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DELLE FORZE ARMATE

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Academic year: 2022

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RIVISTA MARITTIMA

RODOLFO BASTIANELLI

IL SISTEMA DI COMANDO

DELLE FORZE ARMATE

(2)

UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONEE COMUNICAZIONE Capo dell’Ufficio Contrammiraglio ANGELO VIRDIS

RIVISTA MARITTIMA

Direttore Responsabile Capitano di vascello DANIELE SAPIENZA Capo Redattore Capitano di fregata DIEGO SERRANI Redazione, Art Director Tenente di vascello RAFFAELLA ANGELINO

Redazione Secondo capo scelto QS GIANLORENZO PESOLA

Le immagini presenti in questa pubblicazione, se non diversamente indicato, provengono da Britannica Images Collection e da ProQuest Image.

2 Supplemento alla Rivista Marittima

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3 Ottobre 2020

Presentazione a cura della Direzione della Rivista Marittima

CAPITOLO I Il sistema di comando negli Stati Uniti I poteri del Presidente e il ruolo del Congresso

I poteri del Presidente in situazioni di emergenza interna

Il ruolo della “Guardia Nazionale” e i poteri militari attribuiti ai Governatori Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

CAPITOLO II Il sistema di comando in Francia II poteri del Presidente e del Primo ministro

I poteri nella gestione delle situazioni di emergenza Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

CAPITOLO III Il sistema di comando nel Regno Unito I poteri del Governo e del Primo ministro

Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

CAPITOLO IV Il sistema di comando in Germania

La struttura di comando durante l’Impero tedesco (1871-1918 )

La struttura di comando durante la “Repubblica di Weimar” (1918-1933) La struttura di comando durante il regime nazista (1933-1945)

Il sistema di comando nell’attuale Repubblica Federale di Germania

CAPITOLO V Il sistema di comando in Russia

L’assetto istituzionale e il sistema di comando nell’Unione Sovietica (1917-1991) L’assetto istituzionale e il sistema di comando nella Federazione Russa

Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

CAPITOLO VI Il sistema di comando in Cina

La struttura istituzionale e la forma di governo esistente in Cina Il sistema di comando militare

L’apparato di sicurezza interna cinese e le forze paramilitari Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

CAPITOLO VII Il sistema di comando in Israele La forma di governo israeliana

Il sistema di comando delle Forze armate Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

pag. 5 pag. 7

pag. 33

pag. 47

pag. 59

pag. 83

pag. 101

pag. 117

INDICE

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4 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI

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5 Ottobre 2020

l “sistema” di comando delle Forze Armate è un argomento d’antico ragionamento e ricerca nonché di dibattito dottrinario e non solo.

Già i Romani si erano posti il problema; così, per esempio, l’imperium militiæ, ovvero il comando militare di massimo grado, era riservato ai consoli, mentre al Senato spettava il con- trollo della guerra.

Ovviamente, dall’architettura “costituzionale” romana fino ai giorni nostri si è avuta una lunga evoluzione, che in Occi- dente ha portato alla creazione di un vero e proprio sistema di check and balance — “pesi e contrappesi” — che trova la sua manifestazione nel costituzionalismo moderno e contempo- raneo. Questo tuttavia appare oggi alquanto policromo, per cui alla domanda “Chi comanda le Forze armate” la risposta che ne consegue non è affatto univoca. Pertanto, si possono avere varie tipologie di sistemi di comando delle Forze armate, che si riflettono in modo differente a seconda delle latitudini e longitudini.

In base a tale premessa, la Rivista Marittima è particolar- mente lieta di proporre il presente supplemento dedicato a tale questione che viene tratteggiata dal dottor Rodolfo Bastianelli.

Per la cronaca, egli collabora, come giornalista specializzato, con diverse riviste e testate (Informazioni della Difesa, Rivista Marittima, Rivista di Politica, Rivista di Studi Politici, LiMes, Rivista di Studi Politici Internazionali, Affari Esteri e il settima- nale on-line dello IAI, Affari Internazionali), parimenti è stato docente a contratto di Storia delle relazioni internazionali.

PRESENTAZIONE

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

I

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6 Supplemento alla Rivista Marittima

PRESENTAZIONE

ome il lettore avrà modo di constatare, il presente lavoro si snoda attraverso l’illustrazione di vari modelli o esempi che sembrano seguire un’ideale linea che da Ovest approda a Est;

si parte con gli Stati Uniti e la Francia, poi la Gran Bretagna e la Germania, successivamente, proseguendo verso Oriente, si giunge in Russia e in Cina, per concludere con Israele.

Ciascun modello è trattato, quando possibile, in chiave crono- logica; per cui si parte dagli antecedenti storici per giungere alla contemporaneità.

Dunque ogni “modello” riflette l’architettura e la storia co- stituzionale di quella determinata nazione, né potrebbe essere diversamente. Ne emerge un quadro di interesse e rilievo, sul piano del diritto pubblico comparato, ma anche d’utilità per coloro che si vogliono avvicinare alla tematica. La scelta degli esempi o modelli di cui sopra sembra riflettere il ruolo di al- cune potenze storiche e attuali che giocano nella scacchiera geopolitica internazionale contemporanea.

Se è vero, infatti, come dicevano i Romani: si vis pacem para bellum, è altrettanto veritiero e, forse lapalissiano, che è fon- damentale capire come le strutture di difesa si vedano coordi- nate dall’esecutivo e chi detenga il potere, ovvero quell’imperium così caro ai Romani, la cui struttura militare — non a caso — è ancora oggi considerata come la macchina bel- lica più organizzata ed efficiente che sia stata mai realizzata nella storia.

Dunque auspichiamo che il presente lavoro monografico potrà permettere ulteriori approfondimenti sia da parte dei no- stri lettori che da parte dei ricercatori.

In margine a queste poche righe di presentazione, non è escluso di proseguire tale mappatura verso altri paesi — sia eu- ropei, sia extra-europei — in quanto tale tematica appare densa di implicazioni non solo giuridiche ma anche necessariamente geostrategiche.

La Direzione della Rivista Marittima

C

> segue da pagina 5

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IL SISTEMA DI COMANDO Capitolo I

NEGLI STATI UNITI

7 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

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La “valigetta nucleare” (Nuclear Football), accompagna il Presidente degli Stati Uniti in ogni spostamento dalla Casa Bianca. Nella pagina precedente: lo stemma del Comando strategico degli Stati Uniti.

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L

a Costituzione degli Stati Uniti attribuisce al Presidente un ruolo preponderante nella gestione della difesa e della politica estera, assegnando al Congresso una funzione di controllo allo scopo di limitare e bilanciare le prerogative della Casa Bianca. Sempre al Presidente competono poi tutta una serie di poteri per la gestione delle eventuali situazioni di emergenza interna che dovessero presentarsi nel paese.

I poteri del Presidente e il ruolo del Congresso

Secondo la Costituzione, il Presidente è il “Comandante in capo” delle Forze armate disponendo del loro comando operativo.

In base a quanto stabilito dal dettato costituzionale, al Congresso spetta il compito di approvare il bilancio della Difesa, decidere lo stanziamento dei fondi e dichiarare la guerra, mentre al Presidente è attribuito il comando delle Forze armate e della Milizia — oggi

“Guardia Nazionale” — dei vari Stati quando questa sia chiamata al servizio degli Stati Uniti. In questo modo, ripartendo le prero- gative tra il Presidente e il Congresso, i “Padri fondatori” inten- devano contenere il ruolo presidenziale e assicurarsi che una decisione di importanza fondamentale come l’entrata in guerra del paese fosse di competenza di un organo elettivo. Se da un lato quindi i costituenti riconoscevano come la prontezza e la segre- tezza delle azioni costituiva un elemento essenziale per garantire la sicurezza della nazione e che, di conseguenza, spettasse al Pre- sidente di condurre le operazioni militari, dall’altro si riconosceva però come fosse prerogativa del Congresso di decidere se far en- trare il paese in un conflitto.

Ma nonostante la divisione delle competenze, tra la Casa Bianca e il potere legislativo sono sorti frequentemente dei contrasti, come quello riguardante la questione se le Forze armate potessero essere impegnate in azioni militari senza una formale dichiara- zione di guerra del Congresso. Se difatti per i “Padri fondatori”

al Congresso competeva non solo il potere di dichiarare la guerra ma anche la prerogativa di “limitare” la portata di un conflitto de- finendone gli obiettivi e la durata, dall’altro tuttavia, le ambiguità del testo costituzionale hanno consentito ai Presidenti, in ragione del loro ruolo di “Comandante in capo” nonché di quello di capo dell’Esecutivo per il quale gli è attribuito il compito di garantire la sicurezza nazionale, di rafforzare sensibilmente le loro prero- gative nel campo militare.

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10 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI

E un’altra questione che si è presentata, soprattutto nel primo periodo della storia degli Stati Uniti, è quella se spettasse al potere legislativo o alla presidenza la prerogativa di decidere in merito al fatto se il paese do- vesse o meno rimanere neutrale in un conflitto. Così, nel 1793, l’allora segretario di Stato Thomas Jefferson, davanti alle ostilità che opponevano Gran Bretagna e Francia, affermò come gli Stati Uniti sarebbero rimasti

«amichevoli ed imparziali» nonostante la gran parte dell’opinione pubblica fosse schierata dalla parte dei francesi visto l’appoggio di Parigi durante la guerra d’indipendenza. Tra gli esponenti politici del paese sorse quindi una discussione tra chi, come Hamilton, sosteneva come finché la guerra non fosse stata dichiarata era diritto del Presidente mantenere la pace usando tutti i mezzi disponibili, e chi, come Madison, al contrario sosteneva che la presidenza, nell’assumere una posizione di neutralità, era andata oltre le sue competenze.

Il contrasto si risolse quando Washington presentò le sue considerazioni al Congresso che le approvò votando nel 1794 il “Neutrality Act” (1).

Ed è poi sempre competenza del Congresso di dichiarare formalmente terminate le ostilità, attuando in questo una ripartizione delle competenze con il Presidente. Se a quest’ultimo spetta, in qualità di “Coman- dante in capo”, la prerogativa di ordinare alle Forze militari di cessare le operazioni oppure di ritirarsi dall’area interessata alle operazioni, al legislativo compete invece quella di porre termine legalmente al conflitto, come avvenne nel 1921 quando dichiarò terminato lo stato di guerra seguito all’intervento statunitense nella Prima guerra mondiale e successivamente nel 1951 in cui si proclamarono concluse le ostilità contro la Germania.

Osservando i precedenti storici, solo cinque dei conflitti in cui si è trovato coinvolto il paese — quello contro la Gran Bretagna nel 1812, contro il Messico nel 1846, contro la Spagna nel 1898 e le due guerre mondiali

— sono stati apertamente dichiarati dal Congresso, per gli altri vi è stata solo un’autorizzazione congressuale a condurre delle operazioni militari, mentre appaiono formalmente incostituzionali l’intervento in Corea de- ciso da Truman e l’attacco contro la Jugoslavia attuato da Clinton (2).

E proprio le guerre del 1812 e del 1846 costituiscono due esempi di come il potere esecutivo e il legisla- tivo possano entrare in conflitto, in quanto il primo fu dichiarato dal Congresso nonostante la contrarietà del Presidente, mentre il secondo invece fu il risultato di una abile — però non certo edificante, viste le critiche avanzate in seguito — manovra del presidente Polk che riuscì a portare dalla sua parte il legislativo operando una serie di provocazioni che portarono alla guerra (3). E un’altra situazione in cui il Presidente, nonostante il suo ruolo di “Comandante in capo”, fu quanto mai restio a coinvolgere il paese in un conflitto, fu quella che portò alla guerra con la Spagna nel 1898. In quell’occasione, prima il presidente Cleveland e poi McKin- ley si dimostrarono contrari a entrare in guerra, andando così contro l’orientamento dell’opinione pubblica che, invece, premeva per un’azione militare contro la Spagna sia in ragione delle brutalità commesse dalle autorità spagnole a Cuba ma anche perché auspicava che gli Stati Uniti, sconfiggendo la Spagna, assumessero un ruolo più importante sulla scena internazionale. L’affondamento della corazzata USS Maine, avvenuto nel porto dell’Avana nel febbraio 1898, diede a McKinley il motivo per chiedere al Congresso di dichiarare la guerra contro la Spagna che si concluse poi il trattato di pace firmato il 10 dicembre 1898 (4). Sul piano le- gislativo, l’interpretazione data per giustificare la legittimità di un intervento effettuato senza una formale dichiarazione di guerra è quella che il Congresso divide le azioni in conflitti dichiarati e conflitti autorizzati.

Rientrano tra i primi — definiti “perfetti” — quelli che mettono in pericolo la sicurezza e l’integrità nazionale e che necessitano di una formale dichiarazione di guerra, mentre invece vengono inseriti tra i secondi — de- finiti “imperfetti” — quelli che danno luogo a un momentaneo pericolo per la sicurezza nazionale e per i quali tale dichiarazione non è richiesta (5).

Ma il punto su cui più si è incentrato il dibattito politico e accademico è quello riguardante i poteri di cui di- spone il Presidente in qualità di “Comandante in capo” delle Forze armate, un tema questo che è emerso so- prattutto quando il paese si è trovato coinvolto in guerre o situazioni di emergenza nazionale. E gli stessi “Padri

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11 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

fondatori” sapevano bene come le prerogative presidenziali in queste eventualità potevano espandersi signifi- cativamente, tanto che diversi commentatori hanno evidenziato come proprio l’elasticità delle disposizioni co- stituzionali consenta al Presidente di rafforzare i suoi poteri durante un conflitto. Emblematico in proposito è quanto avvenne con Lincoln durante la “guerra civile” e poi con Franklin D. Roosevelt nel corso del Secondo conflitto mondiale. Al momento dello scoppio delle ostilità, nell’aprile 1861, Lincoln ritardò la convocazione del Congresso fino a luglio e in quel periodo assunse una serie di provvedimenti per la gestione delle operazioni militari, alcuni dei quali andavano ben oltre le prerogative di cui disponeva quale “Comandante in capo”.

Tra questi, vanno ricordati, la decisione di mobilitare 75.000 effettivi della “Milizia” dei vari Stati in base a una legge del 1795 che autorizzava il Presidente al loro arruolamento, l’introduzione del 1862 del servizio di leva e il blocco navale nei confronti degli Stati confederati con il conseguente sequestro dei mercantili attivi nel commercio con la confederazione, ma anche quella di procedere allo stanziamento di fondi senza l’auto- rizzazione del Congresso e, soprattutto, la sospensione della garanzia dell’“Habeas Corpus” (Rescritto del di- ritto inglese, emesso già nel XII secolo: consiste in un atto, rilasciato dalla giurisdizione competente, con cui si ingiunge a chi detiene un prigioniero di dichiarare in qual giorno e per quale causa sia stato arrestato; onde il nome, in latino «abbi il [tuo] corpo», cioè, ti sia ridata la libertà fisica. La locuzione è usata per indicare le garanzie delle libertà personali del cittadino assicurate costituzionalmente) insieme ad altre misure limitative di alcuni diritti costituzionali (6).

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

La Costituzione gli attribuisce la carica di “Comandante in capo” delle Forze armate.

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12 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI

E questo ampliamento del ruolo presidenziale apparve ancora più evidente durante il Secondo conflitto mon- diale, quando la Casa Bianca istituì tutta una serie di organi incaricati di gestire ogni aspetto dell’organizzazione bellica i quali rispondevano direttamente alla presidenza invece che ai Dipartimenti e alle agenzie indipendenti.

I poteri di Roosevelt tra il 1941 e il 1945 si estesero a un tale livello che, nel settembre 1942, la Casa Bianca si spinse fino a prospettare di sospendere la Costituzione se il Congresso non avesse abolito alcune disposizioni contenute nell’“Emergency Price Control Act”.

E anche prima dello scoppio delle ostilità, a Roosevelt, con il “Lend-Lease Act” del 1941, era stata attribuita la prerogativa di vendere, prestare o affittare ogni prodotto inerente alla difesa dei paesi che si riteneva essere di importanza fondamentale per gli Stati Uniti, mentre sempre lo stesso anno Roosevelt, senza consultare il Congresso, inviò dei reparti militari a occupare l’Islanda e la Groenlandia per prevenire una loro possibile oc- cupazione da parte della Germania (7). Proprio su questa linea ha sempre insistito la Casa Bianca per giustificare il rafforzamento del ruolo presidenziale, tanto che Roosevelt nel corso del Secondo conflitto mondiale affermò come «…una volta terminata e vinta la guerra i poteri sotto cui agisco ritorneranno al popolo al quale apparten- gono…», facendo così intendere che le sue prerogative derivassero direttamente dal popolo e non dalle disposi- zioni costituzionali (8). E a partire dagli anni Cinquanta, con l’emergere di un nuovo scenario geopolitico internazionale, che si assisterà a un deciso incremento dei poteri presidenziali nel settore della difesa, i quali si andranno così a concentrare quasi totalmente nelle mani della Casa Bianca. Tuttavia, all’inizio degli anni Settanta, innanzi a un clima di crescente antimilitarismo e sotto la spinta di un’opinione pubblica sempre più ostile al- l’impegno americano nel Sud-Est asiatico, il Congresso cominciò a prendere in esame delle misure che fossero in grado di limitare le prerogative del Presidente nel campo della difesa ritenendo che questo disponesse di un potere decisionale sproporzionato rispetto a quanto attribuitogli dal dettato costituzionale.

LA CATENA DI COMANDO MILITARE NEGLI STATI UNITI

Presidente degli Stati Uniti

Segretario alla Difesa

Capo degli Stati Maggiori Riuniti (Chairman of Joint Chief of Staff)

Africa Command

Central Command

European Command

Indo-Pacific Command

Nothern Command

Southern Command

Space Command

Special Operational Command

Strategical Command

Transportation Command

Cyber Command

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13 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

Nel 1973 fu quindi approvata la “War Powers Resolution” la quale si proponeva di coinvolgere e ampliare il raggio d’azione del legislativo nonché di fissare un limite temporale alle operazioni militari intraprese dalla Casa Bianca che da quel momento in poi avrebbe dovuto richiedere un’esplicita autorizzazione del Congresso per inviare dei reparti militari in zone a rischio di guerra.

Attraverso il vincolo del consenso congressuale si tentava così di evitare anche il ripetersi di quanto accaduto nel corso del conflitto vietnamita, quando l’impegno delle Forze armate americane fu deciso dal presidente Joh- nson sulla base di quanto contenuto all’interno del trattato che istituiva la SEATO (South East Asia Treaty Or- ganization) (9). Fortemente osteggiata dalla Casa Bianca, la risoluzione però sollevò anche le critiche di quegli osservatori che ritenevano come il limite posto alla durata delle operazioni avrebbe potuto arrecare un danno alla stessa sicurezza del paese (10).

Fin dall’inizio la Casa Bianca aveva infatti evidenziato come fissare una durata temporale alle azioni militari non solo poteva portare al loro insuccesso ma contribuiva inoltre a dare l’immagine di un paese diviso, privo di risolutezza e in cui il Presidente era costretto a ritirare le sue truppe dietro pressioni politiche interne, senza contare poi che il ritiro sarebbe potuto avvenire anche nel caso in cui il Congresso, terminati i sessanta giorni stabiliti, non fosse riuscito a prendere una decisione per autorizzare il proseguimento della missione. E non meno severe sono state le osservazioni rivolte anche alla disposizione in cui si stabiliva che per mettere termine all’intervento militare poteva essere usata una “Concurrent Resolution”, uno strumento legislativo che, una volta approvato dal Congresso, sarebbe diventato effettivo senza la firma del Presidente che così era impossibilitato a far uso del diritto di veto. Dal lato opposto, non mancarono invece quelli che sottolinearono come la “War Powers Resolution” non risolveva la questione se il Presidente in casi di emergenza — quali il salvataggio di cit- tadini americani all’estero o l’adozione di misure di deterrenza militare verso alcuni paesi — poteva decidere au- tonomamente l’utilizzo delle Forze armate, un punto questo assai controverso e sul quale ha dovuto in seguito pronunciarsi anche la stessa Corte suprema, la quale ha ribadito come il Presidente conserva l’autorità di poter condurre delle operazioni militari a condizione però che esse abbiano una durata temporale e degli obiettivi li- mitati. Inoltre, alcuni parlamentari di orientamento più liberal sostennero come la “War Powers Resolution”

costituisse addirittura uno dei provvedimenti più pericolosi approvati dal legislativo, in quanto se pure vi si af- fermava come il Presidente dovesse negoziare con il Congresso dopo novanta giorni dall’inizio delle operazioni, appariva però evidente come la Casa Bianca, durante quel periodo, conservasse il potere di disporre pienamente delle Forze armate, cosa che di fatto gli offriva una base legale per iniziare un conflitto. Altri poi dichiararono come ben difficilmente il Congresso, nel corso di un’operazione militare, potesse opporsi alle decisioni presi- denziali senza incorrere nel rischio di apparire “anti patriottico” o privo di risolutezza. E anche se in diverse occasioni sia la Casa Bianca sia il Congresso sono stati tentati dal ricorrere alla Corte suprema o per invalidare il contenuto del provvedimento ritenendolo incostituzionale in quanto costituiva un’ingerenza nelle prerogative costituzionali della presidenza oppure per cercare di imporre alla presidenza vincoli di osservanza alle disposi- zioni ancora più stretti, nessuno ha mai presentato una mozione in proposito, in quanto, è opinione degli os- servatori, entrambe le parti avrebbero avuto ben pochi vantaggi da una eventuale pronuncia dei giudici (11).

Negli anni successivi alla sua approvazione, l’applicazione della “War Powers Resolution” è stata invocata in diverse occasioni, anche se solo per alcune operazioni militari la Casa Bianca ha ritenuto necessario presentare un rapporto al Congresso, sostenendo come in tutte le altre circostanze le Forze americane non erano impegnate in azioni di combattimento (12). A più di quarant’anni dalla sua approvazione, diversi commentatori sottolineano però come l’entrata in vigore della “War Powers Resolution” non abbia rafforzato in maniera significativa l’azione di controllo del Congresso il quale continua a incontrare dei limiti principalmente per ragioni politiche, visto che in caso di un forte sostegno popolare alle operazioni presidenziali per i parlamentari può risultare contro- producente, in chiave elettorale, contrastare le azioni militari decise dalla Casa Bianca.

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14 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI

Un’altra questione sulla quale negli ultimi anni si è incentrato il dibattito riguarda poi la partecipazione americana a operazioni decise dalle Nazioni unite. Stando a quanto previsto dallo “United Nations Parteci- pation Act”, il Presidente può inviare dei reparti militari in operazioni decise dal “Consiglio di sicurezza”

solo dopo aver ricevuto l’approvazione del Congresso, mentre, sempre in base a questo provvedimento, alla Casa Bianca è espressamente proibito di sottoscrivere accordi con quest’ultimo con cui negoziare trattati o procedere alla difesa degli Stati Uniti. Un’ulteriore risoluzione stabilisce poi che la Casa Bianca è autorizzata a contribuire militarmente alle missioni delle Nazioni unite a condizione però che le unità abbiano una fun- zione di osservatori, non vengano impiegati in azioni di combattimento e i loro effettivi non superino le mille unità. Negli ultimi anni la discussione sulla partecipazione statunitense alle missioni delle Nazioni unite e sulle modalità con cui queste dovevano avvenire si è fatta però più accesa. Difatti, con la fine della Guerra fredda e della conseguente necessità di contenere le politiche dell’Unione Sovietica, è divenuto sempre più difficile giustificare degli impegni che coinvolgono le Forze militari in aree dove non sono messi a rischio gli interessi essenziali degli Stati Uniti.

Così, nel 1993 il Congresso prima approvava una mozione dal valore non vincolante con la quale si fissavano degli stretti criteri per la partecipazione statunitense alle missioni delle Nazioni unite e a cui due anni più tardi faceva seguito un’altra risoluzione che ne restringeva ulteriormente i termini. E lo stesso Clinton, che pure all’inizio del suo mandato aveva sostenuto l’idea di un più largo impegno degli Stati Uniti nelle missioni delle Nazioni unite, nel 1994 approvò delle più rigide misure alla partecipazione, sostenendo come vi dovesse essere un concreto in-

La sede del NORAD, il Comando di Difesa aerospaziale del Nord America.

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15 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

teresse nazionale e che la situazione ponesse un serio pericolo per la pace e la stabilità internazionale.

Tuttavia, nel documento si riaffermava però come fosse piena prerogativa del Presidente di impegnare le Forze statunitensi in base a quanto fissato dagli ac- cordi internazionali e dalle risoluzioni delle Nazioni unite, ribadendo inoltre come le limitazioni del Con- gresso andavano contro le disposizioni costituzionali che delineano i poteri presidenziali nella difesa e nella politica estera. E sul piano politico quindi le parteci- pazioni militari hanno provocato non pochi contrasti, e questo anche per la non certo elevata considerazione di cui godono le Nazioni unite a Washington. Va co- munque sottolineato come nella stragrande maggio- ranza dei casi le operazioni a cui gli Stati Uniti hanno preso parte non erano missioni dell’ONU, ma missioni condotte con la copertura giuridica di risoluzioni del

“Consiglio di sicurezza” e, di conseguenza, le Forze americane non erano poste sotto il diretto comando dell’ONU. Passando a osservare le diverse missioni cui gli Stati Uniti hanno preso parte, se si esclude l’inter- vento contro l’Iraq nel 1991, le altre missioni ONU hanno finito per suscitare un acceso dibattito all’in- terno del Congresso che non ha mancato di criticare il Presidente per la gestione delle operazioni. Ma il nodo più importante riguarda però le ragioni che sono state alla base delle azioni decise dalla Casa Bianca e il fatto se queste siano state compiute nel pieno ri- spetto delle procedure costituzionali (13).

Se si osservano i numerosi interventi militari effet- tuati dagli Stati Uniti dall’indipendenza a oggi, si può notare come nell’Ottocento questi sono stati in mag- gioranza attuati contro la pirateria e il banditismo mentre prima del Secondo conflitto mondiale hanno assunto in prevalenza l’aspetto di operazioni di breve durata compiuti dai Marines o dalla Marina per tute- lare i cittadini e gli interessi economici statunitensi. È evidente quindi come solo dal secondo dopoguerra gli interventi hanno avuto le caratteristiche di missioni belliche o di assistenza militare e che soltanto da allora la Casa Bianca ha iniziato a disporre di un’ampia li- bertà di manovra per impiegare le Forze armate nel modo che riteneva più idoneo per tutelare la sicurezza degli Stati Uniti e quella dei paesi alleati (14).

Il missile balistico intercontinentale MINUTEMAN.

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16 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI

FORMALI DICHIARAZIONI DI GUERRA PRONUNCIATE DAGLI STATI UNITI

GRAN BRETAGNA

MESSICO

SPAGNA

GERMANIA

AUSTRIA-UNGHERIA

GIAPPONE

GERMANIA

ITALIA

BULGARIA

ROMANIA

UNGHERIA

18 GIUGNO 1812

13 MAGGIO 1846

25 APRILE 1898

6 APRILE 1917

7 DICEMBRE 1917

8 DICEMBRE 1941

11 DICEMBRE 1941

11 DICEMBRE 1941

5 GIUGNO 1942

5 GIUGNO 1942

5 GIUGNO 1942

SENATO 19-13 CAMERA 79-49

SENATO 40-2 CAMERA 173-14

SENATO 42-35 CAMERA 310-6

SENATO 82-6 CAMERA 373-50

SENATO 74-0 CAMERA 365-1

SENATO 82-0 CAMERA 388-1

SENATO 88-0 CAMERA 393-0

SENATO 90-0 CAMERA 399-0

SENATO 73-0 CAMERA 357-0

SENATO 73-0 CAMERA 360-0

SENATO 73-0 CAMERA 361-0

JAMES MADISON

JAMES K.

POLK WILLIAM MCKINLEY

WOODROW WILSON

FRANKLIN D.

ROOSEVELT

FRANKLIN D.

ROOSEVELT

FRANKLIN D.

ROOSEVELT

CONFLITTO DATA VOTO CONGRESSO PRESIDENTE

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17 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

Passando a esaminare le più importanti azioni militari intraprese negli ultimi sessant’anni emerge che, di là da delle motivazioni politiche addotte dalla Casa Bianca, alcune di queste hanno suscitato tra gli analisti non pochi interrogativi riguardo alla loro legittimità mentre, come ricordato più sopra, l’intervento in Corea ordinato da Truman e il conflitto contro la Jugoslavia deciso da Clinton appaiono manifestamente incostituzionali (15).

Su queste ultime due situazioni è necessario soffermarsi in maniera più dettagliata. Informato che le Forze armate nordcoreane avevano lanciato un attacco contro la Corea del Sud, l’allora presidente Truman, il 26 giugno 1950, dichiarò che gli Stati Uniti appoggiavano la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite in cui si ordinava alle truppe di Pyongyang di ritirarsi a nord del 38° parallelo e che avrebbe sostenuto ogni misura adottata dall’ONU per ripristinare la pace nella regione. Poco dopo il Consiglio di sicurezza, ap- profittando dell’assenza del rappresentante sovietico attuata in segno di protesta per la presenza dei delegati del governo nazionalista cinese, approvò una risoluzione nella quale si richiedeva l’assistenza militare americana per respingere l’aggressione nordcoreana. La questione, su cui poggiano le critiche rivolte a Truman, riguarda il fatto che già prima della decisione adottata dalle Nazioni unite la Casa Bianca aveva ordinato alle Forze navali e aree statunitensi di appoggiare la Corea del Sud nel respingere l’attacco nordcoreano. Quindi, dal punto di vista esclusivamente costituzionale appare evidente come, nonostante le dichiarazioni rilasciate dall’allora se- gretario di Stato, Dean Acheson, per cui le azioni decise da Truman erano in conformità con quanto fissato dal Consiglio di sicurezza e che l’intervento in Corea avveniva sotto l’egida delle Nazioni unite, i reparti statunitensi erano stati inviati in azione prima che l’ONU ordinasse l’uso della forza e senza un’autorizzazione del Congresso.

Alcuni commentatori hanno in seguito sottolineato come le stesse dichiarazioni di Truman abbiano suscitato ulteriore confusione riguardo alla natura del conflitto coreano.

Poco dopo lo scoppio delle ostilità, il Presidente affermò che il paese «non era in guerra, essendo la missione un’operazione di polizia effettuata sotto il mandato delle Nazioni unite», anche se appariva evidente come l’ONU non esercitasse alcuna reale autorità sulla condotta delle operazioni militari tanto che le stesse corti federali e sta- tali, in seguito, smentirono la Casa Bianca sostenendo che l’intervento costituiva una vera e propria azione di guerra. Analoghe critiche sollevarono anche le operazioni in Vietnam del Sud. Se fino alla presidenza Eisenhower il ruolo delle Forze americane si era limitato a una missione di consulenza e supporto al governo di Saigon, durante l’amministrazione Kennedy il numero di militari presenti nel paese era già arrivato a quasi sedicimila, numero che negli anni seguenti crescerà fino a superare il mezzo milione di effettivi. Questo avverrà soprattutto sotto la presidenza di Lyndon Johnson, durante la quale l’impegno degli Stati Uniti nella regione prenderà l’aspetto di una vera e propria missione di guerra. In risposta a una serie di attacchi compiuti nell’agosto 1964 nel Golfo del Tonchino da pattuglie nordvietnamite contro unità navali militari americane, azioni che secondo Washington erano avvenute in acque internazionali, Johnson chiese al Congresso di approvare una risoluzione con la quale si dava alla Casa Bianca l’autorizzazione a prendere tutte le misure, compreso l’uso della forza, per ristabilire la pace e la sicurezza nel Sud-Est asiatico. Inoltre, stando a quanto dettato dal testo, gli effetti del provvedimento sarebbero terminati o nel momento in cui il Presidente avesse riconosciuto che l’azione internazionale stava riportando la stabilità nella regione oppure nel caso il Congresso avesse approvato una “Concurrent Resolution”. Di fatto, so- stengono i critici, con la risoluzione la Casa Bianca ricevette una completa libertà di manovra nel decidere l’im- piego delle Forze armate, finendo così per trascinare apertamente gli Stati Uniti nel conflitto vietnamita (16).

L’altro intervento militare ritenuto incostituzionale è quello attuato nel 1999 dall’allora presidente Clinton in risposta alla repressione operata dal regime di Milosevic contro la popolazione albanese in Kosovo.

In questo caso la decisione di autorizzare la NATO a compiere un’azione militare contro la Jugoslavia fu presa senza il consenso del Congresso visto che, a differenza di quanto accadde negli altri paesi membri dell’Alleanza dove si richiese alle rispettive assemblee parlamentari di esprimersi per approvare l’operazione, negli Stati Uniti furono votate solo due “Concurrent Resolution” — tra l’altro senza valore di legge non essendo sottoposte alla

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firma presidenziale —, una dalla Camera dei rappresentanti in cui si autorizzava la partecipazione a una missione di “peacekeeping” della NATO e l’altra del Senato nella quale si sostenevano le misure militari prese nei confronti di Belgrado. Non meno interrogativi sollevarono anche le azioni decise da George W. Bush. Pochi mesi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che furono definiti come un «atto di guerra», la Casa Bianca, nel “National Security Strategy”, tracciò la dottrina della “guerra preventiva”, un concetto in base al quale gli Stati Uniti si ri- servavano di usare la forza prima che una situazione potenzialmente pericolosa arrivasse a essere una minaccia per la sicurezza del paese. Proprio su questo punto si incentrarono le critiche di chi riteneva un tale principio assolutamente al di fuori delle convenzioni internazionali le quali, secondo quanto stabilito dalla stessa Carta delle Nazioni unite, consentivano a uno Stato di compiere delle azioni di autodifesa ma a condizione che fossero direttamente proporzionali alla minaccia posta in essere e avvenissero successivamente a un attacco armato. In seguito Bush illustrò meglio il concetto dichiarando come «…gli Stati Uniti non avrebbero usato la forza in ogni circostanza, ma allo stesso modo in un mondo dove i nostri nemici aspirano a possedere armi di distruzioni di massa e si formano un numero sempre maggiore di pericoli per la nostra sicurezza noi non possiamo rimanere inerti», chiarendo così che se da un lato la sua amministrazione avrebbe fatto ricorso ai mezzi diplomatici per ri- solvere le crisi internazionali dall’altro si sarebbe comunque riservata di usare la Forza militare avendone il diritto e l’autorità morale. E con analoghe opinioni contrastanti furono accolti anche gli interventi militari in Afghanistan e in Iraq in quanto, mentre il primo riscosse un consenso pressoché unanime, il secondo invece in- contrò un’opposizione più ampia sia nell’ambito congressuale sia sulla scena politica internazionale.

Se l’azione in Afghanistan fu motivata con il fatto che il regime talebano stava offrendo supporto logistico e politico alla rete terroristica di Al-Qaeda, ritenuta responsabile degli attentati dell’11 settembre e di altri attacchi terroristici contro obiettivi statunitensi, quella contro l’Iraq fu giustificata invece dalla necessità di prevenire il rischio che Saddam Hussein acquisisse delle armi nucleari e anche perché si riteneva opportuno favorire a Ba- ghdad un cambio di governo data la natura dittatoriale e oppressiva del regime iracheno; due ragioni queste che però numerosi paesi non hanno ritenuto valide per legittimare un attacco militare (17). Dalla disamina degli ar- gomenti più sopra riportati, si può quindi affermare come i “Padri fondatori” intendevano come le Forze armate dovessero essere sempre poste sotto il controllo civile e che il loro comando venisse attribuito al Presidente, in quanto si riteneva che una singola personalità avrebbe esercitato un’autorità più efficiente e sarebbe stata inoltre riconosciuta in maniera più evidente dai vertici militari (18). Ma nonostante il dettato costituzionale ponga le Forze armate sotto il controllo civile attraverso il Presidente e il dipartimento della Difesa, queste comunque hanno sempre mantenuto un ampio livello di autonomia interna. Difatti, pure se ai presidenti è attribuito il ruolo di “Comandante in capo”, questi ben difficilmente hanno mai avviato delle operazioni senza che i vertici militari le ritenessero effettivamente attuabili e con prospettive di successo positive, anche perché spetta sempre ai co- mandi fornire i reparti e gli equipaggiamenti per le azioni progettate. Riguardo all’organizzazione della struttura, l’apparato difensivo statunitense è stato riorganizzato una prima volta nel 1947 con l’introduzione del “National Security Act”, il quale istituiva la figura del segretario alla Difesa e univa in un unico dicastero i dipartimenti della Guerra — che aveva il controllo sull’Esercito — e della Marina fino a quel momento esistenti (19).

Ma i poteri di cui disponeva il segretario alla Difesa erano però ancora limitati, avendo egli solo una funzione di coordinamento sui dipartimenti dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, istituita subito dopo il Secondo conflitto mondiale. E se il successivo “National Security Act”, approvato nel 1949, ne rafforzava le prerogative, sarà comunque solo con il “Department of Defense Reorganization Act” del 1958 che l’intera struttura sarà centralizzata e il segretario alla Difesa posto al vertice dell’apparato militare con un ruolo secondo solo a quello del Presidente (20). Più di recente, un ulteriore riassetto delle competenze all’interno del sistema di difesa del paese si è avuto con il “Goldwater - Nichols Department of Defense Reorganization Act” del 1986, che definisce la catena di comando delle Forze armate statunitensi. Secondo quanto affermato dal provvedimento, le funzioni

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si diramano dal Presidente al segretario alla Difesa fino ai diversi comandi che coordinano tutti gli aspetti militari delle operazioni incluse le tattiche e la scelta degli obiettivi (21). Nella struttura dell’apparato di difesa degli Stati Uniti una posizione di primo piano è ricoperta dagli “Stati Maggiori Riuniti” (Joint Chiefs of Staff), che si compone dei comandanti delle quattro armi delle Forze armate — ovvero Esercito, Marina, Aeronautica e Marines

—, i quali sono nominati dal Presidente con un incarico della durata di quattro anni e la cui designazione deve essere poi confermata con un voto da parte del Senato. Guidato da un “capo degli Stati Maggiori Riuniti” (chair- man of Joint Chiefs of Staff) anch’esso indicato dalla Casa Bianca il quale resta in carica con un mandato di due anni e mezzo che può essere rinnovato per una seconda volta, quest’organo è incaricato di formulare le strategie di difesa e di fornire al Presidente ogni indicazione in merito alla situazione militare.

Dopo la riforma attuata da Reagan nel 1986, l’organo è stato riorganizzato e la stessa posizione del “capo degli Stati Maggiori Riuniti” sensibilmente rafforzata.

I poteri del Presidente

in situazioni di emergenza interna

Un discorso a parte va fatto, poi, sui mezzi di cui dispone la Casa Bianca in caso di guerra o di grave minaccia alla sicurezza nazionale per garantire l’ordine interno. Nel testo costituzionale non è riportato nessun riferimento all’assunzione di poteri straordinari da parte della Casa Bianca, limitandosi la Costituzione a indicare come, in situazioni di emergenza, possa essere sospesa la garanzia dell’“Habeas Corpus”. E su quali misure potessero essere attuate dalla presidenza davanti a situazioni di emergenza o di grave pericolo per la sicurezza dei cittadini

Il bombardiere B-2 Stealth, della flotta dell’Aeronautica degli Stati Uniti.

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e delle istituzioni sono sorti numerosi dibattiti e interpretazioni in merito alla questione. In base a quanto asserito dalla maggior parte dei giuristi il Presidente, in qualità di “Comandante in capo”, dispone della prerogativa di disporre delle Forze armate per la difesa e la sicurezza degli Stati Uniti, e questo non solo in tempo di guerra, ma anche in pace e, appunto, in situazioni di emergenza, nelle quali la Casa Bianca, in assenza di autorizzazione da parte del Congresso, viene ad appoggiarsi ai suoi poteri indipendenti per affrontare e gestire la crisi. Tuttavia, anche se la Corte suprema ha generalmente accettato la tesi che nei momenti più critici il Presidente disponga di poteri autonomi i quali possono essere esercitati senza una preventiva approvazione o autorizzazione del Congresso, è però evidente allo stesso tempo come la Casa Bianca non possa far uso e ricorrere a tali prerogative in mancanza di un’effettiva situazioni di emergenza. Inoltre, la stessa Corte suprema ha poi dichiarato come, pure se al Congresso è attribuito il diritto di dichiarare la guerra, questo comunque non può limitare il potere del Presidente di disporre delle Forze militari, aggiungendo poi che nelle situazioni di emergenza le prerogative della Casa Bianca devono intendersi “assolute” e non soggette all’esame del legislativo e delle corti federali.

Passando a esaminare le modalità e la tipologia delle circostanze nelle quali il Presidente può assumere dei poteri che oltrepassano quelli esercitati nella normalità, queste possono essere riassunte nei seguenti casi. La prima si presenta quando è richiesto l’impiego delle Forze armate in operazioni di ordine interno qualora le autorità civili non fossero in grado di provvedervi. Sulle disposizioni che regolano l’uso dei reparti militari, però è opportuno soffermarsi in maniera più dettagliata. Davanti al massiccio utilizzo di reparti dell’Esercito negli Stati ex confederati, durante il periodo seguito alla “guerra civile” e a un’opinione pubblica da sempre contraria all’impiego delle Forze militari all’interno del paese per il mantenimento dell’ordine pubblico, il Congresso approvò nel 1878 il “Posse Comitatus Act”, il quale proibisce l’utilizzo delle Forze armate in compiti di polizia a meno che questo non sia esplicitamente autorizzato dal legislativo (22).

Questo provvedimento tuttavia non impone però una completa interdizione dal poter utilizzare i reparti mi- litari nel mantenimento dell’ordine pubblico, in quanto riconosce che esistano delle eccezioni a questa impo- sizione. Davanti a una situazione di grave emergenza, il governo federale, in base al dettato costituzionale, ha il compito di difendere l’ordine pubblico e di assicurare che le autorità continuino a svolgere le loro funzioni e, di conseguenza, dispone quindi della prerogativa di ricorrere all’uso delle Forze armate. E per molti osser- vatori, il fatto che l’amministrazione federale a partire dal XX secolo abbia ampliato le sue competenze, sta a significare come i casi in cui il governo possa ricorrere all’uso delle Forze militari in situazioni di emergenza si sia notevolmente incrementato. In proposito, alcuni osservatori citano poi come, a partire dagli anni Novanta, in un sempre maggior numero di occasioni si sia ricorso alle Forze militari per contrastare il narcotraffico e l’im- migrazione clandestina, e anche se i reparti hanno operato come forza “passiva” e sotto il controllo delle autorità civili, è innegabile come questi abbiano comunque svolto significativi compiti di ordine pubblico (23). E anche se circoscritto dalle disposizioni del “Posse Comitatus Act”, questa prerogativa resta una delle più rilevanti di cui dispone il Presidente in caso di gravi emergenze interne, come avvenne soprattutto in occasione delle tensioni razziali esplose negli anni Cinquanta e Sessanta (24). L’altra situazione di emergenza interna dove il potere pre- sidenziale emerge più nettamente è nella decisione di proclamare la legge marziale in base alla quale la legisla- zione ordinaria e l’autorità civile sono temporaneamente sostituite da quella militare (25).

Formalmente, la Costituzione non fa riferimento alla proclamazione della legge marziale ma, stando all’opi- nione condivisa dai costituzionalisti, si presume che questa spetti al Presidente il quale la trasmetterebbe ai co- mandi militari per la loro applicazione. È chiaro però che per assumere una decisione di impatto così rilevante, deve sussistere una situazione talmente critica per la quale, per tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza del paese, si ritiene di ricorrere alle Forze militari non essendo più le autorità civili in grado di svolgere le loro fun- zioni. Davanti a uno scenario critico seguente a un grave disastro oppure a una serie di attacchi terroristici che le autorità locali probabilmente non sarebbero in grado di gestire, il Presidente è autorizzato a prendere delle

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misure immediate per tutelare l’ordine e la sicurezza dei cittadini le quali possono essere attuate senza una pre- ventiva autorizzazione. Pur non essendo mai stata dichiarata sull’intero territorio nazionale, la legge marziale nel corso della storia degli Stati Uniti è comunque stata imposta in alcune parti del paese sia durante la “guerra civile” e il Secondo conflitto mondiale sia in occasione di insurrezioni, rivolte o disordini. Mentre già nel 1791 l’allora presidente George Washington decise, non senza esitazioni, di utilizzare l’Esercito per porre fine alla

“Whiskey Rebellion” (26), la prima occasione in cui la legge marziale venne applicata fu però nel 1814, quando il generale Andrew Jackson la proclamò a New Orleans prima della battaglia avvenuta durante la guerra contro gli inglesi. Sarà tuttavia durante la “guerra civile” che la questione se la Casa Bianca potesse ricorrere a delle misure eccezionali per fronteggiare l’emergenza creata dal conflitto apparve in tutta la sua evidenza. Subito dopo la secessione attuata dagli Stati confederati, Lincoln ordinò il blocco di quattro porti del sud dichiarando che la sua decisione derivava dai poteri conferitigli in qualità di “Comandante in capo” delle Forze armate, ag- giungendo inoltre come tali azioni, pur in assenza di un’esplicita autorizzazione del Congresso, erano giustificate dal fatto che il paese si trovava davanti a una situazione di estrema emergenza (27).

E dalla conclusione della “guerra civile” a oggi, la legge marziale è stata proclamata solo in pochi casi e in aree territorialmente limitate, come avvenne alle Hawaii nel corso del Secondo conflitto mondiale, mentre in altre circostanze in cui il governo ha fatto ricorso all’uso dei reparti militari per ristabilire l’ordine pubblico non ha invece ritenuto opportuno di introdurla (28). Un’altra situazione nella quale il Presidente è autorizzato a ri- correre ai poteri di emergenza è poi in caso di disastri naturali o di gravi problemi sanitari, come avvenuto quando l’uragano Katrina, nel 2005, colpì la città di New Orleans, oppure davanti alle pandemie causate dalla SARS, dall’influenza A/H1N1 e, attualmente, dal Covid-19. E in base al “National Response Plan” attuato nel 2004, tra le situazioni in cui la Casa Bianca può far uso dei poteri di emergenza, sono state incluse anche il verificarsi di un disastro naturale capace di porre rischio alle forniture agricole e alimentari del paese, un attacco cibernetico e un incidente che comporti un potenziale grave rischio per l’ambiente.

Il Boeing E-4B modificato: in situazioni di emergenza

funzionerebbe come centro di comando (National Airborne Operations Center).

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In merito alle emergenze sanitarie va comunque sot- tolineato come in questo caso anche ai singoli Stati spettino una serie di importanti competenze. Stando al dettato costituzionale, i diversi Stati hanno la prero- gativa di imporre una quarantena sulle merci ritenute in grado di propagare un’infezione, mentre secondo quanto affermato da una sentenza della Corte suprema, le autorità e le Forze di polizia statali dispongono del potere di imporre l’isolamento a tutela della salute dei cittadini e sono competenti per tutte le questioni in materia sanitaria che interessino il loro Stato (29). Ri- guardo invece alle funzioni del governo federale in caso di disastri naturali o di emergenze sanitarie, que- ste sono regolate dallo “Stafford Act” approvato dal Congresso nel 1988. Questo provvedimento, invocato da Trump per gestire la crisi creata dal Covid-19, elenca le possibili situazioni critiche provocate da ca- tastrofi naturali e definisce i modi in cui la Casa Bianca è autorizzata a intervenire in casi di “emergenza” o di

“disastro maggiore” che le autorità statali e locali non sono in grado di fronteggiare con i propri mezzi (30).

E in circostanze eccezionali, il Presidente può far uso di due ulteriori poteri, i quali sono stati anche oggetto di discussioni tra i politici e i giuristi, ovvero la sospen- sione della garanzia dell’“Habeas Corpus” e la possi- bilità che dei civili possano essere arrestati dalle Forze armate e processati dalle corti militari (31).

In merito a queste due prerogative, va ricordato come durante la “guerra civile” nel 1861 un cittadino del Maryland venne arrestato dalle autorità militari con l’accusa di essere implicato in attività secessioniste, men- tre nel 1864 un residente nell’Indiana venne, invece, processato e condannato a morte da una corte militare (32). E in queste situazioni di emergenza, un’importante funzione di controllo dell’azione presidenziale è svolta dalla Corte suprema, che però nella sua azione viene a incontrare due ostacoli. Il primo di questi è che le sentenze arrivano sempre molto tempo dopo l’emissione del provvedimento assumendo quindi una valenza simbolica, mentre l’altro, invece, è che le pronunce possano venire ignorate dal Presidente con la scusa della sicurezza nazionale vista la situazione di emergenza in cui si trova il Paese (33).

Ma uno dei poteri più discussi di cui dispone il Presidente in situazioni di guerra è poi quello che gli at- tribuisce l’autorità di istituire dei “tribunali militari” per processare i responsabili di atti di sabotaggio, spionaggio o attentati terroristici anche se questi non appartengono alle Forze armate (34). Previsti dalle leggi approvate dal Congresso nel 1806, i “tribunali militari” hanno operato durante i conflitti in cui sono stati impegnati gli Stati Uniti, in occasione della guerra civile e della successiva occupazione dei territori ex confederati, mentre dopo l’11 settembre 2001 il presidente George W. Bush, affermando che gli attacchi avevano creato una situazione che richiedeva l’uso delle Forze militari statunitensi, ne ha deciso nuovamente l’istituzione stabilendo che davanti a loro vi potesse comparire chiunque fosse stato accusato di aver favorito la pianificazione degli attentati.

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I reparti delle Forze armate statunitensi schierati con la bandiera nazionale.

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Le procedure previste per il funzionamento di que- sti tribunali particolari, i quali dovevano processare i prigionieri sospettati di appartenere a dei gruppi ter- roristici fondamentalisti islamici detenuti nella base di Guantánamo a Cuba, sono stabilite dal segretario alla Difesa il quale dispone anche delle prerogative di se- lezionare i giudici. Le ragioni avanzate dalla Casa Bianca nell’istituire i “tribunali militari” erano che le regole stabilite per i processi davanti alle corti civili non potevano applicarsi, per ragioni di sicurezza, a di- battimenti in cui erano giudicati dei terroristi insieme al fatto che i tempi di un dibattito con le procedure or- dinarie sarebbero stati estremamente lunghi e la segre- tezza delle sessioni non assicurata (35).

E infine non va dimenticato come durante gli eventi bellici l’autorità del presidente si estende anche all’economia e alle attività produttive. In un tale contesto la Casa Bianca non solo ha il potere di imporre il controllo sui prezzi e sui salari dei dipen- denti pubblici e privati ma anche la facoltà di distri- buire le risorse e i materiali strategici per la difesa nazionale, concedere prestiti e finanziamenti alle in- dustrie qualora queste non intendano o non possano effettuare investimenti, impedire fusioni o acquisi- zioni di aziende nazionali da parte di società straniere se questo può arrecare pericolo alla sicurezza del paese nonché di quella di impedire delle transazioni finanziarie e sequestrare le proprietà di Stati considerati nemici. Sotto quest’aspetto, va ricordato come Roo- sevelt, poco prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, mise sotto controllo statale diverse industrie che producevano armamenti e mezzi militari in quanto, essendo da settimane in sciopero, non erano più in grado di far fronte alla produzione e come, nel 1952 Truman, davanti allo sciopero proclamato dai lavoratori del- l’acciaio durante il conflitto coreano, emanò una direttiva in cui ordinava al governo federale di prendere possesso degli impianti e di stabilire tutte le misure necessarie per garantire la produzione, informando nello stesso tempo i dirigenti delle compagnie che da quel momento sarebbero divenuti degli operating manager del governo sottoposti all’autorità del segretario al Commercio (36). Ma in questo caso il provvedimento fu immediatamente impugnato davanti alla corte federale di Washington, che annullò l’ordine presidenziale re- stituendo il controllo delle aziende ai proprietari (37). Riguardo invece allo stato di emergenza nazionale, che denota l’esistenza di una situazione imprevista e di durata sconosciuta in grado di mettere in pericolo la sicurezza del paese, va invece chiarito che questo può essere proclamato dalla Casa Bianca non solo davanti a rischi per l’ordine pubblico o in caso di guerra, ma anche per affrontare qualsiasi circostanza straordinaria.

In proposito vanno ricordate, la decisione presa nel 1933 da Roosevelt di fermare tutte le transazioni fi- nanziarie e bancarie per determinare prima quali istituti di credito fossero in grado di stare sul mercato dopo l’approvazione della nuova legge sulle banche, quella adottata, nel 1970, da Nixon con la quale si au- torizzava l’uso di unità militari della riserva per la distribuzione della corrispondenza per fronteggiare lo

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sciopero delle poste e l’altra disposta l’anno successivo sempre da Nixon per imporre dei dazi supplementari su alcune merci d’importazione allo scopo di controllare i flussi della bilancia dei pagamenti (38). Ed è sem- pre prerogativa della Casa Bianca, secondo quanto previsto dall’“International Emergency Economic Powers Act”, di autorizzare il congelamento dei fondi e ordinare il blocco o la limitazione degli scambi commerciali con paesi, organizzazioni e persone ritenute pericolose per la sicurezza degli Stati Uniti. Tuttavia, in questi ultimi anni l’azione del Presidente nella gestione delle emergenze è venuta ad essere soggetta ad una più precisa regolamentazione, in quanto se fino al primo conflitto mondiale la Casa Bianca ha fatto uso dei poteri a propria discrezione, a partire dagli anni Settanta il Congresso ha circoscritto questa prerogativa, stabilendo che il Presidente può chiedere l’autorizzazione ad adottare misure straordinarie indicando quali provvedi- menti intenda prendere.

Inoltre, viene stabilito che l’emergenza può durare solo per un anno e possa essere prorogata solo per un analogo periodo di tempo, spettando al Congresso la facoltà di porvi termine attraverso l’approvazione di una “Joint Resolution”.

Il ruolo della “Guardia Nazionale”

e i poteri militari attribuiti ai Governatori

Anche se oggi il loro ruolo risulta quanto mai limitato visti gli ampi poteri spettanti al Presidente, il sistema federale statunitense attribuisce comunque delle prerogative nel campo della difesa anche ai Governatori dei singoli Stati, dato che dispongono del controllo della “Guardia Nazionale” quando questa è chiamata a in- tervenire in situazioni di emergenza interna. Istituita nel 1636 dai coloni proprio per difendere gli insedia- menti che stavano costruendo sul territorio americano (39), la “Guardia Nazionale” ha attualmente una funzione di forza di riserva dell’Esercito statunitense, come dimostra la sua partecipazione a tutti gli interventi militari a cui sono stati chiamati gli Stati Uniti in questi ultimi anni nonché ai due conflitti mondiali. Secondo quanto stabilito dal “National Defense Act” del 1916, al Presidente, infatti, è conferita, in casi di emergenza, l’autorità di utilizzare per le operazioni la “Guardia Nazionale”, mentre in base a quanto previsto dalla “Total Force Policy” del 1973, i suoi effettivi, al pari degli altri componenti delle Forze armate, devono essere con- siderati come parte di una singola forza integrata. Come accennato prima, la “Guardia Nazionale” svolge tut- tora un ruolo di primaria importanza anche all’interno dei diversi Stati dell’Unione. In questo caso è formalmente sottoposta al comando del Governatore che può richiederne l’intervento in caso di emergenza, calamità naturali o di gravi disordini, anche se, va sottolineato, i poteri di utilizzo da parte dei governi statali hanno subito una serie di limitazioni, sia perché i tribunali federali hanno la facoltà di valutare se l’impiego della “Guardia Nazionale” è veramente necessario sia per il fatto che gli stanziamenti per il mantenimento degli effettivi provengono dal governo federale. Inoltre, la “Guardia Nazionale” può essere messa sotto il co- mando federale per fronteggiare sommosse interne oppure per partecipare a missioni militari all’estero, men- tre è poi previsto che in particolari occasioni il Presidente possa decidere di ricorrere ai reparti dell’Esercito federale per imporre alle autorità statali il rispetto e l’esecuzione delle leggi nazionali.

In conclusione, si può affermare che la struttura istituzionale degli Stati Uniti ha prodotto un sistema di con- trollo e comando delle Forze Armate quanto mai particolare, che attribuisce al Presidente amplissime prerogative in campo militare e, parallelamente, di condotta della politica estera, e che rende partecipi della difesa, anche se in modo indiretto, i diversi Stati dell’Unione attraverso l’utilizzo della “Guardia Nazionale” nel sua doppia funzione di garante della sicurezza interna e di forza di riserva dell’Esercito federale.

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Il potere di decidere l’uso della forza nucleare

Il Presidente, nel suo ruolo di “Comandante in capo” delle Forze armate, costituisce la sola autorità che può ordinare l’uso della forza nucleare degli Stati Uniti e que- sta prerogativa è stata ribadita anche da un rapporto inviato dal diparti- mento della Difesa al Congresso, nel 2013. Nessuno dei suoi consiglieri militari o alcun membro del Congresso può sovrapporsi e fermare l’ordine impartito dal Presidente, in quanto gli appartenenti alle Forze armate, in base a quanto prescritto dall’“Uniform Code of Military Justice”, sono tenuti a eseguire gli ordini impartiti da quella che costituisce la sola legale e competente autorità. Riguardo alla struttura con cui sarebbero diramate le eventuali decisioni, la “National Com- mand Authority” stabilisce che gli ordini vengano impartiti appunto dal Presidente e dira- mati al segretario alla Difesa e da questo ai diversi co-

mandi (Combatant Command), anche se, a detta di alcuni

analisti, nella catena, il ruolo del responsabile del Pentagono e del “capo degli Stati Maggiori Riuniti” non sa- rebbe ben definito. Stando ad alcuni documenti ufficiali tra i quali un rapporto del “Congressional Research Service”, il segretario alla Difesa, nella procedura, avrebbe il compito di validare l’ordine certificando che sia stato impartito dal Presidente, anche se, in base a quanto riportato da altre personalità politiche, il segretario alla Difesa non avrebbe una posizione particolare all’interno della catena di comando, mentre la dottrina dell’US Air Force stabilisce che il Presidente dispone dell’esclusivo potere decisionale e può trasmettere l’ordine per mezzo del “capo degli Stati Maggiori Riuniti”. In merito alla procedura per gli ordini di lancio, questa prevede che, in presenza di un attacco individuato contro gli Stati Uniti, il Presidente si consulti con il segretario alla Difesa, il “capo degli Stati Maggiori Riuniti” e i principali consiglieri militari, mentre il Comandante del “Co- mando strategico” (STRATCOM) illustrerebbe le varie opzioni utilizzabili per il contrattacco.

Non è da escludere che in questo frangente sia il Comandante dello STRATCOM che il segretario alla Difesa possano cercare anche di esercitare la loro autorità sul Presidente per cercare, per l’ultima volta, di convincerlo a modificare la sua decisione di usare il dispositivo atomico (40). Ma nel caso decidesse di attivare la forza nucleare, egli si dovrebbe identificare con il Pentagono attraverso un “biscuit”, ovvero una “carta” preparata dalla “National Security Agency” dove è riportato un codice di autenticazione appositamente selezionato. Subito dopo, il Presi- dente aprirebbe la “valigetta” nucleare — la “Football” come è comunemente indicata, la quale deve trovarsi sem-

Lo stemma del Presidente degli Stati Uniti.

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pre nelle sue immediate vicinanze ed è tenuta a turno da un ufficiale di ognuna delle cinque armi che compongono le Forze armate degli Stati Uniti — esaminando le soluzioni descritte nel “Black Book” contenuto al suo interno.

Successivamente, l’ordine sarebbe impartito telefonicamente al Pentagono (41) dove, all’interno del “National Military Command Center” (NMCC) verrebbe autenticato e formattato in un “Emergency Action Message” (EAM) contenente i codici per il lancio delle testate il quale, attraverso un apposito canale di comunicazione, sarebbe trasmesso al “Global Operations Center” del “Comando strategico” (STRATCOM) per poi raggiungere i siti di lancio dei missili intercontinentali (ICBM, Intercontinental Ballistic Missile) e dei sommergibili nucleari (SLBM, Submarine-launched ballistic missile) (42). Il sistema di controllo delle forze nucleari statunitensi, a detta degli analisti, è organizzato in questo modo in quanto la sua struttura ha essenzialmente l’obiettivo non di discutere sulle eventuali opzioni che si presenterebbero, ma di consentire al Presidente di prendere una decisione in tempi rapidi. Configurato durante gli anni della Guerra fredda quando gli Stati Uniti si trovavano a fronteggiare la forza nucleare dell’Unione Sovietica, l’apparato doveva quindi permettere alla Casa Bianca di rispondere in maniera immediata a un attacco, dato che i missili lanciati dalle basi sovietiche avrebbero raggiunto il territorio statunitense in circa trenta minuti, mentre quelli dai sommergibili sarebbero stati in grado di arrivare sugli obiettivi nella metà del tempo, tanto che, si presume, il Presidente, effettuate le rilevazioni e le procedure, avrebbe avuto meno di dieci minuti per prendere una decisione (43). E un altro aspetto del sistema di comando nucleare degli Stati Uniti nel periodo della Guerra fredda era che, in situazioni di emergenza, l’ordine di procedere al lancio poteva essere

26 Supplemento alla Rivista Marittima

RODOLFO BASTIANELLI Lancio di un SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile)

da parte di un sottomarino nucleare americano.

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