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1. I PONTI E LA TOSCANA “

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Academic year: 2021

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1. I PONTI E LA TOSCANA

Tratto dalla dispensa redatta dall’ Ing. Anna De Falco e dall’Ing. Raffaele Bartelletti

.”

1.1. Storia

La Toscana conserva numerose vestigia di ponti romani, alcuni ancora in uso, ma privi di particolare rilevanza; è solo dopo la pausa dell’alto medioevo, con il risveglio dell’anno mille, che sui suoi fiumi tornano ad essere gettati nuovi ponti, alcuni destinati a divenire anche molto famosi come il Ponte della Maddalena sul Serchio a Borgo a Mozzano, il Ponte Vecchio a Firenze, il Ponte a Santa Trinita sempre a Firenze.

Nei secoli successivi, la costruzione dei ponti in muratura andò perfezionandosi anche in Toscana, pur senza raggiungere gli esempi più prestigiosi dei ponti ottocenteschi di oltr’Alpe e di altre regioni d’Italia. Sono da segnalare comunque progetti notevoli come il Ponte Solferino a Pisa ed i tre ponti dell’Ingegnere Ridolfo Castinelli sull’Arno a Bocca d’Elsa, a Bocca d’Usciana e a Bocca di Zambra.

Mentre l’introduzione del ferro nella costruzione dei ponti non portò in Toscana alla realizzazione di opere rilevanti, l’avvento del cemento armato vide la costruzione di quello che probabilmente fu il primo ponte in Italia con questo nuovo materiale. Nella prima metà del secolo scorso si diffondono, in particolare nelle zone di bonifica e dall’infido terreno di fondazione, gli schemi strutturali isostatici, come le travi “Gerber”, le travi con sbalzi, le travi contrappesate, oltre naturalmente alle travi semplicemente appoggiate; a queste si aggiungono, in periodo autarchico, per luci maggiori e altezze di costruzione limitate, ponti a via inferiore, con impalcato appeso a due archi sovrastanti a mezzo di pendini e funzionante, nella maggior parte dei casi, anche da catena. Fra i numerosi esempi che ancor oggi sopravvivono si possono annoverare i ponti sul Canale Emissario di Bientina, quello sulla tratta dismessa dell’Autostrada Firenze-Mare presso Ripafratta per il superamento della linea ferroviaria Pisa-Lucca o quelli sul Cornia nella Maremma Toscana.

Sempre nella prima metà del ‘900, accanto al diffondersi dei ponti in cemento armato, di regola allora gettati in opera su centina, si continuava ad impiegare l’arcata in muratura, spesso con volta realizzata in calcestruzzo non armato e con timpani alleggeriti, cioè con i rinfianchi sostituiti da stilate, o setti, sorreggenti l’impalcato mediante “volticciole”, anch’esse in muratura, o solette di cemento armato nervate. Una serie importante di queste opere si trova

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10 sulla linea ferroviaria della Garfagnana tra Lucca e Piazza al Serchio, dove si incontra l’esempio forse più significativo di questo tipo, il Ponte dell’Acquabianca.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha subito inizio la ricostruzione dei moltissimi ponti distrutti dai bombardamenti, o, molto più spesso, fatti saltare dalle truppe in ritirata. La carenza assoluta nell’immediato dopoguerra di cemento e di acciaio e talvolta la presenza di spalle e pile ancora utilizzabili, spinsero spesso alla ricostruzione identica del preesistente manufatto, usando mattoni e malta di calce, approvvigionabili in loco, anche rimettendo in funzione vecchie fornaci.

Da subito per le opere più importanti e poco dopo per tutte le altre, furono abbandonati i criteri di emergenza e si tornò alle tecniche moderne, già acquisite prima della guerra, arricchendole con nuove proposte: prima fra tutte la precompressione, diffusa in Italia specialmente ad opera di Carlo Cestelli-Guidi (1906-1995) e di Riccardo Morandi (1902-1989), poi il connubio tra carpenteria metallica e cemento armato, alla cui affermazione contribuì in particolare Fabrizio De Miranda.

1.2. Ponti a travata

Oltre agli schemi riecheggianti le forme del passato, ha preso campo anche in Toscana la tipologia di ponte “a travata”. Nella sua espressione più diffusa negli ultimi decenni e ancora abbastanza ricorrente, tale tipologia è rappresentata dalle serie di impalcati a travi parallele, semplicemente appoggiate, sostenute da serie di pile, spesso tozze, in corrispondenza delle quali sono presenti giunti di dilatazione eccessivamente frequenti (talvolta anche in coppia, anziché singoli), oggi non più raccomandabili per motivi di durabilità e di robustezza dell’opera, di traffico e di economia.

Un esempio di ponte a travata molto ben riuscito è il ponte-viadotto di San Piero a Grado sull’Arno, realizzato nel 1970 per l’autostrada Sestri Levante-Livorno, ha la particolarità, rispetto ad altri ponti autostradali di grandi dimensioni, di essere un manufatto unico a servizio di entrambe le carreggiate. Lo schema statico ripropone una tipologia molto impiegata in quegli anni, specialmente per opere a molte campate, cosiddetta “a mensole”, che accompagnava i vantaggi della isostaticità della trave Gerber a quelli della standardizzazione di tutte le campate, e a quelli ancora di una migliore ripartizione delle sollecitazioni tra le varie sezioni. L’opera in esame, rappresentata in Fig.1, è stata progettata

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11 da Carlo Raymondi (1926-1998). Ha una lunghezza totale di 702 m, con campata principale sull’Arno di luce libera di circa 60 m; luce dell’impalcato sospeso in cemento armato precompresso, realizzato con cassoncini trapezi prefabbricati e getto della soletta superiore in opera, di circa 33 m; aggetto dei grandi mensoloni in cemento armato ordinario gettato in opera, di circa 14 m; interasse tra i due setti di ciascuna pila, circa 8 m. I setti delle pile, in forma di trapezio, si allargano verso l’alto ed hanno, a monte ed a valle, i frontali sagomati con risalti che ne alleggeriscono l’aspetto.

Fig.1 : Ponte di San-Piero a Grado.

1.3. Ponti ad arco

Uno dei ponti ad arco più famosi in Toscana è senza dubbio il ponte San Niccolò sull’Arno a Firenze. Questo fu progettato nel 1948 da Riccardo Morandi ed è famoso, in Italia e nel mondo, per le sue geniali costruzioni in precompresso; con questa opera in cemento armato ordinario ci ha lasciato una testimonianza della sua grande capacità progettuale anche in questo campo.

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12 Tale ponte, di fatto, rappresenta l’evoluzione dei ponti murari a timpani pieni del passato: la volta cellulare incastrata, a spessore crescente dalla chiave alle imposte, si innesta, con ben altra potenza, nella tradizione delle volte murarie più evolute della fine dell’800, anch’esse allo stesso modo conformate e, come di regola, quasi di necessità incastrate. Con il cemento armato questa obbligatorietà scompare, l’incastro è quindi una libera scelta del progettista che, non timoroso della maggiore iperstaticità, risolve i problemi a questa connessi con due poderose spalle fondate su pali.

Fig.2 : Ponte San Niccolò (Firenze).

La corda dell’arco sfiora i 90 m e la freccia è di circa 9 m, con un ribassamento quindi della curva di intradosso di 1/10, che, unitamente alla leggera curvatura del profilo di estradosso dell’impalcato, conferisce all’opera leggerezza e slancio, nonostante i timpani pieni, che sono qui anch’essi una scelta non obbligata del progettista. Nel ponte San Niccolò la struttura principale portante consiste soltanto nella volta cellulare, ben evidente nella sezione longitudinale schematica riportata in figura sottostante.

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13 L’interpretazione moderna dei ponti a timpani alleggeriti, che ha inizio nella prima metà del ‘900, prosegue nella seconda metà e tuttora non sembra esaurirsi, è rappresentata da archi gemelli o volte di cemento armato, vincolati con cerniere od incastri, da cui spiccano stilate o setti che sostengono un impalcato, talvolta collaborante (cosa impossibile per le classiche costruzioni murarie) con la struttura principale portante, divenendone esso stesso parte integrante.

Sono abbastanza diffusi e importanti nella Regione, a differenza di quelli con impalcato collaborante, i tipi con impalcato non collaborante, qualcuno realizzato anche prima della seconda guerra mondiale.

Tra questi tipi di ponte si ricorda quello di Calignaia, rappresentato in Fig.3 in una foto d’epoca, a servizio della vecchia strada statale Aurelia in vicinanza di Livorno.

Fig.3 : Ponte di Calignaia.

La struttura portante principale è costituita da una volta incastrata in cemento armato, a tutta larghezza, dello spessore di 2,35 m; la corda è di 100 m e la freccia di 20 m, con un ribasso di 1/5; la volta, per il tramite di una snella intelaiatura di pilastri e travi incrociate, sostiene

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14 l’impalcato, anch’esso in cemento armato, a travi parallele continue, sagomate con le tipiche mensolature in corrispondenza dei pilastri, come i criteri progettuali correnti, non disgiunti dal gusto dell’epoca, suggerivano. L’opera, notevole per dimensioni e ribassamento, colpisce per la leggerezza del reticolo di sostegno dell’impalcato, che fa risaltare l’importanza statica della volta come struttura portante e risponde felicemente ai criteri di “ordine” e “regolarità”, dando altresì origine ad una elevata “trasparenza”, anche se oggi un poco attenuata per effetto del recente rifacimento dei copriferri, pur necessario a causa dalla severa esposizione all'ambiente marino.

1.4. Il Ponte di Mezzo in Pisa

Dall’arco classico utilizzato nei ponti a via superiore si passa ad uno schema statico, che chiameremo ad arco-telaio, proponibile sia in cemento armato, sia in acciaio o in sistema misto acciaio-calcestruzzo, che, pur avendo come caratteristica distintiva la presenza della spinta, si allontana dalla classica forma curvilinea, assumendone una più vicina a quella poligonale oppure mistilinea; inoltre, tutto o parte dell’impalcato è conglobato con la struttura spingente.

Il Ponte di Mezzo sull’Arno a Pisa, ricostruito nel 1950 pochi metri a valle del seicentesco ponte a tre arcate distrutto durante la guerra, fu progettato da Giulio Krall (1901-1971).

L’opera, mostrata in Fig.4, si presenta all’apparenza come un arco a timpani pieni di 72m di corda e 5,84m di freccia, quindi con ribassamento apparente di circa 1/12.

Può stupire che, il Ponte di Mezzo in Pisa e quello di San Niccolò a Firenze, non appartengano alla stessa categoria; in effetti, il ponte pisano si differenzia notevolmente da quello fiorentino per tre aspetti fondamentali.

La prima differenza è che il Ponte di Mezzo è un portale a due cerniere con piedritti corti e tozzi, non visibili, e con traverso ad altezza fortemente variabile, ottenuta profilando l’intradosso ad arco; in effetti, quindi, il rapporto tra freccia di calcolo (12,10 m) e luce di calcolo (76,40 m) è pari a circa 1/6,3 (Fig. 5).

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Fig.4: Ponte di Mezzo (Pisa).

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16 Il secondo aspetto consiste nella sezione resistente del traverso, scatolare, che sfrutta tutto lo spazio disponibile tra l’intradosso e la superficie di appoggio della pavimentazione stradale. Infine la metodologia costruttiva di tipo particolare (metodo proposto da Joseph Melan), che consente il getto del calcestruzzo senza centina, appendendo i casseri ad una struttura reticolare metallica autoportante che rimane inglobata nel calcestruzzo e si aggiunge all’ordinaria armatura in tondini per ottenere la richiesta capacità resistente (Fig. 6).

La riduzione della spinta ottenuta con lo schema statico a telaio fu resa necessaria dalla limitazione assoluta della estensione delle fondazioni, quale sarebbe stata necessaria per un arco incastrato ribassato come appare alla vista.

L’opera appare, dopo quasi sessanta anni, oltre che ben conservata (anche grazie al provvido e sobrio rivestimento di lastre di marmo) leggera e ardimentosa, anche se per il suo autore avrebbe avuto soltanto “qualche apparenza di quasi-ardimento”.

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1.5. Storia del Ponte di Mezzo

Fino al XII secolo, Pisa era dotata solo di un ponte, inizialmente in legno, che collegava le due sponde dell’Arno all’incirca nella posizione dove attualmente è presente la chiesa di Santa Cristina. L’origine di tale ponte può essere ricondotta ai romani all’arrivo di un ramo della Via Emilia Scauri, poi conosciuta come Via Julia Augusta, attuale percorso di Via San Martino – Via Curtatone.

Solo nel 1035, anno della vittoria di Lipari, il ponte di legno fu ricostruito in pietra e spostato più a Est, dove attualmente è il Ponte di Mezzo; il ponte fu restaurato su ordine di Pietro Gambacorta nel 1388, proprietario dell’omonimo palazzo.

Nel 1635 il ponte, noto all’epoca come Ponte Vecchio, crollò definitivamente a causa di una piena dell’Arno e la successiva opera di ricostruzione non si limitò all’essenziale, ma interessò tutte le zone limitrofe. L’opera, nel suo complesso, richiese circa trent’anni di lavoro. Alla direzione dei lavori si avvicendarono Bernardo Cantini, Alessandro Bortolotti e Francesco Nave con tre distinti progetti. Il primo fu dimissionario volontario, il secondo fu arrestato dopo il crollo del ponte ad una sola luce da lui arditamente (per l’epoca) costruito: l’opera durò infatti appena otto giorni. Il terzo invece realizzò un ponte a tre luci che realizzò anche “a spese” delle ultime otto botteghe sulla spalla destra, che furono demolite. Il ponte fu concluso nel 1660 (Fig.7), ai quattro angoli dei suoi due ingressi furono posizionate quattro sfere che non mancarono di essere riproposte anche nella più recente ricostruzione.

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18 Nei primi decenni del 1900 a Pisa entrò in servizio la linea tranviaria i cui percorsi interessarono anche il Ponte di Mezzo. Nel 1944 le bombe e le mine della Seconda Guerra Mondiale distrussero il ponte e, per la sua ricostruzione molto sentita dalla popolazione, fu indetto un referendum popolare per scegliere il progetto. La scelta cadde sulla soluzione ad un’unica luce in contrasto con quella auspicata dalla commissione esaminatrice: un ponte a tre luci.

Nel 1946 fu istituito il concorso che portò alla conclusione della costruzione del ponte solo nel Maggio del 1950, con un ritardo sulla consegna dovuto a problemi sia tecnici che burocratici.

Il ponte fu costruito un po’ più a valle del precedente in quanto era prevista l’apertura di una strada parallela a Corso Italia, strada che nella realtà non fu mai realizzata; Corso Italia e Borgo Stretto perdevano così il collegamento diretto presente con l’opera precedente.

Successivamente il ponte è stato corredato di alcune rifiniture a ricordo dell’epoca precedente; tra queste possono essere elencate il rivestimento laterale di marmo e le quattro sfere all’ingresso.

Figura

Fig. 5 : Sezione schematica del Ponte di Mezzo (Pisa).
Fig. 6 : Ponte di Mezzo in costruzione senza centina.
Fig. 7 : Vecchio Ponte di Mezzo, Pisa.

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