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Capitolo II Le Fonti italiane della giustizia penale minorile

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Capitolo II

Le Fonti italiane della giustizia penale

minorile

Sommario: 2.1- Prime circolari e progetti per una specializzazione

della giurisdizione minorile 2.2-Le novità dei codici del 1930, il nuovo

codice di procedura penale e il codice Rocco. 2.3-Il regio decreto legge

27 Luglio 1934 n. 1404. 2.4- L' entrata in vigore della Costituzione

2.5-La giurisprudenza costituzionale 2.5.1- L' esclusività della

giurisdizione minorile e l ' eliminazione delle sue eccezioni. 2.5.2- La

libertà di scelta del giudice, l ' eliminazione di ogni

automatismo.2.5.3-Le conseguenze del processo , l' eliminazione degli effetti traumatici e

stigmatizzanti sulla persona del minore.2.5.4- Il carcere come extrema

ratio , la necessaria diversificazione rispetto al processo ordinario.

2.6-Successivi progetti di riforma. 2.7-L' approvazione del nuovo codice di

procedura penale.2.7.1- La natura della delega , unitaria o pluralista?

2.7.2- I principi contenuti nella delega. 2.7.3- I principi presenti nel

d.p.r. 22 settembre 1988 n.448.

2.1- Prime circolari e progetti per una specializzazione della

giurisdizione minorile.

In Italia si è dovuto molto attendere per la creazione di una

giurisdizione minorile specializzata, solamente grazie al R.D.

20.7.1934 , n. 1404 intitolato Istituzione e funzionamento del

Tribunale dei Minorenni si arriva ad avere infatti un giudice ad hoc

per i minori di età.

Il lungo percorso compiuto per giungere a tale atto inizia nel 1908

tramite una circolare indirizzata a tutti gli Uffici giudiziari del Regno,

emanata dall' allora ministro guardasigilli Emanuele Orlando il quale

preoccupato “dall' aumento spaventevole della delinquenza dei

minori” e consapevole dell' inevitabile lentezza del legislatore ,

richiedeva che almeno un giudice e sempre lo stesso all' interno della

composizione dei Tribunali si occupasse dei soli procedimenti nei

(2)

confronti dei minori.

I giudici non avrebbero dovuto limitarsi ad accertare il fatto delittuoso

nella sua materialità ma avrebbero dovuto considerare anche lo stato di

famiglia , le condizioni socio ambientali , l ' indole e il carattere di

coloro che esercitavano nei confronti del minore la podestà .Si

sollecitavano inoltre i giudici a collaborare con gli organismi di

assistenza pubblica al fine di adottare dei provvedimenti utili per il

recupero del minore.

“Bisogna che l' azione penale rispetto ai minorenni “,concludeva la

circolare, “sebbene dolorosamente necessaria non solo non riesca a

renderne il cuore più tristo e a rafforzare l ' avversione contro la legge

e l ' autorità ma eserciti una efficacia spiritualmente benefica

ispirando la persuasione della necessità della pena e del

ravvedimento”.

La circolare Orlando non solo caldeggiava una specializzazione dei

giudici ma si preoccupava anche della personalità dei minori spesso

deviata da fattori economico sociali e familiari.

La circolare è considerata chiaramente come il primo vero passo

verso la specializzazione della giurisdizione minorile , in quanto per

prima mise alla luce un problema ancora non discusso ma nella

pratica purtroppo non ebbe l ' attuazione sperata.

1

Successivamente degni di nota sono sicuramente i progetti Quarta ,

Ollandini e Ferri.

Nel 1909 fu istituita una apposita commissione la cui presidenza fu

affidata al senatore Quarta per la redazione di un Codice dei Minorenni

che aveva lo scopo di riunire le varie leggi e disposizioni relative al

minore allora vigenti. Nel progetto, concluso nel 1919, era prevista l '

istituzione di una magistratura specializzata composta da giudici in

possesso di competenze speciali nelle aree biologiche , pedegogiche e

sociali. Il progetto non giunse all' esame del Parlamento ma costituì

esempio per i successivi progetti Ollandini e Ferri.

(3)

Il progetto Ollandini venne presentato in Parlamento nel 1922 ma non

divenne legge. Prevedeva l' istituzione in ogni città con popolazione

superiore a duecentomila abitanti di un organo collegiale misto ,

composto da tre o cinque membri scelti tra i magistrati di carriera e

funzionari privati con speciali attitudini con competenza di vigilanza ,

tutela e protezione.

Stessa sorte ebbe anche il successivo progetto Ferri il quale

sottolineava nuovamente la necessità di una magistratura specializzata

la quale doveva provvedere anche al controllo degli istituti di

beneficenza educativa dei minorenni.

Nel 1929 il ministro guardasigilli Alfredo Rocco emanò la circolare

n.2236 riprendendo i principi e le idee presenti nella precedente

circolare emanata dal ministro Orlando venti anni prima. Nella

circolare si disponeva la necessaria creazione di una magistratura

specializzata per i minori in attesa della riforma del codice penale e del

codice di procedura penale tramite l' istituzione nelle più ampie e

importanti sedi di Corte di Appello (Torino , Milano , Firenze , Roma,

Napoli , Palermo ) e nei Tribunali e nelle preture delle stesse città, di

una magistratura specializzata per i processi a carico di soli minori di

età con competenze sia istruttorie, come era stato già disposto dalla

circolare Orlando, sia con funzioni requirenti normalmente affidate al

pubblico ministero.

23

Per magistratura specializzata si intendeva una “speciale sezione

permanente composta, tranne i casi di temporaneo impedimento,

sempre dagli stessi magistrati e da un unico pretore o vice pretore”.

Si richiedeva infine una separazione anche a livello architettonico degli

uffici al fine di poter compiere processi minorili distinti da quelli che

coinvolgevano i maggiori di età.

4

.

2 Ciannavei A.,L'imputabilità del minore,Uni service, Trento, 2009, pg 118. 3 Tale organizzazione venne estesa a tutte le Corti di Appello ed ai rispettivi

Tribunali e preture dalla successiva circolare De Francisci emanata nel 1933. 4 Giambruno S.,Il processo penale minorile , Milano , Cedam , 2001,pg.8

(4)

2.2- Le novità dei codici del 1930, il nuovo codice di procedura

penale e il codice Rocco.

Nel 1930 vennero approvati il nuovo codice penale (il c.d. Codice

Rocco) ed il contestuale codice di procedura penale, entrambi

apportarono modifiche rilevanti per la materia penale minorile.

Anzitutto il nuovo codice di procedura penale stabilì la separazione

tra i processi ordinari e quelli minorili, ciò fu possibile grazie all'art.

425 il quale dispose l' utilizzo di speciali udienze per i procedimenti a

carico dei minori . Tali udienze dovevano svolgersi a porte chiuse

tranne la possibilità per i genitori , tutori e rappresentati degli istituti di

assistenza per minorenni di presenziare.

Il codice Rocco invece fissò a 18 anni l' acquisizione della piena

capacità penale, stabilendo un periodo intermedio tra i 14 e i 18 anni

durante il quale era compito del magistrato accertare l ' imputabilità

del minore.

Di fatto quindi minori potevano essere ritenuti non imputabili e

poteva essere loro applicata una misura di sicurezza con funzione

terapeutica e di difesa sociale ( come il riformatorio giudiziale o la

libertà vigilata nel caso in cui fossero ritenuti socialmente pericolosi

ex art. 224 c.p. oppure il manicomio giudiziario nel caso di

proscioglimento per infermità psichica ex art . 222 c.p. ).

I minori invece ritenuti imputabili e conseguentemente condannati

dovevano scontare la pena in stabilimenti separati da quelli destinati

agli adulti, inoltre ex art. 142 c.p. si prevedeva che venisse loro

impartita una istruzione diretta soprattutto alla rieducazione morale. Il

codice Rocco introdusse anche una misura innovativa e applicabile

solo ai minori, il perdono giudiziale, il quale consisteva nella

“rinuncia da parte dello stato alla condanna o addirittura al rinvio a

giudizio, pur avendo il giudice accertato la responsabilità

giudiziale.”

5

Tale misura veniva applicata nel caso in cui la pena da scontare non

(5)

fosse superiore ai 2 anni ed il minore non avesse precedenti penali , il

giudice doveva però ritenere non possibile il compimento di altri reati

da parte del minore(ex art. 169). Si proponeva quindi una alternativa

ad una pena con finalità meramente retribuzionista la quale poteva

danneggiare lo sviluppo psicofisico del minore di età.

1.3-Il regio decreto legge 27 Luglio 1934 n. 1404

Si arriva così al r.d.l . 27 Luglio 1934 n. 1404 convertito con la legge

27 maggio 1935 n.835, al quale dobbiamo la creazione di una vera e

propria magistratura specializzata per i minori. Tale provvedimento

andando a integrare e modificare il codice di procedura penale del

1930 introdusse un processo più attento alle caratteristiche

psicologiche del minore

6

anche se non sempre in maniera

soddisfacente questo a causa di un quadro generale che era poco

incline ad un processo penale favorevole ai diritti dell' imputato in

quanto più teso alla valorizzazione del carattere retributivo della pena

7

. La composizione dell ' organo specializzato è descritta all' art. 2 il

quale prevedeva la presenza di un magistrato con grado di consigliere

di Corte di appello, un magistrato con semplice grado di giudice e un

cittadino benemerito scelto tra i cultori di biologia ,psichiatria,

antropologia criminale, pedagogia. L' art. 3 disponeva invece la

competenza territoriale :

“Il tribunale per i minorenni ha giurisdizione su tutto il territorio

della Corte di Appello o della sezione di Corte di Appello in cui è

istituito”

Infine l ' art. 4 si occupava della creazione di un ufficio autonomo del

pubblico ministero presso il Tribunale dei minorenni. La possibilità di

proporre appello era invece disciplinata all' art. 5 che prevedeva l'

6 Seguono tale prospettiva l ' art. 8 il quale disciplinava gli istituti di osservazione e l' art. 11 il quale aveva ad oggetto e indagini compiute sulla personalità del minore.

7 Della Casa F., Processo penale minorile, in Conso G. , Grevi V., Compendio di

(6)

utilizzo, nei casi ammessi dalla legge, di una sezione della Corte di

Appello scelta all' inizio dell' anno giudiziario dal Capo dello Stato.

Di particolare interesse anche l' art. 8 il quale chiariva il compito degli

istituti di osservazione, luoghi “destinati ad accogliere ed ospitare in

padiglioni o sezioni distinti opportunamente , i minori degli anni 18

abbandonati, fermati o, per motivi di pubblica sicurezza, in stato di

detenzione preventiva o, comunque, in attesa di un provvedimento

della autorità giudiziaria”.

Il secondo comma rifletteva invece l' intenzione di soffermarsi sulle

caratteristiche e i bisogni personali del minore in quanto affermava

come lo scopo precipuo di tali istituti era quello di compiere un esame

della personalità del minore e segnalare le misure ed il trattamento

rieducativo più idonei per assicurarne il riadattamento sociale;quindi

particolare era anche il successivo art. 11 il quale nel delineare le

forme del procedimento prescriveva la necessità di compiere speciali

ricerche per accertare i precedenti personali e familiari dell' imputato

sia sotto l ' aspetto fisico che morale e ambientale.

2.4-L' entrata in vigore della Costituzione

La Carta Costituzionale del 1948 ha introdotto nel nostro ordinamento

numerosi principi di rango primario che hanno modificato l ' assetto

giuridico dei cittadini, abbiamo assistito ad una potente reazione

successiva al totalitarismo fascista che ha comportato il

riconoscimento di ampi diritti nei confronti dei soggetti; la figura

stessa del minore ha subito un cambiamento di prospettiva grazie ai

principi costituzionali, il minore non viene più considerato come un

soggetto debole da proteggere ma da un lato un individuo in fase di

crescita a cui devono essere garantiti in via generale tutti i diritti che

sono riconosciuti ad ogni altro individuo e dall' altro un soggetto

giuridico destinatario di speciali e specifiche garanzie e titolare di

autonomi diritti.

8

(7)

Gli articoli che interessano la materia della giustizia penale e processuale minorile sono vari , è possibile indicare un primo gruppo di disposizioni di carattere generale ed secondo gruppo che attiene specificatamente alla protezione e alla tutela dei minori , per quanto riguarda i primi si indicano :

a) L ' art. 13 Cost. il quale riconosce il carattere inviolabile della libertà personale (principio essenziale nella successiva disamina circa l' applicazione delle misure cautelari).

b)L' art. 24 Cost. che dispone il diritto alla tutela giudiziale e il diritto alla difesa . c) L' art 27 Cost,. in particolare il comma 3 inerente alla funzione della pena che deve tendere alla rieducazione.

d)Infine l' art 111 Cost. riguardante l' esercizio della funzione giurisdizionale. I succitati articoli devono però essere letti e interpretati coniugandoli con le disposizioni costituzionali che proteggono specificatamente i minori quindi : a)L' art. 30 Cost. il quale sancisce il diritto -dovere dei genitori a mantenere ,istruire ed educare i figli, nel caso di incapacità dei genitori è disposto invece come la legge debba provvedere a che essi siano assolti dai loro compiti.

b)L' art. 31 Cost. comma 2 il quale dispone come la Repubblica “ protegge la

maternità , l'infanzia , la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

2-5 La giurisprudenza costituzionale

La Corte Costituzionale tramite le proprie sentenze ,sia esse di

interpretazione , di rigetto o di incostituzionalità , ha creato delle

inequivocabili linee di tendenza

9

nei vari ambiti della giustizia penale

minorile disponendo infatti delle importanti modifiche al sistema il

quale è stato modellato non solo grazie agli interventi legislativi ma

anche tramite la stessa giurisprudenza costituzionale la quale nella

applicazione e nella interpretazione dei principi della Carta

fondamentale ha sicuramente contribuito alla realizzazione di un

sistema di maggior tutela dei minori.

Le sentenze della Corte Costituzionale possono essere distinte in base

al tipo di garanzia e al tipo di tutela che perseguono,sono varie quindi

le direzioni seguite e gli ambiti che che sono stati soggetti al dictum

Angeli Editore , Milano , 1990 , pg 137.

9 Palermo Fabris E. ,Presutti A. , Trattato di diritto di famiglia , Giuffrè Editore , 2009. pg. 199.

(8)

costituzionale.

2-5.1 L' esclusività della giurisdizione minorile e l ' eliminazione

delle sue eccezioni.

Nell' ambito specifico della giustizia penale minorile il ruolo di protezione della Repubblica, enunciato all ' art. 31 Cost., viene svolto cercando di preservare il processo educativo del minore ,tale obiettivo è adempiuto tramite l ' utilizzo dello specifico Tribunale per i minorenni. La Corte Costituzionale ha indicato tale interpretazione in molte sentenze nelle quali appunto emerge con chiarezza la particolare struttura della giustizia penale minorile la quale necessita di un organo giudicante ad hoc che riesca a garantire il rispetto dei principi costituzionali ed in generale la tutela delle particolari esigenze dei minori.

È opportuno quindi ricordare la sentenza n. 25 /1964 la quale ha sottolineato la peculiarità del sistema penale minorile :

“ La giustizia minorile ha una particolare struttura in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme più adatte per la rieducazione dei minorenni”.

La Corte in tal caso evidenzia il fine della giustizia minorile : riuscire a rieducare e quindi favorire il reinserimento sociale dei soggetti che pur essendo minori si trovano inseriti nel sistema processuale penale , proprio a causa della particolare condizione dei soggetti imputati è necessario che a condurre l ' iter processuale sia un organo specializzato , il Tribunale dei minorenni .

Si sono poi succedute altre sentenze della Consulta per arrivare a stabilire senza deroghe ed eccezioni la totale competenza di tale Tribunale.

Punto centrale della maggior parte delle sentenze è stato l ' art. 9 del D.P.R. 1934 n. 1404 il quale se al comma 1 stabiliva la regola generale della competenza del Tribunale dei minorenni nel caso di procedimenti penali nei confronti di imputati minori degli anni 18 ,al comma 2 prevedeva una eccezione :

“La disposizione non è applicabile quando nel

procedimento vi sono

coimputati maggiori degli anni 18, a meno che il procuratore

generale presso la Corte d'appello, con suo provvedimento

insindacabile, non deliberi che a carico dei coimputati maggiori degli

anni 18 si proceda separatamente “.

è possibile analizzare il lungo percorso compiuto dalla Corte

Costituzionale indicando i mutamenti di opinione avvenuti nelle varie

sentenze :

(9)

Inizialmente la Corte

10

non dispose l ' incostituzionalità della deroga

presente all' art. 9 comma 2 del D.P.R. 1934 n.1404, in quanto

riteneva che il simultaneus processus fosse l ' interesse meritevole di

maggior tutela :

“La connessione é un criterio fondamentale di attribuzione della

competenza, perché provvede alla esigenza di evitare che la

cognizione distinta di più processi produca incoerenze di decisioni o

incompletezze di esame”.

La Corte Costituzionale preferì infatti soffermarsi sul secondo comma

dell ' art. 9, dove era previsto che, fino a quando non fosse per la

prima volta aperto il dibattimento, si dava la facoltà al Procuratore

generale della Corte di appello di deliberare, con suo provvedimento

insindacabile, che nei casi in cui sono coimputati maggiori e minori

dei diciotto anni, si proceda separatamente a carico dei primi.

Secondo la Consulta tale previsione era in contrasto con l ' art. 25 della

Costituzione in quanto il carattere insindacabile del provvedimento del

Procuratore avrebbe impedito di conoscerne le ragioni e di effettuare

un controllo circa la loro congruità.

Anche la successiva sent. num. 10 /1966 conferma la mancanza di

incostituzionalità nei confronti dell ' art. 9 del D.P.R. 1934 n. 1404

questo perchè l ' unicità del procedimento è giustificato da esigenze di

uniformità del giudizio il quale, nel caso di processi separati, potrebbe

risentire di incongruenze , contrasti tra decisioni e incompletezza nell '

esame dei fatti.

Successivamente invece la sent. num. 198/1972 ha limitato il raggio

di applicabilità dell ' art. 9 disponendo come esso si riferisca al solo

caso di compartecipazione del maggiore di età nello stesso reato

commesso dal minore , si tratta del caso tipico di concorso di più

persone nello stesso reato. Tale decisione limita molto l ' operatività

della eccezione prevista all ' art 9 , non consentendo quindi il suo

utilizzo per gli altri casi di connessione come per esempio nel caso di

(10)

commissione da parte del minore di un reato diverso ma connesso al

reato commesso dal maggiore di età , in tal caso infatti l ' azione del

minore possiede una propria autonomia che giustifica l ' utilizzo del

giudice specializzato.

Pur tale sentenza circoscrivendo l ' efficacia dell' art. 9 non riesce

ancora ad eliminare tale eccezione che rimarrà nel nostro ordinamento

fino alla sentenza num. 222/1983 con la quale finalmente la Corte

arriva a stabilire la sua eliminazione dal nostro ordinamento.

La Corte spiega in primo luogo la ratio sottesa alle precedenti sentenze

affermando :

“Le tre pronunce della Corte, dunque, per giustificare la deroga

hanno fatto tutte leva sulla esigenza del simultaneus processus,

considerata preminente rispetto alla ratio ispiratrice della istituzione

di un giudice specializzato per gli imputati minorenni.

L ' istituto della connessione viene analizzato dalla Corte la quale

conviene sulla sua progressiva erosione

11

che ha modificato l '

ordinamento in modo che l ' esigenza di garantire il simultaneus

processus non risulta più preminente rispetto ad altre esigenze

meritevoli di tutela, come per esempio la tutela dei minori, la quale si

colloca giustamente tra gli interessi costituzionalmente garantiti.

Quindi conclude la Corte :

“Il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive

attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben può essere

annoverato tra quegli "istituti" dei quali la Repubblica deve favorire

lo sviluppo ed il funzionamento, così adempiendo al precetto

costituzionale che la impegna alla "protezione della gioventù”

(...)quindi “la residua deroga alla generale competenza del tribunale

11Erosione causata per esempio dall ' utilizzo dei giudizi direttissimi i quali hanno più volte previsto la possibilità di utilizzare processi separati. La Corte ricorda infatti l' art. 35 della legge n. 110 /1975 il quale stabilisce, nel caso di utilizzo del giudizio direttissimo : per i reati connessi si procede , di regola , previa separazione dei

processi. Altri esempi riportati dalla Corte son gli artt. 17 e 26 della l. num 152 /

(11)

per i minorenni risulta ormai carente di adeguata giustificazione; e

poiché ogni deroga ad una disciplina generale (specie se la disciplina,

come quella in esame, sia preordinata a tutela di interessi

costituzionalmente garantiti) dev'essere sorretta da valide ragioni

giustificative, evidente appare il suo contrasto con il principio sancito

dall'art. 3 della Costituzione.

Tale sentenza, riconoscendo al Tribunale dei minorenni una

competenza esclusiva (tranne rare eccezioni), ha avuto un effetto

domino nei confronti di altre deroghe presenti nel nostro ordinamento,

è questo il caso per esempio, dell' art. 263 c.p.mil.p. il quale è stato

considerato incostituzionale dalla sent. num. 79 /1989 nella parte in

cui prevedeva la sottrazione al Tribunale dei minorenni del giudizio sui

reati commessi dai minori appartenenti alle forze armate.

Più recentemente invece la Corte Costituzionale

12

ha disposto l'

incostituzionalità dell ' art. 6 comma 3 della l. num . 143/1996 nella

parte in cui prevedeva che la convalida del provvedimento cautelare

previsto al comma 2 fosse di competenza, anche nel caso in cui i

destinatari fossero stati minori, del g.i.p del tribunale ordinario invece

che del Tribunale dei minorenni.

2.5-2 La libertà di scelta del giudice, l ' eliminazione di ogni

automatismo.

Importanti sentenze della Corte Costituzionale sono state quelle che

hanno stabilito l ' eliminazione di ogni automatismo nel processo

penale minorile rendendo così possibile per il giudice il non sottostare

a scelte obbligate

13

.

Si possono richiamare in questo senso la sent. num. 46 /1978 con la

quale venne dichiarata non applicabile la cattura obbligatoria per i

12 Sent. num . 143 del 7/5/1996.

13 Si esprimono in questo senso anche le Regole di Pechino che prevedono, n.8 : “ un potere discrezionale appropriato a diversi livelli dell'amministrazione

(12)

minori prevista all'art. 1 della l. num. 152 /1975 in quanto”

risulterebbe profondamente contraddittorio con tutta la normativa sui

minori degli anni diciotto il rigido automatismo di un divieto che

precludesse al giudice la possibilità di adottare differenziate

valutazioni in ordine all'adozione o meno di misure di carcerazione

preventiva: in realtà a ferire la coerenza e la razionalità del sistema

sarebbe l'arbitraria equiparazione dei minori tra di loro”.

Nello stesso senso si esprime la sent. n. 109/1997 tramite la quale è

stata disposta la parziale incostituzionalità dell' art. 67 della l. num.

689/1981 nella parte in cui si escludeva, anche per i condannati minori

di età, la possibile applicazione dell ' affidamento in prova al servizio

sociale e della semidentenzione per coloro che fossero incorsi , nel

passato , nella revoca di una sanzione sostitutiva.

In tal modo si esprime la Corte anche nella sent. 16/1998 la quale ha

ad oggetto l ' art. 59 della l. 689/1981 il quale prevedeva delle

condizioni soggettive che escludevano automaticamente la possibilità

di applicare le sanzioni sostitutive. L ' articolo in questione è stato

dichiarato incostituzionale nella parte in cui non prevedeva la sua non

operatività nei confronti dei minori , questo a causa della lesione dell'

art. 31 comma 2 Cost. e dell art. 27 comma 3 Cost. “non potendo

ritenersi osservante del principio della protezione della gioventù un

regime che collide con la funzione rieducativa della pena irrogata al

minore facendo operare in sede di cognizione il rigido automatismo

che é insito nella previsione della norma denunciata, la quale

preclude ogni valutazione del caso concreto, tanto da impedire la

realizzazione della specifica funzione rieducativa perseguita dalle

sanzioni sostitutive, desumibile anche dalle condizioni e dagli scopi

che ne consentono l'accesso”.

Sostanzialmente i rigidi automatismi nell ' ambito del processo

minorile si scontrerebbero con la finalità di recupero prevista all' art.

(13)

31 comma 2 Cost. letto in relazione all ' art. 27 comma 3 Cost. ,questo

perchè l ' obbiettivo del recupero è compiuto dal giudice valutando

ogni caso concreto tramite delle prognosi individualizzate al fine di

poter adattare il trattamento alle diverse esigenze sopravvenute, quindi

le imposizioni legislative renderebbero impossibile l ' adozione da

parte del giudice di misure realmente finalizzate al recupero.

Di segno opposto sembrerebbe essere la precedente sent. num.

295/1986 la quale sancisce la piena legittimità del divieto di

reiterazione del perdono giudiziale

14

il quale può quindi essere

concesso una sola volta impedendo al giudice la possibilità di un suo

secondo utilizzo.

In realtà la Corte Costituzionale compie un ampio ragionamento circa

la ratio del perdono giudiziale il quale fonda la sua ragion d' essere su

una fiducia riposta sul minore e sulle sue capacità di autodisciplina.

Il giudice nel decidere sulla applicabilità di tale istituto deve presumere

che il minore si asterrà dal commettere altri reati ,tale presunzione è

compiuta in base ad giudizio prognostico sul comportamento futuro del

minore e quindi sulla possibilità che la mancata irrogazione della pena

contribuisca al recupero dello stesso in termini di ragionevole

prevedibilità.

Il giudice quindi è libero di compiere accertamenti ed esami ma nel

caso di commissione di ulteriore reato il minore mostra di non aver

rispettato la fiducia riposta in lui dall ' ordinamento , la sua ricaduta

deve essere considerata grave e quindi se da un lato generalmente si

ritiene non vincolabile il giudice nelle sue scelte dall ' altro lato si

comprende come il minore ha avuto la sua occasione , è stato

perdonato ma ha deluso le aspettative in quanto la prognosi favorevole

si è già dimostrata errata ed è per questo che l'esecuzione della pena

per il secondo reato é da ritenersi frutto d'una non irrazionale scelta

del legislatore, tesa appunto a realizzare esigenze rieducative del

(14)

minore. Anche le pene tendono alla rieducazione, non soltanto le

misure liberatorie quali il perdono giudiziale.

2.5-3 Le conseguenze del processo, l' eliminazione degli effetti

traumatici e stigmatizzanti sulla persona del minore.

Le sentenze della Corte hanno anche cercato di ridurre gli effetti

traumatici che il processo penale può comportare nei confronti dei

minori . Segue tale segno la sent. num. 25 /1965 la quale ha

considerato pienamente legittime le previsioni riguardanti la deroga

alla pubblicità dibattimentale nei procedimenti con imputati minorenni

in quanto la pubblicità dei fatti in causa potrebbe danneggiare

gravemente lo sviluppo spirituale e la vita materiale dei giovani

imputati.

È opportuno ricordare quindi anche la sent. num. 433/1997 la quale ha

confermato la piena legittimità dell ' art. 10 del D.P.R. 488/1988 nella

parte in cui prevede il divieto di esercizio dell' azione civile nel

processo penale.

La Corte afferma infatti come tale divieto trovi giustificazione nell'

esigenza di non turbare il processo educativo del minore, il quale

sarebbe danneggiato nel caso in cui si permettesse la presenza di un

soggetto portatore di interessi privati estranei a quelli perseguiti dallo

Stato. Inoltre l'evitare l' azione civile permetterebbe una maggiore

snellezza e rapidità dell' iter processuale permettendo una più ampia

tutela nei confronti del minore il quale sarebbe sottratto più

velocemente dal procedimento .

Proprio a causa dei possibili danneggiamenti che il processo penale

può arrecare nei confronti dei minori, la Corte costituzionale ha

imposto il diritto ad una assistenza morale tramite la sent. 99/1975

nella quale si riconosce la difficoltà per il minore di adeguarsi al

comportamento processuale in quanto soggetto non totalmente

sviluppato e non idoneo a valutare compiutamente gli atti e le

(15)

conseguenze del processo penale e quindi meritevole di una assistenza

diversa e ulteriore rispetto a quella puramente tecnica.

2-5.4 Il carcere come extrema ratio , la necessaria diversificazione

rispetto al processo ordinario.

Una ulteriore conquista della Corte Costituzionale è stata quella di

proclamare il principio di extrema ratio della misura detentiva nel

processo minorile.

Il carcere sia come luogo di espiazione della pena sia come misura

cautelare non pare infatti essere in linea con le esigenze di

rieducazione, di reinserimento e di protezione del minore.

Già con la sent. num. 120 /1977, relativa al perdono giudiziale , la

Corte aveva espresso dubbi circa l ' efficacia costruttiva del carcere ,

disponendo come il perdono giudiziale trova il suo fondamento a

causa della minore fiducia del legislatore nella capacità rieducativa

del carcere per i minorenni e della maggiore fiducia nella possibilità

del loro recupero sociale dopo il primo incontro con la giustizia

penale.

Successivamente la Corte con la sent. num. 46 /1978

15

afferma come vi

sia nel nostro ordinamento la generale tendenza a considerare il ricorso

alla istituzione carceraria una ultima ratio, considerazione che trova

conferma nell' ampio uso fatto di istituti come la sospensione

condizionale della pena o del perdono giudiziale. La Corte inoltre

chiarisce come il nostro ordinamento non sia ispirato ad un generico

favor nei confronti dei minori quanto piuttosto ad un dovere di

protezione che trae la sua ragion d' essere nell ' art. 31 comma 2 Cost.

La Repubblica deve infatti provvedere alla tutela dei minori di età e

tale protezione è svolta sul versante processual penale tramite la

15 La sentenza riguardava la questione , dichiarata non fondata , di legittimità costituzionale dell ' art 1 della l. 152/1975 nella parte in cui non escludeva dal divieto di concessione della libertà provvisoria i minori degli anni 18 .<<

(16)

creazione di istituti e servizi che dovrebbero rendere residuale il

ricorso alla misura carceraria , non si tratterebbe però di una

sottovalutazione del problema della delinquenza minorile quanto di un

metodo per cercare di non lasciare intentate le possibilità di recupero di

soggetti non ancora totalmente sviluppati.

È quindi chiaro che la Corte abbia guardato con favore ad un istituto

come la sospensione del processo disciplinato all'art. 28 D.P.R.

488/1988 questo perchè si è prevista la possibilità di evitare parte dell '

iter processuale , mettendo appunto alla prova il soggetto minore di

età , consentendo poi in caso di esito positivo del periodo di prova l '

estinzione del reato.

Il favor della Corte nei confronti di tale istituto è confermato dalla sent.

125 /1995 nella quale è stata dichiarata l ' incostituzionalità dell ' art.

28 del D.P.R. 488/1988 nella parte in cui escludeva la possibilità del

ricorso alla sospensione del processo nel caso in cui il minore imputato

avesse richiesto il giudizio abbreviato o il giudizio immediato. Le

ragioni della Corte si sono basate sulla lesione dell ' art. 31 comma 2

Cost. in quanto tale istituto rappresenta

uno strumento

particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle

indicate finalità della giustizia minorile.

Le finalità della giustizia minorile dall ' altra parte non sarebbero

garantite nel caso dell ' istituto della applicazione della pena su

richiesta (c.d. patteggiamento) il quale secondo l ' art. 25 D.P.R.

448/1988 non è applicabile nel processo penale minorile. La Corte

Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità

sollevata proprio nei confronti dell ' art. 25 in quanto una volta

intervenuto l ' accordo delle parti , resterebbe esclusa ogni possibilità

per una conclusione del giudizio di contenuto assolutorio quindi in

realtà la pena detentiva non avrebbe assolutamente un spazio residuale

contrariamente a quanto stabilito nelle precedenti sentenze ed in

contrasto quindi con l ' art. 31 comma 2 Cost..

(17)

è possibile osservare in tale sentenza un ulteriore elemento ricorrente

delle pronunce costituzionali , quello relativo alla differenziazione

sussistente tra processo ordinario e processo minorile .

La Corte infatti ritiene che la non applicabilità del patteggiamento nel

processo minorile non sia causa di una disparità di trattamento tra i due

riti questo in quanto il processo minorile si caratterizza per la sua

ampia specificità causata dalle particolari esigenze dei soggetti

imputati le quali giustificano l ' utilizzo ( o il non utilizzo ) di istituti ,

soluzioni e misure ad hoc .

La carcerazione come extrema ratio diventa quindi uno degli elementi

di maggiore differenziazione tra i due riti proprio in quanto espressione

della maggior tutela che l ' ordinamento deve compiere nei confronti

dei minori a causa delle loro peculiari esigenze di recupero dovute a un

percorso evolutivo non ancora portato a termine.

Espressione di tale orientamento è la sent. num. 168 /1994 la quale ha

sancito l ' incostituzionalità degli arrt. 17 e 22 c.p. nella parte in cui

non escludevano l ' applicabilità della pena perpetua nei confronti dei

minori , nessun problema è stato però rilevato per quanto attiene l '

ergastolo nei confronti degli adulti a causa dei molti istituti di favore

che di fatto limitano il fattore della perpetuità.

La particolare condizione minorile

è tutelata dalla Costituzione dall ' art. 31

comma 2 il quale impone un generale dovere di protezione a carico delle Repubblica , nell' ambito specifico processual penale tale dovere di protezione è svolto, come afferma la Corte, cercando di “diversificare il più possibile il

trattamento del minore dalla disciplina punitiva generale” altrimenti si verrebbe a

creare una ingiusta equiparazione nel contesto punitivo per tutti i soggetti portando ad una parificazione di situazioni differenti.

La Corte Costituzionale per sancire l' illegittimità dell' ergastolo nei confronti dei minori richiama anche l ' art. 27 comma 3 Cost. il quale assume nell' ambito minorile una particolare valenza.

La pena , è affermato , deve tendere alla rieducazione ,tale assunto deve però essere letto in coordinazione con il generale dovere di protezione previsto all ' art. 31 comma 2 Cost. ed acquista così un significato nuovo e diverso, infatti se nei confronti degli adulti la funzione rieducativa è considerata in una logica

(18)

polifunzionale , nei confronti dei minori :

Questa funzione , data la particolare attenzione che deve essere riservata , in ossequio all ' art. 31 della Costituzione ,ai problemi educativi dei giovani ,per i soggetti minori di età è da considerarsi , se non esclusiva, certamente preminente,

quindi continua la Corte, si impone un mutamento di segno al principio rieducativo

immanente alla pena , attribuendo a quest'ultima , proprio perchè applicata nei confronti di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria identità, una connotazione più educativa che rieducativa , in funzione del suo inserimento maturo nel consorzio sociale”

2.6-Successivi progetti di riforma

A causa della entrata in vigore della Carta fondamentale è stato necessario un ripensamento della giustizia penale minorile alla luce dei nuovi principi16 entrati a far

parte nel nostro ordinamento.

Il legislatore durante gli anni '50 si operò al fine di predisporre il necessario mutamento della disciplina processul penale minorile. Essenziale fu in tale senso la l. num. 888/56 la quale andò a modificare l' R.D.L. 1404 /1934.

Tale legge si caratterizza per aver sottolineato la necessità di un trattamento individualizzato per i minori il quale deve essere disegnato sulla base dei bisogni e della personalità del giovane soggetto imputato e deve quindi allontanarsi da una logica meramente repressiva della pena.

Si legge infatti nella Relazione alla l. 888/56 :

“Scopo principale delle modifiche che si intendono apportare alla legislazione vigente col presente schema di disegno di legge è quello di dar modo all ' Autorità giudiziaria di scegliere, di volta in volta, le misure più rispondenti alla personalità del minore da rieducare” Solo tramite una individualizzazione infatti è possibile

arrivare a poter compiere l ' opera di risocializzazione, reinserimento, rieducazione e protezione del minore imputato.

La personalizzazione delle misure e del trattamento erano realizzate basandosi sui risultati delle indagini compiute secondo quanto previsto all' art.11 del regio decreto , la legge del '56 ha disposto però che competente a svolgere tali indagini non sia più il pubblico ministero ma una componente del Tribunale17 . Viene inoltre modificata la

composizione dei centri di rieducazione dei minorenni al fine di riuscire a compiere al meglio un' opera di rieducazione individualizzata . L' art. 1 della l. num. 888/1956 prevede quindi la possibile presenza di istituti di osservazione , gabinetti medico-psico-pedagogici, uffici di servizio sociale per minorenni , focolari di 16 Si veda in proposito i paragrafi precedenti.

(19)

semilibertà , pensionati minorili , scuole , laboratori,riformatori giudiziari ed infine prigioni scuola.

La nuova legge ha introdotto anche delle apposite sezioni di custodia preventiva presso l ' istituto di osservazione disponendo quindi che il minore in attesa di giudizio non dovesse, nel caso di applicazione di una misura cautelare, essere custodito in carcere.

La Circolare n.721 /3196 del 1957 ha spiegato come questa modifica è stata ritenuta necessaria a causa della “esigenza di rispetto della personalità del minore e , ad un

tempo , condizione tecnica per una buona diagnosi , il non aggravare , al di là delle necessità concrete di sicurezza , le tensioni emotive in corso , ma al contrario scaricarle attraverso quelle condizioni ambientali e quel trattamento che una intelligente pedagogia suggerisce”.18

Tale legge oltre a orientarsi verso una logica rieducativa della pena, come imposto dall ' art. 27 comma 3 della Costituzione , favorisce una maggiore attenzione per l' azione preventiva, ritenuta più utile della successiva azione repressiva,19 questo in

quanto i soggetti coinvolti sono minori considerati deviati i quali possono regolarizzare la loro condotta tramite l ' utilizzo di istituti assistenziali. Tale impostazione si nota nella preferenza compiuta nei confronti del settore amministrativo rispetto al settore penale. Sono ampliate le possibilità per il giudice amministrativo di disporre le misure rieducative le quali infatti possono compiersi nei vari istituti di carattere assistenziale che la legge ha previsto all ' art. 1 .

Il Tribunale, nella applicazione della misura di rieducazione,dovrà scegliere quella che risulti essere più adatta per il minore sulla base delle sue personali esigenze , considerando inoltre che il collocamento in una casa di rieducazione rappresenta una ultima ratio questo a causa della separazione dall ' esterno che comporta tale misura la quale quindi è capace di produrre effetti stigmatizzanti nei confronti dei minori. La legge num. 888/56 pur essendo mirata a costituire un sistema basato sul principio di rieducazione nei fatti però celava intenti punitivi. Questo perchè gli istituti ivi disciplinati se esternamente erano utilizzati al fine del reinserimento e recupero del minore, nella realtà comportavano l ' internamento e quindi l ' emarginazione dei soggetti coinvolti, prassi non funzionale alla rieducazione.20

Il successivo D.P.R. 24 luglio 1977 num. 616 è stato il risultato della crisi delle istituzioni rieducative la quale comportò una maggiore sensibilità verso le 18 Circolare 7 Febbraio 1957, n. 721/3196

19 Palermo Fabris E., Presutti A. , Trattato di diritto di famiglia ,Vol. V, Diritto e

procedura penale minorile,Milano, Giuffrè Editore, 2002, pg.191.

20 Palermo Fabris E., Presutti A. , Trattato di diritto di famiglia , Giuffrè Editore ,Milano, 2011,pg.192.

(20)

problematiche sociali.

Tale normativa aveva ad oggetto la bipartizione tra gli interventi civili e amministrativi di competenza delle Regioni e degli Enti locali e gli interventi penali di competenza dello Stato.

Tale provvedimento ha comportato una netta scissione tra l ' intervento punitivo compiuto dallo Stato e l ' intervento rieducativo riservato agli Enti locali. Il risultato di tale divisione è stato però quello della perdita di significato delle misure rieducative questo perchè l ' attività degli enti locali si è indirizzata solo verso una logica assistenziale nei confronti dei minori , tralasciando quindi la fase di controllo dei soggetti deviati. La conseguenza di tale atteggiamento è stata quella del progressivo abbandono delle misure amministrative rieducative affidando così al successivo intervento penale le situazioni di maggiore rischio.21

2.7.- L' approvazione del nuovo codice di procedura penale

Negli anni ' 70 il legislatore iniziò ad occuparsi della redazione del nuovo codice di procedura penale . Iniziò così il lungo iter che terminò solo nel 1988.

In realtà inizialmente l' ambito del processo minorile venne trattato in maniera marginale , infatti la prima legge delega per l ' emanazione del codice di procedura penale, la n. 108 del 1974 ,contemplava due sole disposizioni riguardanti il processo a carico di minorenni, vale a dire "l'esclusione della connessione nel caso di imputati

minorenni" e "l'esercizio facoltativo del potere di arresto del minore colto in flagranza di grave delitto"22 .

Mancava quindi spazio nella delega per una modifica sostanziale del sistema di giustizia penale minorile ; tale questione venne risolta solo nel 1982 quando si pensò di procedere in modo contestuale sia alla riforma del processo penale minorile sia alla riforma dell' ordinario codice di rito questo grazie alla direttiva numero 87, la quale riguardava i “ principi e criteri per la disciplina del processo a carico di

imputati minorenni al momento della commissione del reato”.

Successivamente il Parlamento delegò il Governo affinché provvedesse alla creazione del nuovo processo penale tramite la legge delega 16 Febbraio 1987 n. 81. Tale delega copriva anche l ' ambito minorile considerato all' art. 3 il quale fissando ben 19 criteri direttivi , permise la creazione di una normativa ad hoc che considerasse le “particolari condizioni psicologiche del minore , dalla sua maturità

21 Palermo Fabris E. , Presutti A., Trattato di diritto di famiglia ,Vol. V, Diritto e è

procedura penale minorile, Giuffrè Editore , Milano, 2011,pg195.

22 Cfr. G. Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Il processo penale a carico di

imputati minorenni, con il contributo di Giuseppe La Greca e Alida Montaldi,

(21)

e dalle esigenze della sua educazione”23.

2.7.1 La natura della delega , unitaria o pluralista?

In dottrina si è molto dibattuto circa la natura della delega , quindi se essa avesse natura unitaria oppure pluralista. Il problema è sorto a causa del risultato pervenuto tramite la delega : la creazione di due codici , l ' uno riguardante il processo ordinario e l ' altro il processo a carico di minori.

La normativa minorile potrebbe essere basata su una delega ad hoc contenuta nella generale delega per la scritturazione del c.p.p. , tale tesi sarebbe convalidata da alcuni dati testuali quali per esempio l ' art. 5 il quale distingue chiaramente la normativa del codice ordinario da quella del processo a carico di minori,24 e gli art. 6

e 7 della legge delega i quali si esprimono in modo da distinguere i due processi come se sottolineassero la loro reciproca autonomia.25

D' altra parte la legge delega contiene altre disposizioni che sosterrebbero la tesi contraria ,quella della sussistenza di una unica delega. Gli artt. 1 e 2 enunciano i principi ed i criteri generali della futura normativa e” sembrano definire

unitariamente l ' oggetto della delega legislativa , (..) il legislatore sembra chiamato , cioè , ad emanare un solo nuovo c.p.p.”26

L ' art. 8 inoltre richiama l ' esistenza di una unica Commissione bicamerale la quale aveva il compito di pronunciarsi sul testo del nuovo processo penale senza distinzioni quindi tra il processo ordinario ed il processo minorile.

La scelta fra la tesi unitaria o pluralista riveste importanza al fine di poter definire 23 Articolo 3 l. 16 febbraio 1987, n.81, Delega legislativa al Governo per l '

emanazione del nuovo codice di procedura penale.

24 L ' art 5 della legge delega infatti dispone :Il Governo della Repubblica e'

delegato ad emanare le norme necessarie per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni.

25 L 'art 6 dispone :Il Governo della Repubblica e' delegato ad emanare le norme

di attuazione delle disposizioni previste negli articoli 2, 3 e 5, le norme di coordinamento delle stesse con tutte le altre leggi dello Stato, nonche' le norme di carattere transitorio. Il fatto di aver indicato distintamente l ' art. 2 il quale

riguarda i criteri per l ' emanazione del c.p.p. e l ' art. 3 che attiene alla regolazione del c.p.p.m. favorirebbe l ' ipotesi della duplicità di deleghe.

L' art. 7 prevede allo stesso modo una trattazione separata disponendo :Entro

tre anni dalla entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, il Governo della Repubblica puo' emanare disposizioni integrative e

correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dagli articoli 2 e 3 su conforme parere della commissione prevista dall'articolo 8, con uno o piu' decreti aventi valore di legge ordinaria.

26 Palomba F., Il sistema del nuovo processo minorile , Giuffrè Editore,Milano. 2002, pg. 69.

(22)

con esattezza il quadro normativo quindi per capire se il c.p.p.m. possa essere considerato senza problemi un sistema autonomo rispetto al c.p.p. La questione può essere risolta richiamando una sentenza della Corte Costituzionale, la num. 41 /75 , nella quale si è affermata la possibilità per il Governo di emanare più decreti legislativi, anche nel caso in cui abbia ricevuto una unica delega dal Parlamento, quando tale delega abbia ad oggetto materie autosufficienti e non inscindibili. Quindi il Governo ha optato, nella regolamentazione processuale, per la creazione di due procedimenti ad hoc in ragione della diversità dei soggetti coinvolti . I minori a causa delle loro particolari esigenze hanno bisogno di un procedimento che riesca a tutelarli quindi è stato necessario procedere alla creazione di una normativa specifica la quale però è caratterizzata da una “autonomia parassitaria27”che rende opportuno

talvolta il rinvio alla normativa ordinaria per gli aspetti generali che non hanno avuto bisogno di una specificazione in relazione alla condizione minorile.

2.7-2 I principi contenuti nella delega

L' art. 2 comma 1 della legge delega indica i principi e le norme che devono essere seguite per la scritturazione del nuovo codice di procedura penale :

Il codice di procedura penale deve attuare i principi della

Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali

ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo

penale.

L ' indicazione compiuta nei confronti del solo c.p.p. non deve trarre in

inganno poiché come visto spesso la legge delega ha utilizzato il

richiamo al solo codice ordinario sottointendendo però anche la

normativa minorile.

La riforma del processo penale minorile è stata chiaramente guidata dai documenti approvati in sede internazionale quali per esempio, le Regole minime per l' amministrazione della giustizia di minori (le c.d. Regole di Pechino) e la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d' Europa la R (87) 20, documenti dai quali emerge la necessità di creare per i minori un sistema di giustizia penale (dalla fase del processo a quella della esecuzione) che garantisca il rispetto e la salvaguardia delle esigenze rieducative del minore28. In entrambi i documenti per

27 Giostra G. , Il sistema penale minorile. Commento al D.P.R.448/1988,Giuffrè Editore, Milano, 2009,pg 7.

28 Conso G., Grevi V.,Compendio di procedura penale , Cedam , Padova , 2010,pg1136.

(23)

esempio si stabilisce come la limitazione della libertà personale nel caso di custodia cautelare debba essere prospettata solo in casi eccezionali, sia quindi una extrema ratio.29 Così quindi recepisce la legge delega all' articolo 3 punto h) dove prevede tra

i criteri da seguire per la creazione del processo penale minorile “il potere del

giudice di disporre la custodia cautelare in carcere solo per i delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di protezione della collettività”.

Secondo l ' art. 2 della legge delega inoltre il c.p.p.m deve rispettare i principi enunciati nella Costituzione in particolar modo l' art. 31 comma 2 Cost. il quale impone alla Repubblica la protezione della gioventù ( e del suo processo evolutivo) favorendo gli istituti necessari a tale scopo e l ' art. 27 comma 3 che prevede come la pena debba tendere alla rieducazione e non si leghi quindi ad una visione solamente retribuzionista. Tali concetti si legano al punto f) della delega dove si prevede la applicabilità di misure sostitutive alla pena detentiva anche in base alla pena irrogabile in concreto.

È giusto ricordare che anche la giurisprudenza costituzionale ha influenzato la scritturazione del codice di procedura penale minorile, chiarendo la posizione e le garanzie assicurate al giovane imputato.

2.7-3 I principi presenti nel D.P.R. 22 settembre 1988 n.448

La legge delega è stata attuata tramite il D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 ( “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”) integrato con il D.P.R. 22 settembre 1988, n.449 relativo all' adeguamento dell ' ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e con il d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272 il quale dispone le norme di attuazione , coordinamento e transitorie.

I principi generali del nuovo processo penale minorile sono indicati specificatamente all'art. 1 del D.P.R. 488 /1988 (“Principi generali del processo minorile”) ma possono essere estrapolati anche da altre norme del D.P.R.:

1) Nell'art. 1 comma 1 viene enunciato il principio di sussidiarietà :

“Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale.”

Si dispone come il D.P.R. 488/1988 non sia pienamente autosufficiente e che quindi siano necessarie delle integrazioni acquisite dall ' ordinario codice processuale penale per rendere il rito minorile funzionante.

Tale principio crea però delle problematiche interpretative , anzitutto circa la natura del rinvio al c.p.p. , quindi se esso sia un rinvio materiale oppure formale. Nel primo 29 Si veda l ' articolo 7 per quanto riguarda la Raccomandazione del Consiglio d '

(24)

caso le norme del rito ordinario acquisirebbero una doppia vigenza quindi ogni loro modifica (sia essa causata da abrogazioni , scelte interpretative , incostituzionalità ) non sarebbe operante nel rito minorile il quale continuerebbe ad utilizzare in maniera statica le norme previste nell' originaria versione del c.p.p.

Il rinvio formale invece consentirebbe un adeguamento in base alle progressive modifiche quindi invece di utilizzare le previsioni originarie si applicherebbero le disposizioni man a mano vigenti.

Tale seconda impostazione è quella che viene seguita dalla dottrina maggioritaria infatti aderendo alla impostazione materiale si condannerebbero “i due sistemi a

muoversi lungo linee inevitabilmente divaricate , in quanto il quadro di riferimento per il rito minorile rimarrebbe fermo nel tempo , mentre la “ giustizia penale per adulti “ seguirebbe propri itinerari evolutivi”...”Ebbene il rito minorile , astoricamente legato all ' impianto originario della stessa , assicurerebbe un minus di garanzie”.30

Chiaramente le modifiche compiute nel c.p.p non sono automaticamente applicabili al rito minorile ma si renderà necessaria una verifica circa la compatibilità delle nuove disposizioni nei confronti della normativa e degli istituti dedicati ai minori.31

In tale ambito è importante inoltre ricordare una nota sentenza della Corte Costituzionale, la num. 323/2000, la quale prescindendo dalla questione relativa al tipo di rapporto sussistente tra i due codici , ha sottolineato la centralità del principio del favor minoris secondo il quale si applica nei confronti dei minori imputati la norma che risulta essere più favorevole32:

“Quale che sia dunque, in generale, la ricostruzione che si debba

effettuare dei rapporti fra norme del codice e norme del decreto sul

processo minorile, trattandosi in questo caso di una norma specifica

di maggior favore per i possibili destinatari delle misure cautelari,

introdotta ex novo a distanza di tempo dal momento in cui furono

delineate le due parallele discipline del codice e del decreto sul

processo minorile, e al di fuori, com’è evidente, di ogni intento

30 Giostra G., Il processo penale minorile ,Giuffrè Editore , Milano,2009,pg.7. 31 La puntualizzazione è stata compiuta da Palomba F., Il sistema del processo

penale minorile ,Giuffrè Editore,Milano , 2002, pg.69.

32 Non è pienamente concorde nella applicazione automatica del principio del favor minoris G. Giostra ( ne Il processo penale minorile , Giuffrè Editore ,Milano, 2009, pg.11) secondo il quale il giudice dovrebbe valutare di volta in volta se le differenti garanzie previste nel rito ordinario e minorile non siano causate dalla specificità della giurisdizione minorile , in caso contrario sarebbe necessario “proporre questione di legittimità costituzionale della norma minorile che

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legislativo di revisione dei rapporti fra le due discipline, si deve

ritenere che essa sia applicabile anche agli indagati minori, in base al

principio, seguito dallo stesso legislatore e conforme ai principi

costituzionali e internazionali, del favor minoris. In assenza, infatti, di

ostacoli testuali insuperabili, e dovendosi procedere ad una

interpretazione sistematica, non può non darsi rilievo preminente,

nella ricostruzione della disciplina, ai criteri di fondo che la ispirano,

fra cui quello appunto del trattamento più favorevole per l’indagato

minorenne.”

33

Un secondo problema interpretativo riguarda la scelta delle disposizioni ordinarie che devono essere seguite nel rito minorile alla luce del principio di sussidiarietà. Nel caso di istituti che mancano di totale disciplina nel D.P.R.. 488/1988 ,per esempio gli atti e le prove , si applicano potenzialmente le disposizioni ordinarie. Non è possibile infatti affermare un generico rinvio questo perchè preliminarmente è necessario verificare che non vi siano delle norme e dei principio ricavabili dal rito minorile che creino situazioni di incompatibilità.

Nel caso di mancanza di disciplina infatti non vi è una esplicita previsione di esclusione ed è quindi necessario compiere una interpretazione sistematica , è questo il caso per esempio del giudizio abbreviato il quale non trova una disciplina ad hoc nel rito minorile ma viene allo stesso modo applicato utilizzando la normativa generale,non trova però applicazione l ' art. 441 comma 3 c.p.p. il quale prevede :

“Il giudice dispone che il giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati”

Tale esclusione è giustificata dal fatto che nel D.P.R. 488/1988 vige il principio di eccezionalità della pubblicità del processo secondo il quale il processo deve essere sempre celebrato a porte chiuse tranne il caso in cui l ' imputato ultrasedicenne ne faccia richiesta (art. 33 c.p.p.m.). Allora è chiaro come l ' art. 441 comma 3 c.p.p. non trovi applicazione nel rito minorile in quanto incompatibile con i suoi principi, al 33 La questione di incostituzionalità era stata sollevata nei confronti dell ' art. 274

comma 1 lettera c) ,ultimo periodo c.p.p. e dell’art. 23 deld.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 come sostituito dall’art. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 in riferimento agli articoli 3, 13, 27 e 31 della Costituzione. Il Tribunale rimettente non riteneva applicabile al rito minorile la disposizione indicata all ' art. 274 comma 1 lettera c)secondo la quale la custodia cautelare sarebbe disposta solo nel caso di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nel caso di pericolo circa la commissione di reati della stessa specie di quello per cui si procede.

(26)

limite sarà possibile una udienza a porte aperte nel caso eccezionale della richiesta da parte dell ' imputato ultrasedicenne.34

Nel caso in cui invece vi siano istituti disciplinati nel rito minorile, per esempio le disposizioni in tema di libertà personale e misure cautelari,è necessario invece compiere una comparazione tra quanto previsto nei due sistemi per capire se le norme del rito ordinario siano incompatibili o meno con quanto previsto nel D.P.R. 488/1988.

Talvolta si trovano indicazioni espresse circa le norme da non applicare ( e quelle da applicare) questo avviene per esempio in ambito cautelare dove all ' art. 19 comma 2, c.p.p.m. è affermato :

“Nel disporre le misure il giudice tiene conto,”..” dei criteri indicati nell'articolo 275 “..”Non si applica la disposizione dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale “

Altre volte l ' esplicita previsione manca ed è quindi necessario compiere una opera di verifica per stabilire se pur la materia essendo regolata dal rito minorile , possa trovare applicazione la normativa ordinaria. Tale operazione per esempio è stata compiuta nei confronti della materia cautelare la quale è disciplinata nel Capo II del rito minorile e contiene ,come visto, un rinvio espresso all' art.275 c.p.p.35 relativo ai

criteri di scelta delle misure. Mancano però dei rinvii generali agli artt. 273 e 274 c.p.p.36 relativi alle condizioni generali di applicabilità e alle esigenze cautelari. Tale

mancanza inizialmente ha fatto dubitare della applicazione di tali articoli ma poi procedendo ad una interpretazione sistematica si è compreso come tali norme esplichino dei principi generali necessari per la regolamentazione del processo minorile, senza i quali si creerebbe un sistema carente a livello di garanzie e suscettibile di incostituzionalità37.

2) Il principio di adeguatezza è espresso contestualmente al principio di

sussidiarietà infatti il comma 1 dell ' art. 1 del D.P.R. 488/1988 contiene un secondo periodo nel quale è affermato :

“Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze

educative del minorenne.”

Secondo tale principio non è possibile limitarsi ad una applicazione automatica delle disposizioni che trovano spazio nel processo minorile ma sarà necessario un 34 Tale esempio è riportato da Giostra G. , Il processo penale minorile , Giuffrè

Editore , Milano,2009,pg 8.

35 Tale rinvio è contenuto all ' art. 19 comma 2 ed esclude espressamente l ' applicabilità del comma 3 dell ' art. 275 cp.p..

36 L ' art. 274 c.p.p. viene richiamato solo nella specifica disposizione riguardante la custodia cautelare.

(27)

uso calibrato secondo la personalità e le esigenze educative del minore38 cercando di

trovare quindi un bilanciamento tra la pretesa punitiva dello Stato e le necessità dell ' imputato.

Il principio di adeguatezza infatti si lega ad un momento successivo rispetto a quello della scelta delle norme , esso opera nella fase applicativa quindi attiene alle modalità attuative che devono essere seguite nella applicazione delle norme.

Secondo la dottrina maggioritaria tale criterio deve essere seguito sia nel caso delle disposizioni del D.P.R. 488/1988 sia per le norme del rito ordinario le quali dopo esser risultate compatibili secondo il principio di sussidiarità operano nel rito minorile. 39

Questo poiché la norma non sembrerebbe porre una distinzione a livello letterale tra le disposizioni del D.P.R. 488/1988 e le disposizioni del rito ordinario , distinzione che infatti risulterebbe inopportuna visto che i legislatore tramite il rinvio alle disposizioni del c.p.p. ha inteso implicitamente una loro adeguatezza.

3) Il principio di minima offensività impone la ricerca di un equilibrio tra la

pretesa punitiva e la tutela del minore in quanto soggetto bisognoso di cure e attenzioni particolari. Non è escluso il compimento di un processo penale e un accertamento della responsabilità nei confronti del giovane imputato; il processo deve essere compiuto cercando però di evitare di essere traumatico per il minore di età ,”esclusa l'

ipotesi di una metamorfosi , resta intatta , anche se circondata dalle opportune cautele , la funzione tipica del processo penale , che è quella di accertare la fondatezza , oggettiva e soggettiva , dell' imputazione”.40

Il principio di minima offensività trova applicazione proprio per scongiurare ogni evitabile pregiudizio per il percorso evolutivo ed educativo del giovane imputato; esso si rinviene

nelle disposizioni che prescrivono la riduzione degli interventi di natura coercitiva e restrittiva nel corso del processo penale

minorile. Una particolare forma di regolamentazione è prevista infatti sia per le misure precautelari che per l' applicazione delle misure cautelari . Tali istituti sono utilizzati nel processo ordinario con particolari cautele quali la stretta necessità ed il minimo sacrificio per la libertà personale ma nel processo penale minorile si legano 38 In particolare è disposto nell ' articolo 1 “Tali disposizioni sono applicate in

modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minore”.

39 Seguono tale impostazione Giostra G. ,Il processo penale minorile,Giuffrè Editore ,Milano, 2009 ,pg12; P. Palomba , Il sistema del processo penale

minorile , Giuffrè Editore , Milano,2002.pg. 73. Contrariamente si è espresso G.

Battistacci , Le riforme complementari . Il nuovo processo minorile e l '

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