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Dal mandato britannico a Saddam

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Dal mandato britannico a Saddam

1.1 Dal mandato britannico all’indipendenza

Era da poco iniziato il primo conflitto mondiale e la situazione che si prospettava era di un’Europa che guardava al Medio Oriente con mire coloniali feroci: le grandi potenze europee concorrevano per raggiungere l’egemonia politica ed economica dentro e fuori il vecchio continente, spartendosi in zone d’influenza e controllo i territori mediorientali e sovvertendo i confini interni dell’Impero ottomano.

Nel novembre 1914 i britannici cominciarono a sbarcare in Mesopotamia, occupando Bassora il 22 novembre e, di lì a poche settimane, molte delle principali città dell’Iraq meridionale. Gli ottomani cercarono di resistere spinti dalle autorità religiose che invocavano la resistenza contro gli Alleati, ma le truppe britanniche riuscirono a salire verso il centro del paese: la forza strategica dello sbarco a Fao, sul Golfo Persico, permise di tutelare le vie di comunicazione con l’India e di sostenere i potentati locali sotto la loro protezione. Tuttavia le prime vittorie vennero inaspettatamente interrotte dalla dura sconfitta a Kut al-Amarah, nel 1916, per mano dei mujaheddin sciiti che si erano uniti per il jihad contro il nemico europeo. La guarnigione britannica fu messa in ginocchio dai combattenti tribali e vide una nuova vittoria solo nel marzo 1917 quando, più forte, penetrò dall’interno il territorio iracheno e conquistò la città di Baghdad, mettendo fine alla dominazione ottomana1.

Gli inglesi si insediarono in un clima estremamente ostile: i settori arabo-nazionalisti che ambivano all'emancipazione dal dominio ottomano, videro avverarsi il loro timore di una mancata indipendenza con la spartizione del Medio Oriente e l’introduzione del sistema dei mandati, un istituto creato dalla Società delle Nazioni per stabilire il diritto dei popoli a disporre di sé e per condurli verso l’indipendenza2.

I mandati vennero assegnati alla Conferenza di Sanremo (19-26 aprile 1920), durante la quale gli Alleati raggiungevano un accordo, detto tripartito, che sanciva il riconoscimento delle rispettive sfere d'influenza nei territori dell'Asia Minore.

1 P. J. Luizard, La questione irachena, Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 18-19.

2 A. Battaglia, I confini del Medio Oriente dopo la Prima Guerra Mondiale, Limes online del 24

novembre 2011. http://temi.repubblica.it/limes/i-confini-del-medio-oriente-dopo-la-prima-guerra-mondiale/66192?printpage=undefined .

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L’istituto dei mandati, disciplinato dall’art. 22 del Patto della Società delle Nazioni, stabiliva appunto che alcuni territori, i cui popoli non erano ritenuti in grado di autogovernarsi, sarebbero stati affidati in temporanea amministrazione alle potenze mandatarie della Società: il mandato era sottoposto al controllo di quest'ultima, che aveva il compito di stabilire le modalità dell'amministrazione mediante convenzione o deliberazione del Consiglio.

Questo ventiduesimo articolo su cui si basava l’istituto, suddivideva i mandati in tre categorie (A, B e C), secondo il «grado di civiltà» conseguito dal popolo del territorio a giudizio delle Potenze, e secondo l'ampiezza dei poteri di amministrazione della Potenza mandataria. Alla Gran Bretagna vennero affidati l’Iraq, la Palestina e la Transgiordania, mandati cosiddetti di classe A, che avevano una durata definita nel tempo, ossia fino alla completa indipendenza e autodeterminazione del Paese oggetto di tutela, che la potenza mandataria avrebbe dovuto favorire, assieme al suo sviluppo economico e culturale.

L'art. 1 del progetto relativo all'Iraq era concepito nei seguenti termini:

«The Mandatory will frame within the shortest possible time, not exceeding three years from the date of the coming into force of this Mandate, an Organic Law for Mesopotamia, which shall be submitted to the Council of the League of Nations for approval, and shall, as soon as possible, be published by it. This Organic Law shall be framed in consultation with the native authorities, and shall take account of the rights, interests and wishes of all the populations inhabiting the mandated territory, it shall contain provisions designed to facilitate the progressive developement of Mesopotamia as an independent State. Pending the coming into effect of the Organic Law, the administration of Mesopotamia shall be conducted in accordance with the spirit of this Mandate»3.

Ma l’intento ‘nobile’ di condurre gli stati affidati all’autodeterminazione fin da subito passò in secondo piano, lasciando il posto all’intento meno nobile di controllare i territori sotto mandato: i britannici smentivano i loro propositi adottando una politica di controllo spietata sui vilayet iracheni4, dando prova dell’estrema

durezza del loro regime militare escludendo continuamente dalla politica decisionale i dirigenti dell’opposizione e inasprendo ogni giorno di più gli animi con il rifiuto alle richieste di autonomia locale. Questa situazione fece sì che i nazionalisti arabi si

3 Osservazioni sul progetto di mandato britannico per la Mesopotamia, s. l., 20 maggio 1922, ASE, P

1919-30, 1571, in 1197/3 - Il progetto di mandato britannico sull'Iraq di Prassi Italiana – Istituto di studi giuridici internazionali. http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=2077

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raccogliessero attorno a Faysal ibn Husayn, un principe della dinastia hashemita che aveva guidato la rivolta araba ed era stato proclamato sovrano del Regno di Siria dopo essere entrato vittorioso a Damasco, nel 19185; nonostante la minaccia di un

movimento proto-nazionalista arabo, gli inglesi continuarono a promuovere l’unificazione delle tre province (Bassora, Baghdad e Mosul), a discapito della loro autonomia.

Il malcontento era dilagante e la crescente opposizione al mandato britannico sfociò in una serie di manifestazioni di protesta che videro unirsi le divisioni settarie della comunità islamica contro l’autorità inglese, che, allarmata, iniziò a segnalare la collaborazione “pericolosa” tra sunniti e sciiti in nome dell’indipendenza del paese: nei centri urbani la presenza della potenza mandataria si faceva sentire, limitando al massimo le rivolte, ma nei centri rurali le manifestazioni guidate dai capi tribali, particolarmente ostili ai britannici, non riuscivano ad essere contrastate ed anzi, nel giugno del 1920 si acuirono con una pesante lotta armata, la cosiddetta “Rivoluzione del 1920”.

Sul modello della Rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione irachena fu un avvenimento patriottico, in cui i capi sciiti invocavano l’indipendenza totale, seguiti indistintamente dai sunniti: i britannici avevano negato loro le promesse fatte e il progetto di autodeterminazione era ormai un’utopia. La rivolta si estese rapidamente fino alle regioni del medio Eufrate, a nord e ad ovest di Baghdad e nel sud del Kurdistan, ma mancava totalmente di coordinamento e presto la superiorità tecnologica dei britannici condusse la protesta verso il fallimento6. Nonostante la

sconfitta, gli iracheni avevano provato letteralmente l’autorità inglese, che dovette ricorrere a cambiamenti nel sistema di amministrazione: da sempre era esistita una discussione tra chi sosteneva il modello indiretto, ossia un controllo che si sarebbe attuato collaborando con le autorità locali, e tra chi sosteneva una gestione diretta, che auspicava ad una futura annessione al territorio iracheno7.

Successivamente alla rivolta, il primo ottobre del 1920, arrivò in Iraq Sir Percy Cox, un commissario civile incaricato di porre fine all’amministrazione militare e introdurre una Costituzione con l’appoggio dell’élite locale: venne dunque

5 A. Plebani, R. Redaelli, L’Iraq contemporaneo, Roma, Carrocci Editore, 2013, p. 36. 6 P. J. Luizard, op. cit., pp. 26-27.

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privilegiato un tipo di amministrazione indiretta che si tradusse con l’istituzione di un governo provvisorio iracheno.

Cox, interpretando i voleri di Londra, si concentrò sulla formazione di un consiglio nazionale costituito da notabili arabo-sciiti, membri cristiani ed ebrei, con l’intento di dare la possibilità alle diverse comunità di essere rappresentate. Gli inglesi si erano resi conto, una volta repressa la rivoluzione, che non avrebbero più potuto governare direttamente l’Iraq e che la creazione di un apparato statale che dipendesse da loro senza esserne i protagonisti fosse la soluzione: erano consapevoli che gli animi dei ribelli non fossero ancora spenti e che l’ostilità fosse sempre ben radicata, ma si mossero in anticipo ridefinendo i termini della propria presenza nel paese8. Infatti,

dopo pochi mesi, durante la Conferenza del Cairo (marzo 1921), si stabilì che l’Iraq sarebbe diventato una monarchia costituzionale, governata da Faysal.

Per quanto riguardava i confini, la sorte della provincia di Mosul era ancora sospesa: tuttavia si decise che il territorio iracheno sarebbe stato composto, per il momento, dalle province di Bassora e Baghdad. Quello che rimaneva da concordare erano i rapporti che sarebbero intercorsi tra la potenza mandataria e il nuovo stato dai confini artificiali: l’ostilità nei confronti dei britannici da parte degli iracheni persisteva e Baghdad si vide costretta ad accettare un trattato che poneva sì la potenza mandataria e l’Iraq su un piano di eguaglianza formale, ma garantiva agli inglesi il controllo sulle aree di maggior interesse strategico. Questo pareva l’unico modo di strutturare un rapporto tra i due paesi, per quanto gli inglesi ne traessero un vantaggio assai maggiore.

Il trattato venne approvato dal Consiglio Nazionale Iracheno nel giugno 1922: questo stabiliva di fatto la permanenza di ufficiali e forze britanniche sul suolo iracheno e il potere di controllo degli ispettori inglesi nei dipartimenti iracheni a loro assegnati9.

Londra si impegnava ad attuare programmi di assistenza militare che favorissero lo sviluppo del paese e lo avviassero verso l’indipendenza e si impegnava a propugnare la causa irachena di fronte alla Società delle Nazioni, una volta verificata la capacità di autogovernarsi10; fino a quel momento, però nessuna delle promesse inglesi era

stata mantenuta e di lì a poco si formò un ampio fronte d’opposizione, acceso dalla diffidenza verso la potenza mandataria e appoggiato dallo stesso sovrano. La

8 C. Tripp, Storia dell’Iraq, Milano, Bompiani, 2003, p. 80. 9 A. Plebani, R. Redaelli, op. cit., pp. 41-42.

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situazione era difficile e con Faysal ricoverato per motivi di salute, il rischio che l’astio si trasformasse in un’ennesima rivolta si fece sempre più vivo.

Di fronte a questa tensione il presidente del Consiglio Nazionale si vide costretto a dare le dimissioni e Sir Percy Cox, forte della sua posizione, decise di intervenire per contenere le ostilità e represse partiti e giornali ‘scomodi’ che davano contro al nuovo trattato: fu un atto di forza dimostrativo della potenza di Londra sull’Iraq11,

tanto che il sovrano dovette ritirare il proprio sostegno al fronte d’opposizione. Niente però riuscì a distogliere i ribelli dal loro intento di impedire la ratifica del trattato. Attacchi provenienti dai mujthaid delle città sante, vere e proprie intimazioni ai fedeli di non votare alle elezioni per l’istituzione dell’Assemblea costituente, pena la dannazione eterna, e l’abbandono del paese da parte di numerosi religiosi sciiti: l’opposizione al trattato era durissima e continuò ad esserlo fino alle elezioni del 1923, anno in cui l’Assemblea costituente venne istituita. Londra, nella persona di Sir Henry Dobbs, dettò un ultimatum, chiedendo a Faysal che il trattato venisse ratificato entro la mezzanotte del 10 giugno del 1924 o l’Assemblea sarebbe stata sciolta. Il sovrano non poteva tirarsi indietro e anzi, spinse a tal punto da convincere i componenti dell’Assemblea che le condizioni dettate dagli inglesi andavano accolte: il trattato, contenente tutti i principi del mandato britannico, venne sancito e con esso entrò in vigore la Carta costituzionale irachena, in cui si definirono le basi di una monarchia costituzionale dominata dalla figura di Faysal12.

Dopo lo scenario costituzionale, anche la questione del vilayet di Mosul, che ancora non era stato annesso all’Iraq a causa della maggioranza di curdi presenti nel territorio, venne risolta: la Società delle Nazioni istituì una commissione che decretò la fine della controversia tra Iraq e Turchia, annettendo definitivamente Mosul al territorio iracheno, ma garantendo ai curdi l’autonomia amministrativa e agli inglesi la durata del mandato di venticinque anni.

Con la definizione dell’assetto politico ed istituzionale del nuovo stato e l’inclusione di Mosul nel territorio iracheno, cominciava per l’Iraq il processo verso l’indipendenza e dunque il distacco definitivo dalla Gran Bretagna. Baghdad infatti iniziò a lavorare sul consolidamento delle istituzioni statuali appena sorte attraverso l’impegno di funzionari amministrativi inviati sul territorio e la formazione di forze

11 A. Plebani, R. Redaelli, op. cit., p. 46.

12 P. Marr, The modern history of Iraq. Third edition, Boulder (Colorado), Westwiew Press, 2012,

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di sicurezza nazionale, imponendosi come fine primo quello di creare un modello identitario comune, visione finora utopica considerate le profonde spaccature del paese a livello settario, che impedivano di vivere l’Iraq come stato unitario.

Mentre lo stato appena sorto si rafforzava, Londra sperava che tutta questa modernizzazione non mutasse il suo rapporto col sovrano, da sempre unico vero ‘garante’ degli interessi britannici: era infatti fondamentale che ai vertici decisionali dello stato iracheno vi fossero ufficiali e notabili nazionalisti, strettamente legati a Faysal, che avrebbero curato sì gli interessi del paese, ma anche quelli degli inglesi. L’Iraq era in evidente crescita e prossimo all’indipendenza. Ad affrettare questo processo emerse una personalità tra tutte: Nuri al-Sa’id, considerato da Londra il giusto esponente per condurre il paese all’autodeterminazione, ma soprattutto per concludere definitivamente la questione del trattato, ridefinito e ratificato nel 1930. Con questo passaggio fondamentale i due paesi sancivano una nuova alleanza: agli inglesi veniva concessa la permanenza delle proprie truppe nel paese e lo sfruttamento permanente delle basi aeree di Habbaniyya e Shu’aiba e Londra avrebbe sostenuto la candidatura di Baghdad alla Società delle Nazioni e concesso l’indipendenza all’Iraq, ammesso ufficialmente alla Lega delle Nazioni nell’ottobre del 1932.

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1.2 La monarchia hashemita (1932-1941) e il conflitto anglo-britannico

L’autodeterminazione dell’Iraq arrivò dopo un processo di definizione dello Stato di cui il mandato britannico era il solo fautore: infatti, nonostante l’ostilità verso la potenza mandataria, che mai aveva abbandonato gli animi iracheni, si poteva affermare che senza la Gran Bretagna che avesse gettato le basi istituzionali e creato artificialmente i confini territoriali, lo Stato dell’Iraq non sarebbe esistito. Inoltre Londra aveva fornito al neonato paese un perfetto modello costituzionale, coerente con la concezione imperiale britannica, da cui i detentori del potere statale avrebbero tratto beneficio.

Gli inglesi avevano condotto l’Iraq all’indipendenza formale, ma restavano fortemente presenti sul territorio iracheno attraverso l’impegno di funzionari e consiglieri per quanto riguardava l’aspetto organizzativo e attraverso una missione che preparava militarmente l’esercito iracheno; anche nell’ambito economico erano sempre le compagnie britanniche a primeggiare e ciò influenzava molto il re e i ministri, che per qualche tempo ancora avrebbero governato seguendo la politica inglese in ogni suo aspetto13.

L’indipendenza segnò un momento fondamentale nella storia irachena, ma produsse anche un periodo di forte instabilità, dettato principalmente dall’atteggiamento di forze interne che non ammettevano la posizione di subordinazione al centro: nello specifico l’Iraq post-mandato si trovò a dover affrontare la questione dell’insediamento della comunità assira nel Mosul, durante la Prima guerra mondiale. Fino alla fine del mandato, questa minoranza aveva goduto della protezione degli inglesi, i quali avevano in cambio ricevuto la fornitura di milizie per il loro sostegno nel controllo del territorio e nella protezione delle basi strategiche14;

tuttavia con l’avvento dell’indipendenza e l’allontanamento progressivo delle forze britanniche da Mosul, la situazione si fece sempre più complicata per la piccola comunità, che da sempre era malvista dagli iracheni.

La tensione era forte e toccò l’apice quando il maggior esponente della popolazione assira, Mar Simun, presentò a Baghdad un disegno di autonomia amministrativa e infiammò gli animi dei nazionalisti iracheni e dei militari, che nell’agosto del 1933 si resero protagonisti di uno scontro a fuoco che ebbe conseguenze rovinose sia per la

13 C. Tripp, op. cit., p. 116.

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strage di civili assiri per mano di forze armate irachene guidate dal colonnello Bakr Sidqi, sia per la mobilitazione massiccia da parte della stampa che fece passare l’accaduto come un esempio di forza e capacità dell’esercito e non come un vero e proprio eccidio.

La stampa infatti scelse di parlare della piccola comunità assira come di una minaccia per l’intero Iraq e accusò la Gran Bretagna15 di essere complice di questo

macchinoso piano, che aveva come obiettivo il riappropriarsi della parte settentrionale del paese: i giornalisti, visti i rapporti tra assiri e britannici, non facevano fatica ad ipotizzare che vi fosse tra loro un accordo.

Presto però l’attenzione mediatica si spostò nuovamente sul massacro guidato da Bakr Sidqi e sull’impresa dell’esercito che aveva soppresso la minaccia assira e mantenuto l’integrità del paese16.

L’esercito infatti era diventato l’attore principale della scena politica e gli era stato affidato un ruolo ‘patriottico’: edificare lo stato iracheno e perseguire l’emancipazione nazionale. Il colonnello Sidqi, promosso dal re Faysal dopo i successi ottenuti, contribuì all’affermazione delle milizie come prima forza dello stato e come punto di riferimento e tassello fondamentale nella vita politica dell’Iraq: forte della sua posizione iniziò a pensare all’esercito come ad un difensore dello stato, sia dalle minacce straniere, sia da quelle interne, come i dissidenti, che minavano l’equilibrio già precario del paese.

Mentre Sidqi rese il suo esercito il “salvatore” del paese, Faysal, da tempo malato, morì il 7 settembre 1933 lasciando al figlio Ghazi il suo posto.

Re Faysal sin dall’inizio si era mostrato in grado di mediare tra le richieste dei nazionalisti e quelle dei britannici e adesso che la sua figura veniva a mancare, l’Iraq restava senza la sua figura di riferimento. Poco prima di morire, a dimostrazione del fatto che il paese da lui governato fosse frammentato e vittima di forze disgreganti e discordanti, scrisse:

L’Iraq è un paese privo di unità religiosa, comunitaria e culturale, e, in quanto tale, è diviso al suo interno e il suo potere disperso. […] Tutte queste divisioni, ambizioni e particolarismi minano la pace e la stabilità del paese, e solo attraverso il ricorso al potere in maniera effettiva e saggia tali fratture potrebbero scomparire col passare del tempo e un vero nazionalismo sostituire il fanatismo religioso e settario. […] In conclusione, e lo dico con il cuore colmo di tristezza, non esiste ancora in Iraq una

15 C. Tripp, op. cit., p. 121. 16 P. J. Luizard, op. cit., p. 35.

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nazione irachena unita. [Al suo posto] vi sono molteplici comunità, prive di qualsiasi idea patriottica, imbevute di tradizioni religiose ed assurdità, senza alcun legame comune, […] predisposte all’anarchia e da sempre pronte a sollevarsi contro qualsiasi governo. Da queste masse noi vogliamo plasmare un popolo che vorremmo addestrare, educare e migliorare. Poiché la creazione di una nazione è, però, un’impresa così difficile in queste circostanze, l’immensità dello sforzo richiesto per raggiungere tali risultati può solo essere immaginata17.

Alla sua morte Re Faysal era consapevole delle difficoltà che anche il suo successore avrebbe incontrato: il figlio Ghazi, che regnò dal 1933 al 1939, si mostrò fin da subito ostile alla collaborazione con i britannici e, contrariamente al padre, incapace di bilanciare le richieste provenienti dalle varie divisioni: in un Iraq sempre più instabile, ciò non fece altro che aumentare i problemi ed allungare le distanze tra le varie divisioni, che emersero con violenza nella prima metà degli anni Trenta attraverso una serie di crisi istituzionali.

La lotta tra le diverse fazioni politiche per il premierato, il malcontento dilagante diffuso all’interno della comunità sciita che protestava per lo scarso riconoscimento a livello istituzionale ed amministrativo e infine i leader dei gruppi tribali che, esclusi dal potere, manifestavano la loro ostilità verso il governo centrale: questi erano i principali elementi che favorirono i sette esecutivi verificatesi tra il 1932 e il 1936 e che allontanarono sempre di più l’idea di un’unità nazionale.

La comunità sciita espresse il suo dissenso con una petizione, che fu presentata al sovrano pochi mesi dopo le elezioni del 1934, che avevano disposto la nomina di un gabinetto di impronta panaraba: quello che chiedevano era di essere inseriti all’interno dell’apparato amministrativo e dunque di avere maggior peso nella vita organizzativa del paese; inoltre il documento sciita presentava la richiesta di cospicui finanziamenti da stanziare nell’area centro-meridionale.

Dalla petizione sciita all’ostilità dei leader tribali, dalle sollevazioni contro la leva obbligatoria a quelle per la sempre meno forte rappresentanza in parlamento di leader del medio Eufrate: il paese era sull’orlo della crisi e rischiava il crollo.

Solo con l’ascesa di Yasin al-Hashimi al premierato la situazione cambiò radicalmente.

Yasin al-Hashimi, politico e militare iracheno, che avrebbe governato fino all’ottobre del 1936, era arrivato per mettere un freno alle rivolte e, per quanto fosse riuscito nel

17 Da“A Political History from Independence to Occupation”, Adeed Dawisha, 2009, p. 75 in A.

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suo intento, l’ostilità e la precarietà dei rapporti tra fazioni continuavano ad esistere. Il protrarsi di questa situazione lo indusse ad adottare un sistema che univa la lotta armata alla comunicazione con gli insorti. Un sistema dunque insolito, considerando che la repressione fu durissima e che fino a quel momento le azioni violente avevano portato solo altra violenza: tuttavia sembrò funzionare, tanto che l’autorità del governo centrale si riaffermò come unica forza del paese.

Al-Hashimi mostrò fin da subito la sua indole autoritaria18, inimicandosi molte

personalità irachene e lo stesso sovrano, che era sempre più esasperato di fronte al suo successo. Ben più grave però fu l’inimicizia di Bakr Sidqi, che ricopriva un ruolo fondamentale: era il generale incaricato di sopprimere le rivolte nel paese e quindi da lui dipendeva, in gran parte, l’equilibrio dell’Iraq. Di fronte all’ascesa di al-Hashimi e del fratello, che oscurava il suo riconoscimento, Bakr Sidqi capì che il piano di Hikmat Sulaiman di far cadere il governo andava attuato al più presto.

Era l’ottobre del 1936 e Taha al-Hashimi, fratello del Primo ministro e capo maggiore dell’esercito, lasciò l’Iraq per una visita in Turchia, nominando Sidqi suo sostituto, che accordatosi con Sulaiman, il 29 ottobre ordinò una vera e propria marcia su Baghdad come avanguardia di un “Fronte della riforma nazionale”19.

Mentre gli aerei sganciavano le bombe vicino alla sede del Primo ministro, che fu costretto a rassegnare immediatamente le dimissioni, furono distribuiti per tutta la capitale i volantini che annunciavano la richiesta dell’esercito al re di far dimettere Yasin al-Hashimi20.

Il colpo di stato del 29 ottobre fu il primo della storia irachena.

Il re aveva chiamato Sulaiman a formare un nuovo governo, la cui caratteristica principale era senza dubbio la forte divisione al proprio interno. Infatti, esercito escluso, il nuovo governo di Sulaiman presentava al suo interno profonde spaccature a livello ideologico: da una parte l’ala di Al-Ahali, gruppo d’orientamento socialista, che si proponeva di reintrodurre le libertà soppresse da al-Hashimi e un programma di redistribuzione di capitali e privilegi21; dall’altra Bakr Sidqi e i suoi ufficiali,

identificabili come l’ala più populista e riformista del governo, che propugnavano l’istituzione di un sistema autoritario, su prototipo kemalista (un modello basato sul

18 C. Tripp, op. cit., p. 129. 19 P. J. Luizard, op. cit., p. 38.

20 M. Barnett, S. Telhami, Identity and Foreign Policy in the Middle East, New York and London,

Cornell University Press, 2002, p. 123.

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partito unico, col fine di mantenere la sicurezza e la stabilità dello stato). Un esecutivo così composto, non poteva durare. Già nel 1937, durante le elezioni di febbraio, i riformisti vennero duramente sconfitti. Solo Sidqi rimase a sostegno di Sulaiman, il cui governo, così come quello di Nuri al-Sa’id, dovette reprime nel sangue le ennesime insurrezioni.

Poco tempo dopo la formazione del nuovo esecutivo, le forze armate furono impegnate a sedare le rivolte tribali, curde e yazide e ad imporsi con la forza per mantenere il controllo sul paese, che continuava ad essere una polveriera sul punto di esplodere22.

Il governo Sulaiman in politica estera impegnò l’Iraq nel patto di Sadabad23 (8 luglio

1937), un patto di non aggressione con Persia, Turchia e Afghanistan, in vigore fino alla fine del Secondo conflitto mondiale, che rappresentava un sofisticato caso di realismo difensivo. Infatti questo nuovo esecutivo si allontanava molto dall’impostazione panaraba perseguita dal al-Sa’id e ciò fece sì che ben presto si formasse un fronte di opposizione costituito dai maggiori esponenti tribali, che in passato si erano scontrati con Sidqi e che ora rivendicavano il tradizionale monopolio arabo-sunnita sulle forze armate e contestavano il superficiale interesse del nuovo governo per la questione panaraba.

L’innescarsi di queste dinamiche portò inevitabilmente allo scoppio di un’ennesima azione violenta. L’11 agosto del 1937 Bakr Sidqi venne assassinato a Mosul, prima di partire per una missione diplomatica in Turchia. Alcuni esponenti del fronte d’opposizione lo uccisero assieme al comandante dell’aviazione, Muhammad ‘Alì Jawad, che era al suo fianco. Sidqi lasciò Sulaiman senza il suo principale sostenitore e in preda alla ribellione di alcune sezioni dell’esercito costringendolo a dare le dimissioni. Iniziò così per l’Iraq una fase caratterizzata dall’ascesa dei militari al potere politico, che sarebbe durata fino al ritorno dei britannici, durante il Secondo conflitto mondiale. Gradualmente la Corona venne destituita e con essa le istituzioni rappresentative irachene, sempre più oscurate dalla forte influenza dell’esercito. Nel 1937 in Iraq si manifestò l’ennesimo momento di instabilità: alcuni ufficiali superiori, oltre cospirare per uccidere Sidqi, tennero in pugno i politici iracheni, le cui cariche iniziarono a dipendere dal loro volere.

22 M. Barnett, S. Telhami, op. cit., p. 128. 23 C. Tripp, op. cit., p. 132.

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Per sanare le rotture e risolvere le ostilità venne chiamato Jamil al-Midfa’i, un politico dalla visione moderata, incaricato di riportare l’equilibrio nel paese, ma che non riuscì nel suo scopo a causa delle pressioni sempre più forti dei circoli politici e soprattutto militari, intenzionati a rovesciare l’esecutivo. Infatti già nel 1938, al-Midfa’i lasciò il suo posto a Nuri al-Sa’id, richiamato da Ghazi per un nuovo mandato.

A pochi mesi da questo ennesimo mutamento istituzionale Ghazi morì in un incidente stradale e alla reggenza fu posto il principe ‘Abdullah 24, particolarmente in

linea con i britannici e la politica di Nuri al-Sa’id25. La situazione del paese dopo il

colpo di stato del 1936 andava ristabilita, ma le forze armate stavano prendendo sempre più potere e anche l’opinione pubblica diventava ogni giorno più influente. La reggenza Nuri-‘Abdullah venne messa nella condizione di poter esercitare un potere tutt’altro che assoluto, proprio a causa della forte centralità assunta dall’esercito, che nel 1937 entrò con prepotenza nello scenario iracheno e impose diverse personalità, che di lì a poco avrebbero creato uno schieramento nazionalista fortemente impegnato sul fronte anti-britannico.

Anche con la nuova reggenza le fazioni non abbandonarono la politica irachena. Il paese si trovò, ancora una volta, davanti a due schieramenti inconciliabili, ossia quello formato da Nuri e dal principe (un fronte filo-britannico) pronto alla collaborazione con la potenza inglese e a rispettare l’accordo anglo-iracheno26, e

quello composto dagli ufficiali del cosiddetto “quadrato d’oro”27 e dal ministro Alì

al-Kailani, che guardava all’espansione irachena.

Alle porte del Secondo conflitto mondiale, la crisi del paese, fortemente sotto pressione da Londra e a causa della guerra sempre più vicina, raggiunse dei livelli di tensione altissimi e nel 1940 scoppiò inevitabilmente in seguito alla dichiarazione di

24 ‘Abdullah (14 November 1913 – 14 July 1958), figlio dell’ex re ‘Ali dello Hijaz e cognato del

defunto Ghazi, fu nominato reggente in quanto il futuro re (Faisal II, figlio di Faisal I) aveva soltanto tre anni. La sua reggenza durò dal 4 aprile 1939 al 23 maggio 1953, quando Faisal II divenne maggiorenne.

25 M. Barnett, S. Telhami, op. cit., p. 134. 26 P. J. Luizard op. cit., p. 40.

27 Il “quadrato d’oro”, formato da al-Din al-Sabbagh, Fahmi Sa’id, Mahmud Salman e Kamil Shabib

fu un gruppo molto influente di generali dell’esercito iracheno che condizionò la politica irachena degli anni Trenta. Dopo aver cospirato per uccidere Bakr Sidqi e determinato il crollo del governo Sulaiman nel 1937 questi, convinti che le potenze dell’Asse sarebbero state vittoriose nel secondo conflitto mondiale, influenzarono il Primo ministro Rashid ‘Ali al-Kailani nel prendere posizione contro le richieste del governo britannico.

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guerra dell’Italia alle forze alleate e alle imposizioni inglesi di rispettare il patto anglo-iracheno.

Lo scontro tra le due fazioni rischiò di sfociare in guerra civile e la paura che il palazzo reale cadesse nelle mani dei nazionalisti fu molta, tanto che il Principe e Nuri al-Sa’id fuggirono da Baghdad assieme ai loro sostenitori: ‘Abdullah fu deposto e il fronte anti-britannico dette vita al colpo di stato del primo aprile 1941, un’occasione che Londra attendeva ormai da tempo. Infatti le forze inglesi poterono sbarcare a Bassora e prendere Baghdad il 30 maggio 1941. Per quanto gli iracheni avessero tentato di resistere, la superiorità britannica ancora una volta mise in ginocchio il paese.

La guerra era scoppiata in Europa nel 1939 e già da quel momento, quando Nuri era ancora a Baghdad, la Gran Bretagna aveva chiesto all’Iraq di sospendere i rapporti diplomatici con la Germania e di internare tutti i tedeschi presenti sul territorio; inoltre gli inglesi chiedevano assistenza, come previsto dal trattato, qualora ve ne fosse stato bisogno. Nuri al-Sa’id aveva assecondato le richieste britanniche fornendo fin da subito un appoggio totale alla potenza e dando allo schieramento nazionalista un ulteriore motivo per attaccare il governo filo-britannico e la sua politica asservente.

Quando la situazione degenerò e il colpo di stato fu attuato favorendo lo sbarco degli inglesi a Bassora, la persona-filtro che fu posta tra la Gran Bretagna e l’élite irachena dovette apportare un importante cambiamento alla politica del paese. Rashid ‘Ali al-Kailani, il Primo ministro che si era imposto sulla scena politica del paese dopo che Nuri aveva abbandonato l’incarico, in poche battute propose al parlamento un nuovo reggente (lo sceriffo Sharaf) con una mozione subito approvata, proseguendo verso una svolta costituzionale.

Al-Kailani proseguì nel suo intento di “salvaguardare l’integrità e la sicurezza del paese”28, mostrandosi rassicurante nei confronti della Gran Bretagna, che voleva

veder rispettati gli obblighi del trattato, e nei confronti dell’élite politica irachena, alla quale bastava avere più spazio in campo decisionale.

Ma Londra vedeva il forte nazionalismo di al-Kailani e del suo gabinetto come una minaccia per l’equilibrio perennemente precario dell’Iraq, consapevole del fatto che il Primo ministro, gli ufficiali e pochi altri ministri, avevano composto una sorta di “governo ombra” che era troppo attivo nella politica decisionale del paese. La Gran

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Bretagna non volle per questo riconoscere il nuovo governo, ma lo stesso scelse di scendere a patti con al-Kailani, che si vide costretto ad accettare le condizioni, chiedendo che i soldati britannici potessero sbarcare in Iraq, così come pattuito nel trattato. Il Primo ministro fu messo ben presto alle strette dal suo gabinetto, affinchè dettasse dei vincoli che avrebbero impedito l’arrivo di altri soldati inglesi.

Londra non era mai stata accondiscendente con l’Iraq e mai aveva sacrificato i propri interessi per mantenere un equilibrio nel paese. Anche questa volta non intendeva sottostare a limiti infatti le richieste di al-Kailani vennero rifiutate e le truppe inglesi sbarcarono a Bassora dopo poco, scatenando il malcontento degli iracheni, ma soprattutto del governo, che posizionò alcune forze armate attorno alla base aerea inglese di Habbaniyya.

Il comandante britannico venne avvertito che, qualora fossero stati messi in volo aerei militari, le unità incaricate li avrebbero presi a bersaglio. L’Iraq aveva dunque imposto di cessare le attività, ma la Gran Bretagna non assecondò tale richiesta e anzi, pretese che le truppe irachene si ritirassero29: la mancata osservanza di tale

imposizione sarebbe stata considerata dagli inglesi come un atto di guerra, ma neanche gli iracheni accolsero la richiesta di ritirarsi. Così, il 2 maggio, il comandante militare della base armata di Habbaniyya ordinò ai soldati britannici di attaccare, dando il via ad un vero e proprio conflitto. Il fuoco durò per alcuni giorni, ma poco dopo l’esercito iracheno fu costretto ad una ritirata e, lasciata Bassora, ripiegò su Baghdad, prendendo posizione a Falluja.

Al-Kailani, sostenuto da esercito e governo, vedeva nella situazione creatasi nel paese la possibilità di una ribellione contro l’influenza britannica e, consapevole del fatto che sarebbe servito un supporto militare, chiese l’intervento dell’Asse, sapendo di trovare subito appoggio sicuro. Italia e Germania infatti erano favorevoli a qualsiasi tipo di intervento che potesse danneggiare il potere della Gran Bretagna in Medio Oriente e decisero così di inviare in Iraq un contingente di Vichy, ma la situazione nel paese era ormai compromessa e neanche un aiuto esterno avrebbe risollevato le sue sorti.

Nel frattempo, le forze britanniche sbarcate in Iraq si fecero più consistenti, occuparono Bassora e interruppero il collegamento tra il nord e Baghdad: le unità irachene erano numericamente superiori, ma la Gran Bretagna vantava una potenza

29 R. Lyman, Iraq 1941: The Battles for Basra, Habbaniya, Fallujah and Baghdad, Colchester

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militare che nessun paese del Medio Oriente era preparato a contrastare e non le fu difficile arrivare a ridosso della capitale in poco tempo, scoraggiando al-Kailani e il suo governo, che si videro costretti a scappare30.

I religiosi chiamarono al jihad gli iracheni affinchè la popolazione si mobilitasse e intervenisse in favore del governo, ma non vi furono risposte e anzi, parte del popolo iracheno si schierò con i britannici (come in molti casi i curdi e i leader tribali sciiti)31. Il governo era ufficialmente crollato: al-Kailani aveva lasciato l’incarico e

soprattutto l’impegno di negoziare un armistizio al sindaco Arshad al-‘Umari. Allontanandosi, portando con sé gli ufficiali, aveva contribuito al disordine interno alla capitale, ma col crollo del governo si ebbe anche l’immediata fine della crisi. Le scelte nazionaliste di al-Kailani e le mosse del suo esercito avevano messo in pericolo gli interessi del reggente e di Nuri al-Sa’id, che ora potevano tornare a Baghdad insieme agli altri che li avevano seguiti al momento del colpo di stato, ma anche, e soprattutto, degli inglesi. Fu molto semplice per tutti, infatti, adottare una strategia comune, nella cui ombra restava la natura del perpetrato potere britannico in Iraq, che tuttavia avrebbe dato un nuovo impulso allo stato iracheno.

30 R. Lyman, op. cit., pp. 43-44. 31 C.Tripp, op.cit.,p.151

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1.3 La monarchia hashemita (1941-1958) e il Patto di Baghdad

L’intervento della Gran Bretagna nel 1941 pose fine al ciclo di colpi di stato che avevano travolto la politica dell’Iraq degli ultimi anni e garantì al reggente e ad alcuni politici e ufficiali di riconfermare quello che volevano fosse il tipo di autorità che più avrebbe dato un equilibrio al sistema.

Nella lenta ripresa dell’Iraq si riaffermò la figura di Nuri, ancora un volta personaggio di spicco della scena politica irachena, interna ed estera, che tese a riproporre i meccanismi che avevano consentito ai governi precedenti di sopravvivere, senza però comprendere quanto lo scenario interno fosse mutato. Il governo di Nuri al-Sa’id, all’inizio del 1942, cominciò la sua opera di ricostituzione del regime con la condanna a morte, da parte delle corti marziali, di Rashid ‘Ali al-Kailani e di tre dei quattro ufficiali che con lui avevano attuato il colpo di stato dell’aprile del 1941, ma ‘Ali, trovato rifugio sicuro in Arabia Saudita, riuscì a scappare e a sfuggire all’esecuzione. Non solo le condanne a morte: furono emesse condanne di detenzione e all’interno delle forze armate, molti tra quelli che avevano partecipato alle lotte politiche degli anni Trenta, furono rimossi dagli incarichi e spediti nei campi di internamento32. Praticamente Nuri fece rimuovere

tutti quelli che erano potenzialmente ostili a lui e al suo governo, spazzando via le proteste di chi vedeva queste sue iniziative come un ennesimo affronto.

Per quanto riguarda l’esercizio del potere al centro, nell’ottobre del 1943, Nuri al-Sa’id e il reggente avevano avviato una serie di emendamenti costituzionali che rafforzavano i poteri del monarca: secondo Nuri, queste ulteriori concessioni ed i suoi stretti rapporti col reggente avrebbero reso la sua posizione ancora più forte, conferendogli un vantaggio su tutti gli altri uomini politici che circondavano ‘Abdullah, ma questi considerava il cambiamento come un’occasione per diventare un attore politico con delle idee indipendenti, che emergesse rispetto agli altri. Lo scontro tra i due era inevitabile, soprattutto perché Nuri al-Sa’id, sicuro del suo stretto legame col reggente, aveva creduto che le sue disposizioni sarebbero state le uniche e che il Palazzo si sarebbe limitato solo a ratificarle. Già all’inizio del 1944 i loro rapporti raggiunsero il culmine della tensione e Nuri, nel mese di giugno, si vide costretto a dare le dimissioni: la rottura non fu drammatica, tanto che il suo

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successore, Hamdi al-Pachachi, nominò come membri del suo governo diversi alleati di Nuri, oltre che alcuni favoriti del reggente.

La nomina del nuovo Primo ministro, a fine giugno 1944, diede inizio ad un periodo di nuove riforme e concessioni: infatti, da subito, al-Pachachi, oltre ad allentare le forme più estreme della censura sulla stampa introdotta da Nuri, su suggerimento del reggente, introdusse la Legge Miri Sirf, che era concepita per distribuire la terra dello stato ai contadini che non ne avevano, ma anche ai piccoli proprietari e ad alcuni funzionari statali ormai in pensione. La Legge Miri Sirf inizialmente sembrò il principio di una vera e propria riforma agraria, infatti i grandi proprietari terrieri e gli sceicchi tribali ci misero un po’ prima di concedere il proprio benestare e la accettarono solo quando capirono che ne avrebbero beneficiato per primi.

Il successore di Nuri sembrava essere quello di cui l’Iraq aveva bisogno, ma i problemi non tardarono: nella regione kurda stava iniziando una ribellione fomentata dal mullah Mustafa Barzani, a causa della mancata conferma dei patti concordati nel 1944, appena iniziato il suo incarico. Il mullah cominciò l’organizzazione della resistenza nel Kurdistan settentrionale, costituendo alleanze nelle varie tribù, consapevole di quanto fossero rancorose nei confronti del governo iracheno, indifferente alla questione kurda da ormai troppo tempo: forte della sua posizione avanzò richieste su richieste, sia per affermare il proprio potere che per avvantaggiare i kurdi, ma tutte vennero respinte da al-Pachachi.

Così nel 1945 scoppiò la lotta armata. Le forze del mullah sembrarono avere la meglio in un primo momento, ma il peso dell’esercito iracheno, superiore numericamente e militarmente, le costrinse alla resa e alla fuga dopo poco tempo: Barzani infatti dovette scappare insieme ai suoi uomini oltre il confine iraniano. La vittoria militare contro il mullah e le forze kurde conferì al Primo ministro un prestigio ed una rilevanza politica davvero considerevoli, ma ciò non fece altro che suscitare ostilità nel reggente, che continuava a propugnare una nuova riforma, ma si sentiva sempre più ignorato dagli uomini politici più rilevanti e dallo stesso al-Pachachi. Così, nel dicembre 1945, pronunciò un lungo discorso incoraggiando ad una maggiore libertà politica, alla formazione di nuovi partiti ed elezioni e all’attuazione di riforme, che portassero a una maggiore giustizia sociale. Questo intervento del reggente apparve agli occhi dei molti critici di governo un vero e

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proprio attacco ad al-Pachachi, che sentendosi mancare l’appoggio di ‘Abdullah e di tutta la classe dirigente, dette le dimissioni.

L’incarico del suo successore, Tawfiq al-Suwaidi, Primo ministro dal febbraio 1946, iniziò con importanti conquiste per il paese, che mutarono profondamente l’assetto socio-politico iracheno.

Al-Suwaidi infatti pose fine alla legge marziale, tolse la censura alla stampa, avviata precedentemente da Nuri, e chiuse il campo di prigionia di al-Faw. Inoltre introdusse una nuova Legge elettorale, che manteneva il sistema del doppio turno, ma suddivideva il paese in un centinaio di distretti elettorali (invece dei tre fino a quel momento esistiti), garantendo dunque una maggiore rappresentatività delle aree urbane in cui la popolazione si stava rapidamente espandendo, e molto più importante, reintrodusse la formazione di nuovi partiti. I due principali, che seguivano le correnti di pensiero che circolavano dagli anni Trenta, erano il Partito democratico nazionale (NDP) e il Partito indipendente. Il primo, quello democratico, sosteneva una socialdemocrazia e delle riforme politiche da conseguire per via parlamentare. Tuttavia il centro d’interesse era l’analisi della condizione interna dell’Iraq e la politica estera era trattata in maniera marginale, ossia quando aveva un’influenza sulla situazione politica irachena. Il secondo, il Partito indipendente, non aveva proposte in materia di riforme interne, ma propugnava un’idea di libertà dalla costrizione britannica e perseguiva l’aspirazione del pan-arabismo33.

L’assetto socio-politico dell’Iraq stava dunque mutando nuovamente: con l’accrescimento della popolazione urbana, l’ascesa della borghesia e una consapevolezza politica sempre più forte di contadini e operai, il paese andava verso una mandata di scioperi in cui, oltre agli operai comuni, fu il Partito comunista iracheno (ICP) a far da protagonista. I prezzi erano lievitati a causa della penuria di scorte dai tempi di guerra e dei cattivi raccolti, il costo della vita era quintuplicato e la disponibilità del prodotto era sempre più scarsa. L’Iraq era prossimo alla carestia grave. Per questo seguirono tre mesi di scioperi organizzati col fine di chiedere l’aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Ben presto, però gli scioperi assunsero un significato più ampio, più politico. Infatti, per i britannici, lo sciopero altro non era che un modo per nascondere interessi strategici nel settore industriale, dei trasporti e del petrolio. Inoltre, per la classe dirigente irachena, l’intervento dell’ICP appariva come la premessa di un’imminente azione

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rivoluzionaria e di conseguenza metteva in cattiva luce al-Suwaidi, reo di aver perso il controllo.

Per questo, già nel maggio del 1946, il ministro lasciò il suo incarico.

Ad al-Suwaidi succedette Arshad al-‘Umari, che scelse di attuare fin da subito una politica repressiva, inimicandosi praticamente tutti i settori dell’opinione pubblica e sollevando, nel reggente e in molti altri, l’idea che il nuovo Primo ministro non fosse in grado di gestire la situazione. Nel luglio 1946 infatti, lo sciopero di cinquemila operai dell’Iraq Petroleum Company, a Kirkuk, dimostrò che al-‘Umari non riuscisse a contenere il tumulto sociale che imperversava nella regione. La rivolta fu repressa dalla polizia con arresti e spari sulla folla e con la chiusura di molti giornali.

Anche Arshad al-‘Ulmari dopo poco dette le dimissioni e il reggente si rivolse nuovamente a Nuri al-Sa’id, considerandolo l’unico in grado di mantenere un clima autoritario. Nuri suggerì che fosse nominato Primo ministro un suo fedele collaboratore, Salih Jabr, l’unico sciita fino a quel momento, a diventare presidente del consiglio dei ministri iracheno: ciò avrebbe consentito a Nuri di operare nell’ombra, esercitando comunque una grande influenza, ma senza scatenare l’opposizione.

Nel 1949 Nuri pubblicò il “Patto nazionale”, un programma che spiegava i motivi per cui era importante che l’Iraq si fondasse su un unico partito nazionale, al quale avrebbe partecipato tutta la classe dirigente e che sarebbe stato l’unica organizzazione politica riconosciuta del paese. Obbiettivo principale del partito: occuparsi dei compiti “reali” della politica. Nuri credeva nella promozione dello sviluppo economico e nella neutralizzazione delle spinte eversive34 e perseguiva

l’idea del singolo partito dedito alla causa irachena, che guidasse il paese verso il progresso e lo liberasse dalle fazioni interne. Ma Nuri era il solo, o quasi, a volere il partito unico e anzi, chi lo circondava era convinto che questa idea di partito unico altro non fosse che un suo desiderio di assoggettare il mondo politico al suo controllo.

Nel novembre di quello stesso anno, incurante del dissenso generalizzato attorno alla sua idea, Nuri formò un partito, il Partito dell’unione costituzionale (CUP), che comprendeva, oltre ai suoi seguaci, anche quelli di Salih Jabr. Quando nel febbraio 1950, Tawfiq al-Suwaidi fu nominato Primo ministro e di conseguenza fu chiamato a formare il governo, Nuri aveva consolidato la sua posizione in parlamento e quindi

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era in grado di appoggiarlo e, qualora fosse stato possibile, sostituirlo. Il governo che si era formato dopo la nomina di al-Suwaidi era frammentato, disomogeneo e per Nuri non fu difficile insinuarsi in questa situazione politica precaria e riprendere sotto di sé il controllo.

A questo punto Nuri poteva iniziare col mettere in atto ciò di cui l’Iraq aveva bisogno: alcune delle idee promosse fino a qualche tempo prima vennero accantonate, come quella del partito unico, data l’impopolarità suscitata e dato che, alla fine del 1951, Nuri si era inimicato molte personalità della politica irachena, che si stavano distaccando dal suo seguito e stavano formando partiti alternativi. Tra tutti, i due principali furono Salih Jabr, fondatore del Partito socialista popolare, e Taha al-Hashimi, leader del Fronte popolare unito35.

Ma Nuri era sempre più convinto che dirigere gli eventi e pianificare le strategie politiche da dietro le quinte fosse molto più efficace e nel luglio 1952 dette nuovamente le dimissioni, dando il suo benestare a Mustafa al-‘Umari nel momento in cui costituì il nuovo governo.

Già nell’autunno del 1952 tutte le forze politiche del paese, quelle vecchie e quelle nuove, stavano trovando una convergenza, unite dall’idea che al-‘Umari temesse l’opposizione. Il reggente stava già pensando di sostituirlo36 e quando il Primo

ministro si rese conto di essere in mezzo a tre fazioni (il reggente, Nuri e l’opposizione) unite contro la sua politica, dette le dimissioni nel novembre ’52. Alle elezioni del 1953 fu proprio il partito di Nuri ad ottenere maggiore successo e ciò lo mise ancora una volta in una posizione di forza, tale da poter influenzare il governo di Jamil al-Midfa’i, nonostante il suo ruolo di ministro della Difesa.

L’attività dell’opposizione pubblica contro la censura, la legge marziale nell’area di Baghdad e i controlli che ne derivavano, proseguiva, ma le azioni non erano abbastanza violente da riuscire a smuovere il governo e la fiducia che il reggente vi riponeva: la sua influenza era molto forte e nonostante re Feisal II avesse compiuto la maggiore età e fosse stato investito dei suoi pieni poteri, ‘Abdullah, adesso principe ereditario37, prendeva lo stesso decisioni di politica estera o interna. Aveva cresciuto

il re, ancora molto giovane e con scarse intuizioni politiche, nella sua cerchia di

35 A. Plebani, R. Redaelli, op. cit., p. 56. 36 C. Tripp, op. cit. p. 183.

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conoscenze e quando al-Midfa’i dette le dimissioni, ‘Abdullah consigliò a Feisal II di incaricare della formazione di un nuovo governo Fadhil al-Jamali.

Al-Jamali per il suo gabinetto, scelse uomini giovani, dalle idee riformiste riguardo la legge agraria, l’organizzazione delle strutture governative e alla fornitura dei servizi sociali, e soprattutto scelse uomini sciiti, dando una speranza a questa minoranza che da sempre pativa l’egemonia araba sunnita: in questo modo si garantiva una maggiore rappresentatività della comunità sciita.

Nel settembre del 1953 il nuovo governo di al-Jamali abolì la legge marziale, la censura sulla stampa e consentì nuovamente le attività di partito, riscuotendo un ampio consenso. Incontrò invece delle difficoltà quando gli operai petroliferi di Bassora dichiararono sciopero invocando salari più alti e condizioni di lavoro migliori e il nuovo governo impose nelle aree in rivolta la legge marziale, sollevando ulteriori tensioni.

Tuttavia questi non furono gli unici problemi di al-Jamali: infatti fu il suo programma di governo, reso pubblico nel dicembre 1953, a metterlo in difficoltà. La resistenza dei conservatori di fronte alle sue riforme, da quella agraria a quella sull’esazione delle tasse, e la loro contrarietà in quanto proprietari terrieri, si manifestarono in questi primi mesi di governo e solo l’influenza di Nuri riuscì a moderare il forte dissenso verso la riforma agraria: per questo, nella primavera del 1954, i proprietari terrieri, sia sciiti che sunniti, unirono le loro forze dentro e fuori dal parlamento, contro la proposta di riformare l’amministrazione statale più in generale, ma soprattutto contro la proposta di riforma agraria.

Quando al-Jamali dette le dimissioni nell’aprile 1954, Nuri non fece nulla perché cambiasse idea. Non volle formare il governo e anzi, partì per l’Europa, ma il re ed il principe ereditario lo seguirono per pregarlo di tornare a formare il governo, cosa che fece nell’agosto dello stesso anno38, alle sue condizioni: prima di tutto sciolse il

parlamento, poi chiuse il suo partito, il CUP, e impose che gli altri partiti facessero altrettanto, dal momento che erano continuamente in contrasto e minavano l’equilibrio del paese.

Nuri da subito riprese la strada verso due obbiettivi precisi: lo sviluppo economico e la definizione della politica estera39.

38W. F. Gallman, Iraq Under General Nuri: my recollections of Nuri al-Said, 1954-1958, Baltimora,

Johns Hopking U. Press, 1964, p. 24.

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Il primo: le entrate date dal petrolio crescevano sempre di più e, secondo Nuri, consolidavano l’economia dell’Iraq: infatti il settore petrolifero era diventato la risorsa primaria del paese e nel 1955, il Comitato di sviluppo incaricò l’economista Lord Salter di studiare le varie prospettive: questi consigliò al Comitato di riequilibrare gli investimenti tra i settori, ossia di destinare alla salute, all’edilizia, all’istruzione, somme più ingenti e investire inoltre nella bonifica e nelle terre già a coltura. Il governo prese dei provvedimenti mettendo in pratica alcune raccomandazioni dell’economista, ma le entrate maggiori restarono quelle date dal petrolio.

La politica estera invece era da sempre fonte di preoccupazione per Nuri: era convinto che l’allineamento del paese con le potenze occidentali e il fatto di mantenere strette relazioni con Turchia ed Iran fosse cruciale per la sicurezza dello stato e del regime stesso40. Dietro al “neutralismo” di Nuri si celava di fondo una

rottura con le potenze dell’Occidente, ritenute il garante esterno della monarchia. Ma Nuri, contemporaneamente, aveva un approccio ambivalente verso le questioni arabe: infatti non era favorevole né al pan-arabismo dinastico invocato da ‘Abdullah, né a quello invocato dai nazionalisti arabi. Nuri era certo che il pan-arabismo, oltre a legare i destini dell’Iraq alle instabili condizioni delle altre politiche arabe41, metteva

in evidenza le differenze all’interno della popolazione, creando contrasti.

Secondo Nuri era importante dare rilevanza alle tematiche arabe, ma allo stesso tempo era importante guardare ai ‘vicini non arabi’, e anche oltre se necessario. Infatti, nell’autunno del 1954 andò in Turchia per accordarsi con il Primo ministro turco, Adnan Menderes, che già nel gennaio 1955 firmò una dichiarazione congiunta per cui Iraq e Turchia si impegnavano a collaborare contro le repressioni nella regione42. Questa dichiarazione era il documento che avrebbe preceduto il Patto di

Baghdad, atto formale firmato nel febbraio del 1955, a cui aderì anche la Gran Bretagna, che trasferiva le basi di Habbaniyya e Shu’aiba sotto l’Iraq in cambio del permesso di sorvolo e diritti di rifornimento carburante, promettendo aiuto in caso di attacco. Il Patto, oltre alle varie concessioni, serviva a far cessare l’accordo anglo-iracheno, stipulato nel 1930, ed evitava all’Iraq di entrare in un altro accordo bilaterale con gli inglesi.

40 C. Tripp, op. cit., p. 191. 41 Ibidem.

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Gamal ‘Abd al-Nasser, ministro dell’interno egiziano, denunciò il patto turco-iracheno e continuò la sua battaglia anti-Nuri, che aveva aderito all’accordo con la Turchia, da sempre nemica giurata dell’Egitto; Nuri rispose che i termini dettati dal Patto di Baghdad non erano poi così lontani da quelli previsti dal patto anglo-egiziano (stipulato nel 1954) riguardante la sicurezza collettiva degli arabi43, ma

ricevette pesanti critiche, dentro e fuori il suo paese: fu accusato di aver minato la sicurezza collettiva degli arabi e di aver posto, ancora una volta, il Medio Oriente al servizio delle potenza occidentali.

Dato il malcontento dilagante, che aveva raggiunto anche gli ufficiali dell’esercito, scontenti del protrarsi dei legami con gli inglesi, e i continui attacchi egiziani, Nuri approfittò della crisi di Suez (1956) per isolare l’Egitto dal mondo arabo, ma la situazione degenerò praticamente subito e anche l’Iraq, indirettamente, ne fu colpito. Dopo l’attacco anglo-francese all’Egitto, che dava dunque conferma del fatto che il mondo arabo, accordandosi con le potenze occidentali, era stato messo in pericolo, Nuri presentò una protesta ufficiale alla Gran Bretagna44, ruppe le relazioni con la

Francia e vietò ai britannici di partecipare alle riunioni del Patto.

Tutti questi effetti estremamente negativi che aveva avuto l’accordo con la Turchia e la Gran Bretagna, davano all’opposizione un buon motivo per manifestare in strada tutto il dissenso. Scoppiarono rivolte e manifestazioni, ma la durata e la portata furono contenute; solo nelle città di Najaf e Hayy ebbero un impatto maggiore, provocando una repressione violenta da parte delle forze di sicurezza.

Nel febbraio del 1957 infatti tutti i partiti d’opposizione (il Partito Indipendente, l’NDP, l’ICP), e il nascente Partito Ba’th, che significa ‘rinascita’, si unirono nel Fronte nazionale unito. Il Partito Ba’th nasceva in Siria, negli anni Quaranta, ma una parte si era costituita in Iraq nel 1951: l’obbiettivo che aveva era combattere le inuguaglianze della proprietà terriera nel mondo arabo e per questo, in molti aderirono al movimento, stanchi della dominazione dell’élite nazionalista araba. Il programma del Fronte nazionale propugnava la democrazia, l’abolizione della legge marziale, la libertà costituzionale e il ritiro del paese dal Patto di Baghdad. Nel giugno del 1957 Nuri dette le dimissioni e nel dicembre gli succedette ‘Abd al-Wahhab Mirjan, con un governo-lampo, di circa quattro mesi, a cui succedette nuovamente Nuri, col suo ultimo incarico.

43 C. Tripp, op. cit., p. 193. 44 W. F. Gallman, op. cit., p. 63.

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Per questo governo Nuri, seppe abilmente bilanciare il numero di membri sunniti con quello di membri sciiti, inserendo inoltre due ministri kurdi; in maggio si tennero le elezioni e venne ratificato l’atto di unione tra Iraq e Giordania. Nuri, ancora si dimise e fu nominato Primo ministro dell’Unione Araba e al suo posto fu chiamato Ahmad Mukhtar Baban, il primo kurdo a diventare Primo ministro.

Intanto, mentre si svolgevano le elezioni, gli Ufficiali liberi, guidati dal generale ‘Abd al-Kharim Qassim e dal colonnello ‘Abd al-Salam ‘Arif, erano arrivati alla conclusione che l’Iraq sarebbe dovuto diventare una repubblica e che alcuni tra loro avrebbero dovuto ricoprire ruoli di spicco all’interno dell’amministrazione. Iniziarono così a pianificare un colpo di stato da compiere prima della fine del 1958. L’occasione si presentò agli Ufficiali liberi verso la metà di quell’anno, quando Nuri, preoccupato dalla crisi nel Libano, inviò delle unità irachene al confine giordano: le forze irachene inviate sul posto, la notte tra il 13 e il 14 luglio, si fermarono a Baghdad occupando tutti gli edifici strategici, compresa la stazione radio da cui ‘Arif annunciò la costituzione della repubblica irachena. Dopo un breve bombardamento, il re Feisal II, il principe ereditario ed altri membri della famiglia reale, uscirono dal Palazzo45. Nuri invece venne trovato il giorno seguente e ucciso in mezzo alla strada.

Con il rovesciamento della monarchia si ebbe la fine di una fase storica per lo stato iracheno e l’inizio di un’altra, il decennio che precedette l’ascesa di Saddam Husayn e quello che comportò.

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1.4 L’ascesa di Saddam Husayn ed i presupposti della guerra contro

l’Iran

Il colpo di stato guidato da Qassim e ’Arif aveva segnato la fine dell’era monarchica in Iraq e aveva spianato la strada alla repubblica sotto la tutela delle forze armate, considerata l’unico mezzo per risollevare il paese dopo gli anni della monarchia hashemita.

Gli ufficiali liberi, fautori del colpo di stato, dopo il luglio 1958 iniziarono a lavorare per dar vita ad una repubblica che avrebbe dovuto fondarsi sull’asse arabo-curdo: al vertice un Consiglio di presidenza e, subito sotto, un Consiglio dei ministri, detentore dei poteri esecutivo e legislativo46.

Nonostante le cariche assegnate, il potere rimase sostanzialmente nelle mani di Qassim, che era diventato Primo ministro, ministro della Difesa e capo delle forze armate, mentre ‘Arif ricopriva le cariche di vice-premier, ministro degli Interni e secondo comandante. Tuttavia, nonostante apparentemente la leadership si mostrasse forte e coesa, si crearono sin dai primi momenti di governo fratture interne tra Qassim e ‘Arif: entrambi infatti ambivano a concentrare tutto il potere nelle proprie mani, oltre a delle forti incompatibilità politico-ideologiche che piano piano li stavano allontanando. Alla fine del 1958 questa lotta interna culminò per l’unione dell’Iraq alla RAU (Repubblica Araba Unita).

La Repubblica Araba Unita, proclamata l’1 febbraio 1958, rappresentava un’entità statuale nata dall’unione di Siria ed Egitto. La risposta di Nuri fu quella di costituire un’alleanza difensiva contro la RAU, che si concretizzò con l’Unione Araba composta da Iraq e Giordania. Riguardo alla RAU ‘Arif e Qassim avevano idee completamente diverse: ‘Arif era infatti un ammiratore di Nasser e condivideva la posizione nazionalista araba secondo cui l’adesione dell’Iraq alla RAU era necessaria sia per la difesa del nuovo regime sia come posizione politica; Qassim sosteneva invece che il rafforzamento dell’identità nazionale irachena dovesse precedere qualsiasi impegno con il mondo arabo. Qassim risultò vincitore e ‘Arif venne arrestato assieme ai suoi sostenitori.

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Qassim iniziò col dominare la scena politica legandosi sempre più apertamente al Partito comunista e ed eliminando tutti i possibili oppositori, tra cui l’ex Primo ministro al-Kailani, neutralizzato ancora prima che facesse il suo ritorno in patria. Così facendo, attirò a sé inimicizie. Nel giro di un anno, prima i nazionalisti e poi il partito Ba’th, provarono ad eliminarlo senza però riuscire nell’intento47.

Anche dopo gli attentati alla sua vita, Qassim continuò a condurre una politica fatta di riforme cucite addosso a sé stesso e alla sua famiglia e di chiusura verso altri partiti e movimenti; si rifiutò di indire le elezioni e nonostante fosse stata promulgata una legge che avrebbe sancito l’apertura del sistema politico, egli mantenne il controllo assoluto su tutta l’arena politica e le istituzioni.48

Tutti questi limiti che Qassim aveva posto favorivano la ripresa da parte dell’opposizione di una certa conflittualità: tra tutti, nel 1960, Mustafa Barzani si fece portatore diretto della voce dei curdi, sempre più scontenti della mancata autonomia promessa all’indomani della rivoluzione. Barzani si sentiva spalleggiato dalle regioni settentrionali e colpì Qassim con un ultimatum. Come risposta, la dirigenza irachena inviò al nord reparti delle forze armate e intensificò il sostegno alle tribù ostili a Barzani. Sorprendentemente lo scontro si protrasse per due anni senza che le forze governative avessero successo; le forze guidate da Barzani, aiutate dall’intervento iraniano e dalla conformazione del territorio che facilitava la guerriglia, seppero contrastare gli uomini di Qassim. Inoltre l’Iraq, in seguito alla deposizione della monarchia hashemita e al massacro della famiglia reale era in quel momento isolato internazionalmente e non godeva dunque del sostegno delle potenze occidentali.

La neutralizzazione degli oppositori, il fallimento contro i ribelli curdi di Barzani e la continua autoreferenzialità: queste ultime mosse di Qassim lo indebolirono ancora e favorirono il colpo di stato ba’thista dell’8 febbraio 1963 49.

47 Il primo tentativo di golpe si verificò nel marzo del 1959 quando un Ufficiale libero pan-arabo, deluso

dalla posizione politica di Qassim e dal ruolo marginale che gli era stato affidato dopo la rivoluzione, cercò di provocare una caduta del regime. Il secondo tentativo di golpe fu un attentato alla vita di Qassim da parte del Ba’th al quale partecipò anche un giovanissimo Saddam Husayn.

48 C. Tripp, op.cit., p. 213.

49 Il colpo di stato fu messo di atto da baathisti e forze armate, preoccupati per l’isolamento dell’Iraq

nel mondo arabo. In generale, la politica estera fu il vero tallone d’achille di Qassim, con l’Iraq che alla fine degli anni Cinquanta aveva dissidi con numerosi paesi. La Gran Bretagna, come ovvio che fosse, aveva contestato la rivoluzione; con l’Iran erano ripresi i dissidi riguardanti lo Shatt al-Arab; con l’Egitto c’era invece una forte rivalità tra Nasser e Qassim. Tuttavia, la questione che finì per isolare il paese con il mondo arabo fu l’interruzione della cooperazione con la Lega Araba a seguito delle rivendicazioni dell’Iraq sul Kuwait (che per Qassim avrebbe dovuto far parte integrante dello stato iracheno).

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Baghdad, nel 1963, a pochi mesi dalla caduta di Qassim, si trovava a dover affrontare una situazione interna ed internazionale poco stabile e anzi, completamente priva di una base sociale e politica di riferimento.

‘Arif succedette a Qassim e, sin dai primi mesi di governo, fece tesoro dell’esperienza avuta dal suo predecessore con il Partito Ba’th. Infatti lo smantellò e rimosse alcuni militari bathisti dai loro incarichi50, iniziando a fare affidamento su

altri pan-arabi ed ispirandosi a Nasser. Certo l’Egitto era diverso dall’Iraq sotto molteplici punti di vista: per la storia, la politica, la società, ma restava, secondo ‘Arif, un modello di stato arabo da seguire e Nasser un modello di uomo politico a cui ispirarsi.

La differenza tra i due paesi si rilevò quando ‘Arif emise i decreti del 1964 che prevedevano la nazionalizzazione delle banche, di compagnie di assicurazioni e di importanti aziende industriali: il nuovo leader si era ispirato alle riforme di Nasser, ma l’economia irachena non era quella egiziana e l’introduzione di queste leggi poneva la base per il passaggio da un’economia di mercato ad una pianificata.

Questa mossa di ‘Arif attirò l’attenzione della componente filo-nasseriana, che contribuì in modo decisivo a sventare il colpo di stato non violento (fallito) del settembre 1964 attuato dal Partito bathista, che andò a rafforzare ancor di più i rapporti tra Egitto ed Iraq. L’influenza nasseriana era indubbiamente positiva, ma ‘Arif iniziava a sentire il peso dei limiti alla sua libertà d’azione, così iniziò gradualmente ad avvicinarsi alle aree moderate scatenando i nasseriani che tentarono un colpo di mano nel 1965, andato fallito, ma che indirizzò ‘Arif verso una nuova fase politica che li escludeva.

A tal proposito molto importante fu la nomina di ‘Abd al-Rahman al-Bazzaz come capo dell’esecutivo nel 1958, il quale presentò un programma che sembrava aver tutto l’intento di risollevare la politica l’Iraq: infatti l’agenda puntava sulla riaffermazione del principio del rule of law e sul rispetto delle istituzioni rappresentative51. Nonostante le premesse che davano speranza al paese, non fu

possibile per al-Bazzaz attuare il suo programma a causa della scomparsa prematura del suo primo sostenitore: infatti il 13 aprile del 1966 ‘Arif morì in un incidente, interrompendo bruscamente la fase di stabilità in cui l’Iraq stava riprendendo forma. Dopo un anno, nel 1967, la situazione era immutata.

50 C. Tripp, op. cit., p. 236. 51 P. J. Luizard, op. cit., p. 62.

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