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Cap. 3 – Il Seicento

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Cap. 3 – Il Seicento

3.1 – PAOLO GUIDOTTI

Il nome di Paolo Guidotti (1560-1629), il primo dei pittori seicenteschi lucchesi, compare in cinque diversi inventari. La sua esorbitante personalità (fu pittore, scultore, architetto, poeta, “inventore”, leguleio), venne apprezzata dal Mancini (1617-1621), dal Baglione (1642) e dal Baldinucci (1681-1728). Quest’ultimo, nelle Notizie de’ Professori del Disegno, ricorda che Guidotti, dopo aver “appreso i principj dell’arte” (forse a bottega dell’Ardenti secondo il Trenta), si recò a Roma nel 1582 al tempo in cui regnava Gregorio XIII “per desiderio di vedere le belle cose” di questa città. Si fece strada durante i pontificati di Sisto V e Paolo V, in particolare partecipando a tutte le imprese collettive a fresco promosse dal primo. Tuttavia “ebbero [...] le opere sue una disgrazia che di pochi altri moderni artefici si racconta, d’essere state, o a cagione d’uno od ‘un altro accidente, quasi tutte, o coperte, o demolite”.1

Il periodo romano è contrassegnato anche dall’esecuzione di “moltissimi quadri per diversi personaggi, e particolarmente per la casa Borghese”, dei quali però il Baldinucci non fornisce indicazioni più precise. Fa tuttavia esplicita menzione di un gruppo scultoreo di sei figure donato dall’artista a Scipione Borghese. Questi, “avendole fatte vedere al pontefice, gli guadagnò molta grazia appresso di lui”, tanto da fargli ottenere il titolo di cavaliere di Cristo e la possibilità di fregiarsi del cognome dei suoi mecenati in aggiunta al proprio. A Roma fu anche “assai buon architetto” e venne incaricato di disporre dell’apparato necessario per la canonizzazione dei cinque santi, Isidoro, Ignazio, Francesco Saverio, Teresa e Filippo Neri, avvenuta nel 1622.

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Il Baldinucci afferma che il pittore “operò per la città di Pisa” senza fornire altre indicazioni e si sofferma a descrivere brevemente le opere realizzate a Lucca come la “Caduta degli angeli ribelli”, già nella tribuna di San Michele, definita “pittura degna di stima per la gran quantità degl’ignudi, bizzarri d’invenzione, che vi si scorge”, l’“Annunciazione” ad affresco nella chiesa di San Giovanni, il dipinto a fresco sotto la Loggia del Potestà dove l’artista “dipinse Maria Vergine,

San Pietro, ed altri santi”, e “una sua tavola della Resurrezione”, nella chiesa di

San Martino.2

Per quanto riguarda le opere di ambito lucchese il Trenta segnala la presenza di un quadro nel primo salone del Palazzo Pubblico “mal condotto […] per essere stato lungamente esposto a molte vicende, e per aver sofferto in più occasioni un dannoso risarcimento” raffigurante la “Libertà lucchese” (Lucca, Museo Nazionale Villa Guinigi) (fig. 86), fu nel 1611 offerto in omaggio dallo stesso artista al Senato della Repubblica di Lucca, ricevendone in cambio “una collana d’oro di scudi 200. con altri 100. di donativo.” 3

Per quanto riguarda le opere destinate alla committenza privata, l’inventario, inedito, relativo ai beni mobili del palazzo di Lucca di proprietà della famiglia Bianchi, compilato nel 1756 circa, ricorda un “quadro grande con entro S[an]

Sebastiano al naturale con cornice dorata acquetta del Cavalier[e] Guidotto”

sistemato nella “camera sul canto [del primo saltello] verso S[anta] Giulia”. 4 Il soggetto non rimanda a nessuna delle opere attualmente attribuite all’artista ma se si considera l’inventario nel suo complesso si può osservare che, tra i diversi dipinti di soggetto religioso e analoga dimensione presenti all’interno della camera, il San Sebastiano è corredato da un elevato valore di stima (Lire 100), superato solamente da quelli relativi a due “quadri [...] grandi rappresentanti uno

S[anta] Agnese, l’altro S[anta] Cecilia”, attribuiti ad Antonio Franchi

(1634-1709) e valutati complessivamente 417 Lire e 10 Soldi.

2 Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), III, p. 636. Cfr. Faldi 1957, pp. 278-295; D’Amico 1984,

pp. 71-102; Contini 1989d, pp. 774-775; Ciardi-Contini-Papi 1992, pp. 106-122; Ambrosini 1994b, pp. 172-180; Tani 2011, pp. 3-60.

3 Trenta 1822, VIII, p. 127. Cfr. Ambrosini 2010, p. 83.

4 ASLu, Pubblici Banditori, 52, Inventario Bianchi. Palazzo in Lucca, 1756 ca., cc. 1-23. Vedi

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Nel quadernetto Guinigi, compilato attorno alla fine degli anni Sessanta del Settecento, è menzionata una “Venere”, conservata nella collezione di Carlo Orsucci. Il dipinto, sino ad oggi non rintracciato, è ricordato anche nella

Miscellanea lucchese di Tommaso Francesco Bernardi.5

In due inventari riguardanti l’arredo di Casa Buonvisi, datati rispettivamente al 1776 ed al 1790, si ricorda un quadro con soggetto religioso, la “Vergine e San

Giovanni Battista [...] mezze figure al naturale”, non rintracciato.6 Un quadro a “mezza figura” è citato nella collezione Baroni.

Il Trenta menziona la collezione conservata in Casa Baroni “che rimase poi dissipata interamente alla morte dell’ultimo possessore Sig[nore] Giuseppe”.7 Fra i quadri ricorda “una mezza figura di Paolo [Guidotti] della sua miglior maniera” a cui collega un episodio che costituisce una variante sul tema della facilità dell’operare. Si narra che quando l’opera era ancora in bottega, Guidotti, per dimostrare ai suoi amici che dipingere non era cosa difficile, una mattina raffigurò “col dietro la tela” una “franca e bella testa di vecchio” lavorandola “a gran botte” “col dito grosso del piè destro”. Chi aveva assistito al fatto lo aveva descritto e certificato con la firma sul retro della tela.8

5 ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), c. 72. Vedi Appendice Documentaria, n. 34. Cfr. BSLu, Ms

3300, c. 236; Ambrosini, 1994b, p. 175.

6 BSLu, Ms 3299, fasc. 4, Nota dei Quadri dell’Appartam[en]to di Casa Buonvisi, 1776, cc. 5-12,

vedi Appendice Documentaria, n. 19.1; ASLu, Archivio dei Notari, II, Inventario degli arredi dei

palazzi Buonvisi “d’inverno” e “d’estate” e della villa “al giardino”, 1790, vedi Appendice

Documentaria, n. 19.2.

7 In un documento inedito conservato all’interno del Pubblico Banditore 49, si dichiara la vendita

al Pubblico Incanto dei “beni mobili, quadri, beni stabili”, appartenuti a Giuseppe Innocenzo Baroni, messi all’asta per estinguere i debiti accumulati dalla famiglia. Sul recto del foglio, datato 12 maggio 1792, vengono specificate le condizioni di vendita dei “quadri ed altro” attinenti ai fedecommessi di Giuseppe Innocenzo Baroni. L’estratto del foglio è riportato per intero al numero 13 dell’Appendice Documentaria. Sul verso del foglio, che riporta la data del 15 giugno 1792, i signori Giovanni Stefano Marchiò e Giovanni Battista Orsucci, eletti economi dei fedecommessi dall’Alma Ruota, dichiarano e nominano come “attore e gestore” il nobile signore Pietro Marchiò al quale viene conferito il potere di procedere “nella mattina del giorno di domani alla subasta, e vendita de[i] beni, ed effetti appartenenti ad uno de predetti Fedecommessi sotto la pubblica Loggia del Sig[nore] Podestà, in cui di già esistono i cartoni de medesimi, con facoltà al med[esi]mo di rilasciarli al maggior offerente”.

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Nell’“Inventario di tutti li mobili e di tutto ciò che esiste nella casa di Lucca” di Giuseppe Innocenzo Baroni, compilato il 25 febbraio 1791 ma sottoscritto e stimato il 18 marzo successivo, sono elencati diversi quadri, alcuni di questi coperti da vincolo fedecommissario. Tra di essi si trovano un “S[an] Girolamo” e una “Madonna con Nostro Signore morto in braccio, S[an] Giovanni e S[an]

Francesco”, entrambi attribuiti al “caval[ie]re Paolo Guidotti” e tuttora

irreperibili.9 Probabilmente il “San Gerolamo” è da identificare con la “mezza figura” citata da Trenta. Comunque sia, doveva trattarsi di un’opera di ridotte dimensione, che è tuttavia accompagnata da un valore elevato di stima (187 Lire e 10 Soldi).

Riguardo al secondo dipinto, non è menzionato dalle fonti e paradossalmente nemmeno il Trenta lo ricorda tra le opere del pittore. Ancora una volta il suo valore di stima appare elevato (450 Lire), pari a quello attribuito ad altri due quadri di soggetto religioso, un “Nostro Signore che cava l’anime dal limbo” attribuito a Ventura Salimbeni (1568-1613) ed una “Madonna col Figlio in

braccio, S[an] Giuseppe e S[an] Giovannino in tavola” di Francesco Vanni

(1563-1610), entrambi valutati Lire 450. Evidentemente l’opera doveva godere di una posizione di rilievo all’interno della collezione. Non abbiamo certezza della correttezza del riferimento al Guidotti visto che il dipinto non è stato sino ad ora identificato. Tuttavia abbiamo alcuni elementi ai quali si ricava l’idea che l’inventario fosse stato compilato correttamente.

Nella biografia dedicata al Guidotti, il Trenta riporta in una nota che “si conservava in casa Baroni il bellissimo quadro di S[an] Giovanni che predica nel deserto di Guido [Reni]”. Acquistato “dal celebre pittore Amilton”, fu inviato in Inghilterra insieme ad un quadro di Rubens, raffigurante la “Sacra Famiglia”, che era appartenuto a Giovanni Vincenzo Bottini.10 La vendita è confermata dall’inventario del 1791, che fa esplicito riferimento ad “una copia di S[an]

Giovanni con cornice intagliata e dorata di Guido Reni, venduto l’originale”.

9 ASLu, Pubblici Banditori, 49, Inventario di tutti li mobili, e di tutto ciò, che esiste nella Casa di Lucca della propria abitazione del fu not[abi]le Sig[no]re Giuseppe Innocenzo Baroni, 1791, cc.

1-56. L’inventario è stato meritoriamente citato da Nelli (2007) senza offrire nessuna trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 14.

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Nell’inventario è inoltre presente un “Nostro Signore al pozzo con la Samaritana

con cornice dorata di Gio[vanni] Francesco Barbieri detto il Guercino da Cento”

stimato 550 Lire. L’esistenza di questo dipinto è confermata dal Libro dei Conti del pittore in cui si registrano due pagamenti per un totale di 100 ducatoni (22 marzo e 14 novembre 1640) riguardanti un “Quadro del Cristo et Samaritana” a mezza figura, commissionato da Giuseppe Baroni di Lucca (ora a Lugano, collezione Thyssen-Bornemisza) (fig. 87). Nel Libro è registrato un altro pagamento di 100 ducatoni che risulta emesso dall’abate Bentivoglio in data 29 maggio 1641 per l’acquisto di un’opera dello stesso soggetto. Quest’ultima è stata identificata dal Salerno (1988) e successivamente da Stone (1991) come una replica autografa della Samaritana Baroni, attualmente conservata alla National Gallery of Canada di Ottawa (fig. 88).11

Tra i dipinti appartenuti al reverendo Giuseppe Maria Carbonara viene ricordato un quadro che rappresenta la “Madonna col Bambino, S[an] Giuseppe, S[an]

Francesco, e S[an] Giovanni”, stimato 75 Lire ed attribuito al pittore lucchese.12 Si trattava di “un quadro grande per dritto con cornice dorata”, forse una pala d’altare, magari simile nell’impostazione alla Madonna col Bambino tra i Santi

Stefano e Lorenzo della chiesa di Sant’Alessandro a Lucca 13 (fig. 89). La collezione è composta di sole opere attribuite ad artisti lucchesi, lasciando trasparire un particolare apprezzamento del committente nei confronti della cultura figurativa locale. Questo induce a pensare che le attribuzioni del pubblico banditore Giovanni Palavicini, responsabile dell’inventario, possano essere, se non esatte, quanto meno ragionevoli.

Si consideri peraltro che esiste una forte discrepanza tra le 75 Lire, con le quali il dipinto era valutato, e le 450 che accompagnano la menzione dell’altro, appartenuto a Giuseppe Baroni, anch’esso raffigurante una “Madonna e santi”.

11

Barbieri (1629-1666) 1997, pp. 101, 104; Salerno 1988, pp. 189-190; Stone 1991, n. 167-168, pp. 184-185

12 ASLu, Pubblici Banditori, 50, Inventario e stima de i Mobili, Stagni Rami, Spoglio, Argenti, Lingerie, et altro, attenenti all’eredità del fu m[o]lto Reverendo Sig[no]re Giuseppe M[ari]a Carbonara, et esistenti nella Casa già dal med[esim]o abitata in q[ues]ta Città di Lucca, posta in Parrocchia di S[anta] Maria Forisportam, luogo detto in Piaggia Romana, e p[er] contro la Casa Garzoni, 1794, cc. 1-25. L’inventario è stato meritoriamente citato da Nelli (2007) senza offrire

nessuna trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 20.

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Il Trenta valorizza la particolare propensione del Guidotti verso la ritrattistica, precisando che il pittore era molto abile nell’“improntare al vero le fisionomie dei ritratti”. L’erudito ricorda il ritratto “lodato altamente” di Padre Leonardi, fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio nel 1609 e raffigurato “quando era già moribondo”. Terminato il giorno successivo la sua morte, è menzionato da Padre Francesco Sarteschi negli scritti riguardanti la congregazione (De

scriptoribus congregationis clericorum regularium Matris Dei) risalenti al 1753.14

In un componimento di Costantino Prosperi viene elogiato il ritratto del cavaliere Lorenzo Cenami realizzato con “arte meravigliosa in modo che sembrava parlante e pieno di vita”. Per ultimo, l’erudito ricorda come un “ritratto a Dianira” sia cantato in un madrigale del Cavalier Marino nella sua Galleria di Pittura.15 A proposito della produzione di quadri da stanza, Ambrosini restituisce al Guidotti la paternità di un dipinto raffigurante una scena di genere “Suonatore di

chitarra”, comparso a Londra sul mercato antiquario con l’attribuzione a Pietro

Paolini (vedi fig. 124).16

14 Il ritratto di Padre Giovanni Leonardi si trova a Roma nella casa Generalizia dei Chierici

Regolari della Madre di Dio (fig. 90). Un altro esemplare è presente nella Casa Madre dell’Ordine a Lucca, ritenuto un secondo originale oppure una copia del dipinto di Roma. Cfr. Faldi 1957, pp. 291, 294, nota 41; Ambrosini 1994b, p. 175.

15 Trenta 1822, VIII, p. 129. Come riferisce il Faldi, ne La Galleria del Cavalier Marino (1620), il

verso “Fuggi accorto Centauro”, prende lo spunto da un dipinto, non conosciuto, di Paolo Guidotti rappresentante il Ratto di Deianira. Tale componimento poetico viene citato erroneamente dal Trenta come scritto in lode di un ritratto di una donna chiamata Dianira. Cfr. Faldi 1957, p. 291, nota 3.

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3.2 – PAOLO BIANCUCCI

Gli inventari attribuiscono al pittore Paolo Biancucci (1583-1653), una delle personalità più alte della pittura lucchese seicentesca, solamente due quadri. Una simile rarefazione dei riscontri documentari conferma le scarse conoscenze che la letteratura artistica ha dell’attività del pittore. Tra le fonti, il Baldinucci lo riconosce “discepolo di Guido Reni”, imitato sia nell’invenzione che nella vaghezza del colorito. Tra le opere principali conservati a Lucca “sua patria”, ricorda pala d’altare con “la beatissima Vergine, che spreme il suo latte virginale sopra l’anime purganti” nella chiesa del Suffragio, e un altro dipinto con “molti santi in terra e in aria” in San Francesco. Inoltre, sottolinea come il pittore “copiò molte opere di Guido suo maestro eccellentemente”.17

L’abate Lanzi, nella Storia pittorica dell’Italia (1795-1796), ritiene che “la serie de[i] miglior[i] lucchesi comincia da Paol[o] Biancucci ottimo scolare di Guido Reni”, precisando che l’artista “ha talora col Sassoferrato tanta somiglianza che si scambia con lui”. Oltre alle opere menzionate dal Baldinucci, lo storico segnala due quadri presenti nella “nobil[e] casa Boccella ed altri non pochi sparsi per la città”, a dimostrazione che il pittore lavorava anche per la committenza privata.18

Il Trenta riferisce la presenza di altre opere come la “Vergine Santissima che protegge la Nazion[e] lucchese” nella chiesa del Gonfalone, ed un altro quadro con “l’invenzione del Santo Legno coll’assistenza di S[anta] Elena ed altre molte figure” realizzato per la Confraternita della Croce.19

Il Cerù è l’unico che testimonia l’esistenza di un “Archimede” in una collezione privata di cui però non ricorda il nome.20

17 Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), III, p. 326. 18 Lanzi 1795-1796, I, p. 184.

19 Trenta 1822, VIII, p. 124. 20

ASLu, Cerù 193, voce Biancucci Paolo. Considerato che l’iconografia è diffusa ma non usuale, si può pensare che l’erudito confonda, attribuendo a Biancucci il dipinto eseguito da Pietro Ricchi per l’ingegnere lucchese Paolo Lipparelli (sul quale vedi Baldinucci 1681-1728, rist. an. 1974, V, p. 104).

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Nell’inventario di quadri appartenuti ai Buonvisi, il Biancucci è citato per una “Vergine tra i santi Carlo e Francesco”, presentato come copia da una “simile dell’Albano”, prima conservata in San Pancrazio.21

L’opera è verosimilmente andata dispersa nell’Ottocento a seguito dello smembramento della collezione Buonvisi. La voce conferma l’attività di copista segnalata dal Baldinucci e le simpatie classiciste del pittore, che nel caso in questione si esercita prendendo a modello.

Nell’“Inventario e stima dei Mobili […] ed altro” esistenti nella casa del reverendo Giuseppe Maria Carbonara, sottoscritto il primo maggio 1794, si ricorda “un quadro per dritto con cornice dorata, e profilata antica che figura la

Madonna con le anime del Purgatorio e diversi angeli”, stimato 45 Lire.22 Il formato verticale della tela e il soggetto sollecitano A mettere in relazione il dipinto con quello destinato alla chiesa del Suffragio, attualmente conservato in Curia Arcivescovile, ricordato da tutte le fonti (fig. 91).23 Poiché questo sembra essere rimasto al suo posto sino ad anni recenti, la voce inventariale sembra testimoniare dell’esistenza di un secondo esemplare con identico soggetto. Non è da sottovalutare l’ipotesi che possa trattarsi del bozzetto del dipinto al Suffragio, attualmente conservato nel Museo di Villa Guinigi a Lucca (fig. 92). In assenza di informazioni precise sulle misure e di voci del tipo “quadro piccolo”, “quadretto”, spesso utilizzate per descrivere un “bozzetto”, potrebbero valere quali elementi di conferma dell’ipotesi l’indicazione “per dritto” e il valore non elevato della stima, che potrebbe invece far pensare ad un dipinto di limitate dimensioni.24

21

ASLu, Archivio dei Notari, II, Inventario degli arredi dei palazzi Buonvisi “d’inverno” e

“d’estate” e della villa “al giardino”, 1790, vedi Appendice Documentaria, n. 19.2. Cfr. BSLu,

Ms 1918, c. 304; Ambrosini 1994c, p. 245.

22

ASLu, Pubblici Banditori, 50, Inventario e stima de i Mobili, Stagni Rami, Spoglio, Argenti,

Lingerie, et altro, attenenti all’eredità del fu m[o]lto Reverendo Sig[no]re Giuseppe M[ari]a Carbonara, et esistenti nella Casa già dal med[esim]o abitata in q[ues]ta Città di Lucca, posta in Parrocchia di S[anta] Maria Forisportam, luogo detto in Piaggia Romana, e p[er] contro la Casa Garzoni, 1794, cc. 1-25. Vedi Appendice Documentaria, n. 20.

23

Filieri 1994, p. 90.

24 Si consideri inoltre che la cornice della quale il dipinto è attualmente dotato sembra

corrispondere a quella descritta nell’Inventario (“cornice dorata e profilata all’antica”). Non è tuttavia possibile avere certezza se esse siano identificabili o meno.

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Nella “Nota de i Quadri dell'Appartamento buono” compilata da giacomo sardini alla fine del Settecento, si ricordano “due teste di Sante” attribuite al Biancucci che vengono valutate complessivamente “Z[ecchini] 2”.25

Anche se non rientra nella categoria degli inventari, nella “Nota delli debbiti del

Sig[no]r[e] Pauolo Biancucci” posta in calce al testamento rogato nel 1650 si ha

notizia di un “quadro grande di S[an]ta Caterina” commissionato da Aurelio Mansi, non terminato al momento del rogito, di un altro “quadro per villa” senza indicazione di soggetto e committente, per il quale furono richiesti 30 scudi, di un “S[an]to Antonino con più figure intiere al naturale quale non vale meno di scudi

quindici”, eseguito per Alberto Gimignani.26

In un saggio pubblicato di recente, Ambrosini restituisce al Biancucci quattro dipinti che, per le loro dimensioni e caratteristiche, sembrano rispondere al tipo del quadro da stanza. Si tratta di un santo forse da identificare con un San

Giuseppe, comparso a Prato sul mercato antiquario (fig. 93),una figura di Santo non meglio identificato, di piccole dimensioni, che si trova a Lucca nella Collezione Mazzarosa, il Ritratto d’uomo col frontespizio della Piccola passione

di Dürer (fig. 94) riconosciuto tradizionalmente come opera del Paolini, e una tela

raffigurante Il ritorno del figliol prodigo attualmente in collezione privata 27 (fig. 95). Un dipinto raffigurante l’Esaltazione della Croce comparso sul mercato antiquario, è stato acquisito nel 2001 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca (fig. 96). La tela, non menzionata dalle fonti locali, costituisce il modello della grande tela eseguita da Paolo Biancucci per l’altare dell’Oratorio della Croce, attualmente conservata nella chiesa di San Marco a Lucca 28 (fig. 97).

25 ASLu, Archivio Sardini, 83, 46, Nota de i Quadri dell’Appartamento buono, XVIII-XIX sec.,

cc. 8-12. L’inventario è stato meritoriamente citato da Ambrosini (1994) senza fornire nessuna trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 39.

26 Ambrosini 1994, p. 245. 27 Ambrosini 2010, pp. 74-86. 28 Giusti Maccari 2008a, pp. 60-63.

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Il Crispo riconduce alla mano dell’artista un’opera raffigurante Santa Caterina

che riceve dall’angelo la palma del martirio, siglata, ed esposta come di artista

anonimo ad una mostra sul Seicento francese, tenutasi nel 1967 presso il Finch College Museum of Art di New York.

La tela è poi riemersa sul mercato antiquario di New York e di Londra, in entrambi i casi con un riferimento alla cerchia di Jacques Blanchard (fig. 98).29

29 Crispo 2007-2008, p. 33.

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3.3 – PIETRO PAOLINI

Pietro Paolini (1603-1681) è, tra i pittori lucchesi, quello più ampiamente rappresentato negli inventari delle collezioni cittadine.

Le fonti ricordano che in età giovanile il Paolini si trasferì a Roma a studiare presso la bottega del pittore romano Angelo Caroselli. Questi “lo mandò per

maggiormente perfezionarlo nelle Gallerie più celebri della Città” 30 dove poté ammirare le opere migliori dei grandi maestri antichi e moderni. Per quanto riguarda le date del suo apprendistato, le notizie fornite dalle fonti appaiono tuttavia discordanti. Baldinucci afferma che Paolini partì da Lucca nel 1623 e risiedette a Roma per sette anni, facendo ritorno in patria a causa della morte del padre. A brevissima distanza morì anche la madre, contagiata durante la “pestilenza del 1630”.31

Secondo il resoconto fornito alla fine del Settecento dal Sardini, il pittore, “nell’età appena di 16 anni”, fu inviato dal padre a Roma, dove rimase fino al 1626, anno in cui, a causa dell’improvvisa morte del padre, dovette fare ritorno in patria per “assistere agli affari della casa”. Più tardi, dopo un ragionevole periodo di tempo trascorso a Lucca, il pittore si recò a Venezia, allo scopo di “vedere le opere insigni dei venerandi Maestri di quella scuola, per la quale aveva concepito stima grandissima, attesa una certa particolar magia nello stile del colorito”.La permanenza nella città lagunare venne interrotta dalla tragica ricorrenza della morte della madre, vittima dell’epidemia di peste del 1631, che lo costrinse a ritornare a Lucca.32 Da questa data in poi la sua attività si svolse entro le mura della città natale dove realizzò moltissime opere sia a destinazione pubblica che privata.

30 BSLu, Ms 1918, c. 84v.

31

Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), V, p. 106. A proposito delle discordanze nelle date rispetto a quelle indicate dal Sardini, Ambrosini ritiene probabile che “il Baldinucci, non disponendo di informazioni esaustive, ricavasse la data del 1623 per induzione. Anzitutto, comprese in un solo anno, il 1630, le date di morte dei genitori, poi sottrasse a questo i sette anni durante i quali il pittore aveva risieduto a Roma”. Lo studioso aggiunge che “l’infondatezza del calcolo può essere ora provata, poiché sappiamo che, secondo il documento rintracciato da P. Giusti Maccari, Tommaso morì nel 1626”. Cfr. Ambrosini 2010, p. 551, nota 4

32

ASLu, Archivio Sardini, 124, V, 2, cc. 3-7. Le notizie raccolte dal Sardini furono pubblicate da Trenta 1822, VIII, pp. 136-143. Cfr. Giusti Maccari 1987, p. 18.; Ibidem, p. 543.

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In particolar modo significativa, per numero e qualità dei risultati, risulta la produzione di dipinti di soggetto allegorico e simbolico, quadri di genere e natura morta, espressamente destinati ad ornare le dimore dei patrizi suoi concittadini. Un episodio degno di nota in questo lungo periodo di operosità è l’apertura, verosimilmente alla metà del secolo, di una scuola di disegno dal nudo, che divenne un passaggio obbligato per chiunque, a Lucca, intendesse acquisire una formazione nel campo della pittura. Morì nel 1681.33

Il Baldinucci, nella vita a lui dedicata, sottolinea che la qualità delle sue opere induce a ricordarlo “fra [i] buoni pittori”. Prosegue indicando che “fu [...] pittore

di gran bizzarria, e di nobile invenzione; condusse le sue pitture con gran pazienza e studio, e le adornò di vaghissime prospettive, ad imitazione del Veronese, sebbene nel resto del suo fare par che seguitasse la maniera del Pordenone. Diede gran forza alle sue figure, valendosi di scuri profondi. Il genio suo particolare fu di far vedere cose, che avessero del tragico e del crudele, e fra queste bellissimi furono i due quadri, che egli colorì, come sopra si disse, per rappresentare la morte del Valdestain, sopra i quali Francesco di Poggio, gentiluomo di quella patria, compose un ingegnoso sonetto. Fece bene gl’ignudi; benché talvolta nelle figure delle femmine, per poter troppo rinforzar la maniera, difettasse alquanto.

33 Il conte Giacomo Sardini (1822-1910), socio ordinario dell’Istituto lucchese di Belle Arti e

nipote dell’omonimo erudito locale, ricorda che a Lucca, il Paolini “sembra aprisse il suo studio ai giovani vogliosi di dedicarsi al disegno; e questo secondo il costume del tempo, assunse il nome solenne di Accademia dei pittori. Egli, mediante la fortuna paterna e i guadagni che certamente non gli facevano difetto, aveva potuto fornirsi di numerosi modelli e della ricca e varia suppellettile che addicevasi al suo modo di dipingere. Lo che dimostra come il suntuoso corredo di che si circondano i pittori moderni non è una novità dei nostri giorni. Ma lo studio principale e il più serio che facevasi nella scuola del Paolini era quello sui modelli viventi; e ciò risulta dai documenti, oltre ad essere conforme ai suoi principi nell’arte. I discepoli accorsero numerosi, attirati non solo dalla fama della valentia del maestro, ma ancora dalla sua indole amorevole, perché sappiamo essere egli stato per loro, più che precettore, padre e mecenate. E così la sua scuola si mantenne prospera pel tempo di quaranta anni, che tanti egli ne sopravvisse al suo ritorno in Lucca, essendo mancato ai vivi il 1681”. Cfr. G. Sardini, “Sulle origini dell’Istituto lucchese di

Belle Arti” in “Atti della Reale Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti”, XXVI, Lucca 1893,

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120

Aggiunge poi che Paolini “dipinse a meraviglia certi capricci ed invenzioni di

villani, che suonano pifferi; ed altre azioni contadinesche, con figure ed aria di teste proprissime. Non dipinse mai a fresco, ma nelle pitture fatte a olio merita molta lode, quantunque veggansene alcune, nelle quali egli non fu simile a se stesso”.

Riguardo le opere, lo storiografo sottolinea che “moltissime elle furono in gran

numero”, precisando che quelle conservate “in case di particolari gentiluomini”

appaiono in particolar modo “degne di lode.” 34

Riprendendo le parole del Sardini, il Trenta ricorda che il pittore “si distinse

egregiamente sopra tanti altri uomini insigni nella stessa professione ed arricchì le nostre Chiese e i nostri Palazzi di opere esimie”. Riferisce poi, citando

direttamente Baldinucci, quanto fossero apprezzati dai collezionisti lucchesi “certi

capricci ed invenzioni di Villani che suonano pifferi, ed altre azioni contadinesche con figure ed arie di teste proprissime”. In particolare “quelle che singolarmente hanno incontrato il genio di molti sono certe Accademie di musica dove un accozzo capriccioso di sonatori formano un contraposto così vero e ridente, con tanta proprietà d’espressione”. 35

Dopo questi rapidi cenni forniremo una rassegna delle opere del Paolini conservate nelle collezioni lucchesi utilizzando le notizie offerte dalle fonti e dagli inventari. Generalmente parlando la lettura di questi ultimi conferma le dichiarazioni del Baldinucci e del Trenta. In essi sono difatti registrate diverse opere, raffiguranti per lo più soggetti di genere, pur con significative presenze di opere di tema religioso.

Tra gli inventari della famiglia Spada l’unico nel quale sono ricordate opere del Paolini è quello relativo ai “quadri del Cardinale Orazio Filippo” compilato nel 1716, che fa menzione di una “Cena in Emmaus” ed un “Sant’Antonio da Padova

con il Bambino”. I dipinti non sono citati dalle fonti.36

34 Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), V, pp. 107, 109. 35

Trenta 1822, VIII, p. 142.

36 BSLu, Ms 3299, 4, Inventario dei quadri appartenuti al Card[inal]e Orazio Filippo Spada lasciati da esso in Lucca nelle mani dei suoi Sig[nori] Fratelli Ab[bate] Bartolom[e]o e Gio[vanni] Batt[ist]a Spada, 1716, cc. 1-4. Vedi Appendice Documentaria, n. 40.

(14)

121

Giusti Maccari propone un possibile accostamento con una “Cena in Emmaus” del Paolini conservata in Casa Mazzarosa, segnalata dalla Belli Barsali nella sua

Guida di Lucca.37

Nell’“Inventario e stima delli mobili attenenti all’eredità del fu nobile Sig[nore]

Girolamo Francesco del quondam nobile Filippo Bartolomei, compilato nel 1743,

è ricordato, “Un quadro rappresentante la cena del Fariseo, l’autore il famoso

Paulini lucchese”. Accompagnato da una stima di 100 Lire, era collocato nella

“Sala”. 38 L’utilizzo del termine “famoso”, e il valore elevato di stima, testimonia

dell’apprezzamento del quale il paolini godeva, a metà settecento, in patria. L’opera non è menzionata dalle fonti anche se un dipinto con un soggetto analogo è ricordato in casa Barsotti.

Il Baldinucci è il primo a riferire che il Paolini “per Gregorio Barsotti colorì un

quadro grande del convito del Fariseo, e vi è la Penitente Maddalena”.39 Il Sardini, e successivamente il Trenta, aggiungono che esso era stato richiesto al pittore dalla Corte d’Inghilterra, ma in seguito alla scomparsa del re la commissione era stata sospesa e per questo il pittore non lo aveva terminato.40 Negli ultimi decenni del Settecento il Cianelli la elogia come un’“Opera grande

della Cena del Fariseo, quando la Maddalena unse i piedi a N[ost]ro Sig[nor]e, che in vero non si può vedere cosa più divina, massime La gran quantità delle Figure; et Architettura, tanto sono bene intese […]”.41

Nel 1893 il Cerù lo dice conservato in casa Barsotti.42 Queste testimonianze escludono le possibilità di identificare il dipinto appartenuto al Barsotti con quello descritto nell’inventario di casa Bartolomei. Molto probabilmente ci troviamo di fronte ad un secondo esemplare di analogo soggetto, al pari dell’altro irreperibile.

37

Belli Barsali 1970, p. 108; Giusti Maccari 1987, p. 181.

38

ASLu, Pubblici Banditori, 39, Inventario e Stima delli mobili attenenti all’Eredità del fu

nob[il]e Sig[no]re Girol[am]o Fran[ces]co del q[uonda]m nob[il]e Sig[no]re Domenico Filippo Bartolomei Patrizio Lucchese, 1743, cc. n.n.. L’inventario è inedito. Vedi Appendice

Documentaria, n. 16.

39

Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), V, p. 108.

40 ASLu, Archivio Sardini, 124, IV, 2, c. 10; Trenta 1822, VIII, p. 138. 41 BSLu, Ms 1918, c. 84.

(15)

122

Un inventario dei “mobili” del palazzo di Lucca di proprietà “del già nobile

Sig[nore] Carlo Antonio Marchiò” menziona quattro quadri del Paolini, “la Deposizione di Nostro Signore”, “la Natività di Nostro Signore”, e una “Santa Maria Maddalena” accompagnati da un valore complessivamente elevato di stima

di 450 Lire, mentre un quadretto raffigurante un’altra “Santa Maria Maddalena presenta una valutazione inferiore (Lire 20), probabilmente dovuta alle dimensioni ridotte.43 Le fonti non ricordano nessuna opera del Paolini in casa Marchiò. Per quanto riguarda la “Nascita di Cristo” le fonti e gli inventari testimoniano la presenza di altri esemplari di analogo soggetto conservati nei palazzi di Lucca. Tra le carte della famiglia Conti si trovano quattro inventari che menzionano diverse opere attribuendole al Paolini. Il primo risale al 1750 e riguarda la divisione dell’eredità di Stefano Conti. In esso sono elencate le opere destinate ai nipoti, Giovanni Stefano, Carlo e Giuseppe Maria Conti, soluzione obbligata visto che Giovanni Angelo, il figlio, era già morto. Tra le “pitture che si assegnano al

Signore Gio[vanni] Stefano Conti” sono menzionati “un Mondone figura al naturale che suona la chitarra, con una brutta donna a mano destra, e un brutto Cupido addietro” (Lire 85), un quadretto con una “Natività di N[ostro] S[ignore]”

(Lire 21. Soldi 6. Denari 8.), quattro quadretti ovati con “Teste” valutati Lire 18, un “S[an] Gerolamo” (Lire 12).44

Insieme ad un inventario riguardante “i beni mobili esistenti nella villa di San

Pancrazio di proprietà di Giovanni Conti”, ho rintracciato una stima dei “Mobili in Lucca” effettuata il 19 dicembre 1759 dal pubblico banditore Sebastiano

Puccinelli.

43 ASLu, Pubblici Banditori, 39, Inventario e Stima delli Mobili ritrovati nell’Eredità del già Nobile Sig[no]re Carlo Antonio Marchiò dopo la di lui morte posti nel Palazzo di Lucca, 1745, cc.

n.n.. L’inventario è inedito. Vedi Appendice Documentaria, n. 31.

44

ASLu, Garzoni, Ms. 67, 8, II, Pitture che si assegnano al Signore Gio[vanni] Stefano Conti, 1750, cc. 59-75. Vedi Appendice Documentaria, n. 22.1. Il quadro con “un Mondone figura al

naturale che suona la chitarra, con una brutta donna a mano destra, e un brutto Cupido addietro”

viene ricordato anche in BSLu, 3299, 14, Descrizione di altri quadri si in tela si in tavola comprati

da me Stefano Conti nob[il]e lucchese figlio del q[uondam] Giovanni in tempi diversi, c. 65, dove

risulta acquistato da Alessandro Monsoni nel 1708; e in ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei

quadri esistenti nelle chiese e case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), cc. 108-116. Per

(16)

123

Nella “camera terrena ove abita il Sig[nore] Pompeo” si ricordano “due quadri,

che uno rappresenta un Cristo in tavola opera fiamminga et altro S[an] Francesco del Paulini con cornice dorate a acquetta”, stimati complessivamente

90 Lire. Nella “camera sulla sala per andare in guardaroba” viene segnalato “uno

detto [quadro] che rappresenta un soldato opera del Paolini”, 45 Lire.45

L’autore anonimo del quadernetto Guinigi, che scrive nella seconda metà del settecento, attorno al 1768, ricorda nella “Casa del Sig[nore] Conti al Suffragio” oltre al “San Gerolamo”, anche un “San Pietro”.

Nel “Salotto di casa Conti”, di cui però non è specificata l’ubicazione sono elencati “quattro grandi quadri di storia profana” e una “Madonna”. Le voci non sono corredate di alcun valore di stima.46

L’“Inventario Conti sig[nore] Giovanni”, risalente all’incirca al 1781,47

contiene la stima dei beni mobili di un palazzo di famiglia non specificato ma la presenza al suo interno dei quadri con i due santi Pietro e Gerolamo, poco sopra incontrati, indica che dovrebbe trattarsi del palazzo al Suffragio. Sono attribuiti al Paolini “un quadro traverso rappresentante la Scultura”, che appare per la prima volta ed è valutato 600 Lire. Ad esso si aggiungono “la Madonna” (375 Lire), due quadri bislunghi rappresentanti “S[an] Pietro”, e “S[an] Girolamo”, stimati complessivamente 225 Lire, e i quattro quadri con “diverse figure a mensa” valutati 1200 Lire, già presenti nel quadernetto Guinigi. Compaiono infine “Due

quadri ovati rappresentanti un vecchio ed una vecchia” valutati 120 Lire,

probabilmente identificabili con due dei quattro ovati ricordati nell’inventario del 1750.

45 ASLu, Pubblici Banditori, 42, Inventario e stima delli mobili [nel palazzo di Lucca] di attinenza e proprietà del Nobile Sig[no]re Giovanni del quondam Sig[no]re Bartolomeo Conti, 1759, cc.

n.n.. L’inventario è stato meritoriamente citato da Betti (2013) senza fornire nessuna trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 22.2.

46 ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), cc. 12-17. Vedi Appendice Documentaria, n. 22.3. Oltre alla dimora nei

presso della chiesa del Suffragio, i Conti avevano un palazzo all’angolo fra via Fillungo e via Nuova poi passato ai Boccella ed uno in piazza San Salvatore, già appartenuto ai Cenami, che dal 1765 risulta essere di proprietà di Giuseppe Conti. Cfr. Giusti Maccari 1987, p. 175.

47 ASLu, Pubblici Banditori, 47, Inventario Conti sig[nore] Giovanni, 1781 ca., cc. n.n.. Vedi

(17)

124

Nell’inventario del 1781 si descrivono due quadri, un “quadro bislungo

rappresentante S[an] Francesco” (37 Lire e 10 Soldi) e un “quadro in tela rappresentante un soldato che è medicato da un vecchio” (440 Lire).

Essi sembrano corrispondere ai quadri elencati nell’inventario del 1759, nonostante vi sia una forte discrepanza nella valutazione del secondo.

Il Sardini, il Trenta, il Baroni ed il Cianelli parlano solamente di un “Ratto delle

Sabine” appartenuto alla famiglia Conti anche se il Cianelli è l’unico a

sottolineare che molti quadri si trovavano in casa Conti, a conferma di quello che abbiamo riscontrato negli inventari.48

Il Cerù ricorda il San Pietro, il San Gerolamo, e la Madonna ai quali aggiunge tre quadri, “un Putto”, l’“Ultima cena di Nostro Signore”, e “un quadro di storia

profana”. Forse quest’ultimo è identificabile con il Ratto delle Sabine, già

ricordato dagli storiografi locali settecenteschi. Nessuno dei quadri sopra citati, è attualmente rintracciabile.49

Per quanto riguarda il San Gerolamo (fig. 99), Giusti Maccari mettendo a confronto le misure indicate nell’inventario del 1750 ha proposto di identificarlo con un dipinto conservato a Lucca in una collezione privata. La studiosa, inoltre, ritiene possibile identificare uno dei quattro dipinti di “storia profana” ricordati presso la famiglia Conti con un Achille tra le figlie di Licomede conservato al J. Paul Getty Museum di Malibu, in California (fig. 100).

Sempre Giusti Maccari ricorda che dopo il 1750 il “mondone che suona la

chitarra” può essere passato ai Mansi, perché il Cerù parla di un quadro di

analogo soggetto in possesso di questa famiglia. Forse proprio a causa di questo passaggio di proprietà, il quadro non compare nell’elenco fornito dal quadernetto Guinigi e negli inventari del 1759 e del 1791.50

Nell’inventario del 1750 si ricordano quattro quadretti ovati raffiguranti “Teste”. Due di essi dovrebbero comparire nell’inventario risalente al 1791 e molto probabilmente sono da identificare con i due dipinti che rappresentano ciascuno un Vecchio ed una Vecchia.

48 BSLu, Ms 1918, c. 86r. Cfr. Giusti Maccari 1987, p. 175. 49 ASLu, Cerù, 193, ad vocem.

(18)

125

Allo stato attuale delle ricerche, siamo a conoscenza di una serie di tele ovali attribuite al Paolini, in cui si raffigurano vecchi intenti a svolgere attività manuali di contenuto più o meno allegorico. Le tele sono apparse sul mercato antiquario italiano nella seconda metà del secolo scorso (Figg. 101-104).

Un “quadro grande di figure opera di Pietro Paolini”, stimato 150 Lire, appare tra i quadri di proprietà del “già Sig[nore] Gio[vanni] Andrea Guidotti seniore

mercante, cittadino di Lucca”, inventariati nel 1750. Le fonti ignorano l’esistenza

di questo dipinto e la genericità della descrizione rende assai difficoltoso formulare ipotesi di identificazione.51

Nelle stanze dei due palazzi appartenuti alla famiglia Orsetti, il Baldinucci e gli eruditi locali settecenteschi ricordano sei quadri del Paolini, i due raffiguranti la “Congiura contro il generale Wallenstein” e l’“Uccisione del generale

Wallenstein”,52 il “Concerto femminile”, “Epulone e Lazzaro”, “Marcantonio e

Cleopatra”, “Un Vecchio che è il tempo […]”.

Il Baldinucci descrive con precisione le opere realizzate per Lelio e Ruggero Orsetti. Ricorda che al primo il pittore fece “tre quadri, in uno de[i] quali è il caso del Valdestain: vedonsi in esso molti ufiziali di guerra sedenti a tavola, mentre sopraggiungono i congiurati alla morte di lui, ed alcuni, che in cruda battaglia rimangono estinti: opera invero, che lasciò in dubbio chi la riguarda, se debba dar luogo in se stesso alla meraviglia, o allo spavento.

51

ASLu, Pubblici Banditori, 40, Inventario e Stima delli Mobili attenenti all’Eredità del già

Sig[no]re Gio[vanni] Andrea Guidotti Seniore Mercante, Cittad[in]o di Lucca, 1750, cc. n.n..

L’inventario è inedito. Vedi Appendice Documentaria, n. 26.

52 Come riferisce Giusti Maccari, “il Wallenstein, nato in Boemia nel 1583, dopo avere studiato a

Padova ritornò in patria entrando al servizio dell’imperatore, dove si distinse ben presto tanto da essere elevato al rango di principe nel 1623 e due anni dopo a quello di duca. Assai malvisto per l’eccessivo potere raggiunto e accusato di tradimento insieme ai suoi fedeli, cadde in una trappola mortale preparata dagli altri colonnelli del’esercito imperiale nel febbraio del 1634.” Cfr. Giusti Maccari 1987, nota 1, p. 101.

(19)

126

Nell’altro quadro vedesi lo stesso Valdestain, che al rumore di quel fatto d’arme si scaglia dal letto: e, dopo essere stata gettata a terra la porta da un capitano, è con un colpo di zagaglia trapassato e morto.53

Nel terzo sono alcune femmine, che suonano alcuni strumenti, ed un puttino espresso molto al vivo: in terra giace una figura ignuda, rappresentata per l’Ozio, che tiene in mano un vaso d’oro pieno di confetture, colle quali nutrisce un porco”.

Per Ruggero Orsetti invece realizzò due quadri, “un convito del ricco Epulone, e Lazzero mendico, sedente in terra fra [i] cani; opera condotta con grande studio” ed una “storia di Cleopatra e Marcantonio”.54

Il Sardini e il Trenta menzionano i due quadri del Wallenstein riportando per intero la descrizione fornita dal Baldinucci. Informano in merito al passaggio di proprietà del palazzo Orsetti, “attualmente Cittadella”, dove peraltro erano sempre presenti le due tele raffiguranti “Epulone e Lazzaro”, e “Marcantonio e Cleopatra”.55

Il Cianelli conferma la presenza dei quadri sopra citati ma è l’unico che parla di un’altra opera, appartenuta a Lelio Orsetti, raffigurante “un Vecchio che è il tempo, che con un mantello in mano rompe il mondo con un Putto sopra una tomba con una fascia in mano”. Inoltre descrive due dipinti che corrispondono a quanto Baldinucci concentra descrivendo un’unica opera. Ricorda difatti “un’Ozio nudo, qual hà una tazza di dol[cezz]e che le dà a un Porco, con altre Figure” nel palazzo di Lelio e “una Musica di Sonatori con istrumenti, che inganna il vero tanto bene sono disposti” in quello di Ruggero.56

53

I due dipinti furono realizzati per Giulio e Fabio Diodati. I Diodati, come ha indicato Giusti Maccari, furono direttamente coinvolti nelle vicende raffigurate da Paolini: “i due membri di questa famiglia, Giulio e Fabio, nel 1634 non solo servivano nell’esercito imperiale in qualità di colonnelli e di aiutanti politici, ma avevano preso parte all’organizzazione della congiura contro il Wallenstein tanto da esserne ricompensati con i beni confiscati al duca.” È molto probabile che i Diodati abbiano commissionato i dipinti raffiguranti questo episodio al Paolini, per esaltare la loro fedeltà verso l’imperatore. Cfr. Giusti Maccari 1987, pp. 100-101, 179.

54 Baldinucci 1681-1728 (rist. an. 1974), V, p. 108. Cfr. Ibidem, p. 179. 55

ASLu, Archivio Sardini, 124, IV, 2, c. 1;Trenta 1822, VIII, p. 142. Cfr. Giusti Maccari 1987, p. 179. Il Palazzo Cittadella è diventato Orsetti-Cittadella dopo le nozze celebrate nel 1771 tra Ferrante Luigi Cittadella e Chiara Orsetti.

(20)

127

Nel 1893 il Cerù conferma solamente la presenza dei due quadri che raffigurano l’“uccisione del generale Wallenstein”.57

Si ha conferma dell’esistenza dei due dipinti relativi alla congiura ordita ai danni di Albrecht Wallenstein duca di Friedland, in un inventario, risalente al 1775 e relativo ai “mobili, suppellettili, argenti ed altro” esistenti nel Palazzo di proprietà della famiglia Orsetti posto in parrocchia di Santa Maria Corteorlandini.58

Il numero 229 dell’inventario descrive difatti “Due quadri grandi di Facciata rappr[esentan]ti istorie del Valdestein opera di Pietro Paulini con cornice intag[lia]ta e dorata a oro buono”, valutandoli complessivamente Lire 1500.

Collocati nella “Camera nel canto verso Casa del Portico”, dovevano corrispondere l’uno all’altro, con un effetto visivo di forte impatto considerate le notevoli dimensioni (l’unico attualmente rintracciabile misura 230 x 370 cm). Questa caratteristica è peraltro in parte responsabile della valutazione assai elevata (fig. 105). Nel 1987 Giusti Maccari ipotizzò che uno dei quadri fosse stato venduto da Giulio e Fabio Diodati, in concomitanza con la vendita del palazzo a favore di Lelio Orsetti avvenuta nel 1661. L’inventario compilato nel 1775, però, conferma la presenza dei due dipinti all’interno del palazzo, rendendo così inverosimile l’ipotesi suddetta.59

L’inventario attribuisce inoltre al pittore due “quadri” di “varie figure opera di

Pietro Paulini”, valutati 187 Lire e 10 Soldi 10 erano collocati nella “Galleria”. A

nostro avviso, la descrizione generica dimostra che il pubblico banditore Sebastiano Puccinelli non fosse in grado di riconoscere il soggetto dei due dipinti che è dunque assai difficile identificare.

57 ASLu, Cerù, Ms 193, ad vocem. Cfr. Ibidem, p. 179. 58

ASLu, Pubblici Banditori, 41, Inventario e stima delli mobili, suppellettili, Argenti ed altro

esistenti nel Palazzo di Lucca posto in Parrocchia di S[anta] M[aria] Corteorlandini l[uog]o d[ett]o a Casa Orsetti attenenti all’eredità del fu nobile Sig[nore] Gio[vanni] Francesco del nobile Sig[nore] Bernardino Orsetti, 1755, cc. n.n.. L’inventario è stato meritoriamente citato da

Nelli (2007) senza fornire nessuna trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 33.

59

Giusti Maccari 1987, p. 101, nota 10. Giusti Maccari ricorda che il palazzo di famiglia dei Diodati fu venduto a causa dei gravi dissesti finanziari in cui la famiglia si trovò coinvolta. In anni recenti gli Orsetti hanno ceduto il palazzo al Comune di Lucca, dove attualmente si trova il dipinto superstite.

(21)

128

Nella “Prima camera verso levante”, situata al primo piano del palazzo, si trovavano cinque quadri di forma ovale. Di due di essi, valutati assieme 89 lire, non viene specificato il soggetto (ma sono fornite indicazioni sulla “cornice parte

intag[glia]ta e dorata”). Gli altri tre, raffiguranti “l’Astrologia”, “la Musica” e “la pittura [e] la scultura”, sono accompagnati da una valutazione complessiva di

387 Lire e 10 Soldi. I soggetti sono assai tipici del paolini, come mostrano alcune serie tuttora conservate, si vedano ad esempio i quattro ottagoni raffiguranti la

Musica, la Geometria, l’Astronomia, e la Filosofia, provenienti dal palazzo

Cittadella e attualmente conservati nella collezione Bertocchini Dinucci a Lucca (Figg. 106-109).

In occasione della vendita dei beni degli eredi Guinigi, tenutasi nel 1965, è stata presentata un’altra serie di quattro tele, attribuite al pittore, raffiguranti la Musica (il cui soggetto rimanderebbe al quadro citato nell’inventario di palazzo Orsetti) (fig. 110), l’Astronomia, la Medicina, l’Allegoria della Scienza. Giusti Maccari propone di collegare quest’ultima tela con il quadro raffigurante la Giovane donna

con compasso della collezione Moss (Fig. 111), mentre le tre tele restanti sono

tradizionalmente riconosciute come opere dello Scaglia.60

Nella “Terza Camera” si ricordano “Due quadri grandi del Paulini [con] cornice

intagliata e dorata rappr[esentan]ti uno il tempo, e l’altro un concerto di musici”

valutati complessivamente Lire 307 e Soldi 10. Sono verosimilmente da identificare con i dipinti citati dalle fonti. Il Baldinucci ricorda solamente un quadro riguardante “alcune femmine, che suonano alcuni strumenti”. Il Cianelli fa esplicita menzione di entrambe i dipinti, “un Vecchio che è il tempo, che con un mantello in mano rompe il mondo con un Putto sopra una tomba con una fascia in mano”, e “una Musica di Sonatori con istrumenti, che inganna il vero tanto bene sono disposti”. Allo stato attuale delle ricerche, l’unico dipinto autografo

raffigurante una scena di musica composta da figure femminili è identificabile con il Concerto (già Malibu, California, J. Paul Getty Museum) (Fig. 112).

(22)

129

Tra “i beni mobili attenenti all’eredità del Sig[nore] Giovanni Battista Parenzi”, inventariata nel 1765, si incontrano tre quadri di grandi dimensioni attribuiti a Paolini. Raffiguranti “Santi”, sono stimati complessivamente 450 Lire. Le fonti ignorano la loro esistenza.61

Ad oggi, assieme al San Gerolamo, un altro esempio di quadro raffigurante un santo è il “Sant’Agostino” a mezzo busto in abito vescovile conservato nella collezione Pellegrini di Borgo a Mozzano (fig. 113), ricordato da Giusti Maccari tra le opere attribuite all’artista. Le dimensioni del dipinto (cm. 95 x 73) non sembrano corrispondere con quelle indicate nella voce dell’inventario dove si fa riferimento a “tre quadri grandi”, escludendo difatti qualsiasi ipotesi di identificazione.

La riproduzione fotografica del Sant’Agostino, oltre a mettere in risalto le qualità pittoriche dell’artista, esalta in modo particolare il valore artistico di una cornice settecentesca riccamente decorata e intagliata. Questo elemento accomuna il dipinto a quelli presenti nella collezione Parensi, tutti dotati di una cornice “tartarugata”, con “rabeschi e profili dorati e intagliati”. Il dipinto Pellegrini non viene ricordato dalle fonti e non sappiamo se fin dall’origine appartenesse a questa famiglia.

Secondo Giusti Maccari, l’esistenza di un Libro di spese che copre quasi tutto il Seicento testimonia che in diverse occasioni i membri della famiglia hanno acquistato alcuni dipinti di pittori contemporanei lucchesi e non. Pur precisando

che il Sant’Agostino non risulta mai citato, la studiosa ipotizza che il quadro, di devozione privata, sia stato commissionato dai Pellegrini al Nostro, contando che un rapporto diretto fra loro poteva essere stato facilitato dal fatto che il fratello del pittore, Andrea, era stato colonnello proprio a Borgo a Mozzano.62

61

ASLu, Pubblici Banditori, 43, Inventario e Stima delli Mobili attenenti all’Eredità del fu

Nob[i]le Sig[no]re Gio[vanni] Batt[ist]a del q[uondam] Nob[i]le Sig[no]re Parensi, 1765, cc.

n.n.. L’inventario è inedito. Vedi Appendice Documentaria, n. 35.

(23)

130

Le fonti non sono concordi nel descrivere le opere del Paolini presenti in Casa Talenti. Nel quadernetto Guinigi si citano, tra le opere appartenenti a Bartolomeo, “quattro teste” ed una “Nascita”.63

Il Sardini e successivamente il Trenta 64 parlano solamente di una “Vergine con Santa Caterina, San Francesco e San

Domenico”, aggiungendo che fino ad allora il dipinto non era mai stato ricordato.

Il Cerù invece menziona “una Nascita”, “due teste” (probabilmente le altre due erano già andate disperse per passaggi ereditari o per alienazione) ed una “Vergine

che insegna a leggere al Bambino Gesù”.65 A proposito di quest’ultimo quadro, il

Sardini ricorda un dipinto di analogo soggetto in Casa Cenami. Non sappiamo se i due possono essere identificati.

Nel Catalogo della vendita degli arredi di Palazzo Talenti, tenutasi a Lucca nel 1907, figurano una “Madonna con bambino e libro”, un “Presepio” e “due teste

piccole” d’autori anonimi. Giusti Maccari, considerando l’analogia di soggetto,

sostiene che “si potrebbero collegare a quelli ricordati dalle fonti come di mano del Paolini”.66

In casa Buonvisi erano presenti cinque quadri del Nostro, “Un quadro traverso

con pittore che dipinge alla lucerna”, “Due quadri bislunghi compagni in uno un pastore che suona uno strumento a fiato nell’altro un pastore che suona”, “Un quadro con pittore che disegna”, “Un quadro bislungo con Natività di Nostro Signore rappresentata in tempo di notte”.

La menzione di questi quadri è presente in due inventari differenti, datati rispettivamente 1776 e 1790, che riguardano gli arredi dei palazzi Buonvisi.67

63 ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), c. 103. Cfr. Ibidem, p. 181. La Nota dei quadri appartenenti al Sig[no]re Bartolomeo Talenti è stata meritoriamente citata da Betti (2008g) senza offrire nessuna

trascrizione. Vedi Appendice Documentaria, n. 41.

64 ASLu, Archivio Sardini, 124, IV, 2, c. 19; Trenta 1822, VIII, pp. 142-143. Cfr. Ibidem, p. 181. 65

ASLu, Cerù, Ms 193, ad vocem. Cfr. Ibidem, p. 181.

66

Cfr. Ibidem, p. 181. Senza voler proporre ipotesi di identificazione che allo stato attuale delle conoscenze non è supportata da nessun elemento, nel catalogo della Fondazione Federico Zeri dell’Università di Bologna sono presenti due opere raffiguranti teste di giovani con attribuzione a Pietro Paolini, apparse sul mercato antiquario romano (figg. 114-115).

67

BSLu, Ms 3299, fasc. 4, Nota dei Quadri dell’Appartam[en]to di Casa Buonvisi, 1776, cc. 5-12, vedi Appendice Documentaria, n. 19.1; ASLu, Archivio dei Notari, II, Inventario degli arredi dei

palazzi Buonvisi “d’inverno” e “d’estate” e della villa “al giardino”, 1790, vedi Appendice

(24)

131

Il quadernetto Guinigi, pressoché coevo ai due inventari, conferma la presenza di queste opere in casa di Francesco Buonvisi.68 Il Sardini e successivamente il Trenta 69 ricordano che “il sig[nore] Buonviso Buonvisi grande estimatore del

nostro Pietro, che ne cercò ad ogni costo dei pezzi più singolari, a fine di farne più ricca la celebre sua collezione dei quadri oltre una Sacra Famiglia illuminata dai raggi del Divino Pargoletto, acquistò due mezze figure di questi curiosi Villani, ed uno poco fa n’esisteva fra gli altri in casa Baroni, che per essere pelati in testa presero il nome di Mondoni”.

Nicolao Cianelli oltre a descrivere la “Natività” come “un quadro mezzano di Gesù, Giuseppe e Maria”, per la prima volta menziona “due teste ideali” e “quattro teste ideali” che difficilmente corrispondono ai quadri riportati negli inventari e nelle fonti precedenti.70

Alla fine del XIX secolo, il Cerù ricorda “un piccolo quadro”, e “due mezzani”, che dice “già del Buonvisi”.71

Giusti Maccari interpreta la testimonianza del Cerù come “segno che i dipinti, a seguito della dispersione della quadreria avvenuta attorno alla metà dell’Ottocento erano già stati alienati”. La studiosa indica inoltre che “la stessa sorte aveva già subito in precedenza la Natività perché, nel 1841, Antonio Mazzarosa, lodandola per l’illuminazione notturna che giudica di derivazione caravaggesca, scrive che

faceva un bell’ornamento della Galleria Buonvisi”.72

Considerando le similarità nelle dimensioni e nell’iconografia, Giusti Maccari ritiene sia possibile identificare il “quadro traverso con pittore che dipinge alla

lucerna” con il dipinto di analogo soggetto ora conservato al Museo di Boston

(fig. 116), e il “pastore che suona uno strumento a fiato” con il quadro di analogo soggetto e provvisto della sigla del pittore, ora conservato a Palazzo Mansi (Fig. 117).73

68 ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), cc. 8-11, 20-28. Cfr. Giusti Maccari 1987, p. 172.

69 ASLu, Archivio Sardini, 124, Iv, 2, c. 10. Trenta 1822, VIII, p. 142. Cfr. Ibidem, p. 172. 70

BSLu, Ms. 1918, c. 86r. Cfr. Ibidem, p. 172.

71 ASLu, Cerù, Ms 193, ad vocem. Cfr. Ibidem., p. 172. 72 Giusti Maccari 1987, p. 172.

(25)

132

Nell’“Inventario e stima delli mobili attenenti all’eredità del fu spettabile

Gio[vanni] Paolo Chelli ritrovati nella casa della sua abitazione in Lucca”,

compilato nel 1777, sono elencati cinque dipinti attribuiti al Paolini.74 Nell’“anticamera” erano difatti collocati “1 quadro grande traverso

rappresentante un Sonator[e] di chitarra del Paulini cornice alla Romana” (50

Lire),75 “1 detto [quadro] come sopra rappresentante la Maddalena cornice

all’antica intagliata e dorata guastato dello stesso autore” (55 Lire), “2 quadri uno di essi rappresentante l’Assunta, altro Nostro Signore con alcuni Apostoli del suddetto con cornice come sopra” valutati complessivamente 180 Lire, “Uno detto [quadro] rappresentante la Madonna con Bambino del suddetto autore, guastato con cornice come sopra” (75 Lire).

Le fonti non forniscono informazioni in merito a questa specifica collezione, ed è difficile fare ipotesi sulla veridicità della attribuzioni (anche se il primo dipinto richiama uno dei temi tipici del pittore).

L’inventario redatto nel 1778 informa che nella casa di Lucca della famiglia Pini si trovavano cinque opere di dimensioni ridotte riconducibili al Paolini, “quattro

teste” (72 Lire) ed un “bozzino cioè il Crocifisso detto de[i] Bianchi con cornice all’antica” (7 Lire e 10 Soldi). Le fonti non forniscono ulteriori indicazioni in

merito ad esse.76 Il “bozzino” farebbe tuttavia pensare ad un’opera preparatoria del dipinto che raffigura la “Processione dei Bianchi”, tuttavia eseguito, non da Paolini ma da Giovanni Marracci. Se così fosse si può tentare di identificarlo col bozzetto (Lucca, Museo di Villa Guinigi) riguardante il dipinto su lastra di rame collocato sull’altare maggiore della chiesa lucchese del Santissimo Crocifisso dei Bianchi (Fig. 120).

74 ASLu, Pubblici Banditori, 46, Inventario e Stima dei mobili attenenti all’Eredità del fu Sp[ettabi]le Gio[vanni] Paolo Chelli ritrovati nella Casa della sua abitazione in Lucca, 1777, cc.

1-18. L’inventario è inedito. Vedi Appendice Documentaria, n. 21.

75 A proposito dei quadri raffiguranti i suonatori di chitarra, vale la pena segnalare l’esistenza di

due dipinti con questo soggetto che vengono attribuiti al Paolini. Il primo è riportato nel catalogo della Fondazione Zeri dell’Università di Bologna (fig. 118), mentre, l’altro è apparso a Londra, sul mercato antiquario (Sotheby’s, 05 luglio 2012, lotto n. 245) (fig. 119).

76 ASLu, Pubblici Banditori, 46, Inventario di Mobili, Argenti, Biancheria e d’altro dell’Eredità del fu Sig[nore] Giuseppe Pini ritrovato nella sua casa in Lucca, 1778, cc. 1-15. Cfr. Betti 2005,

(26)

133

A proposito di questo soggetto, un “quadro in cartone sbozzo del quadro del

S[antis]S[i]mo Crocifisso detto de[i] Bianchi”, non attribuito, è ricordato al

numero 157 dell’“Inventario dei quadri ritrovati nelle stanze particolari della

Casa di Lucca ove abitava il fu nobile Sig[nore] Alessandro Guinigi”, compilato

nel 1748.77

Nella “Nota de i Quadri dell’Appartamento buono”, compilata sul finire del Settecento, Giacomo Sardini ricorda di aver acquistato dai Paolini per la cifra di otto zecchini una copia della “Carità Romana” del Guercino, ritenuta di mano del pittore loro antenato. Aggiunge che il dipinto “stette sotto la Loggia del Palazzo Pretorio inosservato per più settimane”. Diciotto zecchini erano costate “due

mezze figure”, che gli erano state segnalate da Lorenzo Moni, un pittore

paesaggista con cui egli era in contatto. Sardini fa peraltro riferimento ad esse nella Vita di Pietro Paolini da lui redatta e poi pubblicata dal Trenta.

Nel passo in cui parla delle “figure capricciose e grottesche” completamente calve possedute dai Buonvisi e dai Baroni aggiunge difatti d’essere riuscito a procurarsi due esemplari analoghi.

Nella biografia del pittore, il marchese indica di possedere un altro dipinto del paolini, raffigurante un “Sant’Agostino che predica”. Questo non viene tuttavia menzionato nell’inventario, dove però compare un’opera di analogo soggetto attribuita a Pietro Testa. Se l’opera, come sembra, è la stessa, Sardini, come spesso accadeva, aveva mutato idea in merito all’identificazione dell’autore. Alla fine dell’inventario è menzionato un dipinto raffigurante “un gruppo di

cani”, accompagnato dalla specifica «creduto del Paolini». Segue una nota

secondo la quale Paolino Santini possedeva un “quadro istoriato” dove era raffigurato un identico gruppo di cani, sulla base di questa analogia lo stesso santini riteneva che il dipinto in possesso dell’amico spettasse egualmente a paolini. Le due opere non sono attualmente reperibili.78

77 ASLu, Pubblici Banditori, 39, Inventario de[i] quadri ritrovati nelle stanze particolari della Casa di Lucca, ove abitava il fu nobile Sig[nore] Alessandro Guinigi Franciotti, 1748, cc. 44-58.

Vedi Appendice Documentaria, n. 27.4.

78 ASLu, Archivio Sardini, 83, 46, Nota de i Quadri dell’Appartamento buono, XVIII-XIX sec.,

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Il Cerù,79 che scrive quasi un secolo dopo rispetto al marchese, indica che, nel palazzo Sardini, era conservata una Vergine e due Santi, mentre non fa menzione alcuna delle altre opere. Questa, secondo Giusti Maccari, è “da identificarsi con il dipinto conservato nei depositi della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, anche se in realtà i santi sono quattro”. La mancata corrispondenza si potrebbe spiegare pensando ad “una svista del Cerù che si è limitato a descrivere solo i due santi in primo piano, di proporzioni maggiori rispetto ai due ai lati della Madonna”.80

(Fig. 121)

Nell’Inventario di tutti li mobili, e di tutto ciò che esiste nella casa di Lucca della

propria abitazione del fu notabile signore Giuseppe Innocenzo Baroni, redatto nel

1791, si descrivono due quadri attribuiti a Pietro Paolini, uno raffigurante “S[anta]

Caterina dalla ruota con cornice nera e profilo d’oro” (22 Lire e 10 Soldi) ed un

altro con “un villano, che accorda una chitarra con cornice nera e profili d’oro,

di fedecommesso” (187 Lire e 10 Soldi).81

La Santa Caterina non risulta citata dalle fonti. Il valore modesto di stima che lo accompagna costituisce il segno probabile che l’opera avesse dimensioni ridotte. Il marchese Sardini e successivamente il Trenta 82, ricordando la presenza, nella collezione di Buonviso Buonvisi, di “due mezze figure” di “curiosi Villani” raffigurati nell’atto di suonare, precisano che Paolini, ci informano che esisteva un altro esemplare con il medesimo soggetto si trovava in casa Baroni. L’indicazione è confermata dalla voce presente nell’inventario.

Di questo tipo d’opera, che se si presta fede alle fonti il Paolini eseguì in numero consistente, restano a tutt’oggi l’esemplare raffigurante Il suonatore di liuto del Museo di Ponce di Puerto Rico (fig. 122 e figg. 123-126). In mancanza di indicazioni sulle misure, e di notizie sul fedecommesso al quale la voce di inventario fa riferimento diviene assai difficoltoso proporre ipotesi di identificazione del dipinto Baroni l’unico esemplare superstite sopra menzionato.

79 ASLu, Cerù, Ms 193, ad vocem. Cfr. Ibidem, p. 180. 80 Ibidem, p. 180.

81 ASLu, Pubblici Banditori, 49, Inventario di tutti li mobili, e di tutto ciò, che esiste nella Casa di Lucca della propria abitazione del fu not[abi]le Sig[no]re Giuseppe Innocenzo, 1791, cc. 1-56.

Vedi Appendice Documentaria, n. 14.

82 ASLu, Archivio Sardini, 124, IV, 2, c. 18; Trenta 1822, VIII, p. 142. Cfr. Giusti Maccari 1987,

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