• Non ci sono risultati.

Safinamide: prospettiva terapeutica nel morbo di Parkinson

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Safinamide: prospettiva terapeutica nel morbo di Parkinson"

Copied!
39
0
0

Testo completo

(1)

1

Indice

Pag.

1. INTRODUZIONE ... 2

1.1 Trattamento della malattia di Parkinson ... 8

2. SAFINAMIDE ... 12

2.1 Attività di safinamide ... 13

2.1.1 Modulazione dell’attività dopaminergica ... 13

2.1.2 Inibizione dei canali del sodio ... 19

2.1.3 Modulazione dei canali al calcio ... 20

2.1.4 Inibizione del rilascio di glutammato ... 20

2.2 Neuroprotezione ... 23

2.3 Caratteristiche farmacocinetiche di safinamide ... 24

2.4 Studi clinici con safinamide ... 26

2.5 Tollerabilità e reazioni avverse ... 31

3. CONCLUSIONI ... 32

(2)

2

1. INTRODUZIONE

Il Morbo di Parkinson è una malattia neurologica degenerativa,di elevato interesse sociale, in grado di limitare il paziente dal punto di vista motorio ed intellettivo, diminuendone progressivamente l’autonomia. Il morbo di Parkinson, descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817, che la definì paralisi agitante, è la malattia neurologica degenerativa più diffusa dopo la malattia di Alzheimer (Epicentro, 2011). La malattia è clinicamente caratterizzata da tremore a riposo, bradicinesia, rigidità e gait disturbi, che evolvono in un periodo di tempo variabile di 10-15 anni, riflettendo così la progressiva degenerazione dei neuroni dopaminergici nella pars compacta della sostanza nera. Tali neuroni vanno a formare la via ascendente nigrostriatale, per cui la loro perdita porta alla conseguente riduzione del contenuto in dopamina nel corpo striato (nucleo caudato e putamen) e, come evento finale, perdita del controllo dopaminergico sulla regolazione del movimento. La terapia farmacologica, in grado di migliorare I sintomi parkinsoniani, rimane la strategia terapeutica fondamentale, sebbene la progressione della malattia porti alla comparsa di sintomi che non rispondon al trattamento farmacologico o che sono causati da quest’ultimo. Infatti, le discinesie e le fluttuazioni delle funzioni motorie sono frequentemente spiegate come sintomi di natura dopaminergica della malattia, sebbene tali complicanze sono da riferire all adegenerazione della nigrostriatale acuita e svelata dal trattamento con farmaci dopaminergici.

Il morbo di Parkinson è più frequente nell’età adulta, colpendo individui ad con età media di circa 55 anni, mentre la sua comparsa prima dei 40 anni di vita

(3)

3

deve considerarsi un evento raro. Infatti, la prevalenza (ovvero il numero di persone affette in un dato periodo per 100.000 abitanti) cresce in maniera lineare all’aumentare dell’età, ed è più comune sopra i 60 anni.E’ stato calcolato che la prevalenza nella popolazione totale è di 20 casi su 100.000, ma sale circa a 120 casi su 100.000 sopra i 70 anni, con una maggiore incidenza negli uomini (1,5-2 volte) rispetto alle donne (Epicentro, 2011).

In Italia la malattia di Parkinson colpisce circa il 2% della popolazione sopra i 65 anni, e l’Istituto Superiore di Sanità stima i casi sul territorio italiano in circa 220.000 individui. Dalla revisione dei dati disponibili si evince una differente distribuzione geografica della malattia: ad esempio, nel periodo 1969-1987 il tasso di incidenza del morbo di Parkinson aumentava andando dal Friuli Venezia Giulia al Piemonte (Epicentro, 2011)

Tali stime sono però approssimative e forse sottostimate per la difficoltà che tali tipi di ricerche comportano, quali l’esatta diagnosi e la rappresentatività del campione esaminato, scale di valutazione diverse, modalità di arruolamento della popolazione in esame.

È indubbio che la genesi della malattia di Parkinson debba essere considerata multifattoriale, per cui una prima ipotesi legava la malattia all’esposizione protratta a una o più sostanze tossiche in soggetti geneticamente predisposti a sviluppare il danno cellulare a carico dei neuroni dopaminergici (Warner e Shapira, 2003). Questa tesi è sostenuta dalla scoperta effettuata nel 1983 da Langston e colleghi di un gruppo di parkinsoniani della California del nord. La malattia era esordita in maniera acuta con un sensibile peggioramento nelle settimane seguenti. Tutti i pazienti affetti erano tossicodipendenti ed in ogni caso il morbo si sviluppò dopo l’uso endovenoso

(4)

4

di un composto narcotico di sintesi. Dopo un intenso lavoro di ricerca, la sostanza tossica fu isolata e identificata, trattandosi della 1-metil-4 fenil-1,2,3,6 tetraidropiridina (MTPT). Nonostante ciò, la predisposizione genetica della malattia non sembra essee un fattore di rischio maggiore, ad eccezione di rare forme della malattia.

Anche dati epidemiologici sembrano confermare l’ipotesi tossica del morbo di Parkinson; ad esempio, negli Stati Uniti d’America, è stata osservata un’associazione significativa tra i tassi di mortalità per parkinsoniani negli anni 1986-1988 e la presenza di industrie chimiche sul territorio (Epicentro, 2011).

Recentemente, invece, la teoria più accreditata prevede che i neuroni dopaminergici siano danneggiati e vadano incontro a morte a causa dello stress ossidativo che induce la formazione di radicali dell’ossigeno. Pertanto, per tale teoria, che ripropone alcuni aspetti essenziali dell’eccitotossicità da glutammato (Mytilineou et al, 1997), la morte neuronale sarebbe mediata da molecole altamente reattive che, in caso di accumulo, possono causare gravi e irreparabili danni agli acidi nucleici, alle proteine e ai lipidi di membrana. Oltre allo stress ossidativo, altri cause quali neuroinfiammazione (Hunot et al, 2003), alterazioni dei processi di ubiquitinazione e successiva degradazione tramite il proteasoma (McNaught e Olanow, 2003) e disfunzioni mitocondriali (Schapira et al, 1998) sono stati chiamati in causa.

In tal senso, la prospettiva di una terapia farmacologica che potesse ridurre l’estensione, l’intensità e la progressione del danno neuronale da radicali liberi rappresenterebbe un interessante capitolo del trattamento della malattia di Parkinson, insieme ai farmaci già impiegati.

(5)

5

Poiché il morbo di Parkinson è una malattia neurologica degenerativa che colpisce le vie dopaminergiche, ed in particolare quella nigro-striatale, la gravità dei segni e dei sintomi che compaiono nel paziente è proporzionale al danno cellulare nella sostanza nera (McNaught e Olanow, 2003). Il tremore, che è un sintomo caratteristico dell amalattia, si manifesta come un’oscillazione ritmica e involontaria e si nota ancora di più quando il soggetto è a riposo, a adifferenza di un tremore intenzionale durante l’esecuzione di un movimento. Il tremore interessa un arto, più frequentemente il superiore, quindi si propaga all’inferiore omolaterale o contro lateralmente. L’inizio all’arto superiore è 10 volte più comune rispetto all’inferiore, mentre la testa è interessata raramente anche nelle fasi avanzate della malattia (Schapira et al, 1998).

All’inizio la sintomatologia è presente in maniera intermittente, e l’intensità e la durata del tremore aumentano con gli anni fino a raggiungere un apice, sebbene nelle fasi avanzate delle malattia essa può ridursi completamente fino a scomparire in alcuni casi. L’esatta patogenesi è ancora sconosciuta, ma una disfunzione nigrostriatale è necessaria per produrre il sintomo negli animali da esperimento (Schapira et al, 1998). La riduzione del tremore nella fasi finali della malattia, quando il deficit di dopamina è massimo, indica che altri fattori sono interessati.

Assieme al tremore, la bradicinesia è forse il sintomo più caratteristico della malattia, e si manifesta come un ritardo di inizio e un rallentamento nella velocità di esecuzione del movimento (Jankovic et al, 2005). Questo si nota soprattutto in quelle attività che richiedono l’uso di azioni ripetitive tanto che il movimento si esaurisce dopo pochi secondi. La gravità della bradicinesia aumenta con la durata della malattia ed è correlabile con il grado di deplezione di dopamina striatale. Tuttavia la

(6)

6

mancata risposta alla terapia dopaminergica nelle fasi avanzate di malattia indica che un altro meccanismo è verosimilmente interessato. Una lentezza ed una incapacità ad iniziare il movimento si riscontrano anche in soggetti anziani non affetti da Morbo di Parkinson, come rilevato dai tempi di reazione e di movimento confrontati con soggetti più giovani. Tuttavia, nei parkinsoniani sembrerebbe compromesso il programma motorio con incapacità a cambiare repentinamente un programma già impostato cioè ad iniziare ed a selezionare automaticamente i vari programmi motori presenti. Negli anziani la bradicinesia è sempre bilaterale, a differenza di quello che accade nel Parkinson, dove all’inizio della malattia è asimmetrica, interessando solo un lato del corpo. Questo è particolarmente evidente nell’assenza dei movimenti di un braccio nella deambulazione (pendolarismo) che si osserva già nelle fasi iniziali della malattia. La bradicinesia è quasi sempre associata alla rigidità e questi due sintomi sono quasi sempre di uguale intensità. Tuttavia, negli stadi avanzati della malattia, la terapia con levodopa riduce la rigidità ma non migliora la bradicinesia.

Per rigidità si intende un aumento del tono muscolare legato ad una contrazione sia degli muscoli antagonisti che degli agonisti (Pahwa et al, 2006), essendo quinti interessati sia i muscoli estensori che i flessori. La resistenza al movimento passivo è uguale in tutte le direzioni e per tutto l’arco del movimento. Come per il tremore, la rigidità all’inizio è asimmetrica ed interessa prevalentemente i distretti prossimali, per poi diffondersi distalmente. Alla fine tutti i muscoli sono coinvolti compresi quelli del tronco e del collo, provocando la classica postura di anteroflessione del tronco. La patogenesi della rigidità non è ancora ben chiarita, ma esiste una correlazione con la carenza di dopamina striatale (Pahwa et al, 2006).

(7)

7

Oltre ai sintomi e segni di coinvolgimento motorio, nel morbo di Parkinson possono essere presenti molti i disturbi non motori e che spesso richiedono l’intervento dello specialista neurologo. Fra questi devono essere ricordati la depressione, l’ipotensione ortostatica, i disturbi del sonno, la perdita del peso, la chiusura forzata delle palprebe, la scialorrea, la disfagia, i problemi respiratori, la stipsi, l’aumento della sudorazione, e gli edemi declivi.

L’ipotensione ortostatica è un disturbo che può impedire anche il proseguimento di adeguate cure antiparkinson, infatti i farmaci antiparkinson, come la levodopa e agonisti dopaminergici, possono causare fenomeni ipotensivi ortostatici fino agli attacchi sincopali: l’ipotensione ortostatica provoca un senso di instabilità, una sensazione di mancamento, di offuscamento visivo. Trattamenti farmacologici che aiutino ad aumentare il tono vascolare ed il ritorno venoso devono essere considerati. Nal paziente parkinsoniano può comparire scialorrea, mentre la disfagia può impedire una corretta alimentazione. E’ possibile osservare alterazioni della motilità esofagea che si rifletterebbero negativamente sulla deglutizione.

Così come l’eziologia del morbo di Parkinson deve essere considerata multifattoriale, in maniera simile le manifestazioni sintomatiche ed obiettive della malattia possono colpire diversi organi, sistemi ed apparati. Un sintomo ricorrente nella patologia del Parkinson è rappresentato dalla depressione endogena, che può essere correlata ad un deficit di monoamine, ed è indipendente dall’età, dalla durata e dalla gravità della malattia. Studi neurochimici ed evidenze neuropsicologiche cliniche, metaboliche, farmacologiche, suggeriscono che alla base della depressione nella malattia del Parkinson vi sia un interessamento delle proiezioni dopaminergiche mesocorticali prefrontali, coinvolte nelle risposte di gratificazione e

(8)

8

motivazione. In definitiva, la depressione può essere considerata parte integrante della sintomatologia parkinsoniana, ed è necessario un trattamento farmacologico specifico (Winogrodzka et al, 2003). Per la scelta del tipo di terapia da intraprendere, del tipo di antidepressivo da usare, è necessaria una accurata valutazione clinica, tenendo in considerazione la terapia di base, l’emivita plasmatica, la rapidità della clereance e della risposta clinica dell’antidepressivo, senza trascurare il dosaggio e i tempi della somministrazioni. In tal senso, pertanto, come esiste una documentata degenerazione dei neuroni dopaminergici della via nigrostriatale, è verosimile che la malattia coinvolga anche altre vie dopaminergiche, come appunto quella meso-corticale che raggiunge i lobi frontali, i quali interagiscono con molte importanti funzioni cognitive che includono l’attenzione, la vigilanza (Winogrodzka et al, 2003), e quella meso-limbica, per quanto riguarda l’aspetto comportamentale ed emozionale. L’interferenza con queste vie può spiegare alcuni dei sintomi neurologici (rallentamento dell’ideazione) e psichiatrici (alterazioni dell’umore e dell’affettività) che comapiono nel paziente parkinsoniano con una lunga storia di malattia. Un altro disturbo è rappresentato dalla perdita di memoria, con una minore capacità di recuperare informazioni immagazzinate, e che si manifesta, ad esempio, con la difficoltà a ricordare i nomi della persone (Winogrodzka et al, 2003).

1.1 Trattamento della malattia di Parkinson

Un trattamento efficace dei sintomi e dei segni tardivi della malattia, così come la riduzione della progressiva e continua degenerazione cellulare non sono da considerare strategie terapeutiche possibili al momento. Nonostante in modelli

(9)

9

sperimentali sia stata dimostrata la possibilità di arrestare la degenerazione dei neuroni dopaminergici con numerosi farmaci (Ravina et al, 2003; Stocchi et al, 2003), la prova clinica di una tale evenienza non è stata ancora raggiunta. Pertanto, il trattamento sintomatico rimane l’opzione terapeuticamente più efficace, mediante somministrazione di farmaci agonisti dopaminergici (levodopa), inibitori della mnoaminoossidasi di tipo B (MAO-B) e delle catecolo-O-metiltransferasi (COMT) che compensano il deficit nelle vie dopaminergiche nigrostriatali. L’impiego di questi farmaci può però essere associato all’insorgenza di effetti collaterali e tossici anche gravi. Ad esempio, il trattamento con levodopa può portare alla comparsa di numerosi effetti collaterali e tossici, che possono aggravare il quadro sintomatologico, in dipendenza della dose e della durata di somministrazione del farmaco, cosicché l’impiego della minima dose efficace e l’inizio tardivo del trattamento possono ridurre tali rischi. Anche l’uso degli inibitori delle COMT possono portare a discinesia nei pazienti sucettibili (Lewitt, 2004). Negli stati precoci della malattia, quando sono impiegati agonisti dopaminergici al fine di ritardare la necessità di levodopa, è possibile che compaiano vegetazioni cardiache (van Camp et al, 2004; Zanettini et al, 2007), oppure ipersonnia, edemi declivi e disordini compulsivi come nel caso di ropirinolo e pramipexolo (Thomas et al, 2006; Kleiner-Fisman e Fisman, 2007). Per quanto riguarda i farmaci inibitori MAO-B, uno studio ha dimostrato un peggioramento della discinesia mentre un altro trial clinico non ha mostrato sostanziali modificazioni (Waters et al, 2004; Pahwa et al, 2006). Oltre a ciò, ad elevate dosi selegilina (il primo iMAO-B impiegato in clinica) perde la sua specifità per l’isoforma B, potendo inibire anche l’isoforma A (24), e alcuni dei suoi metaboliti simili strutturalmente a metamfetamina sono coinvolti nella tossicità cardiaca, compresa l’ipertensione. Nonostante amantadina sembri

(10)

10

esercitare un effetto neuroprotettivo inibendo i recettori NMDA implicati nella neurodegenerazione da eccitotossicità nei gangli della base (Moresco et al, 2002), la somministrazione del farmaco può essere associata ad effetti tossicit che ne limitano l’impiego in alcuni pazienti (Thomas et al, 2004). Infine, i farmaci anticolinerigci impiegati in associazione a levodopa possono reazioni avverse comprese xerostomia, disturbi cognitivi che ne limitano l’uso (Rezak, 2007).

Altri aspetti importanti devono essere considerati nel trattamento della malattia di Parkinson. Poiché l’effetto del trattamento con agonisti dopaminergici, ed in particolare levodopa, si riduce progressivamente nel tempo, è possibile assistere all’insorgenza di un effetto di fine dose, detto anche wearing-off, caratterizzato da una rapida comparsa di rigidità e acinesia qualche ora dopo la somministrazione del farmaco. Tale effetto può solo in parte essere superato con dosi crescenti di levodopa, perché all’aumentare del dosaggio aumenta il rischio di comparsa di discinesie e di movimenti involontari anormali. Questi effetti della terapia farmacologica compaiono quando le concentrazioni plasmatiche del farmaco sono elevate, potendo però comparire anche quando i livelli plasmatici sono in diminuzione o in ascesa. Inoltre, negli stadi avanzati della malattia, il paziente può sperimentare rapide fluttuazioni della sintomatologia, passando da periodi in cui l’individuo trae beneficio dal trattamento a stadi nei quali la terapia non ha efficacia, e tale situazione è definita fenomeno ON/OFF. Questo fenomeno sarebbe legato non solo ad un processo adattativo alle variazioni dei livelli plasmatici di dopamina, ma anche ad alterazioni recettoriali sia a carico della componente dopaminergica che di quella glutamatergica (Hallet e Standaert, 2004).

(11)

11

Pertanto, la malattia di Parkinson può essere trattata con numerosi classi di farmaci, sebbene la somministrazione di molti farmaci antiparkinsoniani possa essere associata all’insorgenza di effetti collaterali o tossicità che limitano significativamente il beneficio terapeutico. La possibilità di identificare nuovi bersagli molecolari e quindi nuovi agenti farmacologici o nuove strategie terapeutiche che possano ad esempio ritardare l’impiego di agonisti e, al contempo, svolgere un’azione neuroprotettiva rappresenta un’importante area di ricerca e sviluppo nei prossimi anni (Bonuccelli e Del Dotto, 2006).

(12)

12

2. SAFINAMIDE

Safinamide è un farmaco somministrabile per os e caratterizzato da elevata potenza, ampio spettro di attività e buona tollerabilità. Per questo, attualmente safinamide è in fase 3 di sperimentazione, che nella terapia della malattia di Parkinson avrebbe il ruolo di alleviare i sintomi e rallentare la progressione della malattia (Fariello, 2007). Studi preliminari in modelli sperimentali suggeriscono che la molecola possa avere effetti neuroprotettivi, e questo rappresenterebbe un significativo vantaggio per il farmaco rispetto ad altri agenti farmacologici usati per il trattamento del morbo di Parkinson.

Figura 1. Struttura chimica di safinamide

Safinamide deriva da un attento programma di ricerca iniziato alla fine degli anni ’80 presso la Farmitalia Carlo Erba, identificando nella milacemide un farmaco

lead ad attività anticonvulsivante debole combinato con un’azione inibitoria nei

confronti di monoaminossidase A e B (van Dorsser et al, 1983; Pevarello et al, 1998). Dalla struttura amino-amidica, variazioni di diverse parti della molecola

(13)

13

originale hanno condotto a numerosi composti accomunati dalla potente attività anticonvulsivante (Fariello et al, 1998). Dallo screening dei vari composti hits safinamide (inizialmente conosciuto come FCE 26743, poi PNU-151774E e NW-1015) sembrò una molecola interessante per la quale erano necessari ulteriori approfondimenti.

2.1 Attività di safinamide

Safinamide, un sale metanfulfonato di (S)-(+)-2-[4-(3-fluorobenziloxibenzilamino) propanamide], è chimicamente e metabolicamente stabile e solubile in acqua con bassa tossicità e molteplici meccanismi d’azione. Questi comprendono la modulazione specifica del metabolismo della dopamina attraverso l’inibizione reversibile delle MAO-B, un’attività inibitoria sulla ricaptazione della dopamina, il blocco dei canali al calcio e del sodio e l’inibizione del rilascio di glutammato (Chazot, 2001). Gli studi in vitro hanno dimostrato che safinamide non ha affinità con recettori adrenergici, dopaminergici, serotoninergici, GABAergici o glutamatergici (Luszczki, 2009).

La combinazione di queste proprietà offre un sollievo sintomatico (modulazione di dopamina) e neuroprotezione (blocco canali sodio/calcio e del rilascio di glutammato) nella malattia di Parkinson (Binda et al, 2006).

2.1.1 Modulazione dell’attività dopaminergica

Gli enzimi MAO catalizzano la via principale per l'inattivazione dei neurotrasmettitori catecolaminergici, tra cui dopamina. Due isoforme distinte di

(14)

14

MAO sono stati identificati: MAO-A e MAO-B. MAO-A deamina preferenzialmente la noradrenalina e la serotonina, mentre MAO-B mostra affinità per la dopamina e la feniletilamina. Le monoamine sono substrati di entrambe le isoforme, ma negli esseri umani, oltre l'80% di dopamina è metabolizzato dal MAO-B (MAO-Binda et al, 2006). La biotrasformazione di dopamina può condurre alla formazione di sottoprodotti potenzialmente tossici all’interno dei neuroni della substantia nigra e nelle cellule gliali adiacenti (Moussa et al, 2006). Durante questo processo di ossidazione alcune specie attive dell’ossigeno sono generate con conseguente stress ossidativo e morte neuronale. Nelle scimmie e nel cervello umano l’80% della dopamina è preferenzialmente metabolizzata dalle MAO- B. Con l’inibizione di questo enzima si ha quindi una riduzione della progressione del processo neurodegenerativo indotto da questi meccanismi ossidativi, radicali liberi e tossine (Golbe et al, 1988).

Mentre gli inibitori reversibili delle MAO-A sono stati indicati nel trattamento della depressione, l'inibizione selettiva della MAO-B ha un ruolo terapeutico nel trattamento del morbo di Parkinson (Binda et al, 2006; Moussa et al, 2006).

L’inibizione aspecifica delle isoforme MAO può far sì che ammine di origine alimentare entrino nel sistema circolatorio, dove possono indurre la liberazione di noradrenalina dai neuroni adrenergici periferici, con una conseguente risposta ipertensiva grave e potenzialmente fatale. Per evitare questo effetto, sono stati sviluppati inibitori MAO-B ad elevata selettività (Moussa et al, 2006). Safinamide è un modulatore dopaminergico che presenta un’azione inibitoria potente e reversibile nei confronti di MAO-B, con un’attività altamente selettiva maggiore a quella di

(15)

15

selegilina e di rasagilina. Studi in vitro hanno dimostrato che è possibile ottenere un’inibizione completa delle MAO-B piastriniche umane con dosi pari a 0,6 mg/kg dopo somministrazione di safinamide per via orale (Caccia et al, 2006) (Figura 3), con valoridi IC50 pari a 9,3 nM. Altri studi condotti su volontari sani hanno

confermato tali risultati per dosi variabili da 25 a 2500 µg/kg (Fariello, 2007).

Negli studi eseguiti nei modelli preclinici, la selettività di safinamide per MAO-B è stata 5000 volte maggiore rispetto a quella per le MAO-A, mentre per selegilina e rasagilina tale risultato è stato pari a 127 volte e 103 volte, rispettivamente (Borbe et al, 1990; Youdim et al, 2001; Caccia et al, 2006). Questo livello di selettività permette una maggiore sicurezza nell’impiego di safinamide rispetto alle precedenti generazioni di MAO-B inibitori, sebbene siano necessari ulteriori approfonditi studi (Cattaneo et al, 2003). Oltre all’elevata selettività, l’inibizione di MAO-B da parte di safinamide è completamente reversibile, poiché il farmaco non forma legami covalenti ed irreversibile con le MAO-B come invece accade per selegilina e rasagilina (Binda et al, 2007). Infatti, l’inibizione enzimatica di safinamide non dipende dal tempo di preincubazione tra l’enzima e l’inibitore, e questo significa che l’inibizione enzimatica è raggiunta immediatamente dopo la formazione del complesso enzima/inibitore senza necessità di un legame covalente come invece è tipico nel legame irreversibile (Waters et al, 2006). Questo è un vantaggio importante per i pazienti colpiti da eventi avversi che devono essere trattati con altri farmaci, dato che la reversibilità dell’azione di safinamide riduce il rischio di potenziali interazioni tra farmaci (Cattaneo et al, 2003).

In modelli preclinici, gli esperimenti ex vivo dopo trattamento per via orale con safinamide hanno dimostrato che il farmaco inibisce le MAO-B cerebrali

(16)

16

lasciando le MAO-A inalterate (Waters et al, 2006). Inoltre, l’attività MAO-B riprende rapidamente, a partire da 8 ore dopo la somministrazione, suggerendo che

in vivo la safinamide ha una breve e specifica durata d’azione come inibitore

reversibile delle MAO-B. Al contrario rasagilina provoca una duratura inibizione enzimatica, dato che l’attività MAO-B non dimostra ripresa fino a dopo 24 ore, come è tipico degli inibitori irreversibili. Inoltre, l’entità dell’incremento di dopamina dopo 39 settimane di trattamento era simile a quello osservato a 13 settimane, indicando che safinamide non induce tolleranza, anche dopo trattamento cronico. Allo stesso tempo, in animali trattati con safinamide, i livelli di serotonina, norepinefrina e dei loro metaboliti MAO-A dipendenti non erano cambiati.

FIGURA 2: a) rappresentazione degli effetti in vitro su MAO-A e MAO-B nei mitocondri del cervello di ratto; (b) effetti in vitro su MAO-B nelle piastrine e nel cervello umano. (c) effetti in vivo della MAO-A e MAO-B dopo trattamento per via orale; d) confronto dell’attività ex vivo di MAO-B dopo esposizione a safinamide o rasagilina (da Waters et al, 2006)

(17)

17

Figura 3. Effetto inibitorio di una singola dose orale di safinamide sull’attività MAO-B piastrinica in volontari sani (da Fariello, et al, 2007)

È interessante sottolineare che safinamide è stata testata in diversi modelli animali di morbo di Parkinson, come add-on in associazione a levodopa. Nei roditori, fino a 80 mg/kg per via orale safinamide non ha avuto effetto sul metabolismo striatale della dopamina, probabilmente perché in tali specie le MAO-A sono in grado di metabolizzare dopamina (Figura 4). MAO-Al contrario, nei topi di ceppo C57BL, con deplezione di dopamina indotta da MPTP, si nota come safinamide 20 mg/kg aumenti il livello di dopamina al 60% del controllo quando impiegata in associazione a levodopa 100 mg/kg e benserazide 12,5 mg/kg, sostenendo pertanto l’impiego di safinamide nella terapia di add-on del morbo di Parkinson.

(18)

18

Figura 4. Effetto di safinamide sui livelli di dopamina nel cervello di topi C57BL trattati con levodopa quindici giorni dopo MPTP. **, differenze statisticamente significative (da Moussa et al, 2006).

L’effetto neuroprotettivo di safinamide nei confronti di MPTP è stato valutato in modelli sperimentali. Poiché MPTP svolge un’azione tossica sui neuroni dopaminergici dopo biotrasformazione nello ione 1-metil-4-fenilpiridinio (MPP+) attuata dalle MAO-A e MAO-B, l’inibizione MAO-B di safinamide potrebbe svolgere un’azione protettiva (Caccia et al, 2006). Infatti, evidenze sperimentali dimostrano che in presenza di safinamide (somministrata agli animali da esperimento alle dosi di 10-80 mg/kg), la neurodegenerazione indotta da MPTP sulla componente cellulare della sostanza nera è ridotta (Parkinson Study Group, 1989).

Inoltre, un altro meccanismo attraverso il quale safinamide è in grado di modulare la trasmissione dopaminergica consiste nell’inibizione del reuptake della

(19)

19

dopamina, a dosi pari a 3,75 µg/g (Schapira, 2010), potendo spiegare l’effetto sinergico di safinamide con agonisti dopaminergici.

2.1.2 Inibizione dei canali del sodio

Safinamide ha dimostrato di possedere un’alta affinità per il sito di legame II del canali al sodio presenti nella corticale del ratto, potendo inibire le correnti al sodio in maniera dipendente alla concentrazione e allo stato del canale ionico. L’azione inibitrice di safinamide sul canale al sodio è risultata superiore a quella di fenitoina o lamotrigina (IC50, 8 µM rispetto a 47 e 185 µM, rispettivamente; Salvati

et al, 1999). Quando la membrana è depolarizzata, e i canali al sodio sono nello stato inattivato, come può avvenire in alcuni stati patologici, safinamide è tre volte più potente (IC50 = 33 µM) rispetto a quando il canale al sodio è nello stato di riposo

(IC50 = 96 µM), suggerendo una preferenziale interazione con lo stato inattivato del

canale (Caccia et al, 2006). Pertanto, in presenza di safinamide, una percentuale molto maggiore di canali del sodio viene mantenuta nello stato inattivato e ne viene impedita la successiva attivazione. Inoltre, il blocco delle correnti al sodio da parte di safinamide è maggiore in presenza di una stimolazione ad alta frequenza quando molti canali sono in stato inattivato. Questo effetto si traduce in una depressione dell'attività neuronale ad alta frequenza di scarica mentre il farmaco ha una ridotta efficacia durante la normale attività elettrica neuronale, suggerendo che safinamide sia in grado si deprimere selettivamente l'attività elettrica anomala, lasciando inalterata l'attività fisiologica e quindi evitando effetti depressivi del SNC (Caccia et al, 2006). Pertanto, safinamide inibisce la scarica elettrica ad alta frequenza nei neuroni corticali, rallentando il recupero dallo stato di inattivazione e riducendo così

(20)

20

la disponibilità di canali al sodio. Per queste sue proprietà, safinamide è in fase di studio anche come antiepilettico (Errington et al, 2005, Salomé et al, 2010) e come agente per il trattamento del dolore neuropatico (Wang et al, 2011).

2.1.3 Modulazione dei canali al calcio

Nei neuroni corticali di ratto, safinamide è in grado di inibire le correnti di calcio da canali di tipo N (IC50 = 23 µM), suggerendo che il farmaco potrebbe avere

un ruolo nell’inibire il rilascio di neurotrasmettitori (quali ad esempio aminoacidi eccitatori) dalle vescicole presinaptiche, un rilascio che è influenzato significativamente proprio dall’attivazione dei canali al calcio di tipo N (Caccia et al, 2006). In vivo, i canali al calcio di tipo L non sono interessati da safinamide, come dimostrato dalla mancanza di effetti di safinamide (fino a 50 mg/kg per via intraperitoneale nel ratto) su pressione arteriosa, frequenza cardiaca o sulla risposta pressoria alla noradrenalina.

2.1.4 Inibizione del rilascio di glutammato

Nei modelli preclinici è stato dimostrato che safinamide inibisce il rilascio di glutammato indotto dalla depolarizzazione nell’ippocampo di ratto. Ad alte concentrazioni di potassio, il rilascio di neurotrasmettitore è mediato dal calcio, pertanto, bloccando i canali N e quindi la mobilitazione del calcio stesso, safinamide inibisce il rilascio di glutammato. Tenendo conto di queste proprietà (blocco dei canali sodio, al calcio, e del rilascio di glutammato), safinamide è stata valutata in diversi modelli in vivo e in vitro come possibile farmaco con proprietà

(21)

21

neuroprotettive (Caccia et al 2006). Ad esempio, l’apertura prolungata dei canali al sodio sensibili alla veretridina provoca degenerazione cellulare, il danno può essere evitato con l’uso di bloccanti di canali al sodio/calcio (Figura 5).

Figura 5. Morte cellulare indotta da veratidrina ed effetto protettivo di safinamide (da Caccia et al, 2006)

La veratrina, una miscela di alcaloidi vegetali tra cui è presente veratridina, è in grado di aumentare la permeabilità selettiva al sodio delle membrane cellulari, potenziandone l’eccitabilità e la depolarizzazione. Nelle cellule neuronali corticali del topo, l’aggiunta di safinamide un’ora prima di veratrina riduce il danno neuronale con IC50 pari a 1,4 nM, suggerendo che il blocco funzionale di apertura

dei canali al sodio e dei canali al calcio voltaggio dipendenti conduca alla neuroprotezione. Allo stesso modo, l’attività di safinamide ha inibito il rilascio di glutammato indotto da KCl in preparati di ippocampo con valori di IC50 pari a 185,5

(22)

22

Analoghi risultati sono stati ottenuti dopo una duplice esposizione a MPTP, poiché safinamide già alla dose di 10 mg/kg ha ridotto la degenerazione neuronale, con differenze statisticamente significative a partire dalla dose di 20 mg/kg (Figura 6).

Figura 6: effetto neuroprotettivo di safinamide dopo esposizione a MPTP (da Caccia et al, 2006)

L’acido kainico è in grado di indurre uno stato di male epuilettico nell’animale da esperimento accompagnato da neurotossicità probabilmente dovuta al rilascio di glutammato (Maj et al, 1998). In particolare, a 7 giorni di distanza dalla somministrazione di acido kainico (10 mg/kg i.p.), la perdita neuronale nella regione CA4 ippocampale era pari al 66%. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che safinamide era in grado di ridurre sia le crisi epilettiche che la neurotossicità, al pari di lamotrigina (10, 30 mg/kg i.p.) e diazepam (20 mg/kg; i.p.) quando i farmaci erano somministrati 15 min prima dell’acido kainico. È importante sottolinerare che anche lamotrigina sembra avere un effetto neuroprotettivo inibendo il rilascio di glutammato, sostenendo ulteriormente il meccanismo d’azione di safinamide.

(23)

23

Tutte queste evidenze sperimentali sostengono i risultati clinici degli studi, nei quali emerge che l’efficacia di safinamide si osserva non soltanto nell’aumento dei periodi ON e riduzione di quelli OFF, ma anche nella significativa diminuzione delle discinesie (Schapira, 2010), provocate da un’alterazione della regolazione delle trasmissioni glutamatergiche.

2.2 Neuroprotezione

È possibile che l’inibizione delle MAO-B possa prevenire la formazione di tossine o radicali liberi formati dai processi ossidativi. Questo è dimostrato con i tre farmaci inibitori dell’attività MAO-B, ovvero selegilina, rasagilina e safinamide, utilizzando il modello sperimentle di Parkinson indotto con MPTP. Dalla metabolizzazione di MPTP è prodotto il metabolita tossico MPP+, che provoca sintomi simili a quelli del morbo di Parkinson negli esseri umani dato che è selettivamente tossico per i neuroni dopaminergici della substantia nigra negli animali. I tre farmaci sono stati in grado di ridurre la trasformazione di MPTP a MPP+, con la conseguente riduzione dell'effetto neurotossico di MPP+ [46]. Nello studio clinico DATATOP (Deprenyl And Tocopherol Antioxidative Therapy Of

Parkinsonism), l’effetto protettivo di selegilina è stato deludente (Parkinson Study

Group, 1989), mentre, i risultati dello studio TEMPO (TVP-1012 in Early

Monotherapy for Parkinson’s disease Outpatients) hanno mostrato che rasagilina

sembra svolgere un effetto neuroprotettivo, anche se alla valutazione dell’endpoint scelto (miglioramento della scala di valutazione UPDRS [Unified Parkinson’s

(24)

24

statisticamente significativa. Infine, le proprietà neuroprotettive di safinamide, indipendentemente dalla inibizione MAO-B, sono state studiate in modelli in vitro e

in vivo, come descritto nei paragrafi precedenti. È possibile che i meccanismi

d’azione multipli che caratterizzano safinamide possano dare un vantaggio significativo alla molecola rispetto agli altri farmaci.

2.3 Caratteristiche farmacocinetiche di safinamide

Studi preclinici di farmacocinetica sono stati condotti su topi, ratti e scimmie. Safinamide per os, ha elevata biodisponibilità (80%-90%) ed è rapidamente assorbita, con valori di tempo al picco (Tmax) compresi tra 30 minuti e 2 ore, con

un’emivita terminale variabile da 3 a 13 ore nei diversi modelli animali impiegati. È importante sottolineare che la penetrazione del farmaco nel sistema nervoso centrale è elevata, dato che il rapporto di concentrazioni encefalo/plasma varia da 9 nelle scimmie fino a 16 nei roditori, ed è ipotizzabile che nell’uomo si possano raggiungere concentrazioni cerebrali nell’ordine delle micromoli. Infatti, se negli animali da esperimento come le scimmie il rapporto di concentrazioni cervello/plasma è 9, nell’uomo concentrazioni plasmatiche pari a 5 µM dopo dosi di 150 mg/die dovrebbero essere associate a concentrazioni cerebrali di 40-50 µM (Caccia et al, 2006).

Gli studi di farmacocinetica condotti su volontari sani arruolati in studi di fase I hanno dimostrato che l’assorbimento di safinamide è rapido (diffusione passiva) dopo somministrazione orale singola o multipla in condizioni di digiuno,

(25)

25

con valori di Tmax pari a 1,8-2,8 h, i quali possono aumentare quando il farmaco è

somministrato insieme al cibo. A differenza di quanto osservato nei modelli animali, l’emivita di eliminazione è nel range di 21-24 ore, consentendo la monosomministrazione giornaliera (Marzo et al, 2004).

Figura 7: profilo plasmatico di safinamide dopo somministrazione in volontari sani alle dosi di 2,5-10 mg/kg (da Marzo et al, 2004)

Un’altra caratteristica farmacocinetica importante di safinamide è legata all’aumento direttamente proporzionale alla dose somministrata dei valori di area sottesa alla curva concentrazione/tempo fino all’infinito dopo dose singola (AUC0-∞)

o dopo somministrazioni ripetute quando è stato raggiunto lo stato stazionario (AUCss) e di Cmax, indicando una cinetica lineare che non dipende quindi da processi

di eliminazione/escrezione saturabili (cinetica di primo ordine) (Figura 7) (Marzo et al, 2004). Infatti, studi su volontari sani, ai quali sono state somministrate singole dosi variabili da 2,5 mg/kg fino a 10,0 mg/kg o dosi ripetute, hanno confermato la

(26)

26

cinetica lineare di safinamide (Fariello et al, 2001; Marzo et al, 2000), senza un rilevante accumulo allo stato stazionario.

Poiché il farmaco è altamente lipofilo, il volume di distribuzione di safinamide dopo somministrazione per os è di circa 150 l, indicando un’ampia distribuzione extravascolare, nonostante un legame alle proteine plasmatiche pari al 92% (Marzo et al, 2004). Safinamide è ampiamente metabolizzata dalle isoforme del citocromo CYP450, dato che la forma immodificata è presente nelle urine e nelle feci nella quota del 7-10% e del 1,5%, rispettivamente, della dose somministrata. Le isoforme citocromiali interessate sono numerose, CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6 e CYP3A4 CYD2E1, mettendo al riparo il farmaco da possibili interazioni clinicamente evidenti. I principali metaboliti sono rappresentati da un metabolita acido (NW-1153) come tale o N-dealchilato (NW-1689), e dalla specie glucuronata di NW-1689.

2.4 Studi clinici con safinamide

Gli studi clinici su safinamide sono stati condotti su pazienti affetti morbo di Parkinson sia di recente diagnosi che nelle fasi avanzate della malattia. Safinamide è stata somministrata per una durata massima di 12 mesi, in associazione ad agonisti dopaminergici valutando, quali endpoint degli studi, l’efficacia del farmaco e la sua sicurezza. A tal fine è stata impiegata la scala UPDRS (Unified Parkinson’s Disease

Rating Scale) nelle sue varie sottoscale (I: attività cognitive, comportamento ed

(27)

27

terapia; V: stadiazione della malattia secondo Hoehn e Yahr; VI: attività della vita quotidiana secondo Schwab e England).

Due studi pubblicati mostrano l'efficacia di safinamide nei pazienti con malattia di Parkinson (Stocchi et al, 2004 e 2006). In uno studio a tre mesi, controllato con placebo condotto su 172 pazienti con PD iniziale è stato valutato l’effetto di safinamide sulla funzione motoria (Stocchi et al, 2004). L'età media dei partecipanti era di circa 59 anni, il 64% era di sesso maschile e la durata media della malattia di Parkinson era di circa 30 mesi all’arruolamento nello studio. Circa il 50% dei pazienti aveva un punteggio basale alla scala UPDRS-III di circa 17. I due gruppi di trattamento prevedevano safinamide a basso (0,5 mg/kg) o ad alto dosaggio (1 mg/kg), mentre il gruppo di controllo riceveva un placebo. Il dosaggio più alto è stato calcolato come la dose che avrebbe dovuto essere efficace nell’inibire il rilascio di glutammato e i canali ionici sodio- e calcio-dipendneti, mentre il basso dosaggio è stato calcolato per raggiungere una completa inibizione MAO-B. I pazienti con miglioramento ≥ 30% nel punteggio UPDRS-III alla fine dello studio rispetto al basale sono stati definiti responders. Al termine dello studio, il 37,5% dei pazienti trattati con alte dosi di safinamide (dose media 70 mg/die) hanno risposto al trattamento rispetto al 21,4% dei pazienti trattati con placebo (p = 0,02), con una riduzione media del punteggio relativo alle funzioni motorie pari a 3,3 (p <0.05 rispetto al basale; Stocchi et al, 2004).

Inoltre, l’impiego di safinamide come terapia di add-on è stato valutato in un sottogruppo di pazienti (n = 101) che erano già in trattamento con una singola dose di agonista dopaminergico (apomorfina, n = 1; bromocriptina, n = 9; cabergolina, n = 8 , pergolide, n = 31; piribedil, n = 4; pramipexolo, n = 32; ropinirolo, n = 16). I

(28)

28

pazienti che hanno ricevuto safinamide alla dose di 1 mg/kg in add-on hanno mostrato un aumento significativo della risposta rispetto al placebo (47,1% vs 20,6%, p = 0,02), con una riduzione media del punteggio relativo alle funzioni motorie pari a 4,7 (p <0,05; Stocchi et al, 2004). Lo studio ha dimostrato un effetto sintomatico maggiore con la dose più alta di safinamide, che ha permesso di superare la soglia di efficacia del 30%, che, come è noto, rappresenta il limite per l’effetto placebo osservato nella malattia di Parkinson (Goetz et al, 2003), dato che nello studio circa il 20% dei pazienti trattati con placebo aveva risposto. Gli autori hanno concluso che la capacità di safinamide di bloccare i canali ionici e inibire il rilascio di glutammato, oltre all'inibizione della MAO-B le proprietà salienti del farmaco (Stocchi et al, 2004).

Dose di safinamide Settimana di trattamento V aria zione med ia nella sca la UPDR S II I dal va lor e p re -tr at ta men to

Figura 8: variazione del punteggio alla scala UPDRS III per dosi crescenti di safinamide in associazione ad agonisti dopaminergici (da Stocchi et al, 2006)

Un altro studio pilota in aperto era mirato a valutare l’efficacia di safinamide a dosi di 100, 150 e 200 mg/die sono in associazione ad una dose stabile di agonista

(29)

29

dopaminergico per oltre 6 settimane consecutive (Figura 8; Stocchi et al, 2006). Un progressivo miglioramento delle prestazioni motorie è stata osservata alla fine dello studio nei 14 pazienti arruolati, con una diminuzione del punteggio UPDRS-III, sebbene differenze significative rispetto al valore basale del punteggio fossero già state registrate dopo 2 e 4 settimane dell’inizio del trattamento combinato.

Un altro studio simile, ma condotto su 269 pazienti con diagnosi di malattia in fase iniziale, era randomizzati a ricevere safinamide 100 o 200 mg/die o placebo per 24 settimane in associazione ad una dose stabile di agonista dopaminergico (Stocchi et al, 2011). Il principale risultato era legato al significativo miglioramento delle funzioni motorie (punteggio alla scala UPDRS III) nel braccio trattato con safinamide alla dose di 100 mg/die (ma non di 200 mg/die!) rispetto al placebo. Da tali risultati, che gli Autori hanno considerato esplorativi, la dose consigliata per ulteriori studi è stata identificata in 100 mg/die.

Un ristretto gruppo di 11 pazienti ha mostrato di ricevere un maggior beneficio quando safinamide era associata a levodopa, con una diminuzione significativa nel punteggio UPDRS-IV fino a dosi di 150 mg/die (Stocchi et al, 2006), mentre dosi maggiori (200 mg/die) non miglioravano ulteriormente il quadro sintomatologico (Figura 9). Il miglioramento dell’effetto terapeutico nel trattamento combinato può essere spiegato con un aumento delle concentrazioni plasmatiche di levodopa al progressivo incremento delle dosi di safinamide, permettendo così di ridurre la dose di levodopa giornaliera. È da escludere, però, che tale aumento sia da ascrivere all’inibizione dell’attività catecolo-O-metil transferasica o dell’enzima dopadecarbossilasi. Ai dosaggi prescritti, l’inibizione dell’attività MAO-B era vicina

(30)

30

al 100%, mentre l’incremento dei livelli di DA pari al 30% è rimasto costante a tutte le dosi. Dose di safinamide V ar ia zione med ia nella sca la UPDR S IV dal val or e p re -tr at tamen to Settimana di trattamento

Figura 9: variazione del punteggio alla scala UPDRS IV per dosi crescenti di safinamide in associazione ad agonisti dopaminergici (da Stocchi et al, 2006)

Dagli studi sopra descritti, era emerso che safinamide aumentava in maniera statisticamente significativa il periodo ON e riducendo contemporaneamente la discinesia, modulando positivamente le fluttuazioni delle funzioni motorie dei pazienti. Inoltre, a dosi di 50 e 100 mg/die safinamide riduceva significativamente i periodi OFF dopo la prima somministrazione giornaliera di levodopa, l adurata giornaliera dei periodi OFF, il punteggio UDPRS IV nelle fasi ON e la gravità della malattia valutata nel suo complesso (Schapira, 2010).

(31)

31

2.5 Tollerabilità e reazioni avverse

La tollerabilità di safinamide è risultata buona in volontari sani di sesso maschile in singola somministrazione e ripetuta, fino a dosi di 10 e 5 mg/kg/die, rispettivamente (Marzo et al, 2004). Nello studio controllato con placebo in pazienti non sono stati registrati effetti tossici che richiedessero un intervento (Stocchi et al, 2004), tanto che gli eventi avversi sono stati inferiori per frequenza a quelli del gruppo di controllo trattato con placebo. Gli eventi più comuni nel braccio trattato con safinamide erano rappresentati da disturbi del sistema nervoso (11 e 7% dei soggetti nei bracci a basso [50-100 mg/die] e ad alto dosaggio [150-200 mg/die], rispettivamente), disturbi gastrointestinali (5 e 11%), infezioni infestazioni (7 e 7%), della pelle e del tessuto sottocutaneo (7 e 4%), e disturbi cardiaci (5 e 0%). Nello studio pilota in aperto, dosi fino a 200 mg/die sono state ben tollerate, senza gravi eventi avversi clinicamente significativi (Stocchi et al, 2006). Inoltre, in volontari sani safinamide era paragonabile al placebo nell’eventuale interazione con tiramina (Cattaneo et al, 2003), suggerendo che restrizioni dietetiche non siano necessarie durante il trattamento con safinamide. Più recentemente, safinamide alla dose di 300 mg/die (quindi 3 volte più elevata della dose consigliata per studi di fase III, Stocchi et al, 2011) non ha mostrato di influenzare il metabolismo di tiramina (Di Stefano e Rusca, 2011). Infatti, a partire dal 5° giorno di somministrazione di safinamide, i volontari hanno ricevuto tiramina a dosi crescenti (50, 100 e 200 mg/die), ma non è stata registrata un aumento significativo della pressione arteriosa sistolica, ovvero superiore a 30 mmHg

(32)

32

3. CONCLUSIONI

Le cause patogenetiche della malattia di Parkinson e la degenerazione progressiva e inarrestabile della popolazione di neuroni dopaminergici della sostanza nera rendono urgente e necessario un trattamento che superi in efficacia i farmaci oggi presenti ed utilizzati nel paziente parkinsoniano. La possibilità di migliorare la sintomatologia, già perseguibile con gli agonisti dopaminergici, con gli antagonisti colinergici o con gli inibitori del catabolismo della dopamina, e al contempo di frenare (se non addirittura arrestare!) il progressivo depauperamento neuronale della nigra possono e devono essere considerati aspetti interconnessi di una migliorata strategia terapeutica. In tal senso, safinamide sembrerebbe, dai dati sinora raccolti, poter rappresentare almeno il primo farmaco di una nuova generazione di molecole per il trattamento del morbo di Parkinson. Grazie ai molteplici meccanismi d’azione, il farmaco è in grado non solo di aumentare la trasmissione dopaminergica, ma anche di impedire che il processo neurodegenerativo a carico delle componenti dopaminergiche prosegua, e non solo a carico della via nigro-striatale, dato che nelle fasi avanzate della malattia, anche i processi cognitivi e gli aspetti emotivo-comportamentali sono significativamente compromessi. Infatti, l’inibizione dell’attività MAO-B riduce la formazione di metaboliti tossici, mentre il blocco di canali al sodio e al calcio di tipo N limita la liberazione di glutammato e i conseguenti fenomeni di eccitotossicità, traducendosi sia in un miglioramento della sintomatologia motoria che dei processi cognitivi. Oltre a ciò, è interessante ricordare che l’attività inibitrice di safinamide nei confronti di MAO-B si manifesta già a bassi dosaggi, suggerendo sia la possibile esistenza di altri meccanismi d’azione che alcune peculiarità cinetiche del farmaco. Infatti, al meccanismo d’azione pleiotropico si affiancano alcune proprietà farmacocinetiche che

(33)

33

suggeriscono una elevata efficacia di safinamide ed una maggiore tollerabilità. L’elevata penetrazione nel sistema nervoso centrale fa si che safinamide eserciti un effetto terapeutico già a bassi dosaggi, e la lunga emivita permette di somministrare il farmaco una volta al giorno. Inoltre, l’elevato numero di isoforme del citocromo P450 che intervengono nella metabolizzazione del farmaco riduce il rischio di gravi interazioni farmacocinetiche legate all’inibizione enzimatica. Infine, la cinetica lineare, grazie alla presenza di processi di eliminazione non saturabili, permette di riconoscere un rapporto linerare tra dose ed effetto farmacologico. Dall’altra parte, il legame reversibile alle MAO-B rende più facile la gestione di eventuali eventi avversi, anche se, come hanno dimostrato gli studi clinici controllati con placebo, la frequenza di reazioni avverse era paragonabile a quella del gruppo di controllo.

Gli stessi studi clinici hanno poi dimostrato che quando impiegata in add-on con agonisti dopaminergici, safinamide migliora la sintomatologia parkinsoniana con un aumento dei livelli di levodopa circolanti. Inoltre, per il suo meccanismo d’azione consistente anche nell’inibizione della liberazione di glutammato, la riduzione del dosaggio di levodopa a seguito della combinazione con safinamide potrebbe svolgere un ruolo importante nella riduzione delle discinesie. Infine, dosi superiori a 100 mg/die non sembrano aggiungere un significativo beneficio terapeutico rispetto a quello ottenuto con dosaggi inferiori.

Queste caratteristiche, nel loro insieme, suggeriscono che safinamide possa essere considerato un promettente farmaco per il trattamento del morbo di Parkinson, almeno, e per il momento, in associazione ad altri farmaci. Inoltre, l’interesse suscitato dalle peculiari caratteristiche farmacologiche di safinamide ha fatto che si il farmaco stesso sia stato identificato come il lead compound di un

(34)

34

nuovo processo di screening di molecole in grado di inibire in maniera estremamente selettiva ed efficace gli enzimi MAO-B (Leonetti et al, 2007).

(35)

35

4. BIBLIOGRAFIA

Binda C, Hubalek F, Li M, et al. Structure of the human mitochondrial monoamine oxidase B. Neurology 2006; 67: S5-7.

Binda C, Wang J, Pisani L, et al. Structures of human monoamine oxidase B complexes with selective noncovalent inhibitors: safinamide and coumarin analogs. J Med Chem 2007; 50: 5848-52

Bonuccelli U, Del Dotto P. New pharmacologic horizons in the treatment of Parkinson disease. Neurology. 2006 Oct 10;67(7 Suppl 2):S30-8

Borbe H, Niebch G, Nickel B. Kinetic evaluation of MAO-B-activity following oral administration of selegiline and desmethyl-selegiline in the rat. J Neural Transm 1990; 32 (Suppl): 131-7

Caccia C, Maj R, Calabresi M, et Safi namide: from molecular targets to a new anti-Parkinson drug. Neurology 2006; 67: S18-23

Cattaneo C, Caccia C, Marzo A, et al. Pressor response to intravenous tyramine in healthy subjects after safinamide, a novel neuroprotectant with selective, reversible monoamine oxidase B inhibition. Clin Neuro Pharm 2003; 26: 213-7

Chazot PL. Safinamide (Newron Pharmaceuticals). Curr Opin Investig Drugs 2001; 2: 809-13

Di Stefano AF, Rusca A. Pressor response to oral tyramine during co-administration with safinamide in healthy volunteers. Naunyn Schmiedebergs Arch Pharmacol. 2011 Aug 19. [Epub ahead of print]

Epicentro, 2011 – sito web: http://www.epicentro.iss.it/problemi/parkinson/epid.asp. Accesso, ottobre 20110

Errington AC, Stöhr T, Lees G. Voltage gated ion channels: targets for anticonvulsant drugs. Curr Top Med Chem. 2005; 5(1): 15-30

Fariello RG, Maj R, Caccia C, et al. Safinamide, a novel potential antiepileptic drug: preclinical and early clinical development. Fifth Eilat Conference on New Antiepileptic Drugs; June 2000. Epilepsy Res 2001; 43(1): 38

Fariello RG, McArthur RA, Bonsignori A, et al. Preclinical evaluation of PNU-151774E as a novel anticonvulsant. J Pharmacol Exp Ther 1998; 285: 397-403.

(36)

36

Goetz CG, Janko K, Blasucci L, Jaglin JA. Impact of placebo assignment in clinical trials of Parkinson’s disease. Mov Disord 2003; 18: 1146-9

Golbe LI, Lieberman AN, Muenter MD, et al. Deprenyl in the treatment of symptom fl uctuations in advanced Parkinson’s disease. Clin Neuropharmacol 1988; 11: 45 -55

Hallett PJ, Standaert DG. Rationale for and use of NMDA receptor antagonists in Parkinson’s disease. Pharmacol Ther 2004; 102: 155-174

Hunot S, Hirsch EC. Neuroinflammatory processes in Parkinson’s disease. Ann Neurol 2003; 53: S49-58

Jankovic J. Motor fluctuations and dyskinesias in Parkinson’s disease: clinical manifestations. Mov Disord 2005; 20 (Suppl 11): S11-6

Kleiner-Fisman G, Fisman DN. Risk factors for the development of pedal edema in patients using pramipexole. Arch Neurol 2007; 64: 820-4

Leonetti F, Capaldi C, Pisani L, Nicolotti O, Muncipinto G, Stefanachi A, Cellamare S, Caccia C, Carotti A. Solid-phase synthesis and insights into structure-activity relationships of safinamide analogues as potent and selective inhibitors of type B monoamine oxidase.J Med Chem. 2007 Oct 4;50(20):4909-16

LeWitt PA. Clinical trials of neuroprotection for Parkinson's disease. Neurology 2004;63(7 suppl 2):S23–S31.

Luszczki JJ. Third-generation antiepileptic drugs: mechanisms of action, pharmacokinetics and interactions. Pharmacol Rep 2009; 61(2): 197-216 Maj R, Fariello RG, Ukmar G, et al. PNU-151774E protects against kainate-induced

status epilepticus and hippocampal lesions in the rat. Eur J Pharmacol 1998; 16: 359(1): 27-32

Marzo A, Dal Bo L, Ceppi Monti N, et al. Pharmacokinetics and pharmacodynamics of safinamide, a neuroprotectant with antiparkinsonian and anticonvulsant activity. Pharmacol Res 2004; 50: 77-85

Marzo A, Dal Bo L, Crivelli F, et al. Pharmacokinetics, pharmacodynamics and tolerability of safinamide, a new anticonvulsant agent. Fifth Eilat Conference on New Antiepileptic Drugs; June 2000. p. 62

McNaught KS, Olanow CW. Proteolytic stress: a unifying concept for the etiopathogenesis of Parkinson’s disease. Ann Neurol 2003; 53: S73-84

(37)

37

Moresco RM, Volonte MA, Messa C, et al. New perspectives on neurochemical effects of amantadine in the brain of parkinsonian patients: a PET-[(11)C]raclopride study. J Neural Transm 2002; 109: 1265-74

Moussa BH, Bakhle Y, Bakhle YS. Monoamine oxidase: isoforms and inhibitors in Parkinsons’s disease and depressive illness. Br J Pharmacol 2006; 147: S287-96

Mytilineou C, Radcliffe P, Leonardi EK, et al. L-deprenyl protects mesencephalic dopamine neurons from glutamate receptor-mediated toxicity in vitro. J Neurochem 1997; 68: 33-9

Pahwa R, Factor SA, Lyons KE, et al. Practice parameter: treatment of Parkinson disease with motor fluctuations and dyskinesia (an evidence-based review). Report of the Quality Standards Subcommittee of the American Academy of Neurology. Neurology 2006; 66 (7): 983-95

Parkinson Study Group. DATATOP: a multicenter controlled clinical trial in early Parkinson’s disease. Arch Neurol 1989; 46: 1052-60

Pevarello P, Bonsignori A, Dostert P, et al. Synthesis and anticonvulsant activity of a new class of 2-[(arylalkyl)amino]alkanamide derivatives. J Med Chem 1998;41:579-590.

Ravina BM, Fagan SC, Hart RG, et al. Neuroprotective agents for clinical trials in Parkinson’s disease: a systematic assessment. Neurology 2003; 60: 1234-40 Rezak M. Current pharmacotherapeutic treatment options in Parkinson’s disease.

Dis Mon 2007; 53: 214-22

Salomé C, Salomé-Grosjean E, Stables JP, Kohn H. Merging the structural motifs of functionalized amino acids and alpha-aminoamides: compounds with significant anticonvulsant activities.J Med Chem. 2010; 53(9): 3756-71 Salvati P, Maj R, Caccia C, et al. Biochemical and electrophysiological studies on

the mechanism of action of PNU-151774E, a novel antiepileptic compound. J Pharmacol Exp Ther. 1999 Mar;288(3):1151-9.

Schapira AH, Gu M, Taanman JW, et al. Mitochondria in the etiology and pathogenesis of Parkinson’s disease. Ann Neurol 1998; 44: S89-98

Schapira AH. Safinamide in the treatment of Parkinson's disease. Expert Opin Pharmacother. 2010 Sep;11(13):2261-8

Stocchi F, Arnold G, Onofrj M, et al. Safinamide Parkinson’s Study Group: improvement of motor function in early Parkinson disease by safinamide. Neurology 2004; 24: 746-8

(38)

38

Stocchi F, Borgohain R, Onofrj M, et al for the Study 015 Investigators. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial of safinamide as add-on therapy in early Parkinson's disease patients. Mov Disord. 2011 Sep 12. doi: 10.1002/mds.23954

Stocchi F, Olanow CW, Hunot S, et al. Neuroprotection in Parkinson’s disease: clinical trials. Ann Neurol 2003; 53: S87-99

Stocchi F, Vacca L, Grassini P, et al. Symptom relief in Parkinson disease by safinamide: biochemical and clinical evidence of efficacy beyond MAO-B inhibition. Neurology 2006; 67: S24-9

Thomas A, Bonanni L, Di Iorio A, et al. End-of-dose deterioration in non-ergolinic dopamine agonist monotherapy of Parkinson’s disease. J Neurol 2006; 253: 1633-9

Thomas A, Iacono D, Luciano AL, et al. Duration of amantadine benefit on dyskinesia of severe Parkinson’s disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2004; 75: 141-3

Van Camp G, Flamez A, Cosyns B, et al. Treatment of Parkinson’s disease with pergolide and relation to restrictive valvular heart disease. Lancet 2004; 363: 1179-83

van Dorsser W, Barris D, Cordi A, Roba J. Anticonvulsant activity of milacemide. Arch Int Pharmacodyn Ther 1983;266:239-249

Wang Y, Wilson SM, Brittain JM, et al. Merging structural motifs of functionalized amino acids and α-aminoamides results in novel anticonvulsant compounds with significant effects on slow and fast inactivation of voltage-gated sodium channels and in the treatment of neuropathic pain. ACS Chem Neurosci. 2011 Jun 15;2(6):317-322

Warner TT, Shapira AH. Genetic and environmental factors in the cause of Parkinson's disease. Ann Neurol 2003;53(S3):S16–S23

Waters CH, Sethi KD, Hauser RA, et al. Zydis selegiline reduces off time in Parkinson’s disease patients with motor fluctuations: a 3-month, randomized, placebo-controlled study. Mov Disord 2004; 19: 426-32 Winogrodzka A, Bergmans P, Booij J, et al. [(123)I]beta-CIT SPECT is a useful

method for monitoring dopaminergic degeneration in early stage Parkinson’s disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2003; 74: 294-8

(39)

39

Youdim M, Gross A, Finberg J. Rasagiline [N-propargyl-1R(+)-aminoindan], a selective and potent inhibitor of mitochondrial monoamine oxidase B. Br J Pharmacol 2001; 132: 500-6

Zanettini R, Antonini A, Gatto G, et al. Valvular heart disease and the use of dopamine agonists for Parkinson’s disease. N Engl J Med 2007; 356: 39-46

Riferimenti

Documenti correlati

- ELABORAZIONE DI MODELLI DI ANALISI E DI SCENARI PREVISIONALI. anche Parte III. 29 “…il modello dati è quindi un insieme di costrutti che descrivono e rappresentano

In questo lavoro di diploma si vuole realizzare un master M-Bus per PC, composto da un software adibito alla trasmissione e ricezione di trame M-Bus a scopo di test, e un

Seguendo quanto emerge dalle interviste, per alcuni professionisti, questi momenti vuoti non ci sono e questo dovuto al fatto che in quei momenti non strutturati in cui

In this paper we present a modular framework, BitIodine, which parses the blockchain, clusters addresses that are likely to belong to a same user or group of users, classifies

domicilio esercizi di fisioterapia con il supporto di un opuscolo individualizzato (per 40-60 min, 3 vv/sett, per 6 mesi), insieme a sedute periodiche di gruppo con un

Per introdurre DNA esogeno in cellule eucariotiche si utilizza la tecnica della trasfezione. Nei batteri si usa, in genere, la tecnica della trasformazione. Corso di

La Corte ricorda d’aver già chiarito che le Autorità hanno sì il diritto di scegliere i provvedimenti necessarî per affermare la preminenza del diritto o per dare attuazione pratica

Currently the principal indications for using US in the assessment of patients with RA include: detection of sub-clin- ical synovitis, demonstration of bone erosion undetected