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CAPITOLO II
La produzione artistica di John Donne
Riguardo a John Donne, la nostra indagine si focalizzerà sull‟attivazione del codice alchemico in alcuni testi facenti parte del corpus cosiddetto “metafisico”. Prima di occuparci delle problematiche inerenti a questa produzione, sarà tuttavia utile compiere una breve ricognizione introduttiva sulla produzione artistica donniana, allo scopo di fornirne un inquadramento generale delle costanti formali e contenutistiche, a loro volta caratteristiche dello stile di questo autore.
La maggior parte dei testi scritti da Donne sono stati raccolti e pubblicati postumi. Il fatto più importante da prendere in considerazione, riguardo alla scrittura di questo autore è, infatti, la preferenza da parte di quest‟ultimo per la circolazione di manoscritti nei circoli e tra le mani di amici, piuttosto che per una più ampia diffusione pubblica. Egli riteneva che l‟offrire la poesia e la prosa alle masse sotto il suo nome costituisse una violazione della propria dignità e riteneva perfino offensiva l‟idea di essere considerato uno scrittore professionista.1 Oltre a preservare lo status di autore amatoriale e a mettere in
guardia la sua reputazione dai critici, Donne dava più importanza alla produzione manoscritta per ragioni estetiche, per la qualità e il piacere che egli stesso provava nel far circolare i suoi lavori tra specifici mecenati e selezionati amici (Guibbory 2006, p. 26). Egli scriveva insomma, avendo in mente un preciso destinatario ideale: si trattava di pochi eletti che reputava in grado di comprendere e apprezzare pienamente le proprie opere.
Le sue poesie vengono quindi raggruppate postume e distribuite in varie raccolte, tra le quali se ne annoverano due piuttosto rilevanti, i Songs and Sonnets (1633) e le Elegies (1669), oltre alla produzione minore, che comprende le Verse Letters e gli Holy Sonnets.2 Della
prima raccolta ci occuperemo nelle sezioni successive, dato che di essa fanno parte alcune
1 A.GUIBBORY, The Cambridge Companion to John Donne, Cambridge Univ. Press, New York 2006,
p. 23.
2 R. ROBBINS (ed), The Complete Poems of John Donne, Pearson Education Limited, Edinburgh
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opere nelle quali il codice alchemico è particolarmente evidente e che sono quindi rilevanti per la presente analisi.
Le Elegies vennero scritte intorno al 1590 e pubblicate nel 1669. I componimenti di questa raccolta si rifanno indirettamente a Petrarca e all‟Ovidio degli Amores e raccontano di relazioni clandestine dallo spiccato erotismo.3 L‟amore petrarchesco e il suo linguaggio,
che potremmo definire “servile”, nella sua volontà di adulare e assecondare la donna, potevano, infatti, ben esprimere l‟ambiente della corte in cui i cortigiani al servizio di un potente monarca o patrono volevano affermare la loro costante devozione in cambio di favori e protezione. In queste opere, se da un lato la poetica petrarchesca idealizza la donna e spiritualizza il desiderio, dall‟altro gli echi ovidiani presentano, in termini più esplicitamente erotici, il rapporto uomo-donna come relazione adulterina (Guibbory 2006, pp. 134-35).
Le elegie tolgono insomma la donna dal piedistallo su cui quest‟ultima, nella scrittura petrarchesca, era sempre stata collocata come entità pura e intangibile, da adorare a distanza, proponendoci, invece, la rappresentazione del femminino, in particolare del corpo, come spazio della materialità e dell‟imperfezione. Mentre il Petrarca idealizza il corpo della donna, Donne ne parla invece con chiara repulsione, contaminandone spesso la figura desiderabile con riferimenti crudi e cinici (Guibbory 2006, p. 135): in “The Comparison”, ad esempio l‟organo genitale femminile è presentato come “the dread mouth of a fired gun”(v. 39). Qui l‟immagine del calore, che potrebbe far riferimento a malattie sessuali, di cui spesso soffrivano le prostitute, come la sifilide, non fa altro che aggravare l‟immagine generalizzata della figura femminile come spazio della contaminazione e della degradazione.
La produzione donniana considerata minore è assai varia e diversificata, sul piano formale e su quello dei generi. Essa comprende epigrammi, elegie funebri, epitalami e una serie di epistole in versi, le Verse Letters. Queste ultime furono composte tra il 1590 e il 1630, pubblicate intorno al 1651 ed erano indirizzate a personaggi in vista, gentiluomini, dame di corte oppure a semplici amici. Dall‟analisi di queste lettere possiamo evincere quale fosse il contesto sociale e politico in cui Donne si ritrovò a scrivere (Guibbory 2006, p. 36).
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Nella raccolta si distinguono i poems rivolti agli amici e quelli rivolti ai mecenati: tra i primi ricordiamo le quattro epistole che egli scrisse all‟amico Henry Wotton riflettendo sull‟attività politica di quest‟ultimo e di cui ci occuperemo in una fase più avanzata dell‟analisi (nel paragrafo 3.1.). Tra le lettere ai mecenati ricordiamo quelle encomiastiche, indirizzate a Lady Bedford, con la quale Donne ebbe a che fare per diversi anni (1607-1615). In queste opere, l‟autore esalta, della sua mecenate, le virtù e la bellezza, elevandola al di sopra del contesto di corte tramite l‟attribuzione, per via simbolica, di valori trascendentali assiologicamente positivi. Ad esempio, nel primo poema alla contessa, “Reason”, Donne mette in evidenza l‟abilità della destinataria di beneficiarlo socialmente, politicamente ed economicamente, riferendosi a lei come “[T]he first good angel” (v. 31). Definisce poi le azioni della contessa “saints” (v. 9), associandole, attraverso la terminologia religiosa, alle azioni di Dio per sottolineare la trascendenza dei valori e dell‟operato di Lady Bedford. Sebbene il volerle scrivere implicava un atteggiamento rispettoso, Donne afferma comunque la propria autorità morale: al suo linguaggio encomiastico incorpora commenti acuti, assumendo un punto di vista critico riguardo al mondo corrotto in cui si trova la contessa. Si pone come pensatore razionale al centro dei poemi e costruisce metafore e argomentazioni che sottomettano il lettore alla sua autorità morale, intellettuale e letteraria (Guibbory 2006, pp. 42-3).
Gli Holy Sonnets (pubblicati tra il 1633 e il 1635) invece, costituiscono una raccolta di testi incentrati sul rapporto che lega l‟uomo a Dio. È questo il tema unificante del corpus, cioè una relazione problematica, spesso difficile non soltanto da instaurare ma soprattutto da mantenere costante nel tempo. Proprio per la difficoltà nella creazione di questo legame, il Creatore è spesso destinatario di appelli violenti (Marenco 1996, p. 820):
Take me to you, imprison me, for I,
Except you enthrall me, never shall be free, Nor even, chaste, except you ravish me. (“Batter my heart”, vv. 12-4)
In questa luce diventano non solo accettabili ma perfino inevitabili gesti che sembrerebbero estremi e inappropriati in una relazione uomo-Dio, come la preghiera di incarcerazione (“imprison me”, v. 12), di rapimento (“enthral me”, v. 13) e di violenza (“ravish me”, v. 14).
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Da una prima analisi del corpus donniano sono emerse tematiche che ricorrono frequentemente, come il rapporto uomo-Dio, appunto, e l‟amore. Altri motivi cari a Donne si ripresentano puntualmente in gran parte dei suoi componimenti. Di questi motivi ci occuperemo nella prossima sezione.
1. Le tematiche ricorrenti
Come anticipato, vi sono tematiche che si presentano frequentemente nei testi donniani. Esse intersecano per lo più il motivo religioso con quello amoroso e sono: la visione degli amanti come microcosmo, la concezione neoplatonica dell‟amore e l‟illuminazione religiosa vissuta come estasi. Nonostante questi motivi sembrino essere alieni dalla nostra indagine, vedremo in realtà come essi siano intimamente intrecciati al codice alchemico e cercheremo pertanto di fornire una spiegazione di questo fenomeno.
La tematica del corpo umano come microcosmo è un concetto sostenuto sin dall‟antichità e che riprese vigore nel Rinascimento. Questo motivo è inserito da Donne nella produzione delle liriche amorose. Secondo tale visione, il corpo umano, in quanto microcosmo, rispecchiava il macrocosmo del mondo. In accordo con questa dottrina, Donne, in poemi come “The Sun Rising” (1633) e “A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day” (1633), rappresenta l‟amante o la coppia come un mondo a sé stante e separato da tutto il resto. Questo avviene per la capacità degli amanti di costruire una relazione chiusa attraendosi l‟un l‟altro, divenendo metaforicamente le uniche creature esistenti sulla Terra: il loro amore è così grande che nient‟altro sembra avere senso e nessun altro sembra esistere per loro. Per esempio, in “The Sun Rising”, l‟autore conclude il testo con un‟invocazione dell‟io poetico: “Shine here to us, and thou art everywhere” (v. 29). Egli ordina al sole di risplendere esclusivamente per lui e per la sua amata. Ma dato che questi ultimi costituiscono un intero microcosmo, la luce solare si estenderà analogamente all‟intero macrocosmo (“everywhere”).
Donne attinge poi al concetto neoplatonico che vede l‟amore fisico e quello religioso come due manifestazioni dello stesso impulso vitale. Platone, nel Symposium descrive l‟amore fisico come l‟ultimo gradino di una scala gerarchica che procede dal particolare al generale su cui si trovano, in ordine di importanza, l‟attrazione verso una persona bella,
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poi verso tutte le persone belle, verso le belle menti, verso le belle idee e infine verso la bellezza essenziale. I neoplatonici del XV secolo nel riprendere questo concetto, lo adattarono alle vicende del mondo cristiano facendo culminare l‟amore nell‟amore per Dio.4 Questa è, appunto, la concezione alla quale Donne fa riferimento nella poesia
amorosa. Ad esempio, nell‟elegia “To His Mistress Going to Bed”(1669), l‟autore paragona la donna svestita agli angeli del Paradiso: proprio come lei è semivestita, probabilmente indossando una sottoveste, ed è fonte di gioia per l‟io poetico perché fa intuire una nudità completa (“Full nakedness, all joys are due to thee”, v. 33), così lo sono gli angeli. Questi ultimi indossano vestiti bianchi simili a quello della donna (“In such white robes Heaven‟s angels used to be”, v. 19) e sono in egual modo motivo di gioia, per lui, poiché conducono alle porte del Paradiso. Tramite questo conceit, viene asserita così la superiorità dell‟amore provato dall‟io poetico, sentimento ora presentato come una manifestazione dell‟amore neoplatonico per Dio.
Un‟ultima tematica degna di nota è quella dell‟illuminazione religiosa. Attraverso i suoi componimenti, Donne immagina quest‟ultima come una forma d‟estasi sessuale, mettendo a confronto il piacere e la pienezza che scaturiscono dall‟una con quelli derivati dall‟altra. Nei paragrafi successivi vedremo come questo parallelismo si realizzi pienamente in un componimento, “The Ecstasy”, in cui è fortemente presente il codice alchemico e che sarà quindi analizzato più approfonditamente.
2. Donne poeta metafisico
Una parte fondamentale della produzione poetica donniana è il cosiddetto corpus metafisico. Donne è considerato infatti il maggiore esponente della metaphysical poetry poiché si ritiene che da lui abbia preso avvio quella tradizione che Alexander Pope avrebbe poi definito, in una pubblicazione delle Satires, come appunto “The school of Donne”.5 Molto della particolarità di questo tipo di poesia può essere chiarito se
consideriamo quale fu la posizione occupata da poeti come questi, uomini cioè che vissero tra due mondi e due culture, in un periodo di rivoluzione scientifica come quello a cavallo
4 U.NICOLA, Atlante illustrato di filosofia, Giunti Editore, Firenze 1999, p. 224. 5O.RUFFHEAD, The Life of Alexander Pope, Oxford Univ. Press, London 1769, p. 425.
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tra il Cinquecento e il Seicento, appunto. Donne presenta il caso più evidente di questa posizione poiché è fondamentale in lui il conflitto tra vecchio e nuovo.6 Da una parte, il
modo in cui egli pensa e scrive è soggetto alla filosofia e alla religione, dall‟altra è invece fortemente influenzato dalla Nuova Scienza.7
La sua poesia fa, di conseguenza, bagaglio delle esperienze, di tutto ciò che lo circonda, del vecchio e del nuovo. Essa, aiutata da un grande spirito creativo, dà vita ad un corpus di testi che avrebbe influenzato generazioni di poeti. Le immagini che usa sono tratte dai suoi interessi e mostrano le sfaccettature delle vicende personali: tutto ciò che ha avuto un ruolo importante o che ha lasciato un marchio nella sua vita ricorre nei testi ma non come oggetto, bensì sul piano formale, come componente di linguaggio (Bennet 1953, p. 32).
2.1. Le caratteristiche della metaphysical poetry donniana
La caratteristica principale della poesia di Donne è l‟uso massiccio del metaphysical conceit, una metafora estesa che combina tra loro due immagini logicamente incompatibili. Un paragone diventa un conceit quando mostra che due oggetti appartenenti a ordini di realtà differenti sono in realtà simili per qualche aspetto.8 È un linguaggio, il suo,
caratterizzato da paradossi, ambiguità e wit, ossia un linguaggio in cui l‟arguzia è la modalità discorsiva fondante dell‟espressione, brillante e sorprendente. Un esempio di questo particolare modo d‟espressione lo ritroviamo in “A Valediction Forbidding Mourning” (Songs and Sonnets, 1633) in cui Donne crea un parallelismo tra il seguito dell‟amore tra l‟io poetico e l‟amata nel momento della separazione fisica e un compasso dalla cui punta fissa (“fixed foot”, v. 27), ascrivibile all‟amata stessa, l‟asta (“stiff”, v. 26), riferita invece al poeta, non può allontanarsi:9
If they be two, they are two so As stiff twin compasses are two,
Thy soul the fixed foot, makes no show
6C.M.COFFIN, John Donne and the New Philosophy, The Humanities Press, New York 1958, p. 25. 7J.B
ENNET, op. cit, p. 32.
8A.SERPIERI e S.BIGLIAZZI (ed), John Donne, «Poesie», Rizzoli, Milano 2007, pp. 31-3. 9Quello del compasso è uno degli esempi più citati e analizzati. Cfr. T.S.E
LIOT, op. cit., p. 13; A.
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To move, but doth, if th‟other do. (vv. 25-8)
L‟amore, vissuto come fusione di corpo e anima (“thy soul the fixed foot, makes no show/ to move, but doth if th‟other do” vv. 27-8), è iconicamente evocato, tramite il significante spaziale, nell‟armonia di un cerchio che, proprio come il movimento del compasso, l‟amante avrà compiuto intorno all‟amata una volta che egli avrà terminato il suo viaggio.
Il linguaggio della metaphysical poetry di Donne risulta quindi dall‟intersezione di codici culturali plurimi: da quello amoroso a quello scientifico, da quello teologico a quello astronomico, fino ad includere quello di nostro specifico interesse, quello alchemico, appunto.
3. L’alchimia in John Donne
Su tale background di codici, conoscenze composite e nozioni plurime si inserisce, per l‟appunto, la materia alchemica. Molte delle immagini presenti nei suoi testi, così come i riferimenti specifici e accurati a processi alchemici, quali la produzione della pietra filosofale, o a simboli come il chemical wedding, fanno ipotizzare una grande familiarità da parte di Donne con i materiali e le strumentazioni presenti nel laboratorio di un vero alchimista, benché non vi siano ad oggi prove lampanti della conoscenza diretta della materia da parte del poeta. Eppure, l‟uso del vocabolario tecnico si fa notare per la sua chiarezza e precisione, prima di tutto sul piano lessicale, per via della presenza di termini come “balm” (“The Ecstasy”, v. 6), “elixir” (“Love‟s Alchemy”, v. 7), “salt” (“The Storm”, v. 55), “limbeck” (“A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day”, v. 21), contribuendo altresì a rafforzare l‟ipotesi interpretativa qui avanzata, circa la possibilità che la scrittura poetica donniana sia stata fortemente influenzata dall‟immaginario alchemico.
A questo punto, sarà opportuno interrogarsi sulle modalità attraverso le quali questo corpus dottrinale e simbolico è attivato dall‟autore nelle sue opere.
30 3.1. La classificazione di Linden
Nel suo studio del corpus donniano, Linden fornisce una griglia interpretativa di grande utilità per la classificazione dell‟imagery alchemica nei testi presi in esame. Egli afferma, infatti, che la produzione metafisica di Donne, in relazione all‟attivazione del codice alchemico, possa essere suddivisa in quattro distinte modalità: satirica, relativa alla produzione dell‟oro, allusiva degli esperimenti di laboratorio e strettamente legata ai simboli della trasmutazione.
La modalità satirica, il cui obiettivo non è, in questo caso, quello più banale, di ironizzare sull‟alchimia presentandola come inganno e ciarlatanesimo (come invece avviene nel “Canon‟s Yeoman Tale”), impiega l‟associazione di falsità e illusione per attaccare, ad esempio, la visione erotica dell‟amore evocata in “Love‟s Alchemy”. In questa poesia, l‟amore carnale è considerato un‟illusione proprio come lo è il prodotto dell‟opera alchemica: secondo l‟io poetico, come nessun alchimista ha mai trovato l‟elisir ( “no chymic yet th‟elixir got”, v. 7), essendosi egli imbattuto, al massimo, in qualche “odorif‟rous thing” (v. 10), così gli amanti, i quali “dream a rich and long delight” (v. 11), si imbatteranno in “a winter-seeming summer‟s night” (v. 12). Essi non riusciranno a godere dell‟estate vera, quindi del sole e del calore, ma dovranno accontentarsi di una notte che sembra quasi inverno: una notte breve, perché estiva, e insieme anche cupa, perché somigliante a quelle invernali.
L‟impiego della materia alchemica in riferimento alla produzione essoterica dell‟oro metallico fa sì che Donne possa definire questo processo nei termini di un‟azione riprovevole. Ne è un esempio l‟elegia amorosa intitolata “The Bracelet”: l‟io poetico ha smarrito il bracciale d‟oro della sua padrona e afferma di rimpiangere questa perdita non per motivi sentimentali, ma soltanto per ragioni materiali (“Mourn I that thy sevenfold chain have lost/ Nor for the luck sake; but the bitter cost”, vv. 7-8). Donne coglie qui l‟occasione per condannare non tanto l‟alchimia tout court, ma solo gli alchimisti essoterici, ossia quelli dediti alla produzione dell‟oro materiale, affermando che la sua disperazione per aver smarrito il bracciale sarebbe venuta meno se quello stesso oro fosse stato invece prodotto da quei “chymics” (v. 44) i quali “are guilty of much heinous sin” (v. 48), cioè gli alchimisti, appunto. La serietà con la quale Donne si rapporta all‟alchimia è rivelata dal numero e dalla precisione dei riferimenti che egli dissemina in altre opere.
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Un esempio della terza modalità donniana di riferirsi alla materia alchemica, con precisione e dettaglio, è quella individuata nelle allusioni agli esperimenti di laboratorio. In “To the Countess of Bedford at New Year‟s Tide”, ad esempio, il nome della contessa, mecenate di Donne stesso, è associato a una tincture (“the tincture of your name”, v. 16). La tincture è una sostanza colorante e corrisponde, in alchimia, alla pietra filosofale o all‟elisir quando questi ultimi acquistano la proprietà proiettiva di trasformare i metalli comuni in oro (Abraham 1998, p. 200). Di conseguenza, quando il poeta scrive, riferendosi alla contessa, “the tincture of your name” (v. 16), egli non fa altro che paragonarla ai prodotti dell‟opera alchemica: proprio come questi ultimi elevano la materia impura, così Lady Bedford ha la capacità di compiere lo stesso processo su Donne, trasmutandone lo spirito creativo grazie all‟oro (in questo caso, quello erogato nell‟ambito del patronage letterario).
L‟ultima modalità di attivazione del codice alchemico, individuata da Linden nella scrittura di Donne, riguarda i numerosi riferimenti alla trasmutazione e alla produzione della pietra filosofale, cioè alle fasi dell‟Opus. I due processi sono ad esempio presupposti in “The Ecstasy”. Il componimento allude infatti alle fasi principali dell‟Opus, la collocazione dello Zolfo e del Mercurio nell‟alambicco, la cristallizzazione della pietra filosofale tramite il raffreddamento di quest‟ultima e, infine, la sua applicazione proiettiva a corpi e sostanze, seguita dalla moltiplicazione dei relativi effetti benefici.
A mio avviso, il contributo più originale offertoci da Donne in relazione all‟inserimento della materia alchemica nei testi poetici è l‟ultima modalità individuata da Linden,10 ossia
il modo non satirico. In questo caso l‟immaginario alchemico è il veicolo che l‟autore utilizza per metaforizzare una serie di valori positivi facenti parte della sua visione del mondo quali, come avviene nelle “Verse Letters”, l‟onore, l‟elogio e il rapporto servo-padrone. Ad esempio, in una lettera indirizzata alla Contessa di Bedford, “Honour is so sublime perfection” (1609), Donne affronta la questione della natura dell‟onore. Quest‟ultimo, nella sua visione, esisterebbe solo in un contesto in cui coesistano sia coloro che lo donano sia coloro che lo ricevono. Le sue origini, inoltre, risiederebbero nelle classi sociali inferiori per poi ascendere a quelle superiori (Linden 1996, p. 163). Donne esprime chiaramente tale concetto utilizzando una metafora tratta, appunto, dall‟immaginario
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alchemico: la purificatio, tramite la sublimazione della materia nello spirito (“Honour is so sublime in perfection and so refined; […] So from low persons doth all honour flow”, v. 1 e v. 7).
In un'altra delle “Verse Letter “, “To Sir Henry Wotton at his Going Ambassador to Venice” (1605), Donne impiega l‟alchimia per seguire la crescita personale di Wotton, il quale passa dall‟ambiente moralmente dubbio della città, a quelli positivi e benefici della scuola e della corte, fino alla sua affermazione nella vita attiva come diplomatico alla corte di Giacomo I. Il suo sviluppo personale è presentato in termini alchemici come un processo di raffinamento essoterio ed esoterico, ottenuto grazie alla distillazione nella fornace, tramite il fuoco, e alla successiva purificazione della materia nello spirito:
„Tis therefore well your spirits now are placed In their last furnace, in activity;
Which fits them (schools and courts and wars o‟erpassed) To touch and test in any best degree.
(vv. 29-32)
Il suo spirit, dopo essersi formato, deve ora essere testato nella “furnace” (v. 30) della “activity” (v. 30): come l‟orafo esamina l‟oro per poi realizzare splendidi gioielli e l‟alchimista esamina il composto durante la crisopoeia, così Wotton è destinato ad essere tastato e testato (“touch and test”, v. 32) dall‟esperienza per diventare un uomo migliore.
Oltre all‟associazione del codice alchemico al tema amoroso, vi è anche l‟associazione a quello della morte-resurrezione a sua volta riconducibile alla visione del mondo religioso. Per questo motivo, Donne, in “The Canonization”, fa ricorso a un lessico simbolico di matrice alchimistica: „aquila‟ (“eagle”, v. 22), „colomba‟ (“dove”, v. 22) e „fenice‟ (“phoenix”,
v. 23). L‟eagle simboleggia il Mercurio volatile che si produce in conseguenza alla sublimazione (Abraham 1998, p. 64). La dove invece, simbolo dell‟albedo, in questa fase trionfa sulla putrefazione della materia scura della nigredo (Abraham 1998, p. 58). La phoenix, infine, simboleggia la resurrezione della pietra filosofale durante la rubedo (Abraham 1998, p. 152) Secondo Linden, Donne considera “th‟eagle and the dove” (v. 22) due corpi indipendenti e separati:11 la separazione degli amanti non fa altro che rafforzare
l‟immagine di morte e distruzione presentata al v. 26 del componimento (“[W]e die and rise the same”) e euforica nella visione del mondo alchimistica. Essi verranno infatti poi
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riuniti per rinascere in un unico essere perfetto, proprio come avverrà ai principi maschile e femminile, lo Zolfo e il Mercurio, nel processo alchemico.
4. Amore e alchimia in John Donne
Come anticipato nei paragrafi precedenti, uno dei modi in cui Donne impiega il codice alchemico è tramite l‟intersezione col tema amoroso. Le elegie amorose in cui si verifica questo tipo di attivazione del codice e sulle quali focalizzeremo adesso la nostra attenzione, sono tratte dalla raccolta Songs and Sonnets. Si tratta di “Love‟s Alchemy”, “A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day, Being the Shortest Day” e “The Ecstasy”.
Il motivo per il quale Donne decide di associare l‟alchimia all‟amore è legato al modo in cui egli vede e vive l‟esperienza amorosa, ossia come un evento che ha bisogno di riferimenti reali e concreti, tratti dai più svariati campi: si può spaziare dalla scienza alla filosofia, dall‟astrologia alla geografia e, per l‟appunto, all‟alchimia. L‟amore è per lui qualcosa di troppo complesso da essere comunicato come un semplice sentimento racchiuso in sé stesso.12 In Songs and Sonnets, Donne sperimenta un‟ampia gamma di
atteggiamenti amorosi poiché nel suo percorso di vita ebbe abbastanza esperienze erotiche e interpersonali per poter parlare delle molteplici sfaccettature dell‟amore. Questo avviene attraverso il ricorso a una grande varietà di modi della rappresentazione, ad esempio quello cinico (come vedremo in “Love‟s Alchemy”), quello drammatico,13 ma anche
tramite l‟attivazione di codici culturali plurimi, tra i quali spicca appunto quello alchemico, come vedremo in “The Ecstasy”.14
Le varie sfaccettature dell‟amore sono presentate al lettore attraverso il ricorso al genere della canzone, già impiegata da Petrarca nel Canzoniere (1336-1374) e da Sidney nell‟Astrophel and Stella (1591). La prima grande novità introdotta da Donne, notano Serpieri e Bigliazzi,15 è la moltiplicazione dell‟amata in varie donne e situazioni
12 A.SERPIERI e S.BIGLIAZZI, op. cit., pp. 41-4.
13 In “The Good Morrow” (1602) il carattere drammatco emerge dal dolore per la scomparsa
della moglie Ann More: “If ever any beauty I did see/ Which I desire, and got, „twas but a dream of thee” (vv. 6-7).
14 J.BENNET, op. cit., p. 13. 15 Ibid.
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sentimentali. Questo serve per variare l‟atteggiamento dell‟amante, spaziando perciò dal motivo tradizionale della donna ritrosa che non si concede, a quello del desiderio erotico o ancora a quelli dell‟allontanamento e dell‟indifferenza. La donna non è più un‟icona distante e irraggiungibile per l‟io poetico, ma diventa la complice di un‟esperienza da farsi in comune. Protagonista delle vicende e poeta spesso coincidono e l‟amata, che a volte viene individuata nella moglie Ann More, a volte in Lady Bedford, deve possedere a sua volta il wit per poter codificare il messaggio che l‟amato le sta trasmettendo.
La materia alchemica è fortemente presente nella raccolta e viene trattata in varie modalità che vanno da quella cinica a quella sublime, oltre ad essere associata ad altri codici, tra i quali spicca quello religioso. Esaminiamo dunque nel dettaglio l‟attivazione del codice alchemico nei testi.
5. Analisi testuali
5.1. “Love’s Alchemy”: l’alchimia dell’oro
Questo componimento, probabilmente scritto nel 1590 (Robbins 2008, p. 222), si compone di due stanze di dodici versi ciascuna. L‟andamento metrico-prosodico alterna pentametri, esametri e trimetri mentre il sistema delle rime vede la successione di baciate e incrociate. Il genere è quello elegiaco: si tratta, quindi, di una lirica ad argomento luttuoso o melancolico. Il poema esprime, infatti, il sentimento di cupa rassegnazione provato dall‟io poetico riguardo all‟amore vero. Nella sua ottica quest‟ultimo non esiste, proprio come non ritiene esista la pietra filosofale, tanto agognata dagli alchimisti.
L‟imagery alchemica si manifesta tramite precisi riferimenti al sistema simbolico esoterico, quali il chemical wedding e l‟elixir. Sono inoltre presenti allusioni alla fase di nigredo. Oltre a ciò, vari lessemi (“pot”, v. 8, “night”, v. 12, “Bridegroom‟s play”, v. 17), se intesi come vedremo nella loro accezione mistica, concorrono a delineare un preciso e coerente percorso isotopico attinente all‟immaginario alchemico e che giustificherà la lettura in ottica alchemica.
Il codice alchemico si attiva fin dal paratesto, più precisamente in corrispondenza del titolo, “Love‟s Alchemy”. Quest‟ultimo, già di per sé ironico per via dell‟associazione di
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amore e alchimia, ci dà immediatamente un‟indicazione chiara dell‟atteggiamento dell‟autore nei confronti della materia alchemica, per lo meno per quanto riguarda questo testo specifico: “Love‟s Alchemy” è una lirica d‟amore che, seppur convenzionale dal punto di vista dell‟attivazione satirica del codice alchemico, ribalta completamente la visione petrarchesca dell‟amore. Quest‟ultima è sviluppata in altri componimenti, come in “The Sun Rising”, in cui l‟amore è paragonato al sole e collocato al centro del cosmo. In “Love‟s Alchemy”, invece, l‟autore ci propone un io poetico cinico riguardo alla donna amata, specialmente in merito alle facoltà intellettive di quest‟ultima e che ha trovato il centro dell‟amore nella sfera sessuale: “mummy” (v. 24), che in origine costituiva il titolo del componimento, esplicita, infatti, questa idea sulle donne. Queste ultime, nonostante possano avere vivacità intellettuale, durante l‟atto sessuale si rivelano comunque corpi privi di spirito, quindi mummie, dato che esse giacciono inerti, come se fossero soltanto corpi imbalsamati, del tutto privi di vitalità ed energia.
Il primo riferimento all‟amore vede l‟accostamento metaforico dell‟atto amoroso al lavoro dei minatori: “Some that have deeper digged love‟s mine than I/ Say where his centric happiness doth lie” (vv. 1-2). La loro profonda ricerca (“deeper digged”, v. 1) nelle miniere dell‟amore (“love‟s mine”, v. 1) ha portato all‟amara constatazione che il voler trovare il centro della felicità (“centric happiness”, v. 2) conduca solo all‟ombra di una vana bolla (“vain bubble‟s shadow”, v. 14). Quest‟inganno (“imposture”, v. 6) viene ulteriormente esemplificato attraverso la metafora alchemica. Quest‟ultima è usata, nella terminologia introdotta da Linden, con intento palesemente satirico:
Oh, „tis imposture all:
And as no chymic yet th‟elixir got, But glorifies his pregnant pot, If by the way to him befall
Some odoriferous thing, or medicinal. (vv. 6-10)
In questi versi emerge la visione degli alchimisti come ingenui utopisti, i quali, nel perseguire una strenua quanto disperata ricerca dell‟elisir (“elixir”, v. 7), sarebbero al massimo riusciti a distillare qualche profumo (“odoriferous thing”, v. 10) o pozione medicinale (“medicinal”, v. 10), continuando vanamente a glorificare il loro “pregnant
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pot” (v. 8), il vaso che qui è personificato come una donna gravida.16 Il pot (cfr. la figura 1)
è infatti un nome generico per indicare il vaso alchemico (vas), un recipiente comunemente utilizzato per la creazione dell‟elisir, in cui si attuava la combinazione chimica e filosofica tra lo Zolfo e il Mercurio, e nel quale avrebbe avuto poi origine il composto (Abraham 1998, p. 152). L‟unione dei due principi (simboli, rispettivamente del principio maschile e femminile) è sempre connotata in senso sessuale nell‟immaginario alchemico. Non a caso, questa operazione è detta coitus ed è chiaramente allusiva del culmine del rapporto sessuale.
Figura 1. Pot. Da Villanova,
Rosarium Philosophorum (1550).
Pertanto la metafora utilizzata da Donne in questi versi è calzante: come nessun alchimista essoterico ha mai trovato l‟elisir (“And as no chymic yet th‟elixir got”, v. 7) perché guidato da false speranze, così neppure gli amanti saranno in grado di trovare il vero amore: essi vengono colti dalla stessa delusione che li porta, alla fine della loro ricerca, ad una notte estiva che sembra inverno (“a winter-seeming summer‟s night” v. 12). La notte è infatti simbolo della fase di nigredo, un momento di oscurità e morte in cui il metallo viene distrutto (Abraham 1998, p. 134) proprio come le speranze dei due amanti. Tale fase dell‟opera alchemica è associabile anche all‟infertilità per il suo carattere distruttivo piuttosto che costruttivo. Quindi, proprio come la nigredo, fase sterile in cui non viene prodotto nulla se non mere scorie del composto, così gli amanti non saranno terreno fertile per la nascita del vero amore o della felicità.
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Il cinismo dell‟autore investe anche la cerimonia matrimoniale, durante la quale lo sposo si sottomette alla vergogna di recitare una parte teatrale in una “bridegroom‟s play” (v. 17), cioè una farsa matrimoniale che lo porterà poi a sperimentare un amore degradato e ordinario:
Ends love in this: that my man Can be as happy as I can, if he can
Endure the short scorn of a bridegroom‟s play? (vv. 15-7)
Con il termine “bridegroom” (v. 17) Donne non vuol far riferimento alle nozze alchemiche (chemical wedding), vale a dire il processo che costituisce il punto culminante dell‟Opus Alchemicum tramite l‟unione, ora stabile, della coppia maschile-femminile di opposti, di Zolfo e Mercurio, e che tradizionalmente conduce alla produzione della pietra filosofale (Abraham 1998, p. 35). Qui si parla invece di una farsa che, nell‟ottica di Donne, mette sullo stesso piano l‟alchimista e lo sposo. Quest‟ultimo è definito, similmente all‟adepto essoterico, uno sciagurato amante (“loving wretch”, v. 18), perché si illude che a unirsi siano soltanto le anime e non i corpi (“ „Tis not the bodies marry, but the minds”, v. 19). Per un momento il poeta sembra avvicinarsi alla concezione esoterica dell‟alchimia che si focalizza sul concetto di matrimonio mistico tra gli amanti come successiva integrazione polare del potere sulfureo, attivo e maschile e della saggezza mercuriale, reattiva e femminile per produrre l‟amore filosofico, cioè l‟unione spirituale tra i due principi (Abraham 1998, p. 37). In realtà è un punto di vista, quello esoterico, che Donne non prende, qui, neanche in considerazione, ritenendo perfino sciagurato e disilluso chi, invece, lo adotta. Egli privilegia piuttosto la visione essoterica dell‟unione degli amanti come unione fisica e che può raggiungere come suo apice soltanto una mera farsa matrimoniale. Quest‟ultima è sterile in quanto non è destinata a generare la felicità né sfocerà nella procreazione. Allo stesso modo, anche la pratica alchemica di tipo esclusivamente chimico-materiale è falsa e sterile in quanto non produrrà nulla, né la pietra né l‟elisir, ma solo qualcosa che vi si avvicina per mera imitazione.
In conclusione, l‟intersezione del codice alchemico essoterico a quello erotico, in un contesto fortemente satirico, traspone strutturalmente una concezione della crisopoeia metallica come insensata, esattamente come lo è anche quella dell‟amore erotico: come nessun alchimista riuscirà mai a produrre la pietra filosofale e a trasformare i metalli vili in
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oro puro, nonostante gli innumerevoli tentativi e il duro lavoro, così gli amanti non troveranno mai la vera felicità, nonostante la loro dura e disperata ricerca dell‟unione perfetta, a sua volta emblematizzata dall‟immagine del matrimonio come farsa.
Donne mette perciò qui in discussione quella che fino ad allora era stata la visione dominante dell‟amore in letteratura: quello petrarchesco. La donna, da dea e idolo dell‟amante, viene qui degradata a “mummy” oltre che a mera comparsa in una ridicola farsa matrimoniale senza scopo. Il rapporto uomo-donna, idealizzato da Petrarca, assume qui i connotati di una vana illusione. Funzionale ad esprimere questa realtà è, per l‟appunto, il ricorso al codice alchemico essoterico: non vi è, per Donne, cosa più concreta e reale del fallimento di un esperimento. Questo è ciò che un poeta disilluso vuole trasmetterci, ossia il crollo di un‟idea d‟amore che in quel momento, per lui, risulta evidentemente irrealizzabile come lo è la ricerca meramente chimica dell‟elisir alchemico.
5.2. “A Nocturnal upon Saint Lucy’s Day, being the Shortest Day”: la nigredo
Il componimento, scritto probabilmente nel 1612 (Cfr. Robbins 2008, p. 225), è costituito da cinque stanze di sette versi ciascuna, più un distico finale. L‟andamento metrico-prosodico vede l‟alternarsi di pentametri, tetrametri e trimetri, uniti tra loro da rime incrociate e baciate. In questa lirica d‟amore ci viene presentata la vicenda di un amante distrutto dalla perdita della donna amata e che trova conforto nell‟idea che possa esistere la possibilità di compiere un‟elevazione spirituale con il successivo ripristino dell‟unione con l‟amata, in una dimensione trascendentale, oltre le sfere sessuale e mentale.
In questo caso, Donne combina il motivo elegiaco del dolore per la perdita dell‟amata con l‟imagery alchemica per produrre un elaborato conceit. Quest‟ultimo si sviluppa nelle tre stanze centrali del testo associando due nozioni apparentemente inconciliabili: la distruzione portata dalla nigredo e l‟amore. L‟impiego del codice alchemico in questo testo è, inoltre, singolare rispetto a quanto accade in altri componimenti, poiché produce una sorta di reverse alchemy (Linden 1996, p. 181). Con questo termine si intende un‟alchimia contraria, atipica, che anziché condurre l‟adepto alla perfezione e al raggiungimento dell‟amore spirituale, diventa invece il veicolo dell‟intensificazione del dolore e degli effetti distruttivi del sentimento amoroso. È un concetto, questo, ripreso dal pensiero
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petrarchesco, dato che ricorda la reazione disforica che l‟amante ha dopo aver appreso della morte della donna amata. Egli viene sopraffatto dal dolore perché scopre che la donna che ha amato così intensamente, come una dea immortale, è in realtà umana e mortale:17 con la sua scomparsa, ella ha drasticamente infranto il sogno d‟amore
dell‟uomo.
Oltre a ciò, l‟imagery alchemica entra nel testo attraverso immagini e lessemi chiave dal preciso significato tecnico: a parte il più esplicito “alchemy” (v. 13), troviamo “balm” (v. 6), “quintessence” (v. 13) e termini come “grave” (v. 21) o “flood” (v. 22) allusivi della fase di nigredo.
A partire dal titolo, vengono chiariti sia la collocazione temporale degli eventi sia lo stato psicologico in cui si trova l‟io poetico: “ ‟Tis the year‟s midnight, and it is the day‟s/ Lucy‟s, who scarce seven hours herself unmasks” (vv. 1-2). Si tratta della mezzanotte tra il dodici e il tredici dicembre, la notte di Santa Lucia che, secondo il calendario giuliano ancora vigente all‟epoca, era il giorno più breve dell‟anno, preceduto dalla notte più lunga. Il solstizio è quindi un concetto temporale tra i più adatti a metaforizzare la notizia della morte della donna amata perché, come accade al sole, che dopo sole sette ore viene inghiottito dall‟oscurità, allo stesso modo l‟amante precipita in un lungo buio di disperazione.
Il testo si apre con immagini che attivano le isotopie di morte e distruzione, entrambe assiologicamente disforiche:
The world‟s whole sap is sunk:
The general balm th‟hydroptic earth hath drunk, Whither, as to the bed‟s feet life is shrunk, Dead and interred […]
(vv. 5-8)
Quello che qui è chiamato il balsamo del mondo (“general balm”, v. 6) e che può essere interpretato come la sua linfa vitale (Serpieri e Bigliazzi 2007, p. 298), è stato assorbito dalla Terra, lasciando in superficie soltanto morte e desolazione. Il balm è infatti, secondo Paracelso, un principio guaritore sia interno che esterno all‟uomo, capace di preservare i corpi dal decadimento (Abraham 1998, p. 16). Per l‟io poetico, tale balsamo è rappresentato
17 N.J.C.ANDREASEN, John Donne: Conservative Revolutionary, Princeton Univ. Press, Princeton
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dalla donna amata, la quale con la sua scomparsa, lo condurrà alla morte come conseguenza del venir meno dell‟oggetto d‟amore. Dalla terra (“earth”, v. 6), infatti, si passa con uno scarto improvviso ad un corpo morto, la cui vita, proprio come la linfa, si è ritratta ai piedi del letto cioè al capezzale (“to the bed‟s feet life is shrunk”, v. 7).
Il livello di significazione alchemico è ulteriormente rafforzato dall‟allusione alla fase di nigredo. Come si ricorderà, quest‟ultima, nel processo alchemico che culmina nella produzione della pietra filosofale, consiste nella distruzione dei metalli impuri e nella loro dissoluzione nella materia originaria (prima materia) per rinascere successivamente in una nuova forma più pura e raffinata. È rappresentata di solito dall‟immagine (cfr. la figura 2) di due amanti che giacciono in una tomba mentre le loro anime fluttuano sopra di loro oppure con accanto la personificazione della morte stessa (Abraham 1998, p. 135).
Figura 2. Re e Regina seppelliti. Mylius, Philosophia Reformata (1622).
In “A Nocturnall” la trasposizione di questo processo in ambito amoroso vede l‟io poetico che, nell‟oscurità spirituale ed emotiva, conseguente alla morte della donna amata, affronta la sua personale nigredo. Quest‟ultima è da intendersi in senso filosofico come disagio emotivo e stato di profonda disperazione. Questa condizione comporta prima la distruzione del suo essere, di tutto ciò che era prima, quindi della sua identità, poi produce un‟elevazione spirituale e quindi una rinascita: “He ruined me, and I am re-begot/ Of absence, darkness, death […]” (vv. 17-8). Il protagonista di questo dramma vive perciò la sua fase di annichilimento, ma quest‟ultima non è definitiva dato che egli ne esce
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rigenerato (“re-begot”, v. 17): affronta e supera l‟oscurità (“darkness”, v. 18) che conduce alla morte (“death”, v. 18) del suo stato esistenziale precedente, quindi la nigredo.
Il punto di incontro tra l‟iniziale distruzione e la successiva resurrezione dell‟io poetico è la tomba (“grave”v. 21). Quest‟ultima è spesso equiparata, nella letteratura alchemica, all‟alambicco nel momento in cui ospita la nigredo (cfr. la figura 2). In questa fase, all‟interno dell‟alambicco, le sostanze della pietra, il Mercurio e lo Zolfo, sono sottoposte alla morte e alla putrefazione. Allo stesso modo l‟amante dice: “I, by Love‟s limbeck, am the grave/ Of all that‟s nothing” (vv. 21-2). Egli è la tomba (“grave”, v. 21), l‟alambicco che contiene tutto ciò che è nulla (“Of all that‟s nothing”, v. 22), quindi lo spazio in cui avviene la distruzione. Come i materiali impuri delle prime fasi del processo alchemico, il protagonista è prima stato distrutto (“ruined”, v. 17) e poi condotto ad uno stato di “nothingnesse” (v. 15). Quest‟ultimo è, in questa occasione, un neologismo creato da Donne che sembra voler esprimere l‟idea di quel nulla che era prima dell‟essere (Serpieri e Bigliazzi 2007, p. 301) ma può anche alludere alla dottrina teologica e poi esoterica della creatio ex nihilo secondo la quale Dio avrebbe creato l‟universo dal nulla e in piena libertà.
Di questo stadio del processo fa parte anche “flood” (v. 22). Si tratta di un lessema che, come ci dice Abraham nel suo dizionario alchemico,18 allude all‟acqua, cioè proprio
all‟elemento principale della fase di dissoluzione e putrefazione della materia quindi della nigredo. In questa trasposizione alchemica del dramma degli amanti, l‟acqua è qui raffigurata attraverso il riferimento alle lacrime che questi ultimi versano copiosamente, come un‟inondazione. In termini alchemici, questo corrisponde al momento in cui i due principi, maschile e femminile, una volta disciolti, sommergono la materia impura, purificandosi. La nigredo, nonostante il suo significato fondamentale di „distruzione‟, in
questa poesia recupera quindi la sua originale connotazione positiva come fase cruciale di trasmutazione. In questo caso, la trasmutazione corrisponde al massimo risultato del processo alchemico, l‟elisir: “But I am by her death (which word wrongs her)/ Of the first nothing the elixir grown.” (vv. 28-9). Si noti anche come questa connotazione positiva della nigredo sia ribadita nell‟incidentale del v. 28 (“which word wrongs her”) in cui appunto si afferma il carattere di passaggio della morte come distruzione (“death”, v. 28).
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La fase di nigredo si è quindi compiuta. A questo punto, però, l‟io poetico, dopo tale annichilimento, sembra sentirsi nuovamente sperduto e scoraggiato: “Were I a man, that I were one/ I needs must know” (vv. 30-1). Egli è stato cambiato a tal punto dall‟amore da non essere più un uomo, dato che al momento sembra aver perso coscienza di esserlo. Egli non è neanche un‟ombra (“shadow”, v. 36), poiché esserlo comporterebbe la presenza di un corpo (“body”, v. 36) e di una luce che ne proietti la forma (“light”, v. 37). In altre parole è stato condotto ad essere “none” (v. 37): lo stato di nothingness degli amanti è dovuto al loro sentirsi un mondo a parte, all‟aver creato, quindi, un microcosmo che li aliena da tutto ciò che li circonda. Questo li ha portati alla dispersione e alla perdita di consistenza. Quest‟ultima si raggiunge quando avviene l‟unione di corpo e spirito: il primo si dissolve nello spirito, il secondo è a sua volta coagulato nel corpo in un‟unione polare e perfettamente equilibrata degli opposti. Perciò, se lo si intende sul piano metafisico, la separazione dell‟anima dal corpo è essa stessa una sorta di morte. In questo nuovo stato, l‟anima acquista consapevolezza della sua vera natura e della differenza tra l‟uomo naturale e l‟uomo spirituale (Abraham 1998, p. 38). È proprio questo il processo mentale che avviene nell‟io poetico di “A Nocturnall”: egli prende coscienza della vera natura umana, cioè quella di essere mortale e di avere, come unico rifugio e via di salvezza l‟elevazione spirituale. Alla luce di tale nuova consapevolezza, l‟uomo non può che desiderare fermamente di elevarsi e unirsi allo spirito.
Il motivo scatenante di tale rivelazione di cui l‟io poetico fa esperienza, è, quindi, paradossalmente, la morte della donna amata. Quest‟ultima, secondo un ricorrente stilema petrarchesco, è il suo sole che, essendo scomparso, ha fatto sprofondare l‟amante nel profondo buio. La luce potrà risplendere solo per gli amanti carnali perché con la primavera sboccerà il loro amore, un amore fisico di cui l‟autore è già stato testimone e a cui non aspira perché colmo di promesse ingannevoli. Per loro sorgerà infatti un “lesser Sun” (v. 38) e non il “suo” sole, quello più nobile perché l‟ha condotto, invece, a una rivelazione mistica. A questi amanti si rivolge l‟autore, implorandoli di considerarlo come oggetto di studio (“study me then”, v. 10) dato che su di lui l‟amore ha già operato alchemicamente, purificando (“Love wrought new alchemy”, v. 13) e poiché oramai la sua speranza è quella di una nuova unione che vada oltre la morte:
Let me prepare towards her, and let me call This hour her Vigil, and her Eve, since this
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Both the year‟s, and the day‟s deep midnight is. (vv. 43-5)
Il dolore si placa nell‟intuizione di un‟unione imminente (“let me prepare towards her”, v. 43) che trasformerà il tempo della disperazione e del nulla in un momento di attesa fiduciosa per l‟avvento di un nuovo essere, quindi volgerà la veglia funebre in una vigilia (“Vigil”, v. 44). Anche in questo senso, in linea con la predilezione del lato spirituale dell‟amore rispetto a quello fisico, l‟amante è associato a Santa Lucia, dato che quest‟ultima fu una vergine martire che diede la sua vita, secondo l‟agiografia cristiana, proprio per l‟affermazione del primo sul secondo.19
In conclusione possiamo notare, facendo un confronto tra “Love‟s Alchemy” e “A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day”, come i due componimenti manifestano due differenti trattamenti della materia alchemica. Quest‟ultima è, in entrambi i casi, associata all‟ambito amoroso, e in entrambi i casi diviene il motivo dominante del modo lirico donniano. Nel primo testo, tuttavia, l‟atteggiamento di Donne è negativo e cinico: l‟amore erotico, come l‟alchimia pratica, è considerato una falsità e un‟illusione dato che non comporta in nessuno dei due ambiti, la possibilità di raggiungere la felicità. In questo componimento, invece, al poeta si prospetta la speranza di ottenere davvero un rapporto con la donna amata che vada oltre la sfera sessuale, grazie alla rivalutazione, in chiave esoterica, del processo alchemico. Se quest‟ultimo prima era considerato dannoso per l‟uomo, ora è visto come un‟opportunità per migliorarsi e rinascere: Donne non invita gli altri a desistere dal tentativo di raggiungere l‟amore vero ma sembra esortarli a prendere come modello la sua esperienza che, grazie alla metafora alchemica e alla consapevolezza dell‟esistenza dell‟amore spirituale, può condurre a un nuovo essere.
Ci viene svelato qui un Donne diverso da quello di “Love‟s Alchemy”, un uomo che riscopre la bellezza dell‟amore valutandolo, questa volta, secondo l‟ottica esoterica. Infatti, giudicando in precedenza l‟alchimia dal punto di vista essoterico, egli aveva potuto accostarla solo agli esperimenti non riusciti degli adepti impostori. Perciò, se nell‟opera precedentemente analizzata la materia alchemica gli era servita a minare sin dalle fondamenta la nozione stessa d‟amore, qui ha uno scopo opposto: essa diventa il mezzo
19 Secondo la tradizione, Santa Lucia era stata promessa in sposa ad un pagano ma, in seguito
ad un pellegrinaggio, decise di consacrarsi a Cristo. Per il suo essere cristiana e aver deciso di sposare Dio e non il suo promesso sposo, la giovane venne denunciata e giustiziata. Cfr. O. GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum, Cirillo, Palermo 1637, pp. 114-15.
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concreto attraverso il quale scoprire un nuovo amore, quello spirituale, e un nuovo Sé poiché conduce all‟elevazione dell‟anima, proprio come avviene all‟alchimista esoterico che, durante l‟Opus, dopo aver purificato la materia, fa esperienza di una vera e propria trasmutazione spirituale.
5.3. “The Ecstasy”: il chemical wedding
Questo componimento, scritto probabilmente tra il 1605 e il 1613,20 si suddivide in due
blocchi che contano diciannove quartine, mentre l‟andamento metrico vede susseguirsi tetrametri giambici, a rima alternata. Le prime quartine (vv. 1-24), di impianto narrativo, presentano analiticamente la scena dell‟estasi dei due amanti durante la loro unione fisica, mentre nel secondo blocco viene convocato un testimone (vv. 25-8) per ascoltare il colloquio che si svolge tra i due. Da qui fino alla conclusione (vv. 29-76) viene rivelato, al tempo presente, il contenuto dell‟estasi spirituale in un dialogo ad una voce, in questo caso con orientamento al presente dei tempi verbali.
L‟imagery alchemica del testo si fonda principalmente sul simbolismo delle nozze mistiche (chemical wedding) che metaforizzano l‟unione rituale in ambito sia erotico che religioso. Sono presenti di conseguenza i principi che rendono possibile tutto ciò, i quali sono anche i tre protagonisti della poesia: gli amanti incarnano lo Zolfo (sulphur) e il Mercurio (mercury), il testimone è il sale (salt), mentre l‟alchimista è l‟io poetico stesso. Oltre a questi lessemi, ne compaiono altri, anch‟essi allusivi dell‟ambito alchemico. È il caso, ad esempio, di “cementend”21 (v. 5) e di “balm”22 (v. 6).
20 R.ROBBINS, op. cit., p. 169.
21 A dimostrazione della connotazione mistica del termine, propongo qui la definizione
dall‟OED e da Abraham. Cfr. OED, alla voce “cementation”, 2: “The process by which one solid is made to penetrate and combine with another at a high temperature so as to change the properties of one of them, without liquefaction taking place.” Abraham definisce in egual modo il processo e aggiunge che “cement is a tenacious substance used in the distillation process.” Cfr. L.ABRAHAM,
op. cit., p. 32.
22 Cfr. OED, alla voce “balm”, 6: “A healing, soothing, or softly restorative, agency or
influence.” Abraham lo definisce come “an all-healing, animating life-principle both internal and external to man, which preserves bodies from disease, decay and putrefaction”. Cfr. L.ABRAHAM,
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“The Ecstasy” è il testo probabilmente più discusso dalla critica23 essendo un‟opera
particolare, che vede l‟intersezione di più codici e linguaggi, tra i quali spiccano quello amoroso, quello religioso e, appunto, quello alchemico. Tale intersezione conduce a due importanti esiti: l‟associazione dell‟estasi d‟amore all‟estasi religiosa e la realizzazione piena dell‟intero processo alchemico.
L‟estasi, ovviamente uno dei concetti centrali nonché titolo del testo, è riconducibile ad ognuno di questi codici essendo un motivo dominate a tutti e tre i livelli di significazione. In primo luogo, il codice amoroso consente la caratterizzazione dell‟estasi amorosa e del rapporto tra i due amanti, i quali si descrivono come “one another‟s best” (v. 4). Il codice religioso, dall‟altra parte, permette la giustapposizione dell‟estasi religiosa a quella d‟amore, aspetto evidente quando il corpo viene associato al Libro sacro (“the body is his book”, v. 72), sfiorando la blasfemia. Quello alchemico, infine, fa da collante tra i primi due, soprattutto grazie al ricorso alla metafora delle nozze alchemiche, un‟immagine tra le più diffuse per rappresentare il compimento dell‟Opus Alchemicum. L‟esito felice dell‟operazione è riprodotto nel testo attraverso l‟attivazione di questo stesso codice e si realizza contemporaneamente su due piani: quello fisico (essoterico), con la produzione della pietra filosofale e quello spirituale (esoterico), con il raggiungimento dell‟estasi filosofica, appunto.
Il lavoro dell‟alchimista inizia ai vv. 1-4:
Where, like a pillow on a bed, A Pregnant bank swelled up to rest The violet‟s reclining head,
Sat we two, one another‟s best. (vv. 1-4)
Nella prima stanza, i due principi, lo Zolfo e il Mercurio qui rappresentati dall‟uomo e dalla donna, vengono collocati nel Philosopher’s Egg, ossia il contenitore ovoidale in cui si verifica l‟unione delle due sostanze.24 Donne rappresenta questo utensile tramite
l‟associazione metaforica con il letto nuziale in cui avviene l‟unione fisica tra l‟uomo e la donna. Lo scenario è ricco di elementi che suggeriscono questa unione: “pillow”(v. 1), “bed” (v. 1), “pregnant bank swelled up” (v. 2), “reclining head”(v. 3). Questi primi versi
23 Cfr. J.WALKER, “John Donne‟s „The Ecstasy‟ as an Alchemical Process”, in English Language Notes, Sept. 1982, Vol. 20, Issue 1, pp. 2-10.
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giocano sull‟idea della riproduzione, sia umana che vegetale (vedremo nella decima stanza che la violetta si duplicherà), con l‟intento di mostrare che essa può portare a rinnovata forza e vitalità. In particolare, la menzione del dettaglio della violetta (“violet”, v. 3) con il capo reclinato è un elemento di grande ambiguità semantica. Infatti, iconicamente essa allude alla posizione degli amanti al culmine della loro unione, è quindi correlata all‟idea di riproduzione, ma sorprende notare che questi sono seduti senza imitare la postura della violetta che, in realtà, è reclinata in avanti. Sono diverse le interpretazioni che si potrebbero sviluppare: probabilmente la scelta di questo fiore è dovuta al fatto che tradizionalmente era considerato sacro a Venere e aveva connotazioni erotiche nella poesia classica.25 Un‟altra possibile interpretazione è quella relativa alle
proprietà guaritrici di questo fiore dato che esso in passato era spesso usato per le sue proprietà medicinali.26 Infatti, il suo ripresentarsi nel corso del poema (come vedremo al v.
37) supporta l‟idea di miglioramento e di guarigione, a cui allude Donne. A supporto di questa tesi va anche il termine “intergraft” (v. 9) coniato dall‟autore ma riconducibile a
„graft‟. Quest‟ultimo, infatti, oltre che in rifermento alle piante, può essere utilizzato in
campo medico per indicare la pratica del trapianto, sottolineando la gravità della separazione tra corpo e anima. Un altro nesso intertestuale può essere a Shakespeare, più precisamente all‟isotopia assiologicamente positiva, dell‟engrafting evidente nei Sonnets (cfr. ad esempio il Sonnet 15, v. 14, “I engraft you new”).
Altri riferimenti più espliciti e diretti al processo alchemico compaiono sul piano lessicale nella seconda quartina: “cimented” (v. 5) e “balm” (v. 6). Come si legge nell‟OED (cfr. la nota 23), il primo aveva nel XVI secolo un dominante significato alchemico e indicava il processo di combinazione di due sostanze sciolte ad alte temperature senza che avvenisse la liquefazione. Il “balm”, invece, incorpora il doppio significato dell‟unione fisica e spirituale degli amanti: “Our hands were firmly cemented/ With a fast balm […] ” (vv. 5-6). È il “balm” (v. 6) a tenere saldamente (“firmly”) uniti (“cemented”) gli amanti: essendo un principio vitale sia interno che esterno all‟uomo, esso ne permette la coesione, sia fisica sia spirituale. Questo aspetto aggiunge un‟ulteriore implicazione all‟unione se consideriamo il significato mistico posseduto dal termine: i due corpi risultano uniti con
25 E.MCLAUGHLIN, “The Ecstasy-Deceptive or Authentic?”, Bucknell Review, No. 3, 1970, p. 71. 26 H.BLOOM, John Donne, Infobase Publishing, Broomall 2009, pp. 40-1.
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una forza vitale tale da combinarsi a vicenda senza perdersi né dissolversi, similmente a quanto avviene, durante la cimentation, senza la liquefazione tra le due sostanze.
A questo punto del testo, gli amanti si trovano in una situazione di stasi potenzialmente privati di sbocchi in un‟azione, poiché i loro corpi giacciono immobili come statue sepolcrali (“like sepulchral statues lay”, v. 18). Tuttavia mentre i loro corpi sono fermi, le loro anime (“souls”, v. 17) interagiscono in una relazione che potremmo definire di “negoziazione” (“whilst our souls negotiate there”, v. 17), cioè di condivisione: finalmente non sono solo le mani a toccarsi, ma anche le anime iniziano a sperimentare l‟esperienza aggregativa che finora era stata riservata ai corpi. A questa fase ne segue poi un‟altra, che possiamo definire di “comunicazione perfetta” in cui avviene la condivisione del codice: le anime ora si intendono perché “spake the same” (v. 26). Di conseguenza, gli amanti che prima erano in negoziazione, quindi in un‟opposizione duale inconciliabile, ora si preparano a diventare una cosa unica: tramite la condivisione del codice, essi interagiscono come opposti complementari in perfetto equilibrio polare, come i partecipanti a una comunicazione felice e funzionante. Inizia così l‟unione spirituale e si avvia con essa il reciproco scambio tra gli opposti:
He (though he knew not which soul spake, Because both meant, both spake the same) Might thence a new concoction take And part far purer than he came.
(vv. 25-8)
Donne decide di introdurre una nuova presenza (“He”, v. 25) che possa dare una svolta alla situazione di stallo in cui si trovano gli amanti. Possiamo affermare che questo terzo elemento interviene chiaramente a più livelli (Walker 1982, p. 5): a livello alchemico, esso rappresenta il catalizzatore, vale a dire il sale che, nell‟Opus, media l‟unione tra Zolfo e Mercurio. Sul piano umano, esso è interpretabile come il cupido o il sacerdote che celebra le nozze della coppia di amanti o addirittura il vero amore personificato che conduce in un caso all‟unione sessuale e nell‟altro a quella matrimoniale. Infine, a livello mistico, esso è la grazia divina che combina le anime dei due in un‟estasi spirituale. Vari elementi testuali segnalano ciò che sta avvenendo: le anime “spake the same” (v. 26), vi è il riferimento diretto, al v. 27, ad una “new concotion” (cfr. la figura 3), lessema il cui significato primario è “digestione” ma che all‟epoca aveva anche l‟accezione alchemica di “sublimazione” e
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“purificazione” (Serpieri e Bigliazzi 2007, p. 341). In termini alchemici esso indica infatti la separazione della parte impura di una sostanza da quella pura tramite il calore (Abraham 1998, p. 55) e quindi, per analogia, di purificazione dell‟anima dell‟adepto. Anche l‟OED27
ci spiega che la digestion consiste nella preparazione di una sostanza grazie all‟azione del fuoco. Infine, l‟ultimo indizio è la menzione, nell‟ottava quartina e per la prima volta nel testo, dell‟estasi, preceduta da “this” (“this ecstasy”, v. 29), un deittico riferito proprio al risultato del processo, compiutosi nella quartina precedente.
Figura 3. Conjunctio. Da Villanova,
Rosarium Philosophorum (1550).
Le quartine dalla quarta alla settima possono essere lette, quindi, in tre modi differenti: dal punto di vista esistenziale, in senso alchemico essoterico e in senso alchemico esoterico. La lettura dalla prospettiva umana è motivata dalla presenza dei tre protagonisti nel componimento: l‟uomo, la donna e lo spettatore. Quella dal punto di vista essoterico è giustificata dal compimento dell‟opera alchemica con la produzione della pietra filosofale attraverso l‟unione di Zolfo e Mercurio. Infine, la lettura secondo l‟ottica esoterica è motivata dalla combinazione delle anime in un‟estasi spirituale per mezzo della grazia divina che consente l‟unione rituale della coppia.
Le successive cinque quartine, dall‟ottava alla dodicesima (vv. 29-48) alludono ad un‟altra componente del processo alchemico: la pietra filosofale è stata prodotta (“This
27 Cfr. OED, alla voce “digestion”, 5: “The operation of preparing a substance by the action of
gentle heat; concotion maturation, condensation, coagulation; also susceptibility to this operation, and concretely the condition resulting from it.”
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ecstasy”, v. 29) e ha ora bisogno di raffreddarsi in modo che tutte le sue virtù si possano finalmente manifestare. Sugli amanti, essa sembra esercitare un potere fortemente spirituale, di illuminazione gnostica: ha la capacità di “unperplex and tell us what we love” (vv. 29-30), di far capire loro che in realtà l‟amore “was not sexe” (v. 31). In questo momento non vi è azione ma viene esaltata l‟influenza della pietra grazie, ancora una volta, all‟immagine della violetta (“violet”, v. 37). L‟impiego di questa metafora illustra il benevolo potere di trasformazione della pietra filosofale:
A single violet transplant,
The strength, the colour, and the size, (All which before was poor, and scant) Redoubles still, and multiplies.
(vv. 37-40)
Se nella sua prima apparizione la violetta era riferita al singolo individuo con una sola testa (“head”, v. 3), nella decima stanza viene raddoppiata (“redoubles”, v. 40) passando da singolo fiore (“single violet”, v. 37) con cinque petali ad uno doppio con dieci: è stata trasformata in un fiore migliore grazie all‟azione della pietra filosofale (Walker 1982, p. 7). Questo perfezionamento corrisponde analogicamente all‟influenza che la pietra avrebbe sulle sostanze, affinandole fino a elevarle al più alto stato di esistenza naturale.
Le quartine finali, dalla tredicesima alla diciannovesima (vv. 49-79), metaforizzano l‟ultima fase del processo alchemico: l‟applicazione pratica della pietra filosofale, a sua volta equiparabile agli effetti che l‟unione degli amanti esercita su altre persone. In primo luogo, la pietra agisce sui corpi degli amanti che da “dross” (v. 56) diventano “allay” (v. 56) e vengono perciò rivalutati quali intermediari indispensabili delle anime:
T‟ our bodies turn we then, that so Weak men on love revealed may look; Love‟s mysteries in souls do grow, But yet the body is his book. (vv. 69-72)
L‟unione fisica che porta i “bodies” (v. 69) a diventare un doppio “we” (v. 69) può servire da esempio per gli “weak men” (v. 70). Questi ultimi sono interpretabili sia come coloro che hanno poca fiducia nell‟amore sia come coloro che sono proiettati solamente verso gli obiettivi materiali dell‟alchimia. L‟amore diventa qui una religione, il cui mistero è rappresentato dagli amanti e la cui rivelazione è il corpo come libro da leggere e
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interpretare:28 “but yet the body is his book” (v. 72). L‟allusione, qui, sembra essere al
Libro per eccellenza, la Bibbia. In questo senso, Donne raggiunge qui una sacralità che potremmo definire, con Serpieri e Bigliazzi,29 forse blasfema, per l‟associazione della sfera
religiosa a quella sessuale e per l‟equiparazione dell‟illuminazione religiosa all‟estasi d‟amore ma che in realtà esplode in tutta la sua pienezza semiotica e profondità umana, sacralizzando l‟unione erotica.
Alla conclusione del processo, durante il quale si sono verificati, come si ricorderà, una serie di passaggi chiave (la collocazione degli elementi nel pot, la produzione, il raffreddamento e l‟utilizzo della Philosopher’s Stone) gli amanti sono dunque pronti a ricongiungersi ai loro corpi: “To our bodies turn we then” (v. 69). In questo componimento i “bodies” (v. 69) diventano così strumenti necessari alla rivelazione completa dell‟amore, diversamente da ciò che accade in “A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day” in cui essi si erano ridotti a inutili carcasse, rimaste desolatamente vuote dopo la trasformazione.
In conclusione, rispetto agli altri due testi analizzati, possiamo riscontrare in “The Ecstasy” un ulteriore sviluppo nell‟utilizzo donniano del codice alchemico. La presenza di quest‟ultimo si palesa fin dai primi versi per poi dispiegarsi lungo tutte le quartine per descrivere dettagliatamente l‟intero processo di produzione della pietra filosofale. Se, infatti, in “Love‟s Alchemy” troviamo una critica alla pratica alchemica e in “A Nocturnal upon Saint Lucy‟s Day” ravvisiamo la rappresentazione di una sola fase dell‟Opus, quella disforica della nigredo, qui, invece, Donne traspone poeticamente, l‟intero procedimento, facendo sì che prenda gradualmente forma sotto i nostri occhi. In “The Ecstasy” Donne, attraverso la sua parole poetica, si fa, quindi, vero e proprio alchimista: come quest‟ultimo combina gli elementi nell‟alambicco, gestisce il fuoco, la temperatura e tutti gli altri fattori funzionali all‟Opus, così egli combina, con l‟intensità e la ricchezza a lui proprie, i lessemi, l‟imagery e le figure retoriche per rappresentare un‟estasi d‟amore che è contemporaneamente anche estasi versificatoria. Ancora una volta, il nesso con il codice alchemico è per questo poeta funzionale al raggiungimento di precisi esiti artistici, conferendo straordinaria concretezza a un‟esperienza come quella dell‟estasi, di fondamentale importanza nella visione del mondo di questo grande autore metafisico.
28A.SERPIERI E S.BIGLIAZZI, op. cit., p. 347. 29 Ibidem.