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III Il processo di serpentinizzazione

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III Il processo di serpentinizzazione

III. 1 Le dorsali medio oceaniche

Le dorsali medio-oceaniche (mid-ocean ridges) sono zone di alto flusso di calore. Il flusso di calore della litosfera oceanica diminuisce con la sua età. In particolare i valori del flusso di calore presentano una grande dispersione in corrispondenza della dorsale in relazione alla circolazione idrotermale attraverso le rocce della crosta oceanica. La circolazione dell’acqua di mare è permessa da un’importante fratturazione della crosta oceanica ed è confermata dalla presenza di fenomeni metasomatici (sostituzione di uno o più minerali per apporto e allontanamento di materia) e dalla presenza di giacimenti minerari in aree superficiali (fig. III.1).

Fig. III.1: Schematizzazione di una sezione della dorsale medio-oceanica (http://hays.outcrop.org/GSCI340/lecture12.html)

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28 La crosta dell’oceano ha uno spessore limitato a pochissimi chilometri e i gradienti termici stimati non ammettono alla base temperature superiori a 150-200°C: la situazione è tale da non permettere ricristallizzazioni metamorfiche, ma solo eventuali cristallizzazioni di minerali idrotermali nelle fratture. In prossimità delle dorsali oceaniche, il flusso di calore invece è significativamente più alto, di conseguenza i gradienti termici in queste zone possono raggiungere valori pari o superiori a 150°C/km. Un simile gradiente permetterebbe lo sviluppo di ricristallizzazioni metamorfiche. Nelle regioni prossime alle dorsali la presenza di acqua e la fratturazione della roccia, determinata sia da attività dinamica che dal raffreddamento brusco delle lave basaltiche appena fuoriuscite per contatto con l’acqua fredda dell’oceano, costituiscono caratteristiche favorevoli alle suddette ricristallizzazioni. Quest’ultimo tipo di fratturazione determina la penetrazione dell’acqua marina nell’intera sezione crostale aumentando la superficie dell’interfaccia acqua-roccia, sede delle reazioni metamorfiche, e facendo aumentare la temperatura dell’acqua, man mano che essa penetra in profondità, fino a valori intorno ai 500°C. Ne consegue che in prossimità delle dorsali medio-oceaniche, nell’intera sezione di litosfera, si attivano moti convettivi dell’acqua marina attraverso il reticolato di fratture presenti nelle rocce (Lister, 1972). Questi moti sono generati e controllati dalle differenze di temperatura che si instaurano nell’acqua marina alla quale si aggiungono eventuali modeste quantità di acque juvenili. Sono quindi inevitabili le interazioni chimico-fisiche fra l’acqua marina e le porzioni di rocce che vengono in contatto con essa in un contesto di temperatura adatto all’innesco di processi metamorfici. L’acqua fredda discendente è inizialmente molto ossigenata e contiene elevate quantità di ioni cloruro, carbonato, bicarbonato e solfato e inevitabilmente la sua azione non può essere soltanto idratante. Gli anioni e l’ossigeno determinano modificazioni di composizione dei minerali presenti nelle rocce come: formazione di ematite per ossidazione dell’olivina, di pirite e magnetite per reazione dell’olivina con SO42- e H+, formazione di calcite a spese dei pirosseni che reagiscono con CO32- e H+. Nei corpi peridotitici l’olivina si trasforma in serpentino per idratazione. Quasi tutte queste reazioni liberano SiO2 dai silicati coinvolti e questa silice contribuisce ai depositi selciferi abissali, aggiungendosi alla silice organogena. Dopo aver subito riscaldamento, inizia il tratto ascendente del circuito lungo il quale vengono lisciviate dalle rocce notevoli quantità di metalli (V, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, Cd, Ag, Au) e trasportate verso l’alto sotto forma di cloruri solubili. Quando quest’acqua risalendo raggiunge il fondo oceanico i metalli pesanti precipitano sotto forma di composti colloidali (ossidi idrati di Fe a Mg, solfuri) formando depositi metallici che per dimensioni e concentrazione

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29 possono assumere anche interesse economico. Inoltre la circolazione dell’acqua di mare attraverso le rocce del fondo oceanico genera modificazioni compositive dei basalti e delle plutoniti basiche e ultrabasiche, idratazione del vetro dei basalti con sostituzione da parte dei minerali argillosi, cristallizzazione di solfuri nelle fratture dei basalti superficiali e di calcite nelle altre fratture, cristallizzazione di associazioni mineralogiche tipiche della facies zeolitica e, in profondità, anche della facies degli scisti verdi e anfibolitica, in corrispondenza della zona a flusso di calore estremamente alto.

Queste trasformazioni interessano solo le parti della roccia che grazie alla fratturazione hanno potuto subire l’interazione chimico-fisica con l’acqua oceanica: è quindi la distribuzione delle fratture che controlla i prodotti metamorfici. Il carico chimico dell’acqua, che entra in gioco in queste reazioni mineralogiche metamorfiche, non può essere trascurato; perciò la roccia che subisce le suddette trasformazioni va considerata come un sistema aperto.

III.2 Le trasformazioni mineralogiche nelle rocce ultramafiche

La complessa storia tettonica e termica subita dalle ofioliti, dal momento della loro formazione a quello della messa in posto, si riflette in trasformazioni mineralogiche e chimiche più o meno profonde, generalmente riferibili a gradi metamorfici variabili, dalla facies zeolitica fino talora a quella anfibolitica.

Le peridotiti costituiscono un litotipo fondamentale nelle ofioliti. Prima di subire processi di trasformazione sul fondo oceanico, queste rocce erano costituite fondamentalmente dai seguenti minerali: olivina in una percentuale pari al 60% in volume, ortopirosseno (circa 25%), clinopirosseno (circa 10%), spinello (3%) ed altri minerali accessori (2%). Le peridotiti tettonitiche possono essere sia harzburgiti che lherzoliti. Le prime hanno un carattere geochimico nettamente più residuali delle seconde, avendo olivina altamente magnesiaca e ortopirosseno con bassi contenuti in Al2O3 associato con sporadico clinopirosseno, perlopiù ricco in Cr e spinello di cromo (D’amico et al., 1989). I processi metamorfici che si sono verificati sia nei fondali oceanici che nelle fasi di costituzione della catena montuosa hanno modificato questo assetto mineralogico, generando minerali idrati del gruppo del serpentino a spese dell’olivina e dei pirosseni

I minerali del serpentino si formano principalmente come risultato di alterazione idrotermale retrograda di rocce ultramafiche come duniti, peridotiti o pirosseniti, o dal

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30 metamorfismo progrado di serpentiniti preesistenti. Come maggiori costituenti del mantello superiore idrato, di placche oceaniche e di cunei di mantello a ridosso delle zone di subduzione, i minerali del serpentino hanno un ruolo importante nel riciclo dell’acqua e nella mobilizzazione di elementi nel mantello superiore. I prodotti più comuni dell’alterazione dell’olivina nei processi di metamorfismo più frequenti nelle rocce ricche in olivina, come duniti e peridotiti con olivina ricca in magnesio, sono i tre minerali del serpentino, lizardite, antigorite e crisotilo, insieme a brucite, talco e carbonati (Deer et al., 2009).

La serpentinizzazione è quindi il processo di idratazione di peridotiti con conseguente formazione di serpentino a partire da minerali anidri o meno idrati preesistenti come olivina, ortopirosseno ed altri silicati ricchi in Mg.

La serpentinizzazione può essere espressa dalle seguenti reazioni: 2Mg2SiO4 +3H2O=Mg3Si2O5(OH)4+Mg(OH)2

forsterite serpentino brucite

oppure

3Mg2Si O4 + 4H2O + SiO2 = 2Mg3Si2O5(OH)4 In presenza di CO2 il serpentino può formare talco e magnesite:

2Mg3Si2O5(OH)4 + 3CO2=Mg3Si4O10(OH)2 + 3MgCO3 + 3H2O

serpentino talco magnesite

Le reazioni che accompagnano il processo di serpentinizzazione sono esotermiche e consumano acqua.

Il prodotto retrogrado più comune della serpentinizzazione è la lizardite generalmente in tessitura pseudomorfa da olivina, ma anche da pirosseni o anfiboli (Deer et al., 2009). Il topotipo “bastite” (pirosseno serpentinizzato), da Basta nelle Harz Mountains, è stato dimostrato essere in alcuni casi lizardite (Whittaker & Zussman, 1956), in altri crisotilo. In genere, il prodotto principale, sia per gli ortopirosseni che per i clinopirosseni e per le lamelle di essoluzione, sembra essere serpentino orientato in maniera casuale (generalmente di granulometria troppo fine per l’identificazione certa) (Cressey, 1979), associato a meno lizardite cristallizzata in maniera più grossolana (Wicks, 1986).

Molte serpentiniti contengono quantità apprezzabili di magnetite, la cui origine è stata oggetto di interpretazioni controverse. Wicks e O’Hanley (1988) considerarono la magnetite come reagente, prodotto o agente passivo durante i cambiamenti nella mineralogia o nella tessitura delle serpentiniti.

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31 Le serpentiniti sono caratterizzate da una grande varietà di microstrutture (Wicks & Whittaker, 1975; Wicks & Whittaker, 1977; Wicks & Plant, 1979, Wicks & O’Hanley, 1988) che riflettono differenti condizioni di pressione e temperatura, diversi tipi di fluidi e differenti gradi di deformazione e spesso risultano di difficile interpretazione dal punto di vista petrologico. Wicks e Whittaker (1977) suddividono le tessiture di campioni di serpentiniti provenienti da una larga varietà di corpi ultramafici in tre categorie:

• tessiture pseudomorfe dopo olivine e bastiti dopo pirosseni, anfiboli, ecc. (mesh texture,

hourglass texture);

• assenza di pseudomorfosi (interpenetrating texture, interlocking texture)

• tessitura caratterizzata da vene di serpentino (chrysotile cross-fiber veins, chrysotile

slip-fiber veins, non asbestiform veins).

III.2.1 Serpentiniti con tessiture pseudomorfe

Le serpentiniti che preservano relitti mineralogici e strutturali del protolite peridotitico, in sezione sottile si presentano con tessiture a clessidra (hourglass) e a setaccio (mesh) (Wicks & Whittaker, 1975) (fig. III.2). Un modello geometrico ideale per lo sviluppo di tali tessiture è presentato da Wicks et al. (1977); questo modello descrive, per i vari stadi di sostituzione, la serpentinizzazione dell’olivina tramite la formazione di fibre apparenti di serpentino che si sviluppano perpendicolarmente alle facce idealizzate di un cristallo di olivina. La struttura pseudomorfica di tipo mesh consiste quindi di maglie nelle quali è ben riconoscibile una zona centrale (mesh core) ed una zona periferica (mesh rim) con caratteristiche microstrutturali differenti. Il mesh rim è costituito da fibre apparenti orientate perpendicolarmente ai bordi della maglia; il mesh core è costituito da olivina inalterata o da serpentino isotropo e/o anisotropo. Nella struttura hourglass (a clessidra), invece, non è più possibile distinguere un mesh rim ed un mesh core, in quanto i mesh rim si presentano estesi fino al centro della maglia.

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32 Fig. III.2: Tessiture pseudomorfe delle serpentiniti; A-B-C: mesh texture; D: hourglass texture. (Groppo, 2005)

III.2.2 Serpentiniti con tessiture non pseudomorfe

Le serpentiniti, oltre che nel processo di serpentinizzazione, possono formarsi o essere coinvolte nel processo di ricristallizzazione e/o sostituzione e nel processo di deserpentinizzazione (O’Hanley, 1996).

I processi di ricristallizzazione e sostituzione sono generalmente legati alla circolazione di fluidi e danno origine a due tipi di strutture (Wicks & Whittaker, 1977) (fig. III.3):

- struttura interpenetrata (interpenetrating): costituita da lamelle di antigorite otticamente identificabili, allungate e compenetrate le une nelle altre;

- struttura intrecciata (interlocking): costituita da serpentino a grana fine (antigorite, lizardite e/o crisotilo) in granuli non identificabili otticamente.

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33 Fig. III.3: Tessiture non pseudomorfe delle serpentiniti; A: interpenetrating texture; B: interlocking texture. (Groppo, 2005)

Nel processo di ricristallizzazione un minerale del gruppo del serpentino ricristallizza. Nella sostituzione, invece, uno o più minerali del gruppo del serpentino vengono sostituiti da uno o più minerali dello stesso gruppo. Temperatura e pressione non sono i fattori più importanti che influenzano il grado di sostituzione/ricristallizzazione delle serpentiniti (O’Hanley et al., 1989; Schandl et al., 1990; O’Hanley, 1991), mentre lo è molto di più il tipo di interazione fluido-roccia.

Nella deserpentinizzazione i serpentini si disidratano per formare associazioni di minerali meno idrati come olivina + talco (± clorite). Mentre durante la serpentinizzazione si forma lizardite a spese dell’olivina, durante la deserpentinizzazione l’olivina si forma generalmente a spese dell’antigorite, quindi i due processi non risultano essere uno l’inverso dell’altro. Le reazioni che descrivono la deserpentinizzazione sono:

Antigorite + Brucite = Olivina + H2O Antigorite = Olivina + Talco + H2O

Tali reazioni sono endotermiche e producono acqua (Evans, 1977). III.2.3 Vene di serpentino

In tutte le serpentiniti sono presenti, in misura variabile, vene tardive di serpentino che possono avere accrescimento parallelo o perpendicolare alle pareti delle fratture ospitanti.

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34 Fig. III.4: Tipologie di vene nelle serpentiniti; A, B: vene ad antigorite; , C: vena a crisotilo (cross-fiber vein); D, E: vene a

crisotilo (slip-fiber vein); F: vena a crisotilo a bande (banded vein). (Groppo, 2005)

Generalmente le vene aventi accrescimento parallelo alle pareti della frattura ospitante (fig. III.4-D,E), sono tipiche delle zone di taglio e sono rilevabili alla scala del campione a mano o in affioramento e raramente rappresentate in sezione sottile in quanto si presentano con spessori elevati (Wicks & Whittaker, 1977 cum bib.). Le vene sottili presenti nelle serpentiniti spesso non si presentano soggette a taglio, ma seguono linee di debolezza e possono tagliare gli elementi tessiturali presenti. Le fibre nelle vene con

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35 spessore millimetrico, giacciono perpendicolarmente alle pareti delle fratture e si estendono da una parete all’altra senza rotture (fig. III.4-C).

Nelle serpentiniti massive sono molto frequenti vene non asbestiformi di serpentino e si presentano con una grande varietà di combinazioni di caratteristiche tessiturali. Tali vene possono essere pseudofibrose, scagliose, colonnari, a bande o massive e il loro colore risulta variabile (bianche, verdi e anche nere). Questa tipologia di vene può o meno aver subito taglio e all’interno di una singola vena il serpentino può presentarsi sia fibroso che non fibroso. Lizardite e crisotilo sono i principali minerali che compongono questa tipologia di vene; ma, se si presentano con abito non fibroso, non sono otticamente distinguibili. Solo in alcuni casi le vene composte da antigorite sembrano essere otticamente distinguibili (fig. III.4-A,B), in quando caratterizzate dalla tipica morfologia a lamine (Wicks & Whittaker, 1977). Per quanto riguarda le vene a bande (fig. III.4-F), molto frequenti nelle serpentiniti massive (Dilek et al., 1997), risultano formate tramite un meccanismo crack-seal, che consiste in un’apertura incrementale caratterizzata dal completo riempimento di piccole aperture sequenziali (Ramsay, 1980) causate da oscillazioni della pressione dei fluidi, secondo Ramsay (1980), o della pressione di cristallizzazione, secondo Wiltschko & Morse (2001). Questi eventi possono essere centinaia. I cristalli all’interno di questa tipologia di vene hanno una forma allungata (Andreani et al., 2004), ma è ancora aperto il dibattito relativamente alla possibilità che possa essere proprio il meccanismo crack-seal la causa effettiva della fibrosità del riempimento di tali vene. Andreani et al. (2004) hanno effettuato uno studio microstrutturale, utilizzando tecniche di microscopia elettronica a scansione (SEM) e a trasmissione (TEM), di questa tipologia di vene identificando i minerali che le compongono; tali minerali hanno differenti caratteristiche strutturali e sono: lizardite (struttura lamellare), crisotilo (struttura cilindrica), serpentino poligonale (struttura tubulare) e antigorite (struttura modulata).

III.3 Cenni alle tecniche analitiche utilizzate per identificare i minerali del serpentino

Le paragenesi delle serpentiniti, tramite la sola microscopia ottica, risultano complicate da identificare, in quanto i minerali del gruppo del serpentino hanno proprietà ottiche molto simili e i serpentini, in particolare quando presentano abito fibroso, sono caratterizzati da concrescimenti di più specie alla scala submicroscopica (Veblen & Buseck, 1979).

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36 La diffrattometria a raggi X (XRD) è stata più volte utilizzata con successo (Whittaker & Zussman, 1956; Wicks & Zussmann, 1975; Wicks & O’Hanley, 1988). Ad eccezione della micro-diffrazione, la diffrattometria a raggi X di polveri (XRPD) richiede la macinazione del campione, e non permette di conservare le informazioni sulle relazioni microstrutturali tra le diverse fasi mineralogiche.

Le analisi chimiche, siano esse condotte con sistemi a dispersione di energia (EDS) che di lunghezza d'onda (WDS), non sono generalmente sufficienti per distinguere i serpentini, in quanto si tratta di minerali aventi una composizione chimica molto simile. Tra le tecniche convenzionali usate per identificare i minerali del gruppo del serpentino, senza perdere le informazioni microstrutturali, soltanto la microscopia elettronica in trasmissione con associata microanalisi (TEM-EDS) fornisce risultati affidabili, ma la preparazione del campione è complessa e costosa e, inoltre, l’interpretazione degli spettri di diffrazione non è così immediata.

La spettroscopia micro-Raman consente di riconoscere rapidamente crisotilo, lizardite e antigorite e, se utilizzata come tecnica complementare ad altre tecniche analitiche, costituisce un metodo rapido e preciso per il riconoscimento dei minerali del gruppo del serpentino e permette di associare informazioni microstrutturali e composizionali (Groppo et al., 2006).

Per il presente lavoro sono stati utilizzati XRD, SEM-EDS e spettroscopia micro-Raman (le tecniche analitiche sono descritte in appendice 2). La tecnica maggiormente utilizzata è stata la diffrattometria a raggi X, tramite la quale è stato possibile identificare i componenti principali dell’elemento analizzato (vene, roccia, spalmature, ecc.) ed ottenere informazioni utili per la caratterizzazione dei siti studiati. I dati di riferimento per il riconoscimento dei minerali del serpentino sono riportati in tabella III.1.

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37 Crisotilo Lizardite Antigorite

dhkl Ihkl dhkl Ihkl dhkl Ihkl 7.36 vs 7.36 vs 7.28 vs 6.40 w 4.58 m 4.62 ms 4.64 mw 4.24 w 3.89 w 3.66 vs 3.64 w 3.61 vs 2.66 mw 2.65 mw 2.594 mw 2.60 w 2.549 m 2.53 vs 2.495 s 2.456 s 2.45 w 2.42 w 2.38 vw 2.282 w 2.299 w 2.25 vw 2.215 w 2.21 w 2.163 m 2.148 m 2.096 m 1.829 w 1.830 w 1.835 w 1.813 w 1.794 mw 1.779 m 1.748 m 1.737 mw 1.732 mw 1.694 vw 1.566 ms 1.541 ms 1.536 s 1.534 ms 1.529 w 1.503 m 1.509 w

Tab. III.1: Dati di riferimento per il riconoscimento dei minerali del serpentino tramite diffrattometria di polveri (Whittaker & Zussman, 1956).

[dhkl, Ihkl: distanza interplanare in Angstrom e intensità del riflesso hkl; vs: very strong, s: strong, ms: medio strong m:

medium, w: weak, mw: medio weak; vw: very weak ]

Il SEM-EDS è stato utilizzato principalmente per osservazioni morfologiche, in particolare per valutare la fibrosità alla microscala delle vene; la difficoltà nell’ottenere superfici lucide dei campioni analizzati non ha permesso di ricavare dati chimici accurati; solo nel caso delle analisi sull’anfibolo del sito di studio 2 è stato possibile effettuare la caratterizzazione chimica tramite microanalisi a dispersione di energia.

La spettroscopia micro-Raman è stata utilizzata solo in un caso di studio e ha permesso quasi sempre di riconoscere i vari polimorfi del serpentino. Tale tecnica costituisce però un metodo di analisi puntuale e, per quanto comoda e affidabile, ai fini dell’obiettivo del presente lavoro, è utile esclusivamente per un confronto con dati che permettono di avere

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38 un riscontro quantitativo. L’interpretazione degli spettri Raman del sito di studio 1 è stata effettuata prendendo come riferimento i valori determinati da Rinaudo et al. (2003) nella caratterizzazione di crisotilo, antigorite e lizardite tramite questa tecnica spettroscopica (tab. III.2).

Crisotilo Lizardite Antigorite

ν (cm-1) I I I 1105 m 1096 ? - - - 1044 s - - - - - 692 vs 690 vs 683 vs 630 m 635 m - - - 620 m - - - - - - 510 m 520 m - - - - - - - - 389 vs 388 vs 375 vs - - 345 m 350 m - m - - - - - - 231 s 233 vs 230 vs - - -

Tab. III.2: Dati di riferimento per il riconoscimento dei minerali del serpentino tramite spettroscopia micro.Raman (Rinaudo et al., 2003). [I: intensity; vs: very strong, s: strong, m: medium]

Figura

Fig. III.1: Schematizzazione di una sezione della dorsale medio-oceanica  (http://hays.outcrop.org/GSCI340/lecture12.html)
Tab. III.1: Dati di riferimento per il riconoscimento dei minerali del serpentino tramite diffrattometria di polveri  (Whittaker & Zussman, 1956)
Tab. III.2: Dati di riferimento per il riconoscimento dei minerali del serpentino tramite spettroscopia micro.Raman  (Rinaudo et al., 2003)

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