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Anno Accademico 2015/2016 L’ESECUZIONE DELLE SENTENZETRIBUTARIE FAVOREVOLI ALCONTRIBUENTE: IL GIUDIZIO DIOTTEMPERANZA Facoltà di Giurisprudenza U P

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U

NIVERSITÀ

DI

P

ISA

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Dottorato in Giustizia Costituzionale e

Diritti Fondamentali

Tesi di dottorato

L’ESECUZIONE DELLE SENTENZE

TRIBUTARIE FAVOREVOLI AL

CONTRIBUENTE: IL GIUDIZIO DI

OTTEMPERANZA

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa B. Bellé

Candidato:

Elisabetta Misilmeri

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Indice

Introduzione ………...5 Capitolo 1: “L'esecuzione delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente”

1. Introduzione: l'esecuzione delle sentenze tributarie tra

teorie dichiarative e costitutive………. 7

2. L'immediata esecutività delle sentenze tributarie alla luce

della Legge Delega 11 marzo 2014 n. 23 e del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 156……….15

2.1. L'art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546:

“pagamento del tributo in pendenza del processo”……….21

2.2. L'art. 69 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546: “esecuzione

delle sentenze di condanna in favore del contribuente”……….43

3. La tutela del contribuente dopo la riforma fiscale…………63 Capitolo 2: “Il giudizio di ottemperanza”

1. Evoluzione storica dell'istituto……….68 2. Il giudizio di ottemperanza come unico rimedio esperibile

dal contribuente per ottenere l'esecuzione di una sentenza a lui favorevole………82

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dell'ottemperanza………..98

3.1 Sentenza esecutiva………...98

3.2 Decorrenza del termine……….109

3.3 Inadempimento dell'Amministrazione finanziaria……...114

4. Giudice competente………..117

4.1 Giudice monocratico………..127

5. Il ricorso………134

6. Instaurazione del “contraddittorio”………...146

7. L'udienza di trattazione e la sentenza……….149

7.1 Il commissario ad acta...………157

7.2 L'impugnazione della sentenza………..………...162

8. Conclusione del giudizio: ordinanza inoppugnabile……..169

9. Natura del giudizio di ottemperanza………...171

Capitolo 3: “Ottemperanza amministrativa e tributaria a confronto” 1. Il giudizio di ottemperanza nel processo amministrativo……….176

2. La natura del giudizio di ottemperanza dinnanzi al giudice amministrativo……….………...183

(4)

3. I presupposti del giudizio di ottemperanza……..………….190

4. L'ottemperanza di chiarimenti……….……….205

5. Il giudice competente: l'art. 113 del D.Lgs. n. 104/2010……….….211

6. La proposizione del ricorso……….215

7. La trattazione del ricorso………..…………..231

8. La fase decisoria: i poteri del giudice………..232

9. L'impugnazione della sentenza del giudice dell'ottemperanza………..……….241

10. Rapporto con l'esecuzione forzata…………..………..247

Conclusioni………..250

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Introduzione

Il giudizio di ottemperanza è uno strumento processuale volto alla piena attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in quanto permette al soggetto vittorioso nel processo di merito di conseguire il medesimo bene della vita riconosciutogli in sentenza, tramite la sostituzione dell'organo giudicante all'Amministrazione inadempiente. La previsione di misure a carattere sostitutorio è fortemente all'avanguardia e contraddistingue il nostro ordinamento da quelli d'oltralpe, nei quali, invece, sono previste solo misure a carattere compulsivo, volte a sollecitare un adempimento spontaneo da parte dell'ente pubblico.

La presente tesi di ricerca si pone l'obiettivo di analizzare il giudizio di ottemperanza tributario alla luce dell'omonimo istituto amministrativo, cogliendone i punti di contatto e facendo emergere gli elementi distintivi, causati dalla diversa natura dei due giudizi.

Lo studio prende avvio dall'analisi delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente che potranno essere oggetto di giudizio di ottemperanza, ponendo in evidenza le due diverse teorie, dichiarative e costitutive, che si confrontano in relazione alle origini e alla natura dell'obbligazione tributaria. Successivamente è stato affrontato il tema dell'esecuzione in generale delle sentenze tributarie e del giudizio di ottemperanza in particolare, alla luce delle recenti novità apportate dal legislatore con il D.Lgs. n. 156/2015.

Al termine della tesi, sulla base di uno studio comparato con il giudizio di ottemperanza in ambito amministrativo, si tenta di

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comprendere le ragioni delle scelte adottate da parte del legislatore della recente riforma fiscale, mettendo in luce le occasioni mancate e gli istituti che si sarebbero potuti introdurre al fine di dare piena attuazione ai principi sanciti dalla Costituzione.

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Capitolo 1

“L'esecuzione delle sentenze tributarie

favorevoli al contribuente”

1. Introduzione: l'esecuzione delle sentenze tributarie tra teorie dichiarative e costitutive; 2. L'immediata esecutività delle sentenze tributarie alla luce della Legge Delega 11 marzo 2014 n. 23 e del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 156; 2.1. L'art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546: “pagamento del

tributo in pendenza del processo”; 2.2. L'art. 69 del D.Lgs. 31 dicembre

1992 n. 546: “esecuzione delle sentenze di condanna in favore del

contribuente”; 3. La tutela del contribuente dopo la riforma fiscale.

1. Introduzione: l'esecuzione delle sentenze

tributarie tra teorie dichiarative e costitutive

In materia tributaria, il tema dell'esecuzione delle sentenze è sempre stato fonte di accesi dibattiti essendo strettamente connesso all'annosa questione del momento della nascita dell'obbligazione tributaria. Sul punto, in particolare, si sono confrontate due teorie, quella dichiarativa e quella costitutiva. I sostenitori della teoria dichiarativa1, partendo dal

presupposto che le norme di diritto tributario siano norme

1 Si veda Giannini A. D., “Il rapporto giuridico d'imposta”, Milano, 1937; ID., “I concetti fondamentali del diritto tributario”, Torino, 1956; ID.,

“Istituzioni di diritto tributario”, Milano, 1965; Batistoni Ferrara F., “La determinazione della base imponibile nelle imposte indirette”, Napoli

1964; ID., “Gli atti impugnabili nel processo tributario”, in Dir. e Prat.

Trib., 1995, 1109; Basciu A. F., “Contributo allo studio dell'obbligazione tributaria”, Napoli, 1964; Longobardi C., “La nascita del debito d'imposta”, Padova, 1965; Russo P., “Diritto e processo nella teoria dell'obbligazione tributaria”, Milano, 1969; De Mita E., “Appunti di diritto tributario”, Milano, 1987; Giovannini A., “Riflessioni in margine all'oggetto della domanda nel processo tributario”, in Riv. Dir. Trib., 1998,

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materiali2, ritengono che l'obbligazione tributaria abbia origine

direttamente dalla legge, al momento della realizzazione del presupposto del tributo. La dichiarazione effettuata dal contribuente e, in caso di mancanza o rettifica della stessa, l'atto impositivo emesso dall'Amministrazione finanziaria, avrebbero, pertanto, efficacia meramente ricognitiva dell'obbligazione tributaria già sorta ex lege.

Il processo tributario, dunque, avrebbe ad oggetto l'obbligazione tributaria e dovrebbe essere qualificato come un giudizio di “impugnazione – merito”3: impugnatorio nella

forma, in quanto l'unico veicolo di accesso al sindacato giurisdizionale sarebbe costituito dall'impugnazione di uno degli atti tipici4 individuati dall'art. 19 del D.Lgs. n.

546/19925, e di merito nella sostanza, in quanto avrebbe ad

oggetto il completo riesame del rapporto impositivo. La Commissione tributaria, in particolare, pronunciandosi su un

2 Le norme tributarie, secondo i dichiarativisti, sono norme materiali in quanto disciplinano direttamente un fatto, che ha rilievo di presupposto d'imposta, al cui realizzarsi si collegano effetti predeterminati dalla legge. La distinzione tra norme materiali e norme strumentali è da ricondurre a Carnelutti F., “Lezioni di diritto processuale civile”, Padova, 1920, 32; Betti E., “Diritto romano”, Padova, 1935, 2.

3 Sul punto si veda Russo P., “Il nuovo processo tributario”, Milano, 1974, 79; ID. “Manuale di diritto tributario – Il processo tributario”, Milano, 2005, 36; Fantozzi A., “Diritto tributario”, Torino, 1991.

4 L'atto impositivo, secondo i sostenitori della teoria dichiarativa, sarebbe un mero veicolo di accesso al processo, rilevante solo ai fini di far decorrere il termine per impugnare e per concretizzare l'interesse ad agire.

5 Alla luce del modello dichiarativo è stata superata la tassatività degli atti impugnabili, così come disciplinati dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. In particolare, si è ritenuto che sarebbero impugnabili anche atti non autoritativi purché “idonei a portare a conoscenza i presupposti

di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente e siano quindi astrattamente suscettibili a fondare l'interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c.”. Sul punto si

veda Cass. n. 16293/2007; Cass. SSUU n. 16428/2007; Cass. n. 24429/2008; Cass. n. 24916/2013; Cass. n. 25297/2014; Cass. n. 15957/2015.

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atto impositivo emesso dall'Amministrazione finanziaria, non si limiterebbe a dichiararne l'illegittimità o a provvedere al suo mero annullamento, ma emetterebbe un provvedimento di accertamento dell'obbligazione tributaria in contestazione, sostitutivo della pretesa contenuta nell'atto impositivo6.

Attenta dottrina7 ha osservato che la sentenza del giudice

tributario, nel caso in cui l'atto impugnato venga annullato per ragioni meramente formali, potrebbe avere anche un contenuto meramente caducatorio; in tale caso, infatti, il giudice non entrerebbe nel merito dell'obbligazione tributaria, ma si limiterebbe ad annullare il provvedimento impositivo. Per quanto riguarda le azioni di rimborso, i sostenitori della teoria dichiarativa, distinguono tra le azioni proposte avverso il provvedimento di diniego espresso di rimborso emesso dall'Amministrazione finanziaria a seguito dell'istanza del contribuente, le quali avrebbero natura di impugnazione – merito, e le azioni proposte avverso il diniego tacito di rimborso le quali, mancando un provvedimento impugnabile, sarebbero rivolte all'accertamento del credito vantato dal contribuente e, pertanto, sarebbero di mero accertamento e di conseguente condanna del Fisco alla restituzione di quanto indebitamente percepito8.

In posizione diametralmente opposta si pongono i sostenitori della teoria costitutiva9, i quali ritengono che, data la natura

6 Si veda sul punto Russo P., “Il nuovo processo tributario”, Cit., 555. 7 Batistoni Ferrara F., Bellé B., “Diritto tributario processuale”, Trento,

2014, 98;

8 Batistoni Ferrara F., Bellé B., “Diritto tributario processuale”, Cit., 99. 9 Sul punto si veda Allorio E., “Diritto processuale tributario”, Milano,

1942; Glendi C., “L'oggetto del processo tributario”, Padova, 1984; Tesauro F., “Il rimborso di imposta”, Torino, 1975; ID., “Lineamenti del

processo tributario”, Rimini, 1991; Randazzo F., “L'esecuzione delle sentenze tributarie”, Milano, 2003.

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strumentale10 delle norme fiscali, l'obbligazione tributaria non

nascerebbe al momento della realizzazione del presupposto impositivo, ma in un momento successivo; secondo alcuni11

l'obbligazione nascerebbe solo al momento dell'emanazione dell'atto autoritativo, secondo altri12, invece, nascerebbe al

momento della presentazione della dichiarazione o, nel caso in cui quest'ultima risulti errata o non veritiera, al momento dell'emanazione del provvedimento impositivo.

Il processo tributario avrebbe ad oggetto, dunque, l'atto impositivo e dovrebbe essere qualificato tra quelli di “impugnazione - annullamento”13, in quanto avente ad oggetto

il provvedimento emesso dall'Amministrazione finanziaria ed i vizi ad esso ascrivibili direttamente o indirettamente14. Il

giudice, nel caso di accoglimento del ricorso, dovrebbe

10 Le norme tributarie, secondo i sostenitori della teoria costitutiva, sarebbero norme strumentali nel senso che attribuirebbero all'Amministrazione finanziaria un potere, dal cui esercizio nascerebbe l'obbligazione tributaria. La legge, pertanto, avrebbe lo scopo di disciplinare il potere del Fisco affinché la tassazione sia effettuata in modo corretto e rispondente alle regole fissate dal legislatore, a garanzia dei cittadini, onde evitare possibili abusi dell'Amministrazione nell'espletamento della propria funzione di controllo. La distinzione tra norme materiali e norme strumentali è da ricondurre a Carnelutti F.,

“Lezioni di diritto processuale civile”, Cit., 32; Betti E., “Diritto romano”,

Cit., 2.

11 Sul punto si veda Glendi C., “L'oggetto del processo tributario”, Cit. 12 Sul punto si veda Falsitta G., “Il ruolo della riscossione”, Padova, 1972;

ID., “Manuale di diritto tributario – parte generale”, Padova, 2010, 362; Tesauro F., “Il rimborso di imposta”, Cit.

13 Alcuni sostenitori della teoria costitutiva ritengono che il contribuente sia titolare di un interesse legittimo. Sul punto si veda Glendi C., “Impugnazione del diniego di autotutela e oggetto del processo tributario”, in G.T. Riv. Giur. Trib., 2009, 473. Altra parte della dottrina, invece, pur considerando il processo tributario di tipo “impugnazione – annullamento”, ritiene che il contribuente sia titolare di un diritto soggettivo potestativo all'annullamento dell'atto illegittimo. Sul punto si veda Tesauro F., “Profili del giudicato tributario”, in Boll. Trib., 2008, 869; ID., “Manuale del processo tributario”, Torino, 2009, 75.

14 Si fa riferimento ai vizi derivati, sorti in fasi precedenti all'emissione dell'atto oggetto del giudizio, relativi ad atti non direttamente impugnabili.

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limitarsi ad emettere una sentenza di annullamento totale o parziale del provvedimento impugnato, senza entrare nel merito del rapporto15; diversamente, nel caso di pronuncia

giurisdizionale di rigetto del ricorso, o di inammissibilità o improcedibilità dello stesso, resterebbe in vita l'atto impositivo.

Discorso a parte meritano le azioni di rimborso, in quanto, in caso di rifiuto espresso, l'accoglimento del ricorso proposto dal contribuente, comporterebbe una sentenza a contenuto complesso ovvero annullamento del diniego, accertamento del credito del ricorrente e conseguente condanna dell'Amministrazione alla restituzione16; in caso di rifiuto

tacito di rimborso, invece, l'azione sarebbe solo apparentemente di impugnazione in quanto in realtà sarebbe un'azione di accertamento negativo del debito di imposta con conseguente condanna del Fisco17.

15 Parte della dottrina, in particolare, Allorio E., “Diritto processuale

tributario”, Torino 1962 e 1969 (tale impostazione ha decisamente

condizionato Tremonti G., “Imposizione e definitività nel diritto

tributario”, Milano, 1977, 352; Consolo C., “Processo e accertamento fra responsabilità contributiva e debito tributario”, in Riv. Dir. Proc., 2000,

1048) aveva affermato che la sentenza del giudice fosse volta, previo annullamento dell'atto impugnato, alla sostituzione dello stesso con una nuova determinazione più idonea, entrando così nel merito del rapporto di imposta. Tale impostazione, come affermato da attenta dottrina, in realtà, riflette la concezione della giurisdizione tributaria come prosecuzione e, quindi, completamento, anche sostanziale, dell'attività dell'Amministrazione. Si veda sul punto Randazzo F.,

“L'esecuzione delle sentenze tributarie”, Cit., 112; Glendi C., “L'oggetto del processo tributario”, Cit., 228.

16 Il mero annullamento del provvedimento di diniego espresso non comporterebbe alcuna utilità pratica per il contribuente e, pertanto, il giudice, previo annullamento dell'atto, dovrebbe accertare il credito del contribuente e, conseguentemente, condannare l'Amministrazione alla restituzione.

17 Si veda sul punto Tesauro F., “Manuale del processo tributario”, Torino, 2016, 85. Altra parte della dottrina, invece, Falsitta G., “Manuale di

diritto tributario – parte generale”, Cit., 574, ritiene che anche il rifiuto

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E' possibile osservare che i sostenitori di entrambe le teorie sono concordi nell'affermare che il giudizio tributario sia di tipo impugnatorio. I sostenitori della teoria dichiarativa, però, ritengono che l'impugnazione dell'atto costituisca un mero veicolo di accesso al giudizio e che, pertanto, la sentenza del giudice sia sostitutiva dell'atto impositivo stesso; diversamente, i sostenitori della teoria costitutiva ritengono che oggetto del giudizio sia il provvedimento impositivo e, pertanto, la sentenza del giudice, in caso di accoglimento del ricorso, sia di annullamento totale o parziale dell'atto, ed in caso di rigetto, di conferma dell'atto stesso.

Tra le due teorie appare preferibile quella dichiarativa, anche alla luce dalla recente novella legislativa, che, al nuovo art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992, prevede la possibilità di richiedere la sospensione, non solo dell'atto amministrativo impugnato, ma anche della sentenza; in tale modo, dunque, è stato ammesso che la sentenza dal giudice tributario statuisca direttamente sul merito del rapporto obbligatorio, sostituendosi al provvedimento impositivo.

La giurisprudenza è sempre stata concorde nel ritenere che il giudizio tributario abbia natura di “impugnazione – merito”18.

essere annullato da parte del giudice tributario.

18 Tra le tante si veda Cass. Sent. n. 945/1977; Cass. Sent. n. 8/1993; Cass. Sent. n. 6471/1996; Cass. Sent. n. 2943/1998; Cass. Sent. n. 4300/2001; Cass. Sent. n. 4431/2004; Cass. Sent. n. 3309/2004; Cass. Sent. n. 15825/2006; Cass. Sent. n. 8581/2006; Cass. Sent. n. 3309/2008; Cass. Sent. n. 15225/2010; Cass. Sent. n. 15675/2010; Cass. Sent. n. 17072/2010; Cass. Sent. n. 21759/2011; Cass. Sent. n. 6918/2013; Cass. Sent. n. 24611/2014; Cass. Sent. n. 25317/2014; Cass. Sent. n. 8662/2015; Cass. Sent. n. 9362/2015; Cass. Sent. n. 11232/2015; Cass. Sent. n. 18448/2015; Cass. Sent. n. 3126/2016. L'atto impositivo, per lungo tempo, è stato definito, contemporaneamente, come atto autoritativo, con effetti di diritto sostanziale, e come atto processuale, ossia “provocatio ad opponendum” o “veicolo di accesso al processo”. In tal senso si veda Cass. Sent. n.

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Il giudice tributario, nei limiti della causa petendi e del petitum, avrebbe il potere di sindacare i vizi, sia formali che sostanziali, dell'atto impositivo19, pronunciando un

provvedimento sostitutivo, sia della dichiarazione, che dell'accertamento dell'Amministrazione, nei limiti delle deduzioni effettuate dalle parti. La giurisprudenza, dunque, appare critica nei confronti delle teorie di matrice costitutivista in quanto il mero annullamento dell'atto, senza alcuna possibilità per il giudice di entrare nel merito del rapporto, sostituendo l'atto impositivo illegittimo, sarebbe troppo penalizzante per l'interesse collettivo al recupero del dovuto, poiché solo l'annullamento dell'atto per vizi di forma lascerebbe aperta la possibilità per l'Amministrazione di esercitare nuovamente, nel rispetto dei termini decadenziali, il

8/1993; Cass. Sent. n. 6471/1996; Cass. Sent. n. 2943/1998; Cass. Sent. n. 8581/2006; Cass. Sent. n. 9441/2014. Ultimamente, però, la giurisprudenza sembra allontanarsi dalla visione dell'atto impositivo come mero veicolo di accesso al processo. Sul punto si veda Cass. Sent. n. 22003/2014; Cass. Sent. n. 20251/2015; Cass. Sent. n. 954/2016. Per un'analisi più completa sul punto si veda Tesauro F., “Il processo

tributario tra modello impugnatorio e modello dichiarativo”, in Rass. Trib.,

2016, 1036.

19 Il giudizio tributario, dunque, formalmente è di tipo impugnatorio. Ciò comporta che: 1. il meccanismo di instaurazione del processo è basato sull'impugnazione del provvedimento impositivo al fine di ottenere il sindacato di legittimità dell'atto stesso; 2. il ricorso deve essere proposto nei confronti del soggetto che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto; 3. l'oggetto del giudizio è delimitato dai motivi di impugnazione che possono riguardare, o il procedimento di formazione dell'atto, o i vizi formali dello stesso atto, o i vizi relativo al contenuto dello stesso; 4. il ricorrente non può agire in via preventiva con azioni di mero accertamento, senza che l'Amministrazione finanziaria abbia emesso l'atto impositivo impugnabile; 5. il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all'atto impugnato; 6. l'Amministrazione finanziaria, con la costituzione in giudizio, si limita a difendere il provvedimento impugnato e, quindi, non potrà fondare la sua difesa su titoli o ragioni non addotte nella motivazione dell'atto stesso; 7. non sono ammesse domande riconvenzionali. Per un'analisi più approfondita sul punto si veda Tesauro F., “Il processo tributario tra

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potere impositivo. Dall'altro lato, però, la giurisprudenza appare critica anche nei confronti dell'impostazione dichiarativista nella parte in cui qualifica l'atto impositivo come una mera intimazione ad adempiere ad un'obbligazione già sorta ex lege; l'atto dell'Amministrazione finanziaria, infatti, sarebbe sempre produttivo di effetti provvedimentali20,

basti pensare all'ipotesi in cui il ricorso, essendo stato proposto dal contribuente oltre il termine per impugnare, venga dichiarato inammissibile e, pertanto, l'obbligazione tributaria si consolidi prima della sentenza ed indipendentemente da essa21.

Secondo la giurisprudenza, pertanto, il giudizio tributario non è volto solo ad annullare l'atto impugnato, ma è diretto ad una pronuncia di merito sull'obbligazione tributaria, nei limiti oggettivi posti, sia dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell'atto impositivo impugnato, sia dagli specifici motivi dedotti nel ricorso; la sentenza sarà, dunque, sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione, previa quantificazione della pretesa del Fisco22. La sentenza sostitutiva di merito sarà

preclusa e si avrà una pronuncia di mero annullamento dell'atto impugnato, nel caso in cui quest'ultimo sia affetto da

20 L'atto impositivo non è più visto solo come mera “provocato ad

opponendum”, ma come atto terminale di un procedimento

amministrativo, il cui esito dovrà trovare riscontro nella motivazione dell'atto stesso. Sul punto si veda Cass. Sent. n. 22003/2014; Cass. Sent. n. 20251/2015; Cass. Sent. n. 954/2016. Per un'analisi più completa si veda Santori N., “Avviso di accertamento: provocatio ad

opponendum e accertamento sintetico”, in Giur. It., 2016, 1509; Tesauro

F., “Il processo tributario tra modello impugnatorio e modello

dichiarativo”, Cit., 1036.

21 Sul punto si veda, da ultimo, Cass. Sent. n. 6961/2015; Cass. Sent. n. 16980-16979/2015; Cass. Sent. n. 22810/2015.

22 Sul punto si veda, da ultimo, Cass. Sent. n. 8662/2015; Cass. Sent. n. 9362/2015; Cass. Sent. n. 15998-15997/2015; Cass. Sent. n. 16742-16741/2015; Cass. Sent. n. 18448/2015.

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vizi di forma talmente gravi da impedire l'identificazione dei presupposti impositivi e, pertanto, da precludere l'esame del merito del rapporto23.

Tutto ciò premesso, ritenendo preferibile l'impostazione dichiarativista, si può affermare che oggetto dell'esecuzione tributaria siano tutte le sentenze emesse da parte del giudice tributario, essendo queste ultime sostitutive dell'atto impositivo, ad eccezione delle sentenze che dichiarino il ricorso proposto dal contribuente inammissibile o improcedibile, in quanto, in tale caso, sarà l'atto emesso dall'Amministrazione finanziaria ad essere portato ad esecuzione.

2. L'immediata esecutività delle sentenze

tributarie alla luce della Legge Delega 11 marzo

2014 n. 23 e del Decreto Legislativo 24

settembre 2015 n. 156

La disciplina dell'esecuzione delle sentenze tributarie è stata a lungo considerata di dubbia legittimità costituzionale, tanto che, il legislatore, con la recente riforma fiscale, è intervenuto sul punto, cercando di ricondurre la materia nell'alveo dei principi sanciti dalla Costituzione.

La precedente normativa, in particolare, appariva contraria al principio di parità delle parti, sancito dall'art. 111 Cost., in quanto sussisteva un'evidente diversità tra l'esecuzione delle sentenze favorevoli al Fisco e quelle favorevoli al

23 Sul punto si veda, da ultimo, Cass. Sent. n. 9958/2015; Cass. Sent. n. 10933-10917/2015; Cass. Sent. n. 11232/2015; Cass. Sent. n. 14793/2015.

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contribuente24. Anche queste ultime sentenze erano dotate di

una naturale immediata esecutività, infatti, a seguito di una pronuncia giurisdizionale, non ancora passata in giudicato, di annullamento totale o parziale dell'atto impugnato, il ricorrente vittorioso avrebbe avuto diritto a non versare più nulla all'Amministrazione finanziaria, con il conseguente obbligo di quest'ultima di bloccare ogni azione di recupero riconducibile all'atto annullato25; al contribuente, però, non

era fornito alcuno strumento per recuperare le somme corrisposte in pendenza di giudizio o, comunque, per ottenere il rimborso accertato con sentenza di condanna dell'Amministrazione, non ancora passata in giudicato26. Le

sentenze emesse a favore del Fisco, diversamente, erano dotate di una provvisoria esecutività molto più ampia, ex art.

24 Al fine di evitare una pronuncia di incostituzionalità si era tentato di giustificare tale disparità di trattamento invocando il principio di sovranità. In particolare, si affermava che il Fisco potesse riscuotere coattivamente le somme, anche prima della definizione del giudizio, in nome del bisogno dello Stato di reperire le risorse per lo svolgimento dei propri compiti; si riteneva, infatti, che la tutela dell'interesse pubblico alla riscossione, alla certezza e alla celerità dell'esazione del credito tributario fosse un interesse prevalente, ex art. 53 della Costituzione. Sul punto si veda Corte Cost. Sent. 30 dicembre 1999 n. 464 in Dir. e

Prat. Trib., 2000, 643 con nota di Menti F., “Dubbi di costituzionalità della riscossione per l'intero della tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani accertata e non ancora definitiva”; Boria P., “L'interesse fiscale”, Torino, 2002; De Mita E., “Interesse fiscale e tutela del contribuente”, Milano, 2006, 44. Altra parte della dottrina, però, ha

evidenziato come, in ambito processuale, sia vigente il principio inviolabile di parità delle parti, sancito dall'art. 111 Cost. Sul punto si veda Russo P., “Manuale di diritto tributario - Il processo tributario”, Cit., 309; Parlato M.C., “Contributo allo studio del giudizio di ottemperanza

nel processo tributario”, Bari, 2008, 29.

25 Nel caso di mancata ottemperanza a tale obbligo derivante dalla sentenza da parte dell'Amministrazione finanziaria, gli atti di recupero emessi (come ad es. il preavviso di fermo o l'iscrizione di ipoteca o di pignoramenti) saranno illegittimi per vizi propri e, pertanto, annullabili. 26 Sul punto si veda Lovecchio L., “Attuazione solo parziale del principio di

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68, comma 1, del D.Lgs. n. 546/199227.

Questa disciplina creava un evidente squilibrio tra Amministrazione finanziaria e contribuente, in totale violazione del principio di parità delle parti, espressamente prescritto come requisito indispensabile del “giusto processo” dall'art. 111 Cost28.

Al fine di sopperire a tale disparità, l'art. 10, comma 1, della Legge delega n. 23 del 2014 indicava, tra i criteri direttivi indirizzati al Governo “per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente”, al n. 10), “la previsione dell'immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie”.

Tale principio direttivo era stato accolto favorevolmente da parte della dottrina per il suo indubbio carattere innovativo, in quanto affermava il generale principio di immediata ed incondizionata esecutività di tutte le sentenze emesse dal giudice tributario29.

27 L'Amministrazione finanziaria, nel caso in cui il contribuente non ottemperi autonomamente, ha a sua disposizione gli strumenti coercitivi disciplinati dal D.P.R. n. 602/1973.

28 Tale impostazione risentiva della rilevanza data alla natura pubblicistica di una delle parti, che giustificava una posizione di supremazia in sede di procedimento amministrativo, ma che non avrebbe mai dovuto ammettere deroghe in sede giurisdizionale.

29 La delega fiscale in materia di esecuzione delle sentenze era stata accolta molto positivamente grazie alla sua portata innovativa idonea a superare le problematiche sorte in passato in tale ambito. In particolare, nella delega si prevedeva un'immediata esecutività di tutte le sentenze emesse dal giudice tributario contenenti una statuizione di condanna, senza limiti oggettivi o soggettivi. Sul punto si veda Cicala M., Genise A.A., “Osservazioni critiche sulle misure per la revisione della

disciplina del contenzioso tributario”, in Il Fisco, 2015, 3355; Glendi C., “Fermenti legislativi processualtributaristici: legge delega e direttive sul rito”, in Corr. Trib., 2015, 498; Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto e novità sul processo tributario”, commento all'art. 67 bis del D.Lgs. 546/92, a cura di Glendi C., Vicenza, 2016, 265; Sepe

E.A., “Nuove regole su esecutività delle sentenze e misure cautelari

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Il Governo, in sede di attuazione della delega, però, non ha colto l'occasione per riformare in modo organico la disciplina dell'esecuzione delle sentenze tributarie ed affermare il principio di immediata esecutività di tutti i provvedimenti emessi dal giudice tributario. A tal fine si sarebbe dovuto introdurre una disposizione modellata sull'art. 282 c.p.c., in nome della quale “la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”; ma così non è stato. Il Governo, infatti, in esecuzione della delega, ha emesso il D.Lgs. n. 156/2015, con il quale sono stati effettuati interventi mirati su alcune specifiche norme. In particolare, il legislatore delegato è intervenuto sull'art. 49 del D.Lgs. 546/199230, sopprimendo l'inciso “escluso l'art. 337”31e,

pertanto, alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie saranno applicabili tutte le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, ivi compreso l'art. 337, in nome del quale “l'esecuzione delle sentenze non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salve le disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407”; da tale norma, però, non è ricavabile un generale principio di immediata

30 Il vecchio art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato “disposizioni

generali applicabili”, testualmente recitava “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.

31 Grazie all'abrogazione del divieto di applicazione dell'art. 337 c.p.c., che comporta anche l'eliminazione di ogni limite all'applicabilità nel processo tributario delle norme del codice di procedura civile in materia di inibitoria delle sentenze in pendenza di gravame, si è raggiunto l'obbiettivo di attribuire pieni poteri cautelari ai giudici tributari, sia nel primo grado di giudizio, che in pendenza dei successivi gradi di impugnazione. In tale modo la tutela cautelare nel giudizio tributario si è, finalmente, allineata ai principi dettati dagli artt. 111 Cost e 6 CEDU. Sul punto si veda Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto e

novità sul processo tributario”, commento all'art. 49 del D.Lgs. 546/92,

(19)

esecutività di tutte le sentenze tributarie.

Il Governo, poi, è intervenuto in modo specifico in materia di esecuzione delle sentenze, introducendo l'art. 67 bis del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato “esecuzione provvisoria”, il quale espressamente afferma che “le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo”.

Questa norma, nonostante la Relazione illustrativa al decreto delegato affermi che si tratta di una disposizione volta ad “introdurre un principio generale che riconosca l'esecutività immediata delle sentenze tributarie emesse dalle commissioni tributarie provinciali e regionali, equiparandola a quelle adottate nel giudizio civile e amministrativo”, appare laconica e totalmente inidonea a fornire un'adeguata attuazione della delega fiscale. In particolare, appare errata la dicitura, o comunque la sua collocazione, in quanto la norma fa espressamente riferimento a “quanto previsto dal presente capo”, ovvero al capo III, che non riguarda l'esecutività delle sentenze, ma le impugnazioni; si sarebbe dovuto fare riferimento al capo IV, ovvero quello successivo, che si occupa dell'esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie. Quest'ultimo capo, anch'esso investito dalla riforma operata con il D.Lgs. n. 156/2015, però, si limita a prevedere l'immediata esecutività delle sole sentenze aventi ad oggetto o l'impugnazione di un atto impositivo, o la condanna dell'Amministrazione a seguito di un infondato diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi o l'accoglimento del ricorso in materia catastale, escludendo, in tal modo, tutte quelle sentenze di accertamento di posizioni soggettive non

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recanti direttamente un contenuto patrimoniale32. In tale

modo non è stata data compiuta attuazione al principio di delega, che sanciva l'immediata esecutorietà di tutte le sentenze emesse dal giudice tributario33. Il legislatore avrebbe

potuto semplicemente emettere una norma secondo cui “le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono provvisoriamente esecutive” .

La delega fiscale poteva essere l'occasione per equiparare l'esecutività delle sentenze tributarie a quelle civili e amministrative, superando definitivamente le problematiche connesse all'evidente disparità di trattamento tra le varie parti processuali; l'attuazione della delega, sotto tale profilo, però, non è stata pienamente soddisfacente, in quanto laconica e fonte di numerosi equivoci. Nonostante questo appare necessario salutare con favore la riforma in quanto ha fornito al contribuente maggiori strumenti di tutela per far valere le proprie ragioni nei confronti del Fisco.

32 Come, ad esempio, le sentenze emesse in relazione alla qualificazione di ONLUS o quelle che negano o revocano la spettanza di un'agevolazione fiscale. In tal modo è stato violato, oltre al dettato della delega fiscale che fissava il principio dell'immediata esecutorietà di tutte le sentenze emesse dal giudice tributario, senza limiti né oggettivi né soggettivi, anche il principio di uguaglianza tra contribuenti, ex art. 3 Cost., e il principio di parità delle armi tra Fisco e contribuente, ex art. 111 Cost., come meglio sarà analizzato più avanti. Sul punto si veda Leo M., “La

riforma del contenzioso tributario: cose fatte e cose dal fare”, in Il Fisco,

2015, 4016; Lovecchio L., “Attuazione solo parziale del principio di

parità delle parti nel processo tributario”, Cit., 3036.

33 Il legislatore delegato era ben consapevole del fatto che con tale disposizione non si sarebbe estesa l'immediata esecutorietà a tutte le sentenze emesse dal giudice tributario, infatti, nella Relazione illustrativa, si legge che “l'espresso rinvio nel presente articolo alle

sentenze contenute nel capo IV consente di limitare l'esecutività alle sole sentenze aventi ad oggetto l'impugnazione di un atto impositivo ovvero il diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi”, il tutto con la

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2.1 L'art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546:

“pagamento del tributo in pendenza del

processo”

L'art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 ha ad oggetto il pagamento del tributo in pendenza del giudizio. Il comma 1 si occupa, in particolare, dell'esecuzione delle sentenze favorevoli all'Amministrazione finanziaria ed afferma che “anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato:

a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;

b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale;

c bis) per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio e per l'intero importo indicato nell'atto in caso di mancata riassunzione.

Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto”. La norma detta una disciplina uniforme a tutti i tributi, in relazione alla loro riscossione provvisoria dopo il deposito della sentenza di primo grado, derogando anche a quanto stabilito dalle singole leggi d'imposta34. Queste ultime, però, anche in

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totale violazione del divieto del solve et repete35, sanciscono

l'obbligo del contribuente di versare provvisoriamente36 il

tributo anche prima dell'emissione della sentenza di primo grado37. In particolare, il contribuente, prima dell'emissione

del provvedimento di primo grado, sarà tenuto, in nome delle singole leggi d'imposta, a versare, di regola, un terzo di

d'imposta che avevano dettato discipline differenziate (es. art. 94, comma 1, r.d. 560/1907; art. 23, comma 2, r.d. 1516/1937; art. 176, lettera b), t.u.i.d.). La dottrina aveva tentato, in più occasioni, di individuare la ratio della riscossione frazionata del tributo ed, in particolare, alcuni (La Rosa S., “Principi di diritto tributario”, Torino, 2009, 365) affermavano che si trattasse di un istituto volto alla protezione del Fisco, in nome di una normale esecutorietà del provvedimento impositivo in conseguenza della sua impugnazione; altri (sul punto si veda Allorio E., “Diritto processuale tributario”, Cit., 199; Micheli G.A., “Corso di diritto tributario”, Torino, 1979, 260), invece, affermavano che si trattasse di una limitazione dell'efficacia esecutiva delle sentenze del giudice tributario; altri ancora (Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto e novità sul processo tributario”, commento all'art. 68 del D.Lgs. 546/92, a cura di Glendi C., Cit., 267) ritenevano che tale istituto fosse il frutto di un retaggio storico in quanto in origine si riteneva che l'attività del giudice tributario fosse un prolungamento dell'attività di accertamento e pertanto era logico che l'attività di riscossione progredisse in parallelo con l'attività di accertamento effettuata da parte del giudice. Sul punto si veda Quercia L., “Il processo tributario”, Napoli, 2016, 349.

35 Parte della dottrina (sul punto si veda Malagù L., “Spunti critici sulla

nuova disciplina del processo tributario di cui al D.Leg. 31 dicembre 1992 n. 546, come modificato dalla L. 24 ottobre 1996, n. 556”, in Boll. Trib.,

1997, 1068) ritiene che nel nostro ordinamento, nonostante la dichiarazione di incostituzionalità avvenuta con la sentenza del 11 luglio 1969 n. 125, sia ancora vigente il principio del solve et repete, in nome del quale il contribuente, prima di poter adire l'autorità giurisdizionale, dovrebbe pagare l'intero importo stabilito nell'atto impositivo e, nel caso in cui il giudice accertasse che tali importo non sia dovuto, l'Amministrazione finanziaria dovrebbe restituire le somme versate. Questo appare lesivo del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione.

36 Proprio la natura provvisoria del pagamento ha salvato tali norme dalla declaratoria di incostituzionalità. Si veda Corte Cost. Sent. n. 322/1987; Corte Cost. Sent. n. 92/1990; Corte Cost. Sent. n. 18/1994. 37 Sul punto vedi Consolo C., Glendi C., “Commentario breve alle leggi del

processo tributario”, commento di Randazzo F. all'art. 68 del D.Lgs. n.

546 del 1992, Padova, 2012, 787; Quercia L., “Il processo tributario”, Cit., 349; Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto e novità

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imposte, contributi, premi e relative sanzioni38, previsti

nell'atto impositivo39.

L'art. 68, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 detta una disciplina unitaria per tutti i tributi, “anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi d'imposta”, per la riscossione frazionata dopo la pronuncia del giudice tributario. La dottrina si è divisa in relazione all'interpretazione corretta da attribuite alla locuzione “anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi d'imposta”. In particolare, alcuni40 hanno ritenuto che tale inciso iniziale

della norma dovesse essere interpretato estensivamente, in modo da precludere all'Amministrazione finanziaria l'iscrizione a ruolo di qualunque somma indicata nell'atto impositivo

di Glendi C.,Cit., 267.

38 In particolare, in materia di imposta sui redditi, I.R.A.P. e I.V.A., l'art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, afferma che “le imposte, i

contributi, ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”; per quanto riguarda l'imposta di registro l'art. 56,

comma 1, lett. a), del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, afferma che la maggiore imposta dovrà essere pagata per un terzo nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell'atto di liquidazione; per quanto riguarda l'imposta sulle successioni e donazioni, l'art. 40, comma 2, del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, afferma che l'imposta dovrà essere pagata per un terzo entro sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di liquidazione; infine, per quanto riguarda l'imposta catastale ed ipotecaria, ai sensi dell' 13 del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 347, per le modalità e i termini della riscossione saranno applicabili le disposizioni relative all'imposta di registro e all'imposta sulle successioni e donazioni.

39 Ovviamente, come ha precisato la Circolare 98/E/97 “sia le iscrizioni a

ruolo a titolo definitivo, sia la riscossione parziale e provvisoria dei tributi dopo la notifica dell'atto di accertamento, prima della emanazione della sentenza di primo grado possono essere eseguite solo se non è intervenuta la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato”. Sul

punto si veda Quercia L., “Il processo tributario”, Cit., 349.

40 Sul punto si veda Rau C., “Gli atti “sospendibili” e la riscossione in

pendenza di giudizio”, in Boll. Trib., 1996, 1393. In giurisprudenza si

veda Comm. Trib. Reg. Piemonte Sent. 29 marzo 1999 n. 16 in Boll.

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impugnato, in caso di presentazione del ricorso da parte del contribuente; con tale locuzione, secondo tali autori, il legislatore avrebbe implicitamente abrogato anche la disciplina, contenuta nelle singole leggi di imposta, relativa alla riscossione precedente alla pronuncia di primo grado. Altra parte della dottrina41, invece, ha ritenuto che tale inciso

dovesse essere interpretato restrittivamente, ovvero che la deroga fosse limitata alle sole leggi di imposta che prevedono la riscossione del tributo dopo la sentenza di primo grado. Quest'ultima interpretazione è da preferire42, essendo la più

rispondente alla lettera della disposizione e alla ratio dell'intera disciplina; si ritiene, pertanto, che le singole leggi d'imposta in materia di riscossione frazionata del tributo, prima della pronuncia della Commissione tributaria, siano ancora pienamente vigenti nel nostro ordinamento.

Il comma 1 dell'art. 68 del D.Lgs. n. 546/199243 è stato

41 Sul punto si veda Colli Vignarelli A., “Considerazioni in tema di tutela

cautelare nel processo tributario”, in Rass. Trib., 1996, 565; Cass. Sent.

n. 7339/2003, in Riv. Giur. Trib., 2003, 1134; Cass. Sent. n. 12791/2011; circolare ministeriale 23 aprile 1997 n. 98/E.

42 L'interpretazione restrittiva della locuzione “anche in deroga a quanto

previsto dalle singole leggi d'imposta” è da preferire, in primo luogo,

perché la seconda parte del comma 1 dell'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, prevede che gli importi da versare siano diminuiti delle somme già corrisposte; in secondo luogo, perché il comma 2 della medesima norma, che prevede il rimborso al contribuente della somma già corrisposta in eccedenza rispetto a quanto statuito nella pronuncia di primo grado, presuppone che il contribuente, prima della sentenza della Commissione tributaria Provinciale, abbia già versato all'erario delle somme; ed infine, perché il legislatore, con l'art. 37 del D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, ha abrogato solo il comma 2 dell'art. 15 del D.P.R. 602/73, relativo alla riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, lasciando in vigore il comma 1, relativo alla riscossione provvisoria prima della sentenza di primo grado. Sul punto si veda Parlato M.C.,

“Contributo allo studio del giudizio di ottemperanza nel processo tributario”, Cit.; Consolo C., Glendi C., “Commentario breve alle leggi del processo tributario”, commento di Randazzo F. all'art. 68 del D.Lgs. n.

546 del 1992, Cit., 787.

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oggetto della recente riforma fiscale44. In particolare, con il

D.Lgs. n. 156/2015, è stata introdotta la lettera c bis) in nome della quale, in caso di sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Corte di Cassazione, il contribuente, in caso di riassunzione, sarà tenuto a versare gli importi dovuti nella pendenza del giudizio di primo grado, ma, in caso di mancata riassunzione, sarà tenuto a versare l'intero importo indicato nell'atto45.

sentenza non abbia efficacia sostitutiva dell'atto impositivo, la disciplina della riscossione frazionata del tributo ha natura sostanziale e pertanto la sua collocazione nel decreto legislativo che si occupa del processo tributario sarebbe totalmente inopportuna (sul punto si veda Glendi C.,

“L'esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria”, in “Il nuovo processo tributario”, a cura di Tosi L. – Viotto A., Padova, 1999, 153).

Altra parte della dottrina, invece, ritiene che la sua collocazione sia pienamente in linea con la natura di tale disciplina in quanto, avendo la sentenza tributaria efficacia sostitutiva dell'atto impositivo, la riscossione del tributo trova il proprio titolo giustificativo proprio nella sentenza (si veda sul punto Tremonti G., “Imposizione e definitività nel

diritto tributario”, Cit., 351). Per un'analisi più compiuta si veda Consolo

C., Glendi C., “Commentario breve alle leggi del processo tributario”, commento di Randazzo F. all'art. 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992, Cit., 787; Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto e novità sul

processo tributario”, commento all'art. 68 del D.Lgs. 546/92, a cura di

Glendi C., Cit., 267.

44 Secondo alcuni il mantenimento della riscossione frazionata del tributo sarebbe del tutto anacronistico in quanto danneggerebbe fortemente, sia l'Amministrazione finanziaria, ritardando la riscossione del tributo, sia il contribuente vittorioso; secondo questa dottrina, critica nei confronti della disciplina della riscossione frazionata del tributo, sarebbe stato preferibile, in caso di accertata legittimità dell'atto impositivo, permettere al Fisco di dare seguito immediatamente alla completa realizzazione della propria pretesa e, diversamente, in caso di accertata illegittimità e pregiudizialità dell'atto impositivo, permettere al contribuente di ricorrere allo strumento della sospensione cautelare della riscossione. Si veda Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del

diritto e novità sul processo tributario”, commento all'art. 68 del D.Lgs.

546/92, a cura di Glendi C., Cit., 267.

45 Il vecchio art. 68, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 nulla diceva in relazione al pagamento dopo la sentenza della Corte di Cassazione in quanto la riscossione frazionata, essendo stata considerata per lungo tempo come un prolungamento dell'attività di accertamento, era compatibile solo con il giudizio di merito dinnanzi alle Commissioni tributarie Provinciali e Regionali, ma non con il giudizio di legittimità della Cassazione. Sul punto si veda Glendi C., Consolo C., Contrini A.,

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L'introduzione di tale disposizione ha provocato accesi dibattiti in dottrina. In particolare, alcuni autori46 hanno salutato con

favore questa nuova disciplina in ogni suo aspetto, ritenendo che colmasse le lacune presenti in materia nel nostro ordinamento. In precedenza, infatti, i diversi Uffici finanziari avevano adottato soluzioni diverse in relazione all'ammontare47 delle somme che l'Ufficio avrebbe potuto

iscrivere a ruolo a seguito della riassunzione del giudizio conseguente ad una sentenza di cassazione con rinvio. Con la riforma del 2015, pertanto, è cessato il dibattito sul punto, in quanto il legislatore ha previsto che, in caso di annullamento con rinvio operato da parte della Cassazione, il contribuente sarà obbligato a versare un ammontare di somme pari a quelle dovute durante la pendenza del giudizio di primo grado48,avvantaggiando, in tal modo, la parte soccombente nel

precedente giudizio di merito49. Anche la previsione secondo la

del D.Lgs. 546/92, a cura di Glendi C., Cit., 267.

46 In tal senso si veda Russo A., “Riscossione provvisoria a seguito di

cassazione con rinvio”, in Il Fisco, 2015, 3360; Formica P., Eugeni F., “La prescrizione del diritto alla riscossione del tributo nella riassunzione del giudizio”, in Il Fisco, 2015, 4528; Quercia L., “Il processo tributario”,

Cit., 354.

47 In particolare, alcuni Uffici dell'Amministrazione provvedevano all'iscrizione dell'intero tributi, altri, invece, applicando l'art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973, provvedendo all'iscrizione di 1/3 del tributo accertato con l'atto impositivo. Quest'ultima soluzione era avvallata anche dalla giurisprudenza (Cass. Sent. n. 1824/2005; Cass. Sent. n. 3040/2008; Cass. Sent. n. 5044/2012; Cass. Sent. n. 16689/2013; Cass. Sent. n. 15643/2014).

48 Solitamente un terzo di quanto previsto nell'atto impositivo.

49 In particolare, se l'ultima pronuncia di merito è stata favorevole al contribuente, il Fisco, in caso di annullamento con rinvio, avrà la possibilità di iscrivere a ruolo somme pari a quanto dovuto durante la pendenza del giudizio di primo grado; diversamente, nel caso in cui l'ultima sentenza di merito è stata favorevole al Fisco e la sentenza della Suprema Corte ha cassato con rinvio, sul contribuente graveranno solo le somme iscritte a ruolo in misura uguale a quelle versate al momento della proposizione del ricorso, con parziale sgravio delle maggior somme precedentemente iscritte a ruolo. Sul punto si veda Russo A.,

(27)

quale, in caso di mancata riassunzione, l'intero giudizio si estingue, e, pertanto, sarà dovuto l'intero importo dell'atto impositivo50, è stata vista con favore, sia perché pienamente

corrispondente a quanto affermato da anni da parte della giurisprudenza51, sia perché pienamente rispettosa del

principio in nome del quale il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova ed autonoma, volta all'emanazione di una sentenza che statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti52.

“Riscossione provvisoria a seguito di cassazione con rinvio”, Cit., 3360.

50 Pertanto, è logico ritenere che l'interesse alla riassunzione, a prescindere dall'esito dei precedenti gradi di giudizio, sia solo del contribuente, in quanto in caso di mancata riassunzione l'intero processo si estinguerà, fatti salvi i giudicati interni, e sarà dovuto l'intero importo indicato nell'atto impositivo. Circolare 41/E/2011 Agenzia delle Entrate; Circolare 8/T/2007 Agenzia del Territorio; Vidiri G., “Il “nuovo” giudizio di rinvio: la Cassazione giudice di terza istanza?”, in Corr. Trib., 2006, 1149; Mangiavacchi U., “Estinzione del giudizio per

mancata riassunzione: confermato l'effetto di consolidamento dell'atto impositivo”, in Il Fisco, 2009, 3767; la Corte di Cassazione, con la

sentenza n. 3040 del 2008 ha affermato che la riassunzione del giudizio da parte dell'Amministrazione deve essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto la pretesa tributaria vive di forza propria in virtù dell'atto impositivo in cui è stata formalizzata e l'estinzione travolge solo la sentenza di primo e di secondo grado, ma non l'atto amministrativo. Parte della dottrina, invece, ritiene che non possa essere dichiarata l'inammissibilità della riassunzione da parte dell'Amministrazione in quanto l'art. 100 c.p.c. non opererebbe nel giudizio di rinvio in quanto sarebbe una continuazione del giudizio originario; si veda sul punto Cissello A., “il giudizio di rinvio”, in Il Fisco, 2011, 206; Beccalli C., “Contenzioso tributario: riassunzione del giudizio

a seguito di sentenza della Cassazione. Di norma non spetta agli Uffici attivarsi”, in Il Fisco, 2007, 4156.

51 Sul punto si veda Cass. Sent. n. 14892/2000; Cass. Sent. n. 15489/2000; Cass. Sent. n. 13833/2002; Cass. Sent. n. 1824/2005; Cass. Sent. n. 3040/2008; Cass. Sent. n. 7536/2009; Cass. Sent. n. 19701/2010; Cass. Sent. n. 7781/2011; Cass. Sent. n. 5044/2012; Cass. Sent. n. 16689/2013; Cass. Sent. n. 15643/2014.

52 Sul punto si veda Mandrioli C., “Diritto processuale civile. II. Il processo

di cognizione”, Torino, 2000, 486; Consolo C., “Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi”, Padova, 2006; Cass. Sent. n. 23596/2011 dove la

Suprema Corte afferma che dopo la cassazione con rinvio, la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassate si trovano in uno stato di inefficacia, di impossibilità di riviviscenza e di insuscettibilità di passaggio in giudicato.

(28)

Altra parte della dottrina53, invece, ha criticato fortemente

l'introduzione della lettera c bis) all'interno del comma 1 dell'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992. In particolare, tali autori hanno affermato che la previsione secondo cui il contribuente sarebbe tenuto a versare l'ammontare dovuto nella pendenza del primo grado, in caso di annullamento con rinvio, costituisca una grave anomalia, in quanto l'atto impositivo, a tale punto del processo, avrebbe perso totalmente la sua efficacia originaria e la sentenza di annullamento con rinvio sarebbe priva di ogni effetto ripristinatorio di tale pregressa efficacia. Si afferma, inoltre, che tale norma sarebbe fortemente lesiva dei diritti del contribuente in quanto, in tale fase non sarebbe possibile fare ricorso alla tutela cautelare, poiché il D.Lgs. n. 156/2015, nonostante che la legge delega imponesse “l'uniformazione generalizzata degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario”, non ha previsto la sospensione nel giudizio di riassunzione.

Tale dottrina è critica nei confronti della lettera c bis) anche nella parte in cui prevede che in caso di mancata riassunzione il contribuente sarebbe tenuto a versare l'intero importo previsto dall'atto impositivo. Si afferma, in primo luogo, che la collocazione della norma è contestabile in quanto tale ipotesi non rappresenta un caso di versamento in pendenza di giudizio, ma le somme saranno dovute a causa dell'estinzione del giudizio per mancata riassunzione. Del resto, il versamento delle somme dovute in ammontare pari a quelle previste nell'atto impositivo, consegue ad ogni ipotesi di

53 In tal senso si veda Glendi C., Consolo C., Contrini A., “Abuso del diritto

e novità sul processo tributario”, commento all'art. 68 del D.Lgs. 546/92,

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estinzione del giudizio e non solo al caso di mancata riassunzione a seguito di cassazione con rinvio. Tale dottrina osserva, inoltre, che, in caso di mancata riassunzione a seguito di annullamento con rinvio, non è detto che debba essere dovuto l'intero importo previsto nell'atto impositivo in quanto potrebbero essersi formati dei giudicati interni. Infine, si afferma che tale formulazione appare inadeguata per alcune tipologie di atti, come, ad esempio, per quelli emessi in materia catastale, dove nessuna somma appare dovuta.

La novità introdotta nella lettera c bis) dell'art 68, comma 1, nella parte in cui prevede che in caso di annullamento con rinvio operato dalla Corte di Cassazione debba essere corrisposto l'ammontare corrispondente alle somme dovute in pendenza del giudizio di primo grado appare, a mio parere, una soluzione ragionevole che colma la lacuna in materia e chiarisce definitivamente la disciplina applicabile, ponendo fine agli accesi dibattiti, che avevano indotto ad adottare soluzioni diverse sul territorio nazionale, in grave violazione del principio di uguaglianza tra i vari contribuenti. Diversamente, la parte della lettera c bis) che prevede che debba essere versato l'intero ammontare del tributo indicato nell'atto impositivo in caso di mancata riassunzione, appare una norma, da un lato, inutile, in quanto tale conclusione era già desumibile dal combinato disposto degli artt. 63, comma 2, e 45, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992, e, dall'altro, erronea, in quanto non tiene conto né dei giudicati parziali o impliciti, né dei casi in cui la sentenza abbia ad oggetto atti che non riguardano propriamente una somma da pagare, come gli atti catastali.

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Non tutti i tributi, però, sono soggetti alla riscossione frazionata. In particolare, sfuggono alla disciplina prevista dal comma 1 dell'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 le imposte suppletive54, ovvero quelle liquidate successivamente al tributo

principale e volte alla correzione di errori commessi dall'Ufficio impositore. Tali imposte vanno corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso per Cassazione. Prima della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 203 del 1998, che ha modificato l'art. 19 del D.Lgs. n. 472 del 1997, anche le sanzioni erano sottratte alla disciplina della riscossione frazionata; attualmente, invece, sarà possibile provvedere alla loro riscossione ex art. 68, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992. Infine, non sarà possibile applicare la disciplina della riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio, ai sensi del comma 3 bis dell'art. 68, per il pagamento delle risorse proprie tradizionali di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione, in quanto queste restano disciplinate del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e delle altre disposizioni dell'Unione Europea in materia.

A bilanciamento della riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio55 è stato posto il comma secondo dell'art.

54 Il riferimento è all'imposta di registro, ipotecaria e catastale che sia stata liquidata dopo quella principale al fine di correggere errori od omissioni dell'Amministrazione finanziaria.

55 In tali termini si è espressa Parlato M.C., “Contributo allo studio del

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68 D.Lgs. n. 546/1992, il quale disciplina l'obbligo dell'Ufficio di provvedere, in caso di accoglimento del ricorso, alla restituzione al contribuente del tributo corrisposto in eccesso rispetto a quanto statuito in sentenza, nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza stessa56. L'art. 68, comma

2, del D.Lgs. n. 546/1992, nella sua originaria formulazione, prevedeva che “se il ricorso viene accolto il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notifica della sentenza”.

Tale norma, dopo aver affermato l'obbligo dell'Amministrazione di restituire le somme corrisposte in pendenza di giudizio al contribuente vittorioso, non prevedeva una sanzione in caso di inadempimento da parte dell'Ufficio57;

56 Tale disposizione implica, non solo che l'Amministrazione finanziaria abbia l'obbligo di restituire il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dal giudice tributario, ma anche che la stessa non possa dare ulteriore corso ad una riscossione non più legittima; sarebbe totalmente irragionevole consentire all'Amministrazione di continuare a riscuotere ciò che la norma impone che venga immediatamente restituito. Sul punto si veda Orlandini A., “Il rimborso delle imposte

iscritte a ruolo in seguito alla decisione della Commissione tributaria”, in Il Fisco, 2000, 1411; Randazzo F., “L'esecuzione della sentenza non definitiva nello schema di riforma del processo tributario”, in Corr. Trib.,

2015, 2393.

57 L'obbligo di adempimento da parte dell'Ufficio è stato, però, sancito anche dallo stesso Ministero delle Finanze che, con la circolare 224/E del 30 novembre 1999, ha chiarito che “dinnanzi ad una sentenza di

annullamento del ruolo impugnato dal contribuente, l'Amministrazione Finanziaria è tenuta, a prescindere dalla definitività o meno della sentenza e dalla tipologia del ruolo, a rimborsare al ricorrente le somme da questi versate in pendenza di giudizio e poi riconosciute indebite dal giudice tributario, senza pregiudizio del diritto della stessa Amministrazione a reinscrivere a ruolo, entro i termini decadenziali o prescrizionali di volta in volta previsti, gli importi dovuti dal contribuente in forza di una successiva sentenza di appello”. Questa previsione era

volta ad evitare un dispendio eccessivo di risorse, nel caso in cui l'Ufficio, per disposizione normativa, fosse obbligato a restituire le somme al contribuente. In sede di prima applicazione l'Amministrazione

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pertanto, tale disposizione era una norma totalmente priva di efficacia pratica58. Per tale motivo si erano accesi forti dibattiti,

sia in dottrina che in giurisprudenza, al fine di individuare adeguati strumenti di tutela in favore del contribuente59.

La giurisprudenza60 e parte della dottrina61 ritenevano che, in

caso di inottemperanza da parte dell'Amministrazione

finanziaria subordinava tale rimborso alla previa notifica, da parte del contribuente, della sentenza a lui favorevole. Tale impostazione, però, era stata ritenuta erronea da parte del Ministero delle Finanze che, con risoluzione n. 46/E del 10 aprile del 2000, affermava che l'Ufficio dovesse provvedere al rimborso non appena fosse venuto a conoscenza dell'esito del giudizio, a prescindere della notifica della sentenza. Nel medesimo ordine di idee, la Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte, con nota n. 97156089 del 24 dicembre del 1997, e la Direzione Regionale delle Entrate per la Lombardia, con nota n. 5 – 10241 dell'11 febbraio 2000, avevano sottolineato che l'effettivo fondamento dell'obbligo di restituzione gravante sull'Amministrazione era costituito dalla pronuncia giurisdizionale favorevole al contribuente e non dalla notifica della stessa, in quanto la disposizione in questione si poneva in evidente tutela del contribuente nel caso di comportamento inerte dell'Amministrazione e non escludeva affatto che un Ufficio attento alla gestione della propria attività impositiva, anche in un'ottica di economicità, provvedesse immediatamente a tali adempimenti, a prescindere dalla notifica della sentenza da parte del contribuente. 58 Alcuni hanno affermato che la norma in questione rappresentasse “una

lancia senza punta” (l'espressione è di Sinante Colucci S., “L'esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie nei confronti della P.A.”,

Torino, 2002, 128); altri ancora che il contribuente avrebbe dovuto

“appagarsi della previsione di un dovere funzionale amministrativo ad adempiere a suo favore e dei corrispondenti presidi” (l'espressione è di

Consolo C., “Sulla perdita di efficacia degli atti annullati con decisione

non ancora passata in giudicato e dei riflessi di ciò sulla riscossione”, in Riv. Dir. Trib., 1991, 34); altri ancora che “il rimborso è lasciato alla grazia dell'amministrazione” (l'espressione è di Moschetti F., “Il nuovo processo tributario: una riforma incompiuta”, in “Il nuovo processo tributario”, a cura di Tosi L. e Viotto A., Padova, 1999, 12).

59 Analoghi problemi si erano posti anche in materia di esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo, prima della riforma intervenuta nel 2000. In particolare, prima dell'approdo raggiunto dall'art. 10 della legge 21 luglio 2000 n. 205, il cui contenuto è stato trasfuso nell'art. 112 del D.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, secondo cui l'azione di ottemperanza può essere proposta anche per l'attuazione delle sentenze del giudice amministrativo soggette ad impugnazione. In particolare, l'indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. n. 12/1979; Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. n. 10/1980; Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. n. 9/1997; Cons. Stato, Sent. n.

Riferimenti

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