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ETODI A NALITICI APPENDICE 2 M

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Academic year: 2021

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APPENDICE 2

METODI ANALITICI

1MICROSCOPIA OTTICA

Il riconoscimento delle fasi mineralogiche di una roccia è possibile tramite l’osservazione delle stesse in sezione sottile tramite un microscopio polarizzatore. La procedura per la preparazione delle sezioni sottili prevede il taglio dei campioni di roccia mediante sega diamantata fino ad ottenere dei prismi di dimensioni pari a 0,5x2x4 cm di cui una superficie viene levigata su una mola utilizzando smeriglio inumidito con acqua a granulometria progressivamente decrescente. I mattoncini e vetrini vengono quindi incollati con una resina bicomponente, dopo aver smerigliato anche la superficie del vetrino. I mattoncini incollati al vetrino vengono tagliati mediante sega elettrica fino a far loro raggiungere uno spessore di circa 1 mm; si procede quindi con un’ulteriore levigazione fino ad ottenere una sezione sottile dello spessore di circa 30 µm. Su ogni sezione sottile si incolla infine un vetrino copri-oggetto che consente una migliore visione al microscopio polarizzatore.

Il microscopio polarizzatore o da mineralogia/petrografia è un microscopio avente due filtri posti sul percorso della luce, il polarizzatore prima degli obiettivi e l'analizzatore (un altro filtro polarizzatore, ma che per la sua funzione viene detto analizzatore) posto dopo il campione e prima degli oculari e il sistema di rilevamento ottico. Per mezzo di questo dispositivo è possibile identificare i minerali presenti in una sezione sottile sfruttando l’interazione tra la luce polarizzata e la struttura cristallina: una specie mineralogica è messa in evidenza tramite la sua peculiare birifrangenza, cioè l'anisotropia del mezzo rispetto alla luce.

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171 2DIFFRATTOMETRIA A RAGGI X DI POLVERI

La diffrazione di raggi X da polveri consente di effettuare sia analisi qualitative, che quantitative. Nel presente lavoro è stata effettuata solo l’analisi qualitativa dei campioni tramite diffrattometro Bragg-Brentano e camera Gandolfi.

La misura diffrattometrica si basa sull’interazione tra i raggi X e un materiale. La radiazione incide incide sul campione, interagisce con il reticolo cristallino e viene raccolta e registrata da un apposito rivelatore.

Considerando il principio della riflessione delle facce del cristallo, dove r sono piani reticolari si ha:

AB=OBsenθ e ΒC=OBsenθ, con AB+BC=differenza di cammino AB+BC=2OBsenθ=2dsenθ=nλ.

Affinché si abbia interferenza deve essere: AB+BC = 2dsenθ = nλ

Quando 2d è uguale a nλ è soddisfatta la condizione di Bragg e il rivelatore raccoglierà, in direzione dell’angolo θ, un picco di intensità della radiazione riflessa.

Fig. 2.1: Legge che regola l’interazione dei raggi X con la struttura reticolare di un minerale

In funzione delle differenti distanze interplanari caratteristiche delle differenti fasi cristalline, sarà possibile registrare sequenze di picchi in grado da consentire l'identificazione della fase studiata: ad ogni fase cristallina corrisponderà infatti un diffrattogramma (diagramma intensità-angolo di diffrazione -2θ-) caratteristico.

Nella diffrattometria delle polveri con diffrattometro Bragg-Brentano il campione viene ridotto in polvere, di dimensioni attorno a 10-15 micron con procedure meccaniche. La

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polvere così ottenuta, viene compattata in un portacampione che può essere inserito nell’apparecchiatura.

Fig. 2.2: Schema di un diffrattometro a raggi X

Per ogni campione analizzato è stati ottenuto un diffrattogramma, cioè un grafico che correla il doppio del valore dell’angolo di riflessione θ (in ascissa) con l’intensità del corrispondente segnale rilevato (in ordinata) e in cui vengono, quindi, visualizzati i picchi caratteristici per il riconoscimento delle fasi mineralogiche presenti nel campione.

Il diffrattogramma viene letto ed interpretato selezionando i valori di diffrazione/picchi più intensi. Vengono quindi individuate le fasi cristalline, riportate in appositi database (uno dei più importanti è il Powder Diffraction File, PDF), le cui tre diffrazioni più intense corrispondono a quelle del campione analizzato. Viene identificata una fase cristallina quando esiste corrispondenza per tutte le diffrazioni.

Durante le analisi del presente lavoro di tesi i diffrattogrammi sono stati raccolti in 1-2 ore. Le condizioni sperimentali prevedevano la raccolta dei diffrattogrammi nell’intervallo angolare 3°<2θ<60°-80°, con un passo di 0.02° in 2θ e un tempo di raccolta di 1 s, impiegando la radiazione CuKα (λ = 1.54178 Å). Il dispositivo utilizzato per le analisi di questa tesi è un diffrattometro Philips PW-1830, installato presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Il diffrattometro è collegato ad un calcolatore che, tramite un software, ne controlla le modalità di funzionamento e acquisisce e visualizza i dati corrispondenti ai segnali prodotti dal rilevatore (contatore Geiger).

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Fig. 2.3: Diffrattometro utilizzato per le analisi

Si possono ottenere diffrattogrammi di polvere anche da cristalli singoli. Questo è possibile riorientando continuamente il cristallo attraverso la sua rotazione attorno a due assi che si incontrano nel centro della camera di diffrazione. Questa tecnica ha una geometria semplice e consente di raccogliere effetti di diffrazione su un intervallo angolare, in 2θ, compreso fra 0° e 180°. L’angolo fra i due assi di rotazione è variabile in funzione del tipo di camera utilizzata; nel corso di questo lavoro abbiamo utilizzato una camera Gandolfi con un angolo di 45°. La registrazione degli effetti di diffrazione avviene su pellicola; su di essa compaiono archi di circonferenza, simmetrici rispetto ai fori di entrata e di uscita dei raggi X, rappresentanti i coni di diffrazione dei vari piani reticolari. Misurando la distanza fra gli archi simmetrici e conoscendo il diametro della camera utilizzata, si risale, applicando l’equazione di Bragg, al valore dell’angolo di diffrazione θ e quindi al corrispondente valore dhkl.

I diffrattogrammi Gandolfi sono stati raccolti presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Ogni campione è stato esposto per un tempo variabile tra le 12 alle 24 ore (in funzione delle dimensioni) alla radiazione CuKα (λ=1.54178 Å) in una camera Gandolfi di diametro pari a 114.6 mm. Ogni pellicola così ottenuta è stata successivamente sottoposta a scansione a 300 dpi ed elaborata con il software X-RAY (O’Neill et al., 1993) al fine di ottenere un set di dati “I-2θ”. Attraverso una successiva elaborazione con il software WINFIT (Krumm, 1997) si ottiene un diagramma “I-dhkl” che consente di identificare la fase esaminata.

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174 3SPETTROSCOPIA MICRO-RAMAN

La spettroscopia Raman è una spettroscopia di tipo vibrazionale che misura la variazione della lunghezza d’onda di una radiazione incidente dopo l’interazione tra i fotoni e il campione. Questa tecnica analitica si basa sul cosiddetto effetto Raman, cioè sulla diffusione anaelastica di fotoni da parte delle molecole di un oggetto colpito da una radiazione. Tale effetto è stato scoperto nel 1928 dal fisico indiano C. V. Raman, da cui la tecnica prende il nome.

Se una molecola, che a temperatura ambiente occupa uno dei livelli energetici dello stato fondamentale, viene colpita da una radiazione monocromatica intensa (laser) si genera un salto energetico che porta la molecola ad uno dei possibili stati virtuali che si trovano tra lo stato elettronico vibrazionale fondamentale e il primo stato elettronico eccitato. Il ritorno della molecola allo stato vibrazionale fondamentale determina tre tipi di diffusione: la diffusione Rayleigh (Rayleigh scattering), diffusione Raman Stokes (Stokes Raman scattering) e la diffusione Raman Anti-Stokes (anti-Stokes Raman scattering). La diffusione Rayleigh è la più probabile: per essa non si ha cambiamento di energia e pertanto questo tipo di collisione tra la molecola ed il fotone viene detto elastico. Una piccolissima parte della radiazione (1 su 107 fotoni), invece, viene diffusa anaelasticamente cedendo (diffusione Raman Stokes) o acquistando (diffusione Raman Anti-Stokes) energia. Il fenomeno di perdita di energia è il più probabile perché ci sono statisticamente più molecole negli stati a minor energia che nei livelli eccitati.

Fig. 2.4: Livelli di energia nella diffusione Raman; a) diffusione Raman Stokes, b) diffusione Raman Anti-Stokes. (http://www.kosi.com/raman/resources/index.html)

La differenza di energia tra i fotoni incidenti e quelli diffusi anelasticamente corrisponde ai livelli energetici vibrazionali della molecola diffondente, perciò durante l’effetto Raman

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i livelli energetici più interessati sono soprattutto gli stati vibrazionali. Uno spettro Raman fornisce quindi informazioni sui diversi modi vibrazionali delle molecole. L'analisi della variazione di frequenza della radiazione (spettro) rivela le frequenze di vibrazione caratteristiche delle molecole. Poiché l’intensità e la frequenza delle vibrazioni molecolari indotte variano in funzione della composizione chimica e e dell'ambiente locale dei singoli atomi, lo spettro Raman-Stokes può essere usato come identificativo della composizione chimica e dello stato strutturale delle molecole. La microspettroscopia Raman non comporta alcuna preparazione specifica per i campioni ed è completamente compatibile con le osservazioni in microscopica ottica. Ciò consente, per quanto riguarda le applicazioni mineralogiche, di ottenere spettri Raman su sezioni sottili.

Per le analisi svolte nella presente tesi è stato utilizzato uno Spettrometro Raman integrato micro/macro della Jobin Yvon, Mod. LABRAM HRVIS di proprietà del Centro Interdipartimentale “G.Scansetti” per lo Studio degli Amianti e di altri Particolati Nocivi, installato presso il Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche (DSMP) dell’Università degli Studi di Torino.

Fig. 2.5: Il laboratorio di spettroscopia Micro-Raman del Centro Scansetti

Il Laboratorio di spettroscopia MicroRaman è costituito da:

 Microscopio ottico petrografico Olympus BX41. Il microscopio è predisposto per osservazioni in luce trasmessa e riflessa ed è dotato di polarizzatore, analizzatore e videocamera a colori. È caratterizzato da un sistema ottico confocale di accoppiamento

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allo spettrometro. Gli obiettivi 4X, 10X, 20X, 50X e 100X (spot di circa 1-2 µm) sono a lunga distanza di lavoro. Lo strumento è dotato di una tavola portacampioni motorizzata.

 Spettrometro Horiba Jobin Yvon HR800 (completo di due reticoli 1800 e 600 grooves /mm) e detector CCD raffreddato ad aria (-70°C).

 2 laser polarizzati: laser rosso He-Ne (lunghezza d’onda 633 nm, potenza 20 mW) e laser verde Nd allo stato solido (lunghezza d’onda 532 nm, potenza 100 mW). Il sistema è completo di filtri Super Notch Plus per righe laser 633 nm e 532 nm e di un set di filtri interferenziale. Risoluzione spettrale con reticolo 1800: 2 cm-1 per laser verde e 1.5 cm-1 per laser rosso.

 Consolle per gestire il fascio laser e l’illuminazione nel microscopio.

 Postazione PC con il software Labspec 5 in ambiente Windows XP per l’acquisizione e l’elaborazione degli spettri Raman

La corretta calibrazione dello strumento si effettua verificando sul silicio metallico la posizione della banda a ± 520.7 cm-1.

In questa tesi sono stati ottenuti spettri Raman su sezioni sottili scoperte e lucide e su sezioni sottili coperte. È stato utilizzato il laser a 532 nm nella regione compresa tra 180 e 1100 cm-1 e tra 3300 e 3800 cm-1.

4MICROSCOPIA ELETTRONICA A SCANSIONE

La caratterizzazione morfologica e chimica dei campioni di vene è stata effettuata utilizzando la microscopia elettronica a scansione. Tale tecnica prevede l’uso di uno strumento formato da un microscopio elettronico a scansione (SEM) accoppiato ad un dispositivo per la microanalisi in dispersione di energia (EDS). Gli standard utilizzati per la calibrazione dello strumento sono: olivina (Mg, Si), albite (Na, Al, Si), ortoclasio (K, Al, Si), diopside (Ca, Mg, Si).

Tale tecnica è una delle tecniche analitiche di superficie più conosciute ed usate. Immagini della topografia superficiale di campioni in alta risoluzione, con eccellente profondità di campo, vengono prodotte facendo interagire un fascio di elettroni, altamente focalizzato e scandito, con la superficie del campione. Il SEM è composto da una camera a

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vuoto e da un cannone elettronico in cui viene focalizzato sulla superficie del campione da analizzare, mediante un condensatore, il fascio di elettroni (primario) con energia fino a 30 keV e viene indotto a esercitare una scansione in forma di una successione di linee parallele. L’interazione tra il fascio incidente e la superficie sottoposta all’impatto degli elettroni è causa di alcuni fenomeni: i più importanti per la microscopia elettronica sono l’emissione di elettroni secondari con energie di qualche decina di eV e la riemissione o riflessione di elettroni retrodiffusi, ad alta energia, appartenenti al raggio primario. Un’immagine della superficie del campione può essere perciò ricostruita misurando l’intensità degli elettroni secondari in funzione della posizione del fascio primario nel suo movimento di scansione. Il campione è sotto alto vuoto (10-5 Torr) e deve essere conduttivo (oppure metallizzato), altrimenti produce cariche elettrostatiche che disturbano la rivelazione degli elettroni secondari. Gli elettroni secondari vengono utilizzati per la costruzione di immagini grazie al fatto che, a causa della bassa energia di cui sono dotati, provengono dagli strati più superficiali del campione: l’intensità degli elettroni secondari, infatti, è regolata dalla topografia del campione. L’intensità dell’energia degli elettroni retrodiffusi, invece, è una funzione diretta del numero atomico medio del campione; tramite gli elettroni retrodiffusi è possibile quindi identificare composti diversi in un campione eterogeneo. La configurazione e la disposizione dei rivelatori dei due tipi di elettroni emessi è tale che vengono sfruttate al meglio le peculiarità del meccanismo di emissione. La corrente elettronica emessa è raccolta dai rivelatori e amplificata: le variazioni nella forza del segnale risultante corrispondono alla variazione della brillantezza della traccia del raggio elettronico che, su un monitor, opera una scansione sincronica con il raggio elettronico che incide sul campione. Il risultato è un'immagine in bianco e nero che ha caratteristiche simili a quelle di una normale immagine fotografica. L’ingrandimento prodotto dal SEM è il rapporto tra le dimensioni dell’immagine finale ed il campo esplorato dal fascio elettronico sul campione. Normalmente l’ingrandimento può andare da 10 a 200.000 x ed il potere risolutivo può spingersi fino a 4 nm (40 Å).

Oltre all’emissione di elettroni, il fascio elettronico incidente causa l’emissione di raggi X primari da parte del campione bombardato, le cui lunghezze d’onda ed energie sono caratteristiche degli elementi presenti nel campione. L’analisi chimica nel SEM viene realizzata misurando l’energia e la distribuzione delle intensità dei raggi X generati dal fascio elettronico sul campione utilizzando un rivelatore a dispersione di energia

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(Spettrometria per Dispersione di Energia: EDS). L’analisi che viene prodotta può essere sia dell’area che in quel momento viene ingrandita, oppure, fermando la scansione del fascio elettronico, di un punto di interesse, anche di pochi µm (microanalisi). Si ottiene uno spettro i cui picchi sono rappresentativi degli elementi presenti nel campione; l’altezza di tali picchi è proporzionale alla quantità di raggi X emessa: mediante una opportuna calibrazione, è perciò possibile calcolare le quantità relative degli elementi presenti nel campione.

Il dispositivo utilizzato per le analisi effettuate in questa tesi è un microscopio elettronico a scansione PHILIPS XL 30 accoppiato al sistema a dispersione di energia EDAX PV 9900, in dotazione al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. I dati raccolti dal sistema vengono elaborati tramite il software EDAX DX4 2.11 (1996). I campioni analizzati al SEM-EDS sono stati frantumati con l’ausilio di un mortaio di agata. Il granulato così ottenuto è stato incollato, tramite nastro biadesivo, agli stub. Per poter effettuare l’analisi al SEM-EDS, gli stub sono stati resi conduttivi tramite metallizzazione con strati di carbonio di spessore di 30 µm.

Figura

Fig. 2.1: Legge che regola l’interazione dei raggi X con la struttura reticolare di un minerale
Fig. 2.2: Schema di un diffrattometro a raggi X
Fig. 2.4: Livelli di energia nella diffusione Raman; a) diffusione Raman Stokes, b) diffusione Raman Anti-Stokes
Fig. 2.5: Il laboratorio di spettroscopia Micro-Raman del Centro Scansetti

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