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1. LA TRADUZIONE: PROBLEMI E COMMENTO 1.1. Il titolo Il primo problema traduttivo che si presenta è la traduzione del titolo: La Fête de village

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1. LA TRADUZIONE: PROBLEMI E COMMENTO

1.1. Il titolo

Il primo problema traduttivo che si presenta è la traduzione del titolo: La Fête de village1. Il traduttore si chiede come mai questo titolo e non un altro che sembrerebbe, a prima vista più naturale, come La Fête du village. Egli potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un’anomalia ortografica dovuta alla mancanza della contrazione della preposizione articolata de le in du nel francese del Seicento, oppure a una connotazione del titolo legata alla peinture des mœurs. Esclusa la prima ipotesi, dopo aver verificato che nella decima scena del primo atto si trova l’espressione du village, il traduttore può affermare che la traduzione del titolo La Festa di villaggio, invece che La Festa del villaggio, racchiude tutta una serie di connotazioni legate alla descrizione della struttura sociale della provincia in contrapposizione alla città, Parigi, e dà un quadro dei costumi dell’epoca. È importante sottolineare quindi che la risoluzione di questo problema traduttivo, come anche del resto per molti altri, può avvenire solo attraverso la contestualizzazione dell’opera nell’ambito storico e letterario, la conoscenza della vita e delle opere dell’autore, la ricerca delle caratteristiche della lingua francese del Seicento e la consultazione dei dizionari storici. La fase di contestualizzazione dell’opera e dell’autore

1Per la stesura di questo capitolo sono state consultate le seguenti fonti: S. Bassnett, La

traduzione, teorie e pratica, Milano, Strumenti Bompiani, 2003; F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, Paris, Société des textes français modernes, Vol. II, 1989; La Traduzione del testo poetico, a cura di F. Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2004; Dancourt, La Fête de village ou Les Bourgeois de qualité, présentation de J. Curtis et R. Curtis, Montpellier, Édition Espaces, 1996; U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, esperienze di traduzione, Milano, RCS; 2006; N. Page, Speech in the English novel, London, Longman, 1973; L. Venuti, The Translation Studies Reader, London, Routledge,2004.

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rappresenta la seconda fase del processo traduttivo, che segue la fase di lettura attenta e ripetuta del testo. La terza fase consiste nell’individuazione della dominante testuale, la gerarchizzazione dei livelli del testo e dell’intenzione del testo, che può avvenire solo attraverso l’interpretazione. Dopodiché il traduttore passa alla quarta fase, che riguarda la traduzione semantica, cioè il trasferimento dei significati nella lingua di arrivo. La quinta fase è la fase di perfezionamento della bozza, che tiene in considerazione gli elementi dominanti e ha come obiettivo la resa di un testo equivalente, negoziando tra perdite e compensazioni per ottenere lo stesso effetto del testo nella lingua di partenza. La sesta fase riguarda la revisione, meglio se a distanza di tempo, e la settima infine quella di editing. Tornando alla traduzione del titolo, esso ci dice che la storia ambientata nel villaggio di Brie, potrebbe essere la storia ambientata in qualunque villaggio della Francia dell’epoca con la stessa dimensione sociale del villaggio Brie. Se il titolo fosse stato tradotto con La Festa del villaggio, la pièce sarebbe rimasta legata alla realtà del villaggio di Brie e non sarebbe stato possibile, come invece è intenzione del testo, universalizzare i temi trattati nell’opera.

1.2. I nomi dei personaggi

Dopo il titolo, il traduttore si trova subito di fronte il problema della traduzione dei nomi dei personaggi, dato che essi esprimono in gran parte una funzione. In questo caso il traduttore potrebbe arrivare a formulare almeno tre ipotesi traduttive: lasciare tutti i nomi nella lingua di partenza, oppure tradurli tutti nella lingua di arrivo, oppure tradurre solo parte dei nomi nella lingua di arrivo.

Nella prima ipotesi, cioè la scelta di non tradurre i nomi, la traduzione funzionerebbe per quanto riguarda i personaggi indicati solo con il nome di

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persona o con il cognome preceduto da signore o signora, ma non per i nomi che indicano una funzione. La scelta di lasciare i nomi nella lingua di partenza conferirebbe alla traduzione un effetto straniante che connoterebbe l’ambientazione francese, ma al tempo stesso una simile scelta comporterebbe una perdita per quanto riguarda le connotazioni legate alle funzioni. Esse sono infatti molto importanti nella comprensione del genere letterario della commedia dell’autore: la commedia di costume. Non bisogna comunque ignorare il fatto che questa scelta potrebbe funzionare se la commedia fosse destinata solo alla lettura e non alla rappresentazione. In questo caso le note sarebbero indispensabili per aiutare il lettore a comprendere che, per esempio, il Tabellion e il Magister sono personaggi che rappresentano una funzione.

Nella seconda ipotesi, cioè tradurre tutti i nomi nella lingua di arrivo, la traduzione perderebbe quasi completamente l’effetto straniante che richiama l’ambientazione francese. In questa eventualità sarebbe possibile trovare un equivalente per i nomi di persona e le funzioni, ma non per i cognomi che sono intraducibili. Adottare questa scelta traduttiva permetterebbe di mantenere le importanti connotazioni legate alle funzioni, che non potrebbero essere narcotizzate in alcun modo per il rispetto dell’intenzione del testo. La terza ipotesi, cioè la traduzione delle funzioni, il mantenimento dei nomi di persona nella lingua di partenza e la traduzione di Monsieur e Madame per i personaggi indicati con i cognomi, non sarebbe comunque da escludere. La motivazione risiede nel fatto che, in questo caso, avremmo una perdita minore dell’effetto straniante che suggerisce al lettore/spettatore l’ambientazione francese e, allo stesso tempo, viene mantenuta la connotazione legata alle funzioni. La traduzione di Monsieur e Madame è necessaria in questo caso solo per evitare un effetto troppo straniante, quando l’appellativo si trova accanto ai nomi delle funzioni. Per esempio, la traduzione di Madame la Greffiere con Madame la Cancelliera sarebbe risultata troppo straniante, meglio naturalizzare (addomesticare)

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con la Signora Cancelliera. Lo stesso vale per Monsieur le Magister, per il quale è preferibile la traduzione con il Signor Maestro che Monsieur il Maestro. I nomi Angélique , Lisette, Lolive non sono stati tradotti, nonostante esistano i corrispondenti italiani, in quanto importanti per non far dimenticare al lettore/spettatore che la commedia non è ambientata in Italia. I cognomi, come è già stato detto, sono intraducibili; mentre Monsieur e Madame in generale possono essere tradotti o meno, a seconda del gusto e delle necessità, come in questo caso. La scelta traduttiva da adottare è quasi sempre materia di negoziazione tra perdite e compensazioni e la sua finalità è ottenere un testo nella lingua di arrivo che abbia lo stesso effetto del testo di partenza.

La traduzione delle funzioni ha reso necessaria la consultazione di dizionari storici, in particolare del Dictionnaire universel di Furetière edizione del 1701, del Dictionnaire de l’Açadémie française prima edizione (1694), del Dictionnaire de la langue française (1872-77) di Émile Littré e le Trésor de la langue française per riuscire a contestualizzare le traduzioni, oltre che di testi dello studioso più importante dell’autore, André Blanc. Seguendo l’ordine dato dall’elenco dei personaggi, troviamo due procuratori, il Signor Naquart e il Signor Blandineau. La definizione di Procureur fornita dal Dictionnaire Universel di Furetière è la seguente:

PROCUREUR, se dit aussi d’un Officier creé pour se presenter en Justice, e instruire les procés des parties qui le voudront charger de leur exploit, ou de leur procuration. On les appelloit ci-devant Procureurs aux causes, ou ad lites, quand ce n’étoit que de simples commissions. Procureur au Parlament, au Chatêlet, au Grand Conseil, aux comptes, ecc. On ne peut pas revoquer un Procureur, qu’on ne constitue un autre. On ne reçoit personneaux assignations qui lui etoient données en justice; e quand l’affaire tiroit en longueur, il lui etoit permis de créer un Procureur en sa cause, encore falloit-il que fût lettres du Prince, qui ne dureoit que pendant que pendant le cours d’un Parlement. De là vient que les premiers Lettres qui se trouvent au Protocole de la Chancelerie, s’appeloloient grace à

playdoier par Procureur: ce qui eut lieu jusqu’en l’an 1528. Qu’il fut ordonné

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Il Signor Naquart, è un Procureur de la Court, che è stato tradotto con «Procuratore della Corte», nome dato ai procuratori del Parlamento che rappresentava la giurisdizione sovrana2. Il Signor Blandineau è invece Procureur au Châtelet, che è stato tradotto con «Procuratore di Castelletto»3. Egli apparteneva a un rango inferiore rispetto a un Procuratore della Corte. Il Castelletto era un tribunale civile e criminale di prima istanza.

Per quanto riguarda la traduzione di Magister, anche in questo caso è stato consultato, in primo luogo, il Dictionnaire universel di Furetière ed. 1701, che fornisce la seguente definizione del termine:

MAGISTER f.m. Maître d’Ecole de Village, qui enseigne à lire aux jeunes païsans. Il aide aussi à faire l’Office au Curé, e au Vicaire. Ce mot est pur Latin, e

s’applique aussi quelquefois à toutes fortes de Pedans.

Dato che la definizione fa riferimento all’origine latina del termine, è stata poi eseguita la ricerca del termine Magister sul Vocabolario della lingua latina, Il, di Castiglioni Mariotti, che riporta tra i diversi significati del termine quello di maestro. È stato poi necessario verificare la definizione di maestro nel Vocabolario dell’ Accademia della Crusca, 3° edizione del 1691:

MAESTRO Sust. Huomo ammaestrato, e dotto in qualche arte, o scienza. Lat.

Magister, praceptor, peritus.

La definizione data da Furetière fornisce anche una seconda accezione di significato, meno frequente, che può essere tradotta in italiano con «Pedante». Cercando il termine «Pedante» nel Vocabolario dell’Accademia della Crusca, 3° edizione del 1691, troviamo la seguente definizione:

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Cfr. F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 27.

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PEDANTE Pedagogo.

Cercando a sua volta la definizione di «Pedagogo» troviamo:

PEDAGOGO Quegli, che guida i fanciulli, ed insegna loro; al qual noi diciamo più comunemente Pedante. Lat. Paedagogus.

Dalle definizioni sopra riportate il termine equivalente del francese Magister sarebbe più il termine «Pedante» che non «Maestro». Ma le accezioni di significato del termine nell’italiano moderno sono diverse dalle accezioni di significato dell’italiano del Seicento. Il Vocabolario Treccani fornisce la seguente definizione:

PEDANTE In origine, maestro di scuola, istitutore, pedagogo. Nell’uso moderno, e per lo più in senso spregiativo, si dice di chi nell’insegnamento o nello studio si richiama continuamente alle regole, osservandole o facendole osservare con scrupolo meticoloso e scarsa intelligenza. Nel corso dell’evoluzione linguistica dell’Umanesimo dal latino al volgare (15° sec.), sembrò dapprima a molti scrittori che, per conferire al volgare dignità, fosse necessario adeguarlo quanto più possibile al latino, infarcendolo di parole e costrutti di questo […].

Poiché la commedia viene tradotta per un pubblico odierno e non per un pubblico del Seicento, la scelta traduttiva del termine Magister è stata infine per il termine «Maestro», in quanto la traduzione con il termine «Pedante», richiamando oggi l’accezione di significato diversa da quella che il termine aveva nel Seicento, avrebbe avuto un effetto straniante per il ricevente. È vero che il Magister di Dancourt parla in modo pomposo ma il suo non è un linguaggio ricercato ricco di espressioni colte, in quanto parla in dialetto. Furtière, inoltre, fornisce come prima accezione di significato «maestro», e l’accezione di significato che può essere tradotta con «pedante» come meno frequente. Le traduzioni italiane con termini come istitutore o precettore,

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infine, farebbero perdere l’accezione di personaggio del villaggio. Rispetto al Tabellion, l’altro personaggio della commedia che parla in dialetto, il Magister usa una forma dialettale più accentuata, che non rende il personaggio noioso ma comico.

Dopo il maestro, troviamo nell’elenco dei personaggi il Tabellion, che il Dictionnaire universel definisce nel modo seguente:

TABELLION f.m qui ne se dit à la rigueur que d’un Notaire dans une Seigneurie, ou Justice subalterne, pour recevoir les actes qui se passent sous scel authentique, e non royal, e qu’on pretend ne porter point d’hypotheque hors du ressort de la Seigneurie. […].

Passando poi alla ricerca di un termine equivalente in italiano, Il Dizionario di Storia (2011) dell’Enciclopedia Treccani fornisce questa definizione:

TABELLIONE Nell’antica Roma, nome degli scribi pubblici, esperti di materie giuridiche, con funzioni anche ufficiali. Nell’Alto Medioevo, specialmente in ambito bizantino, il termine designava i notai che avevano l’incarico di redigere e conservare gli atti giudiziari e privati. Più tardi si chiamarono con questo termine gli scrittori di documenti che, a differenza dei notai, non avevano il potere di autentificare l’atto e dovevano corredarlo con l’autentificazione di un’autorità pubblica. […].

A partire da queste definizioni, possiamo ipotizzare che la traduzione del termine Tabellion con Tabellione comporterebbe una perdita della denotazione di notaio, che il termine aveva in origine e che ha perso successivamente, anche se il termine richiama in ogni caso l’ambito giuridico e la funzione del personaggio di redigere documenti giuridici. La denotazione principale che interessa conservare nella traduzione, considerando la difficoltà nel trovare termini equivalenti nella traduzione di testi lontani dalla nostra epoca, è l’appartenenza del personaggio alla Bassa Magistratura e alla dimensione sociale della provincia, che si contrappone a

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quella di Parigi. La traduzione del termine Tabellion con Tabellione può quindi ritenersi adeguata, anche se alcune caratteristiche semantiche sono state narcotizzate.

Andando ancora avanti nella traduzione, troviamo Greffiere che il Dictionnaire universel così definisce:

GREFFIER f.m. Officier qui tient un Greffe, qui garde les depôts des actes de justice, qui en delivre les expeditions. Le Greffier en chef, est celui qui signe les expeditions des arrêts, sentences, e autres actes. Greffier commis, qui tient plumitif à l’Audience, à la Chambre du Conseil, soit au civil, soit au criminel. Le Greffier des presentations, Celui où les Procureurs se presentent sur les exploits donnez ou reçus, qui delivre les defauts, e qui fait les rolles ordinaires des Provinces. Greffier garde-sac, qui reçoit les productions des parties, e qui s’en charge. Greffier des affirmations, celui qui reçoit les affirmations que les parties sont obligées de faire. Greffier qui met en peau, Celui qui mets en grosse les arrêts e sentences. Greffier des insinuation, Celui qui tient regitre des donations e des substitutions dans les justicies seculieres, e de tous les actes qui concernent les Benefices dans les Cours Ecclesistiques, afin que tous ces actes soient publics. Greffier de la geole, c’est celui qui tient le Regître des écrous e des decharges des prisonniers.

L’ipotesi di traduzione del termine in italiano è stata «Cancelliera», che trova una conferma nella definizione fornita dal Vocabolario dell’Accademia della Crusca:

CANCELLIERA. Femm. di Cancelliere.

CANCELLIERE. e talora CANCELLIERO. Sost. Masc. Colui che ha la cura di

scrivere e registrare gli atti dei magistrati e di altri uffici pubblici.- Dal lat. Barb.

cancellarius, Usciere o Scriba di Tribunale, detto così perchè4 stava presso il

cancello che separava i giudici dagli assistenti.

Fino a qui la traduzione del termine non ha creato problemi traduttivi, che però si sono presentati di fronte alla traduzione di Greffier à al peau (I,3), per la difficoltà di trovare un equivalente nella resa di à al peau. Anche se il Dictionnaire universel di Furtière fornisce una definizione di Greffier à la

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peau, essa non è stata di aiuto nella risoluzione di questo problema traduttivo e la traduzione del termine alla fine ha comportato una perdita.

Subito dopo troviamo il termine Élue, la cui definizione nel Dictionnaire universel rimanda al termine Eleue, che viene definito come f.f. Femme d’Eleu.

L’ELEU, est aussi un Officier Roial Subalterne non lettré, e sans degrez, qui connoit en premiere instance de l’assiette des faille aides, subsides, e autres impositions, des differens qui surviennent en consequence, e de ce qui concerne les Aides e les Gabelles.

Il Vocabolario Treccani della lingua italiana fornisce la seguente definizione del termine Eletto:

ELÈTTO agg. e s.m. [part. pass. di eleggere, dal lat. Electus, part.pass. di eligĕre]. -1. Agg. e s.m. (f.-a) Nominato, scelto a una carica, a qualche dignità o grado (con valore aggettivale o, più spesso, participiale): i deputati, i senatori eletti.

La traduzione di Elu con «Eletto» comporta molte perdite delle caratteristiche semantiche date dalla definizione del Dictionnaire universel di Furetière. La ricerca del termine nei dizionari storici non è stata purtroppo di grande aiuto, in quanto le definizioni sono molto vicine all’italiano moderno. Possiamo affermare che, nonostante le numerose perdite, la traduzione di Elu con Eletto, richiama comunque l’area semantica delle cariche pubbliche e rispetta cosí l’intenzione del testo.

Il termine traitant è stato tradotto «appaltatore delle imposte». La definizione data dal Dictionnaire Universel è la seguente:

Traitant C’est un nom qu’on donne maintenant aux gens d’affaires qui prennent les fermes du roi, et se chargent du recouvrement des derniers et impositions: c’est au lieu de celui de Partisan, qui est devenu odieux.

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Il Boch Dizionario francese-italiano, italiano-francese, così definisce il termine traitant:

traitant […] s.m.(st.) appaltatore delle imposte […].

Le Nouveau Petit Robert, fornisce questa definizione:

Traitant 1628 HIST. Financier qui, ayant fait un «traité» avec le roi, obtenait le

droit de lever vertains droits et impôt. […].

Questa ultima definizione conferma che la traduzione di traitant con «appaltatore delle imposte» può essere considerata adeguata.

1.3 Le indicazioni geografiche

Subito dopo l’elenco dei personaggi abbiamo un’indicazione scenica sull’ambientazione della commedia nel villaggio di Brie. Di fronte alla traduzione di un nome di luogo le ipotesi traduttive sono due: tradurre il nome nella lingua di arrivo oppure lasciarlo nella lingua di partenza. Il traduttore sceglie l’una o l’altra ipotesi, dopo aver fatto una ricerca per verificare se il nome del luogo geografico in questione sia già stato tradotto oppure no. Di solito le traduzioni esistono per i nomi delle grandi città, come per esempio Paris che viene comunemente tradotto Parigi. Per quanto riguarda il villaggio di Brie, il nome non è stato tradotto in quanto la traduzione non esiste.

Nella terza scena del scondo atto troviamo un’altra indicazione di luogo. Rue de Lombards, è una strada di Parigi che insieme a Rue Saint-Denis era una delle strade più commerciali di Parigi. In questo caso, il traduttore non si trova di fronte a più scelte traduttive, in quanto i nomi delle strade non vengono tradotti. È però necessaria una nota esplicativa in fondo alla pagina, per spiegare dove si trovi la strada citata nel testo e, al

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tempo stesso, per far comprendere al lettore le connotazioni legate alla citazione di questa strada e non di un’altra, «Voilà cette grosse Marchande de laine de la rue des Lombards» (II, 3). Marchande è indicato con la lettera maiuscola per indicare una funzione all’interno della società. La Mercante di lana è riuscita a comprarsi una carica da Presidentessa, grazie all’alto profitto dei suoi affari, ed è cosí entrata a far parte della Gens de haute robe, che rappresenta l’alta magistratura.

Al contrario, il riferimento geografico, che troviamo sempre nella quarta scena del secondo atto, a una «très petite Ville du côté d’Estampes» non ha reso necessaria una nota in fondo alla pagina, in quanto la connotazione di contrapposizione tra provincia, dove il Signor Carmin eserciterà la sua carica, e la città Parigi, dove la Signora Carmin andrà ad abitare, sono facilmente comprensibili da parte del lettore/spettatore.

Infine, nell’ottava scena del terzo atto, abbiamo il riferimento alla Signora Blandineau che diventerà Baronessa di Boîtortu. Anche in questo caso il termine è stato lasciato non tradotto, dato che la traduzione non esiste e che sarebbe comunque irrilevante per l’intenzione del testo.

1.4. Le differenze grafiche

Cominciando la lettura del testo nella lingua di partenza, possiamo notare subito che, a ogni inizio di scena, la prima parola è di una grafia diversa rispetto al resto del testo. Le ipotesi traduttive sono due: rispettare l’alterazione grafica oppure ometterla. L’alterazione della grafia della prima parola potrebbe significare che, all’inizio di ogni scena, il primo personaggio, che prende la parola, alza il tono della voce per attirare l’attenzione del pubblico. In questo caso l’elemento darebbe un ritmo costante e toglierlo sarebbe una perdita grave nella resa della dominante ritmica del testo. A conferma di quanto detto, la teoria sulla traduzione definisce le alterazioni grafiche come variazioni di sostanza, e che quindi nella loro traduzione, come per la sostanza linguistica, occorra rispettare il

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principio di equivalenza, per ottenere lo stesso effetto del testo di partenza. Prima di adottare tale strategia è necessario, però, fare una ricerca sulle caratteristiche della stampa dei testi all’epoca della commedia. Ci accorgiamo allora che era una consuetudine degli stampatori distinguere la prima lettera o la prima parola dal resto del testo, per esempio con il carattere maiuscolo. Appurato quindi che l’alterazione grafica non ha delle specifiche connotazioni di significato, il traduttore potrebbe decidere comunque, nel rispetto del testo, di mantenerle, come è avvenuto in questo caso.

Un’altra caratteristica grafica, molto comune all’epoca, è la suddivi-sione del testo in quarto, ciò vuol dire che il foglio della carta stampata è stato piegato due volte, in modo che risultino otto pagine per ogni segnatura. In questo è stato deciso di non rispettare questa caratteristica del testo e di modernizzare.

1.5. Il linguaggio

Prima di cominciare l’analisi del linguaggio, usato dai personaggi, è necessario definire le caratteristiche del linguaggio teatrale. A riguardo Peter Bogartyrev afferma:

L’espressione linguistica nel teatro è una struttura di segni, che sono costituiti non solo come segni del discorso, ma anche come altri segni. Per esempio, il discorso teatrale, segno della situazione sociale di un personaggio, è accompagnato dalla gestualità dell’attore, completato dai costumi, dallo scenario ecc. anche questi

segni di una situazione sociale.5

A differenza quindi della caratterizzazione dei personaggi nel romanzo, che avviene principalmente attraverso le digressioni, a teatro i personaggi vengono caratterizzati attraverso il dialogo. Quest’ultimo contiene elementi come il ritmo, l’intonazione, l’intensità e l’altezza della voce. Elementi di cui il traduttore deve tener conto affinché un testo tradotto funzioni, udendo

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la voce che parla, prendendo in considerazione la gestualità del linguaggio, il ritmo della cadenza e le pause, che hanno luogo quando il testo scritto viene recitato.

Un altro concetto molto importante da tenere in considerazione nella traduzione, è la differenza tra i concetti di teatro e di stili recitativi nei diversi contesti nazionali. Questo significa che i testi teatrali vengono tradotti pensando alla rappresentazione, e che quindi sia necessario che la traduzione del testo ne tenga conto, per ottenere in qualche modo lo stesso effetto. Un esempio è stato la prima rappresentazione dell’Andromaque di Racine, nel 1674, che fu considerata inadatta per il pubblico inglese. Tuttavia, la rappresentazione successiva, a cura di Ambrose Phillips fu un trionfo. La ragione principale del successo è da attribuire all’adattamento dell’opera teatrale ai canoni del decoro e del buon gusto del teatro inglese.

Dopo aver fatto questa premessa, è possibile capire quanto il linguaggio teatrale sia importante nella caratterizzazione dei personaggi. Ne La Fête de village, il linguaggio è quello usato convenzionalmente nella commedia, cioè di un registro linguistico medio. I personaggi, sempre come è convenzione a teatro, usano il voi, e l’uso del tu è riservato al padrone, quando si rivolge al servo, o ai servi, nelle conversazioni tra di loro. L’ambientazione nel villaggio consente, inoltre, di introdurre due paesani che parlano in dialetto: il Tabellione e il Maestro. Il linguaggio usato dai personaggi introduce quindi subito il lettore/spettatore nel contesto sociale rappresentato dall’opera. Nella formulazione delle ipotesi traduttive bisogna tener conto anche di alcuni concetti relativi al linguaggio nel processo della traduzione. Il linguaggio può essere considerato, come dice Friedmar Apel, come una piattaforma galleggiante sul mare e non come un monumento immobile, marmoreo, inossidabile6, oppure come dice Maurice Blanchot, negando la supremazia del testo di partenza, come qualcosa che si muove

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nel tempo7. A partire da questo concetto dinamico del linguaggio, che giustifica anche il fatto che le traduzioni invecchiano e che sia necessario quindi ritradurre le opere, le ipotesi sulle scelte traduttive del linguaggio potrebbero essere due. La prima, che è quella da privilegiare, consiste nel far muovere il linguaggio verso la lingua del testo di arrivo, modernizzando quindi l’opera e rendendola accessibile al lettore/spettatore della lingua del testo di arrivo. La seconda, invece, prevede di far muovere il linguaggio verso il testo di partenza, arcaicizzando l’opera, rendendola cosí meno comprensibile, straniante per l’orecchio del lettore/spettatore moderno. Nella prima ipotesi, l’opera potrebbe essere avvicinata al gusto teatrale di un pubblico di oggi, usando un lessico più vicino al linguaggio parlato moderno e cambiando l’uso del voi con l’uso del lei. Anche se questa è, senza dubbio, la strada più raccomandata dalla maggior parte dei traduttori, è necessario comunque considerare che nella traduzione esistono solo delle linee guida e non delle posizioni normative. E considerando, inoltre, che in qualunque processo traduttivo, alla fine sia sempre necessario negoziare caso per caso, la seconda posizione non può essere del tutto esclusa. A conferma della validità di questa ipotesi potremmo citare Blanchot che definisce il traduttore come: «Il maestro segreto della differenza delle lingue, non per abolirla, ma per utilizzarla al fine di risvegliare nella propria, con i cambiamenti violenti e lievi che le apporta, una presenza di ciò che in origine è differente»8. Per dare espressione alla seconda ipotesi potrebbe essere mantenuto l’uso del voi e usato un linguaggio con termini non troppo moderni, di registro medio che conferiscano un effetto straniante tale da richiamare l’atmosfera di un tempo passato, ma non incomprensibile al lettore/spettatore moderno. La scelta traduttiva adottata è stata quella di arcaicizzare il linguaggio. Tale scelta non è stata tale da produrre un forte effetto straniante nello spettatore o nel lettore contemporaneo. I termini o le

7M. Blanchot, ibidem.

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espressioni che non vengono più usati nel linguaggio corrente sono comunque facilmente comprensibili allo spettatore o al lettore moderno. La scelta traduttiva viene motivata, oltre che dal richiamare un’altra epoca storica, dal suscitare la curiosità verso usi diversi della lingua, che si differenziano da quelli del parlato quotidiano, anche se di registri diversi. Tra gli esempi abbiamo: tradurre manière con «maniere» oltre che con «modi di fare», fou con «folle» invece di «pazzo», tradurre un’espressione come cela est délicatement imaginé con « questo è pensato con finezza», ecc.

Un altro problema traduttivo legato alla resa del linguaggio nella traduzione riguarda le forme del dialetto di Brie, usato dal Maestro e dal Tabellione. Le linee guida sulla traduzione affermano che, di fronte alla resa di una forma dialettale, sia necessario escludere l’uso di una forma dialettale della lingua di arrivo e si utilizzi invece una forma standard o neo-standard dell’italiano, con abbassamento del registro linguistico. Ne La Fête de village la forma dialettale usata dal Maestro è caratteristica della regione di Brie nel 17009, con le sue particolarità di morfologia (Je baillerons), di pronuncia (des vars, biau) e di lessico (partant que, doutance, boutez pour mettez). La forma conosciuta e usata dall’autore anche in altre opere, è stata resa riproducendo le forme sgrammaticate, soprattutto delle forme verbali, e le alterazioni grafiche di parole, cambiando vocali o dittonghi. Inoltre il vocabolario usato dal Maestro, che entra in scena all’inizio del secondo atto, è ricco di termini dialettali:

LE MAGISTER.

Bon, tant mieux; je vous baillerons queuque petit par-dessus pour ça; et comme j'ai queuque doutance que vous allez vous remarier, j'aurons soin de faire votre épitra…. votre épitra….

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Dancourt, La Fête de village ou Les Bourgeois de qualité, présentation de J. Curtis et R. Curtis, cit., p. 78.

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IL MAESTRO.

Bene, tanto meglio; ve ne dareimo qualcosina in più per questo; e siccome io ho qualche dubbio che voi vi risposeriete, avreimo cura di fare il vostro epitra...il vostro epitra...

La forma dialettale usata dal Tabellione è invece meno accentuata rispetto a quella usata dal Maestro:

LE TABELLION.

Hé bien soit, vous le voulez comme çà, je le veux itou: vous êtes Procureur de Paris, et je ne sis que Tabellion de Village; comme votre Charge vaut mieux que la mienne, je serois un impertinent de vouloir que ma conscience fût meilleure que la vôtre.

M. NAQUART.

Il ne s'agit point de conscience là-dedans, et entre personne du métier... LE TABELLION.

Ça est vrai, vous avez raison, il ne peut pas s'agir d'une chose qu'on n'a pas: mais tout coup vaille, il ne m'importe, pourvu que je sois bien payé, et que vous accommodiais vous-même toute cette manigance là, je ne dirai mot, et je vous lairai faire, il ne vous en faudra pas davantage.

M. NAQUART.

Je vous réponds de l'évenement, et des suites.

LE TABELLION.

Hé bien, tope, vela qui est fait. Je m'en vas vous attendre; aussi-bien vela M. Blandineau, qui, m’est avis, veut vous dire queuque chose.

Nella forma dialettale usata dal Tabellione non si ritrovano forme sgrammaticate delle forme verbali così accentuate come quelle usate dal maestro, dove abbiamo la mancanza di accordo tra la persona e la desinenza della forma verbale. Le forme verbali usate dal tabellione rispettano, invece, l’accordo tra la persona e la forma verbale, anche se in alcuni casi la desinenza non è corretta, come per esempio sis, accommodiais, fût. Il suo linguaggio è caratterizzato dall’uso di parole, che appartengono a un registro familiare e dialettale, come itou, manigance, lairrai. Il Dictionnaire de la langue française di Émile Littré definisce itou in questi termini:

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ITOU (i-tou) adv. De même, de la même façon, aussi.

Dancourt, Le Mari retrouvé, sc. 1: Le bailli l’aime itou, cette Colette. Itou est une expression de la campagne, qui ne peut être admise que dans le

langage le plus familier, et même tout à fait populaire. […].

Il termine manigance si trova nel Dictionnaire universel di Furetière così definito:

Manigance: terme populaire dont on se sert pour exprimer la cabale, l’intrigue que font les petites gens pour tromper le bourgeois.

La forma verbale lairrai est futur archaïque et patoisant du verbe laisser10.

Nell’ultima battuta del primo atto troviamo il termine Tope, che appartiene al vocabolario del mondo del gioco. Il Dictionnaire universel di Furetière fornisce questa definizione:

Tope Sorte d’interjection. Terme du jeu de Dez, dont se sert celui qui tient le dé, & qui veut bien jouër la poste qui lui est proposée par celui qui dit masse. On ajoute quelquefois tope & tingue; pour dire, je le tiens.

Il Tabellione usa un linguaggio familiare e un dialetto più vicino alla lingua standard, che connotano nella prima scena del primo atto la differenza sociale tra lui e il Signor Naquart .

È importante precisare che l’uso delle forme dialettali nel dialogo, in letteratura, non è sempre legato alla connotazione dell’appartenenza sociale dei personaggi. Gli usi che un autore potrebbe farne sono molteplici, tra i quali la descrizione dello stato emotivo di un personaggio o per ottenere un effetto comico. Nel contesto della commedia di costume, l’utilizzo che l’autore ne ha fatto è senza dubbio legato alla caratterizzazione sociale dei personaggi; anche se, per quanto riguarda il Maestro, il dialetto serve anche a rendere il personaggio comico.

10

F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 30.

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1.6. Le bestemmie

La traduzione delle bestemmie crea molti problemi al traduttore in quanto è necessario trovare un espressione equivalente nella lingua di arrivo. Ci sono lingue che hanno una maggiore ricchezza di espressione per quanto riguarda le bestemmie, rispetto ad altre. In La Fête de village, il Maestro usa l’espressione Morgué, forma dialettale di morbleu11

, che il Dictionnaire de la langue française (1872-77) di Émile Littré così definisce:

MORBLEU: Sorte de jurement en usage même parmi les gens de bon ton.[…]

euphémisme de prononciation pour mort Dieu, la mort de Dieu.

L’espressione è stata tradotta cercando in italiano un’espressione equivalente, resa con « per l’amor di Dio », neutralizzando cosí la forza espressiva che l’espressione ha nel testo originale. Troviamo poi Tâtigué forma dialettale della bestemmia Tête-bleu12. La traduzione in italiano è stata «cribbio», modo per invocare Dio senza nominarlo, espressione che ha mantenuto le caratteristiche di brevità e di incisività. Nella sesta scena del terzo atto abbiamo Parguenne, forma dialettale di pardi13.

PARDI. Interjection. Juron familier qui a souvent le sens de Bien sûr, naturellement.

La traduzione è stata «Perdio», la cui adeguatezza è stata confermata dal Dizionario dell’Accademia della Crusca:

11

Cfr. F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 57.

12F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de

l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 57.

13

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PERDIO avverbio di giuramento, o confermazione di detto, o di fatto, […].

Le bestemmie non vengono usate solo dai personaggi paesani. Nella sesta scena del primo atto troviamo parbleu, usata dal Signor Blandineau:

M. BLANDINEAU.

Oh, parbleu, j'y serai, je vous en réponds, et vous verrez... IL SIGNOR BLANDINEAU.

Oh, perbacco, io ci sarò, ve lo garantisco, e voi vedrete...

L’etimologia della parola parbleu, secondo il Dictionnaire de la langue française di Émile Littré (1872-77), è la seguente.

Altération de par Dieu

In italiano possiamo scegliere tra numerosi termini per la traduzione di parbleu. La scelta in questo contesto è stata per «perbacco». Nella quinta scena del terzo atto troviamo maugrebleu:

LE COMTE.

Je vous suis bien redevable, Madame. Maugrebleu de l’éxtravagante, avec sa ptisanne.

IL CONTE.

Vi sono molto debitore, Signora. Perdinci che stravaganza, con la sua tisana. Maugrebleu è stato tradotto «perdinci». Sempre il dizionario Littré, stessa edizione, fornisce la seguente definizione sull’etimologia del termine:

MAUGREBLEU: Mau pour mal, gré et bleu par euphémisme pour Dieu: mauvais gré de Dieu.

1.7. I proverbi e le metafore

Nella quinta scena del primo atto abbiamo un’allusione al proverbio «Bien mal acquis ne profite jamais»14.

14

Cfr. F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 41.

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Me. BLANDINEAU.

Oui, vraiment, c'est un bien mal acquis qui ne fait point de profit; je perds tout ce que je joue.

LA SIGNORA BLANDINEAU.

Sì, è vero, è un bene mal acquisito che non dà alcun profitto; perdo tutto quello che gioco.

Nella terza scena del primo atto la Signora Cancelliera usa una metafora per descrivere la sua scalata sociale attraverso matrimoni e vedovanze:

LA GREFFIERE.

Greffiere, Monsieur? Supprimez ce nom-là, je vous prie. Feu mon mari est mort, la Charge est vendue, je n'ai plus de titre, plus de qualité, je suis une pierre d'attente, et destinée sans vanité à des distinctions qui ne vous permettront pas avec moi tant de familiarité que vous vous en donnez quelquefois.

Nella traduzione in italiano, la difficoltà di trovare un’espressione equivalente di je suis une pierre d'attente, ha portato alla decisione di perdere la metafora. Anche se fosse stata tradotta, per esempio con l’espressione «pietra di attesa», essa sarebbe risultata straniante per il lettore/spettatore.

Un altro aspetto dell’analisi linguistica del testo della lingua di partenza riguarda la presenza di differenze grafiche e sintattiche, caratteristiche di un periodo in cui la lingua non era ancora stata codificata. Le differenze grafiche rilevate si trovano a partire dai nomi dei personaggi Greffiere, vela nella prima scena; promets, gouvernoit, tems, donnoit, plairoit, servirois, maniere, nella seconda scena, pû,j’allois, auroit, déplû, serois, étoit ,nella terza, oseroit nella sesta, porvû nella settima, foiblesse, eût, amoit , defendoit, causoient nella ottava. Nel secondo atto, sur-tout nella prima scena, il feignoit, j’avois nella seconda, parceque, séparois, laissoit, Je m’affoiblis, nella terza, j’attendoit, j’achette, regle, nella quarta, amene nella quinta, dureroit nella sesta, elles s’asseient, nella nona scena. Nel terzo atto pardonnerois nella prima scena, verrois nella seconda, devroit, épouserois, nella terza, misere, jetter, nella quarta, ptisanne, nella quinta,

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vela,assemblont, Je tâcherons, m’inquiéte, nella sesta scena, J’attendrons, nella nona scena, pardevant, niéce, nell’ultima scena. Le differenze ortografiche riguardano parole scritte in modo diverso, parole che nel francese odierno hanno l’accento grave che era assente all’epoca, oppure parole che hanno accento grave oggi, mentre all’epoca era acuto, parole con accento circonflesso, che oggi è stato perduto, o acquisito. Altra caratteristica è la costante diversità della desinenza dell’imperfetto e del congiuntivo, a volte anche del presente. Una differenza sintattica è l’uso della negazione ne…point, che è utilizzata a volte con il significato di negazione semplice e non forte come nel francese di oggi.

Tornando alla fase di traduzione dei contenuti semantici, cioè dei significati, possiamo concludere che i teorici sulla traduzione che hanno fatto principalmente da guida sono numerosi. In cima alla lista si trova senza ombra di dubbio Umberto Eco, che con la sua opera, Dire quasi la stessa cosa, ha saputo senz’altro riassumere i concetti principali legati al processo traduttivo elaborati da molti teorici. Tra questi abbiamo Roman Jakobson, Eugene Nida, Jiřì Levý, James Holmes, Walter Benjamin, Jean-Paul Vinay e Jean Darbelnet e tanti altri15. Jean-Paul Vinay e Jean Darbelnet sono stati quelli di maggior riferimento. La loro metodologia per la traduzione distingue sette metodi traduttivi, che sono il prestito, il calco, la traduzione letterale, la trasposizione, la modulazione, l’equivalenza e l’adattamento.

1.8. I realia

L’ultimo aspetto in ordine di analisi dei problemi traduttivi, ma sicuramente uno dei più complessi, riguarda i realia, cioè i riferimenti culturali dell’epoca. Essi sono numerosissimi per due motivi. Il primo riguarda la caratterizzazione dei personaggi, che a teatro è in parte legata alla comunicazione non verbale e alla presenza di oggetti sulla scena. Il

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secondo motivo, invece, è strettamente legato al fatto che, per dare un «effetto di reale» alla peinture des moeurs, siano necessari riferimenti precisi a oggetti ed eventi, in modo da ancorare la pièce all’epoca in cui essa è stata ambientata.

Partendo dall’introduzione dei personaggi, ci sono numerosi riferimenti all’epoca. Il Conte introduce un titolo nobiliare e rappresenta l’aristocrazia dell’epoca, mentre la Cancelliera, il Maestro, il Tabellione, l’Eletta rappresentano delle funzioni. Tutti questi personaggi servono per introdurre il quadro storico e sociale dell’epoca. Altro riferimento importante è femme de condition, (II, 2), equivalente del più frequente nel testo femme de qualité, termini che indicano la condizione nobile16. Dato che non esiste un’espressione corrispondente in italiano, la traduzione dell’espressione è stata «signore altolocate», che sottintende, in un certo qual modo, come l’espressione francese, la condizione nobile. Un segno che indicava la condizione nobile era l’ Équipage (I, 3), che il Dictionnaire universel di Furetière del 1701 così definisce:

ÉQUIPAGE provision de tout ce qui est nécessaire pour voyager ou s’entretenir honorablement, soit de valets, chevaux, carosses, habits, armes, etc.

Possedere un équipage significava avere una carrozza, cavalli e tanti lacché per farsi portare anche la que, «lo strascico», trattamento che era riservato alle donne dell’aristocrazia17

.

Il termine Douaire (I, 3) richiama il concetto di matrimonio come contratto e la definizione che fornisce Dictionnaire universel di Furetière del 1701 è la seguente:

16F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de

l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 61.

17 F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de

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DOUAIRE f.m. Biens que le mari assigne à sa femme en se mariant, pour en jouïr par usufruit pendant la viduité, & en laisser la proprieté à ses enfants. C’est le prix & la recompense de la pudeur. Ce que l’on appelle doüaire en païs coutumier, est la même chose que l’augment de dot, ou donation propter nuptius du Droit Civil. Par diverses coutumes du Roi le doüaire se gagne au cocher. Le

doüaire prefix est celui qui consiste en une certaine rente, ou somme d’argent, ou

en quelque terre, ou heritage affécté au doüaire. Doüaire coutumier est la moitié de tous les bien qu’a le mari le jour de son mariage, lequel a lieu quand on n’a point stipulé de doüaire prefix. En Normandie c’est le tiers en usufruit. Chez les Gots le doüaire n’étoit que la dixième partie des biens du mari; chez les Lombards la quatrième; chez les Romains & les Siciliens la troisième. Le doüaire est si privilegié, qu’un decret ne le purge pas, & son hypotheque demeure toûjours. On dit en proverbe, jamais mais ne paya doüaire; c’est-à-dire, que la mort civile du mari ne donne pas lieu à la demande du doüaire LOUET. Ce proverbe n’est pas vrai en Normandie, où la mort civile donne overture au doüaire. Il y a des femmes qui font du mariage un commerce d’interêt, qui ne se marient que pour gagner des

doüaires, & pour s’enrichir de la depouille de leurs maris. MOL. Ce mot vient du

latin dotarmi.

Molto interessanti sono le ultime tre righe della definizione che fanno riferimento alla dote, che all’epoca era considerata come mezzo per le donne per accedere ai livelli superiori della scala sociale. Rimanendo sempre nell’ambito giuridico, nella seconda scena del secondo atto, la Cancelliera usa l’espressione «sous seing privè», che è stata tradotta con «scrittura privata», un accordo tra due parti, ma non in presenza di un ufficiale pubblico. L’espressione nella lingua di partenza connota un’allusione al concubinaggio. In questo caso però non c’è un riferimento al concubinaggio, dato che il matrimonio è stato celebrato davanti a un prete, ma senza un contratto davanti a un notaio, per mettere il cognato della Cancelliera davanti al fatto compiuto. La scelta di un’espressione che fa riferimento al campo giuridico può ritenersi adeguata18.

Continuando nella lettura troviamo riferimenti a monete non più in uso all’epoca, come il sol parisis e il carolus, e le pistole (I, 2) che invece erano in uso. È stato necessario, innanzitutto, fare una ricerca storica per

18F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de

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sapere quando siano state coniate le monete e il valore corrente delle monete all’epoca in cui è stata ambientata la commedia. Anche in questo caso, la ricerca è iniziata dalla ricerca del termine nel Dictionnaire Universel di Furetière.

Parisis se dit aussi par op position à tournois, .du prix de la monnoye qui valoit un quart davantage à Paris, qu’à Tours. Ainsi le sol parisis vaut 15 derniers, & le sol tournois n’en vaut que 12. Quatre-vingt livres parisis sont cent

livres tournois. Quand on prend des meubles sur le pied de la prisée d’un inventaire, on est obligé d’y joindre le parisis, qu’on appelle autrement le cruë. Quand les meubles ne sont plus en nature, on les estime sur la prisée & le parisis. Le parisis chez les Financiers s’appelle le quart en sus.La premiere Paulette été taxée sur le pied du soixantiéme denier de l’évaluation des Offices & du quart en

sus, ou le parisis. Le Roi, par sa derniere Ordonnance, a ôté le parisis.

Carolus f.m Monnoye hors d’usage, qui valoit il y a quelque temps dix derniers. Elle étoit marquée d’un K. parcequ’elle fut fabriquée du temps de Charles VIII. Roi de France, & que le K étoit la premiere lettre de son nom. Cette monnoye ne passa pas le regne de Charles VIII. Louïs XII la decria. Cependant elle se convertit pour ainsi dire en monnoye de compte: car quoyque nous ayons point d’espece qui vaille 10 derniers, on se sert encore parmi le peuple du terme de Karolus, pour marquer cette somme, LE BLANC. Henri III, refusa de donner bataille à Charles Duc de Mayenne pendant la Ligue, parcequ’il dit qu’il ne falloit pas hasarder un double Henri contre un Carolus; car il avoit alors avec lui le Roi de Navarre, qui depuis a été le Roi Henri IV. Il ya eu aussi des pieces d’or D’Angleterre valant 13. Livres 15 sous, qu’on appelloit Carolus.

On dit proverbialement, quand on veut bien mepriser une chose, qu’elle ne vaut pas un carolus. On dit d’un homme riche, qu’il a bien des carolus.

Visto che queste monete non erano più in uso all’epoca, la citazione vuol introdurre nel testo un elemento di arcaismo, per denotare che si parla di un valore basso, irrisorio e non adeguato per il tempo.

Le ipotesi traduttive in questo caso potrebbero essere due: tradurre i termini se esiste un corrispondente, oppure sostituirli con l’espressione come «due o tre soldi». In quest’ultimo caso si perderebbe il riferimento a monete antiche e a un valore ben preciso, che il testo di partenza fornisce. L’espressione connota in senso generale il valore inadeguato e irrisorio di monete appartenenti al secolo precedente l’epoca in cui è ambientata la pièce, riproducendo comunque lo stesso effetto del testo di partenza. Questa

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seconda ipotesi traduttiva è scaturita dalla difficoltà di tradurre i termini nella lingua di arrivo. Ma dopo una lunga ricerca sono stati finalmente trovati i termini corrispondenti consultando l’Enciclopedia Treccani, e l’espressione «trois sols parisis, ou deux carolus» è stata tradotta «tre soldi parigini, o due carolus». La seconda ipotesi traduttiva è stata comunque utile per la traduzione di un riferimento a monete di un verso del Divertissement, «Et des pistoles foison» è stato tradotto con «E soldi a palate». In questo caso non tradurre il termine e sostituirlo con un’espressione equivalente è stata la scelta traduttiva migliore nel rispetto dell’intenzione del testo, per mantenere il ritmo e per rendere il tono allegro e gioioso del Divertissement. Andando ancora avanti nel testo, abbiamo altri riferimenti a monete correnti del Seicento quali il luigi d’oro, il franco e lo scudo. Questi termini si trovano tradotti nella nostra lingua, e non sarebbe stato possibile lasciarli nella lingua del testo di partenza, in quanto avrebbero suscitato un effetto straniante.

Un altro problema traduttivo è legato alla ripetizione della parola «bien», che è stata tradotta a volte con «denaro» e a volte con «beni». In questo caso la scelta traduttiva è stata quella di una perdita dell’effetto di ripetizione per la mancanza di un termine, che potesse essere adatto a tutti i contesti in cui la parola ricorre.

Altri riferimenti culturali riguardano le acconciature e l’abbigliamento delle donne del Seicento. Nella terza scena del primo atto, troviamo crochet, che il Dizionario di Littré definisce nel modo seguente:

CROCHET petite mèche de cheveux frisés, arrondie et collée sur le front ou sur

les tempes19.

Il termine ha come equivalente in italiano «tirabaci», che viene così definito dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana:

19F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de

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TIRABACI ricciolo appiattito sulla fronte o sulla guancia.

Nella quarta scena, sempre del primo atto, troviamo invece un riferimento alla copertura della testa delle donne. Il termine «coëffes» è stato tradotto con «cuffie», in quanto all’epoca le donne non portavano il cappello. La cuffia era infatti una copertura leggera della testa, formata da un insieme di nastri, di ornamenti e di veli usata alla fine del regno di Luigi XIV.

La definizione data da Furetière è la seguente:

Coeffe f.f. On écrit aussi COIFFE. Couverture legere de la tête, tant pour les

hommes que pour les femmes. A l’égard des hommes, que pour les femmes. A l’égard des hommes, on ne le dit que de la doubleure, de la forme du chapeau qui est de satin, de tafetas, de treillis, & d’une garniture de bonnet de nuit qui est de linge, & qu’on change quand elle est sale, ou de celle qu’on met sous une perruque. Ce mot, selon Menage, vient de cufa, ou de gufa, qui signifie un

vêtement velu; & les grecs on dit aussi κonfia en la même signification de coëffe.

Ou bien il vient de l’Hebreu cupba, qui signifie un vêtement qu’une femme met sur la tête. Du Cange dit qu’on a dit dns la basse latinité cupbia, coefa, coeffa &

cucusa en la même signification. A l’égard des femmes, ce sont des couverture de

taffetas, de gaze, de crêpe, qu’elles mettent quand elles sortent, ou quand elles n’ont pas ajusté leurs cheveux. On appelle aussi des coeffes à dentelle, des coeffes de cornette, celles qu’elles portent dans le lit, ou quand elles sont en deshabiller

Oltre alla cuffia le donne portavano l’écharpe, termine che è stato tradotto con «lo scialle», un lungo pezzo di stoffa leggera che poteva essere attaccato all’acconciatura o drappeggiato sulle spalle20

. Il testo specifica, inoltre, anche i diversi tipi di scialle che le donne potevano portare: a rete o con una frangia, di mussola o di pizzo. La descrizione dell’abbigliamento della Signora Blandineau per uscire permette di introdurre il modo di vestire delle donne borghesi. Nel Divertissement, invece, troviamo la descrizione dell’abbigliamento delle paesane. Gli abiti in damas indicano

20Dancourt, La Fête de village ou Les Bourgeois de qualité, présentation de J. Curtis et R.

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che gli abiti erano fatti di una semplice stoffa damascata, come possiamo capire dalla definizione di Furetière.

DAMAS f.m. Etoffe faite de soye, qui a des parties élevées qui representent des fleurs, ou autres figures. C’est une espece de mohere & de satin mêlez ensemble, en telle forte que ce qui n’est pas satin d’un côté, l’est de l’autre. L’élevation qui fait le satin d’un côté, de l’autre fait le fonds. Les fleurs ont le grain de satin, & le fonds a un grain de taffetas. Elle est ainsi nommée, à cause qu’elle est venuë originairement de Damas en Syrie. On fait de beaux emmeublement de damas de Gennes, de Lucque, & de Venise: celui-ci est le plus exquis.

Il verso del Divertissement «En simple damas» è stato tradotto «In semplice damasco». Mentre Grisette indica un vestito di stoffa grigia che portavano le donne del popolo, ed è stato tradotto «vestine grige». Sempre in un verso del Divertissement, «Vertugadin, colet monté», che è stato tradotto con «Guardinfante, il colletto rigido», abbiamo due riferimenti all’abbigliamento delle donne: Vertugadin, tradotto «guardinfante», che indica un grosso rigonfiamento che le donne di ceto elevato avevano l’abitudine di portare sotto l’abito, e il colet monté, grande collo sostenuto da cartone, dall’amido, fil di ferro e altro. Questi due elementi non descrivono gli abiti del periodo storico in cui è ambientata la commedia, ma di un’epoca passata, simbolo di un’epoca più virtuosa. Le definizioni date dal Dictionnaire universel sono le seguenti:

COLLET MONTÉ est aussi un ornement de linge qu’on met sur le collet du pourpoint pour la propreté. A l’égard des hommes, on l’appelle rabas. A l’égard des femmes, elles n’en portent plus, mais elles avoient cy- devant des collets montez qui étoient soutenus par des cartes, de l’emplois, & du fil de fer. On appelle encore une vielle femme critique, un grand chaperon, un collet monté. Moliere a fait un plaisant usage de ce mot dans les femmes sçavantes, où il introduit Belise disant que le mot de sollicitude est bien collet monté.

VERTUGADIN s.m. Diminutif de vertugade, Vieux mot. Cétoit une piece de l’habillement des femmes, qu’elles mettoient à leur ceinture pour relever leur juppes de quattre ou cinq pouces. Il les garentissoit de la presse, & étoit fort fvorable aux filles qui s’étoient laissé gâter la taille. La mode en est encore demeurée chez les Espagnoles, qui l’appellent garde-infante.

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Altro riferimento importante è il richiamo all’attualità. In primo luogo all’abitudine al gioco e al modo in cui i borghesi passavano le giornate, che si trova descritto nella scena quinta del primo atto, nella conversazione tra la Signora Blandineau e suo marito. In questa conversazione troviamo il termine chaumiere, usato in senso dispregiativo per indicare un’abitazione borghese di campagna. Furetière la definisce così:

CHAUMIERE f.f. On dit autrefois Chaumine. Petite maison couverte de chaume, telles que sont celles des pauvres païsans. On dit figurément, & par exaggeration,

quand on veut parler modestement de quelque maison de campagne qui n’est

pas fort superbe. J’ay en cette Province un petite chaumiere à vôtre service. È un termine che ha numerose accezioni di significato e che non ha un equivalente in italiano. La traduzione, quindi, richiede un’accurata nego-ziazione delle proprietà del termine, da parte del traduttore, in relazione al contesto. In questo caso la scelta traduttiva è stata per il termine «casupola». Nella prima scena del primo atto, inoltre, il Tabellione utilizza l’espressione Tope, che normalmente viene utilizzata nel linguaggio del gioco. Ma il richiamo all’attualità più importante è senza dubbio quello all’affare dei veleni nella quinta scena del terzo atto, che si verificò tra il 1670 e il 1680. La Voisin, che era tra gli accusati che fecero le rivelazioni, era amica della Du Verger, citata nel testo come cartomante personale della Cancelliera. La Voisin era stata messa in scena in una commedia di Thomas Corneille e Donneau de Visé, La Devineresse ou Madame Jobin, nel 1679. Il riferimento qui, oltre a testimoniare l’interesse dell’epoca per la cartomanzia, indica l’intenzione della Cancelliera di intraprendere la scalata sociale attraverso matrimoni e vedovanze. A questo proposito abbiamo un riferimento al veleno, nella promessa della Cancelliera di far preparare delle buone ptisane per il Contino. Il matrimonio rimaneva all’epoca il metodo più rapido, in particolare per le donne, per raggiungere i livelli più alti della scala sociale.

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Un altro problema traduttivo riguarda la traduzione dell’espressione Fin du siècle che ricorre spesso nel testo e non è stata tradotta, ma lasciata nella lingua del testo di partenza. Se l’espressione fosse stata tradotta nella lingua del testo di arrivo, avrebbe perso sicuramente molte connotazioni, legate ai profondi cambiamenti che si verificarono alla fine del Grand siècle.

Nella sesta scena del terzo atto il Maestro definisce il Divertissement che sta per essere messo in scena in onore della Cancelliera come petite sotise che Littré definisce come «composition littéraire sans mérite»21. L’espressione è stata tradotta con «sciocchezzuola», che non è proprio equivalente, ma rende comunque la connotazione di qualcosa che non è all’altezza. Il riferimento è rivolto direttamente alla celebrazione della fortuna della Cancelliera e indirettamente alle rappresentazioni dell’opera, che erano riservate alla corte. Il privilegio che il re aveva concesso all’opera limitava la musica e il canto nelle rappresentazioni di tutte le compagnie teatrali.

Di fronte alla traduzione del termine Divertissement è stato necessario fare una scelta. Il termine potrebbe essere lasciato non tradotto oppure essere tradotto con «Divertimento musicale». La scelta traduttiva è stata quella di non tradurre il termine, per sottolineare che quel tipo di composizione è unico e legato alla commedia di costume. Il termine potrebbe avere sicuramente come equivalente «divertimento musicale», ma senza dubbio non è proprio la stessa cosa. Lasciare il termine non tradotto è importante per il rispetto dell’intenzione del testo.

Nel Divertissement troviamo il termine parure nel verso, Parure, attrait, gloire et beauté, che ha creato qualche problema per la sua contestualizzazione. Furetière definisce il termine nel modo seguente:

21

F.C. Dancourt, La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, cit., p. 98.

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PARURE Ce qui pare; ajustement, ornement. Cette femme étoit ce jour-là dans sa plus belle parure. La parure extraorinaire de cette Eglise annonce quelque Fête. Iln’y a point de femme que le soin de sa parure n’occupe entierement. P.DE CL. Les richesses font au merite, ce que la parure est aux belles personnes. LA ROCH: Les gens de bon goút ont plus de soin de la propreté, que de la parure. LE CH DE M. Il y a des femmes qui se perdent avantageusement sous leur parure. ST. EV. Elle a perdu ces riches parures, ces ornement si peciex qui la rendoient venerable

aux yeux du vulgaire. PAT. Où sont desormais mes cheveux épais, & ma riche

parure?

Tra i significati nel Vocabolario dell’Accademia della Crusca troviamo «ornamento, aggiustamento, abbellimento». La contestualizzazione del termine ha portato infine alla traduzione del termine con «ornamento», anche se «ornamento» era già stato usato per la traduzione di ornement. La ricerca dei sinonimi di «ornamento» non è stata di aiuto e ha confermato che la scelta traduttiva adottata sia da ritenersi adeguata.

La traduzione dei realia non ha creato particolari problemi, la strategia traduttiva adottata è stata nella maggioranza dei casi quella di trovare un termine o un’espressione equivalente nella lingua di arrivo.

1.9. Il Divertissement

Il Divertissement è suddiviso in sette stanze irregolari. La prima stanza è in dieci versi, la seconda in cinque, la terza di tredici e le ultime quattro in otto versi. Vi è irregolarità anche nella rima, che a volte è baciata e a volte incrociata. Le stanze di otto versi richiamano la struttura dell’ottava, anche se lo schema metrico è irregolare e i versi sono prevalentemente ottonari, che corrispondono al novenario in italiano, che si alternano a quadrisillabi, quinario in italiano, con la presenza di cesura in qualche verso. La struttura irregolare del Divertissement è coerente con la irregolarità delle strutture dei testi, che caratterizza le opere di questo periodo, con la palese volontà di distinguersi dalla tradizione classica.

Di fronte a un componimento che abbia una struttura metrica e ritmica le ipotesi traduttive potrebbero essere due: tradurre il testo ricreando la struttura metrica e la rima, oppure tradurre il testo in modo da ricreare solo

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l’effetto di ritmo. In questo caso la traduzione del Divertissement non ha rispettato la struttura metrica, per la difficoltà riscontrata nel ricreare versi con lo stesso numero di sillabe del testo di partenza e la rima, ma ha ricreato solo l’effetto di ritmo. E anche vero che, in generale, la ricerca della resa della struttura metrica e della rima, comporta spesso perdite maggiori, arrivando, in qualche caso, addirittura a stravolgere l’intenzione del testo.

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CONCLUSIONE

Dancourt si inserisce perfettamente nel clima di sperimentazione letteraria, che ha caratterizzato il periodo dal 1673 al 1715, alla ricerca innanzitutto di un nuovo modello di commedia che lo rendesse all’altezza di Molière. Le sue pièce si allontanano in parte dagli schemi classici della commedia, soprattutto per quanto riguarda la struttura, anche se troviamo tra le sue opere alcune commedia in cinque atti, che testimoniano il tentativo di volersi avvicinare alla tradizione, o di voler dare alla commedia di costume la dignità letteraria che aveva allora, e che ha ancora oggi, solo il teatro classico. Ma è forse questa la ragione principale che motiva il fatto che Dancourt non abbia avuto gli onori dovuti nell’ambito della storia della letteratura. I suoi personaggi non possono aspirare a diventare dei personaggi classici, in quanto sono fortemente legati a un contesto storico ben preciso, della fine del Seicento, e quindi più vicini a personaggi reali, rappresentativi, emblematici, della società di quel tempo. La commedia di Dancourt ha saputo senza dubbio, però, ben rappresentare i cambiamenti della società della fine del regno di Luigi XIV, ma proprio per questo le sue opere e il teatro in generale dell’epoca sono stati considerati più importanti forse da un punto di vista storiografico, hanno un valore di testimonianza, sono come un «miroir le plus fidèle des mœurs, des costume, des usages et surtout des préjugés d’une époque»22

. La maggior parte della critica letteraria definisce, infatti, la letteratura di questo periodo come minore e riserva agli autori uno spazio molto limitato. Tuttavia, il contributo recente di alcuni studiosi ha fatto rivalutare l’importanza della commedia di questo

22 C. Barthélémy, Dancourt, citato da G.Spielmann, Le Jeu de l’ordre et du chaos,

Comédie et pouvoir à la Fin de Règne, 1673-1715, Paris, Honoré Champion Éditeur, 2002, p. 182.

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periodo e ha rovesciato questa prospettiva, arrivando ad affermare che la commedia della fine del regno di Luigi XIV ha un suo valore letterario e non è da considerarsi solo come commedia dopo Molière. Cadono così i giudizi sulla debolezza letteraria delle opere, che viene confermata anche dal fatto che esse hanno saputo rispondere in maniera adeguata ai gusti del pubblico dell’epoca, ed è stata rivalutata l’influenza che la commedia di costume ha avuto sugli sviluppi successivi del genere. Le opere di Dancourt hanno dato senza ombra di dubbio un contributo notevole, tanto che la sua influenza si ritrova nel teatro di Marivaux, in Balzac e nel teatro di boulevard. L’autore ha avuto, inoltre, un ruolo importante nel teatro comico in generale, un comico che si caratterizza per la grande vivacità e l’esprit dei dialoghi delle sue commedie. L’autore ha cercato di rappresentare le nuove correnti politiche liberali che si opponevano alla visione monarchica del potere e ha messo in scena i vizi dell’uomo in maniera molto aperta, cinica e ridicola. Ha delineato una visione del mondo in contrasto con quella conservatrice dell’Ancien Régime, e il suo teatro è stato come un «banc d’essai»23 per riflettere sui cambiamenti possibili: il divorzio, la donna al potere, la messa in discussione dell’autorità maschile, la scalata sociale delle classi più basse.

23

Citato da G.Spielmann, Le Jeu de l’ordre et du chaos, Comédie et pouvoir à la Fin de Règne, 1673-1715, cit., p. 532.

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BIBLIOGRAFIA

Edizione di riferimento:

Dancourt F.C., Œuvres de théâtre, Genève, Slatkine reprints, 1968.

Altre edizioni:

Dancourt F.C., Comédies, texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, Paris, Société des textes français modernes, Vol. I, 1985.

Dancourt F.C., La Fête de village(1700), Le Vert-Galant(1714), Le Prix de l’Arquebuse(1717), texte établi, présenté et annoté par A. Blanc, Paris, Société des textes français modernes, Vol. II, 1989.

Dancourt, La Fête de village ou Les Bourgeois de qualité, présentation de J. Curtis et R. Curtis, Montpellier, Édition Espaces, 1996.

Théâtre du XVII siècle, textes choisis, établis, présenté et annotés par J. Truchet et A. Blanc, Paris, Gallimard, 1992.

Testi critici consultati:

Adam A., Histoire de la littérature française au XVII siècle, la fin de l’école classique 1680-1715, Paris, Édition Mondiales, 1962.

Blanc A., F.C.Dancourt 1661-1725, La Comédie-française à l’heure du Soleil couchant, Tübingen, G.Narr-Paris, Jean-Michel Place, 1984.

Barthelemy C., La comédie de Dancourt, 1685-1714, étude historique et anecdotique, Paris, G. Charpentier, 1982.

Riferimenti

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