeneutico che oltrepassa i limiti della sua letterale applicabilità.

Quel che gli interpreti contemporanei hanno assunto sotto il termine mímēsis è il luogo di attivazione e di raccoglimento di una dialettica tra processi positivi di apertura e processi negativi di chiusura, in base ai quali si è provveduto a ragionare, per l’appunto,

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20 sull’esperienza umana: dalla vertigine del desiderio alla rivalità mimetica; dai meccanismi socio-politici di assimilazione ed espulsione del diverso, alle indagini, a tutto tondo, sulla cognizione, la simulazione e la finzione.

Così ad esempio Walter Benjamin parlerà della “facoltà mimetica” nei termini della capacità propriamente umana di produrre somiglianze tra cose lontane, intendendola come «un resto rudimentale dell’obbligo un tempo schiacciante di assimilarsi e condursi in conformità», vale a dire di aprirsi al mondo adattandosi alla natura32.

O ancora, Theodor W. Adorno e Max Horkheimer nella Dialettica dell’Illuminismo, faranno ricorso al concetto di mímēsis per descrivere l’ambigua relazione tra l’uomo e la natura ad esso interna ed esterna. La mímēsis può essere tanto la causa dei processi negativi, di assimilazione e di dominio, tipici della società industrializzata, che opera una strumentale «assunzione del diverso sotto l’identico»33; quanto la leva di processi positivi di emancipazione, in virtù della sua capacità di auto-differenziazione34.

32 Cfr. Benjamin W., 2006, p. 71. A parere di Benjamin, tale facoltà ha una storia, da intendersi in senso sia

ontogenetico che filogenetico. Se sul piano dello sviluppo filogenetico essa è andata indebolendosi, «poiché è evidente che il mondo percettivo dell’uomo moderno non contiene più che scarsi relitti di quelle corrispondenze e analogie magiche che erano familiari ai popoli antichi»; sul piano ontogenetico, la lingua è ancora «lo stadio supremo del comportamento mimetico» in quanto «archivio di somiglianze non sensibili e di corrispondenze immateriali». Si deve osservare, però, che anche la danza, o il gioco dei bambini, sono pervasi da condotte mimetiche la cui complessità è irriducibile alla mera copia di qualcuno o qualcosa. «Il bambino non gioca solo a “fare” il commerciante o il maestro, ma anche il mulino a vento e il treno».

33 Cfr. Adorno T. W. & Horkheimer M., 1966, p. 193. Così ad esempio, la moderna arte di massa possiede

«un’aria di somiglianza», i cui prodotti, al di sotto delle differenze inculcate e diffuse artificialmente, si rivelano come sempre identici, limitandosi solo a classificare e organizzare i consumatori, e a tenerli più saldamente in pugno. Secondo gli esponenti della Scuola di Francoforte, tale pervasivo livellamento risponde a quella che è la ragion d’essere dell’industria culturale, cioè «l’obbediente accettazione della gerarchia sociale». Cfr. ivi, pp. 126-138.

34

Sarà Adorno, nella sua Teoria estetica, a definire l’arte come «rifugio del comportamento mimetico», che si sottrae alla logica della ripetizione e dell’assimilazione, rivelandosi capace di promuovere relazioni senza dominio. Cfr. Adorno T. W., 1975, p. 78.

Per un approfondimento sul ruolo di tale dialettica in relazione alla spinosa questione dell’autonomia, e per maggiori dettagli sulle sue implicazioni nel campo della filosofia politica, della pedagogia e dell’estetica, si veda Iacono A. M., 2000; 2010.

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21 Le prospettive di Benjamin e di Adorno saranno riprese da Michael Taussing nel suo scritto Mimesis and Alterity. Secondo l’antropologo australiano, la dialettica mimetica di assimilazione e differenziazione (anteriore al linguaggio) apre ad una esperienza “sensibile” del mondo che mette in discussione la rigida dicotomia soggetto/oggetto35.

E ancora Jean-Marie Schaeffer nello scritto Pourquoi la Fiction ? si interrogherà sul senso della relazione di somiglianza e di differenza che anima i fatti mimetici, risalendo al loro fondamento antropologico, e facendo della «compétence fictionnelle» una conquista indispensabile nei processi di ominazione e nella psicologia dello sviluppo36.

Spostandoci poi sul terreno di ricerche strettamente scientifiche, non si può non citare la celebre scoperta dei neuroni specchio, «le cellule del cervello più “famose” di tutte»37 che, sin dalla loro denominazione, chiamano in causa il motivo più popolare della storia della mímēsis. Senza scendere nei dettagli tecnici di tali studi, mi interessa solo sottolineare il fatto che anche in essi si è provveduto a ri-ambientare quella dialettica in cui la mímēsis ha tradizionalmente trovato la sua propria identità, adoperandola euristicamente per spiegare l’origine neuronale di

35 La dialettica di somiglianza e differenza serve a Taussing come strumento epistemico per prendere

posizione contro il riduzionismo antropologico, e per difendere l’autonomia culturale di popolazioni indigene quali i Cuna. Dei loro prodotti, ad esempio le figurine adoperate durante i rituali voodoo, è stata data una lettura riduttiva tale per cui essi non avrebbero fatto altro che duplicarvi le sembianze dei coloni, scambiandoli per divinità. Il lavoro di Taussing mira a dimostrare l’arbitrarietà di una tale riduzione all’altro, rivendicando la differenza, e appunto l’autonomia, di questi prodotti rispetto a quello che si crede essere il loro originale di riferimento. Taussing M., 1993.

36 Nello specifico, secondo Schaeffer, i processi mimetici si distinguono dalle altre forme di apprensione

della realtà in virtù del loro emanciparsi da un isomorfismo di primo grado, inteso nei termini ristretti della funzione referenziale, passando ad una sorta di isomorfismo di secondo grado, dove la relazione di similarità riguarda la struttura dei dispositivi mimetici e non fenomeni di superficie. Dal punto di vista cognitivo, l’efficacia di tali processi si lega al fatto che essi si “situano” entro contesti che non coincidono, ma appunto differiscono, dalla situazione dell’esperienza originale. I processi mimetici si rivelano così, nel loro insieme, una componente insostituibile del nostro rapporto con il reale, chiamando in causa quella competenza finzionale che gioca un ruolo non altrimenti fungibile nell’economia delle nostre vite. «La fiction procède certes à travers des leurres préattentionnels, mais son but n’est pas de nous leurrer, d’élaborer des semblants ou des illusions ; les leurres qu’elle élabore sont simplement le vecteur grâce auquel elle peut atteindre sa finalité véritable, qui est de nous amener à nous engager dans une activité de modélisation, ou pour le dire plus simplement, de nous amener à entrer dans la fiction». Cfr. Schaeffer J. M., 1999. La cit. a p. 199. Sulla problematica della finzione in relazione al concetto di mímēsis si veda anche Walton K., 1990.

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22 specifici processi cognitivi38. Non è di certo un caso se la scoperta dei neuroni specchio sia stata da più parti salutata come l’occasione per indagare sperimentalmente quei meccanismi dell’immedesimazione e della condivisione, a cui da sempre si sono interessati filosofi e artisti, retori e poeti. Emblematiche, in questo senso, sono le parole del drammaturgo e regista britannico Peter Brook, il quale dichiarò in un’intervista che «con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre», riferendosi a quella compartecipazione di azioni ed emozioni che a teatro coinvolge attori e spettatori, e che le neuroscienze hanno dimostrato essere spiegabile attraverso la proprietà “specchio” di un particolare tipo di neuroni39.

L’elenco delle citazioni potrebbe ancora lungamente continuare, passando per gli scritti di critica letteraria di Eric Auerbach, Northrop Frye e Gerard Genette, fino ad arrivare agli studi sulla «mise en intrigue» di Paul Ricoeur ed ai lavori di respiro più propriamente socio-antropologico di René Girard o Mihai Spariosu40. Per i nostri fini, però, basterà osservare che la principale ragione dell’odierno “successo” della mímēsis, rinata come l’araba fenice dalle

38 Nello specifico, il sistema di funzionamento dei neuroni specchio è tale per cui essi codificano un’azione

osservata in termini motori, e ne rendono possibile la replica. Sennonché, il sistema specchio è condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’imitazione. A questo scopo occorre anche un sistema di controllo che favorisca o inibisca la sua esecuzione al momento opportuno; che consenta, ad esempio, allo spettatore a teatro di perdersi nella pièce, mantenendo però una distanza che gli consenta di ritrovarsi. Questo sistema sarebbe individuabile nell’area 46 della corteccia frontale, tant’è vero che pazienti ivi lesionati sono incapaci di trattenersi dall’imitare ciò che vedono. Ad ogni modo, ciò che conta nel meccanismo “specchio” non è la replica retinica di singole azioni di fatto, ma l’efficacia dell’azione mimetica centrata più sul modo che sull’oggetto, così da consentire l’alternanza dialettica di somiglianza e differenza, di affinità e di alterità, in riferimento all’azione osservata.

39 Cfr. Rizzolatti G. & Sinigaglia C., 2006. La cit. a p. 1. Per un approfondimento sulle prospettive di ricerca

aperte dalla scoperta dei neuroni specchio nel campo dell’estetica cfr. Gallese V. & Freedberg D., 2008. Per una valutazione positiva circa gli apporti delle recenti scoperte neurofisiologiche nel campo degli studi sulle forme espressive e rappresentative e, in particolare, sul meccanismo di ricezione delle opere d’arte, si veda Catoni M. L., 20082, pp. 11-15. Per una critica alla cosiddetta neuroestetica cfr. Pizzo Russo L., 2009.

40

Per una più ampia panoramica sulle questioni e i protagonisti del dibattito contemporaneo intorno al concetto di mímēsis si possono consultare le seguenti antologie: Agacinski A., Derrida J. et al., 1975; Borsari A., 2003; Lenain T. & Lories D., 2008; Mattioli E., 1993. Si segnala anche il numero monografico Mimesis, Imiter,

représenter, circuler, della rivista francese “Hermes”, n. 22, 1998; e la voce Mimesis/Nachahmung degli Ästhetische Grundbegriffe, siglata da Costa Lima L. (2002).

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23 sue ceneri, è certamente da ricondurre alla possibilità di ibridare i termini consueti della sua dialettica (tradizionalmente confinata nell’ambito dell’estetica, della teoria delle arti e della letteratura), con i risultati più innovativi provenienti dalle scienze umane e sociali, dalle bio-scienze e, più in generale, dalla riflessione filosofica. La mímēsis è divenuta oggi, più che un concetto, un fertile luogo di pensiero, capace di ricomporre sotto un unico sguardo differenti metodi e processi di ricerca, trasformando il vecchio vizio dell’ambiguità e dell’ambivalenza, nella nuova virtù della trasversalità e dell’interdisciplinarietà.

È così che, entro alla ricerca contemporanea, il concetto di mímēsis ha potuto attestarsi come figura capace di “nominare” la conditio humana in una sua radice così feconda, da non cessare di dare germoglio e frutto; ed è così che si è compiuta l’ardua impresa di trasportare la già ricca e articolata gamma di teorie e di pronunce sulla mímēsis, in un panorama di studi sempre più complesso e variegato. Pertanto, faremmo fatica a comprenderne il valore e la portata se non la inserissimo nel contesto che le è proprio: non già quello di un’estetica o di una teoria artistica, autonoma e separata dagli altri campi del sapere; bensì quello più articolato e complesso di una generale visione dell’uomo e delle attività che lo contraddistinguono in quanto uomo. È in questa complessità, d’altra parte, che risiede l’attualità della questione della mímēsis, ma anche la sfida che il suo studio lancia a chi, oggi, voglia occuparsene.

In queste pagine vorrei provare a raccogliere tale sfida; vorrei provare ad esplorare e perseguire una ricerca che guardi alla mímēsis come ad un concetto di forte rilevanza antropologica41. Tuttavia, la strada che cercherò di percorrere procede in una direzione che

41

Faccio mia la celebre definizione dell’antropologia che troviamo all’inizio della Psychologia

antropologica di Otto Casmann, antesignano dell’antropologia filosofica, al quale spetta il merito di avere

presentato con estrema chiarezza il carattere mondano del nuovo approccio antropologico, rispetto alla tradizione umanistica. «Anthropologia est doctrina humanae naturae. Humana natura est geminae naturae mundanae, spiritualis et corporeae in unum hyphistamenon unitae, particeps essentia». Cfr. Casmann O., 1594, p. 1.

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24 può apparire insolita per un tale percorso di approfondimento. In particolare, ci si propone qui di presentare una ricostruzione storico-filosofica che, risalendo alle radici greche della

mímēsis, vi riscopre un pensiero in cui essa fu già esplicitamente configurata quale conditio humana. Ciò non contrasta affatto, del resto, con le originarie linee ispiratrici del

rovesciamento interpretativo verificatosi nella cultura contemporanea, a proposito del concetto dimímēsis.

Si tende oggi ad ignorare che tale mutamento ha avuto origine nell'ambito della filologia classica. Si deve infatti agli studi pioneristici di Hermann Koller l’avere conferito consapevolezza e spessore critico ad una discussione sulla mímēsis che, superando l’accezione ordinaria di copia servile (Nachahmung), si apre ad un campo di significati che privilegiano una più ampia capacità di rappresentazione (Darstellung) e di espressione (Ausdruck). Nello specifico, Koller sosteneva che l’utilizzo del termine mímēsis (o meglio, dei termini appartenenti alla famiglia del verbo miméomai) fosse legato a contesti in cui la musica e la danza giocano un ruolo dominante, rendendo di fatto impraticabile una sua riduzione a mera duplicazione del già dato e, soprattutto, conferendo a tale concetto una notevole complessità antropologica.

Ora, sebbene tale tesi sia stata sin da subito ampiamente criticata, a partire da quel momento non fu più possibile intendere riduttivamente la mímēsis42. La svolta operata da Koller ebbe dirette conseguenze sul modo di leggere e di interpretare il “ruolo” assunto da tale concetto nei testi della tradizione classica, portando a rilevare il fatto che la mímēsis «può riferirsi non solo ai procedimenti (che oggi chiamiamo propriamente estetici) della poesia, delle arti figurative e della musica, ma anche alla mimica vocale e orchestica, alla recitazione

42 Cfr. Koller H., 1954. L’ipotesi formulata da Koller fu puntualmente criticata da Gerald F. Else (1958). Per

una panoramica su tale confronto cfr. Sorbom G., 1966, pp. 11-21. Si deve però ricordare che il lavoro di Koller costituì l’inizio di una vera e propria querelle filologica sulla mímēsis che ebbe tra i suoi partecipanti: Moraux P., 1955; Tate J., 1955; Lesky A., 1956; Verdenius W. J., 1957; Havelock E. A., 1973.

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25 teatrale, all’assunzione di comportamenti ritenuti esemplari e ancora al legame tra i nomi e le cose, al rapporto tra l’essere e il divenire o addirittura alla contemplazione filosofica delle forme ideali»43.

Per l’appunto secondo questi tratti, cioè assumendo ed accreditando gli esiti critici e filologici che hanno saldato l’antico lessico della mímēsis ad una ricchezza di sfumature e di significati irriducibili al mero imitare, ci si prospetta la possibilità di esaminare tale nozione secondo un ordine ad essa più interno. Se a ragione Hans George Gadamer, parlando del lavoro ermeneutico, sottolineava il fatto che «il suo proprio comprendere e interpretare non è una costruzione concettuale che si sviluppa logicamente da principi, ma il proseguimento di un accadere che ha origini remote»44, è proprio impegnandosi a ripensare le origini e la storia del concetto di mímēsis che si potrà evitare il rischio di farne un facile passepartout che spiega tutto, senza bisogno d’essere a sua volta spiegato. Tale è, a mio parere, il limite cui rischiano di andare incontro gli studi contemporanei che adottando, tanto spontaneamente quanto acriticamente, una certa immagine della mímēsis, si precludono la possibilità di guardare ad essa con altri occhi.

0.2 Un concetto bifronte

Come abbiamo precedente visto, si tratta di quell’immagine che nella tradizione del pensiero occidentale si è affermata ed imposta come matrice paradigmatica dei discorsi sulla

mímēsis. Appartiene alla sua forza architettonica l’averla strutturata come «une activité

43 Lombardo G., 2002, p. 14. Per un approfondimento sulle accezioni proprie all’antico concetto di mímēsis

cfr., tra gli altri, Webster T. B. L. 1939; Sorbom G., 1966; McKeon R., 1957; Gentili B., 2006.

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26

relative à quelque chose qu’il va lui falloir»45, a un presupposto dunque, in relazione al quale si esercita (e si spiega) la dialettica di somiglianza e differenza, innovazione e ripetizione, etc.

Su questo paradigma riposa un’immagine della mímēsis come concetto bifronte, la cui

démarche si precisa nei termini della relazione binaria tra un oggetto imitante e un oggetto

imitato, dove il primo è dialetticamente qualificato come alius et idem rispetto al secondo; mentre il secondo è inteso come il riferimento che precede il primo e ne motiva l’operatività. Naturalmente, le modalità di questo riferimento possono essere variamente qualificate e interpretate. Ripercorrendo, sin dalle fonti antiche, la storia degli utilizzi del concetto di

mímēsis nel campo della poesia o delle arti visive, si potrà meglio comprendere come nello

spazio concettuale di tale dialettica essa abbia trovato non soltanto il suo volto, ma anche il suo valore. La mímēsis è stata giudicata positivamente o negativamente a seconda del risalto conferito, ora alla somiglianza tra l’imitante e l’imitato, ora alla loro differenza, con la conseguente elaborazione di una ricca e contraddittoria serie di teorie e di giudizi. Per fare un esempio tratto dalla tradizione letteraria, mi sia concesso qui richiamare, per rapidissimo cenno, le differenti tonalità con cui Orazio e Seneca problematizzano il tema del riferimento ai modelli del passato. Laddove Orazio stigmatizza il servum pecus degli imitatores che si arenano nelle secche di una pedissequa somiglianza e, come la cornacchia di Esopo, si fanno belli delle penne altrui; Seneca, con il celebre monito apes debemus imitari, declina tale rapporto positivamente, ponendo l’accento sul superamento e la differenziazione dal modello46. In entrambi i casi, però, permane come motivo paradigmatico di fondo un’immagine bifronte della mímēsis, problematizzata nei termini della relazione binaria tra un elemento primo, cui un elemento secondo si riferisce.

45 Martineau E., 1976, p. 439.

46 Cfr. rispettivamente Orazio, ep. 1.19, 19; 1.3, 15-20; Seneca, ep. 84.5. Per maggiori approfondimenti ci si

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27 Ora, nelle trame di questa relazione parrebbe destinato ad impigliarsi (e fors’anche a consumarsi) ogni percorso di approfondimento sulla mímēsis, scandagliandone le declinazioni, rovesciandone il taglio critico, ma senza mai smontarne l’ingranaggio.

Così ad esempio nel progetto decostruttivo di Jacques Derrida, il proposito di destituire il linguaggio da ogni proprietà mimetica, cancella ogni possibile riferimento ad aspetti extra-linguistici, ponendolo in esclusivo colloquio con se stesso. L’assenza del riferimento ad una qualsivoglia unità di significato extra-linguistica, immette nel gioco liberatorio delle differenze e dei rimandi continui, disseminando una significazione che mai potrà raggiungere un punto fermo. Questo vale anche per l’artefatto artistico. Riprendendo in una delle sue analisi lo scritto Mimique di Stéphane Mallarmé, Derrida sottolinea il fatto che un mimo non imita nulla, non ha modelli di riferimento.

Un Mime qui n'imite rien, ne représente rien, ne se laisse dicter son texte depuis aucun autre lieu, ne se conforme à aucun référent antérieur, n'a aucun souci de vraisemblance. Le Mime est la page blanche, il rédige et compose lui-même son soliloque qu'il trace sur la page blanche qu'il est, et ce en-dehors du système de la vérité47.

Sennonché, il punto di vista di Derrida sulla mímēsis è talmente strutturato nei termini della relazione binaria oggetto imitante/oggetto imitato, che il rifiuto di una mímēsis riferita a un archetipo, sfocia nell’esatto opposto di una libera attività creatrice che, per un verso rivendica l’assenza di ogni riferimento; per altro verso è costretta a presupporlo (seppur in negativo) come sua condizione di discorso48. Non è di certo un caso se il collasso di uno dei due termini della relazione (l’oggetto imitato), espone la lettura decostruttiva al rischio

47 Derrida J., 1993, p. 253.

48 Per un ulteriore punto di vista critico sulla concezione derridiana della mímēsis come «inchiodata a Platone

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