CAPITOLO 4
ELABORAZIONE DATI
4.1 PROCEDURA PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE INCENDIATE
Le aree percorse da incendio sono stata individuate avvalendosi di tecniche di "change detection". La change detection è il processo di identificazione delle differenze nello stato di un oggetto o di un fenomeno osservato in momenti distanti nel tempo
( Ridd and Liu, 1998). Essenzialmente, essa racchiude la capacità di
quantificare effetti temporali, usando sets di dati multitemporali
(Singh, 1989).
Con la possibilità di acquisizione di immagini a alta frequenza temporale e con l’elevata qualità delle stesse, è possibile determinare l’estensione e il tipo di cambiamento avvenuto in un territorio attraverso. La maggior parte dei metodi di change detection rientrano in due principali categorie: i metodi di confronto post classification e i metodi di miglioramento dell’immagine (Pilon et al.,
1988; Nelson, 1983; Yuan et al., 1998).
I metodi di confronto post classification includono la completa classificazione della copertura del suolo in ogni data dell’immagine, con i cambiamenti della copertura che sono visti come cambiamenti nella classificazione dalla prima alla seconda data. L’accuratezza delle classificazioni individuali limita l’accuratezza del risultato finale. Nella post classification change detection, due immagini provenienti
da date differenti sono indipendentemente classificate. Le aree che presentano un certo cambiamento sono poi estratte attraverso diretta comparazione dei risultati della classificazione (Colweel and
Weber, 1981; Howarth and Wickware, 1981). Il vantaggio della post
classification change detection è che si evitano le difficoltà associate alle differenti condizioni di illuminazione che si hanno confrontando immagini acquisite in differenti date dell’anno o da differenti sensori. Gli svantaggi includono le grandi richieste di calcolo e di classificazione, severe difficoltà nell’ottenere classificazioni individuali accurate e difficoltà inerenti la valutazione circa un set di dati storici nel compiere un’accuratezza adeguata (Yuan and
Elvidge,1998).
I metodi di miglioramento dell’immagine (enhancement
methods) sono basati sulla diretta acquisizione di cambiamenti
spettrali. Questa categoria include tecniche come la composizione a falsi colori o come la differenza e il rapporto fra immagini usate per enfatizzare l’area che presenta una certa variazione spettrale. La discriminazione dei valori di cambiamento e non cambiamento influenzano l’accuratezza del risultato.
Le tecniche di miglioramento dell’immagine e di post classification change detection consistono nel trasformare due immagini originali in una nuova immagine non classificata a singola banda o multibanda, nella quale le zone con variazione nella copertura del suolo sono prontamente rilevate. Molte delle tecniche di miglioramento dell’immagine sono basate sul concetto di differenza di immagini o di rapporto di immagini (Weismiller et al.,
In questa capitolo verranno applicati i risultati ottenuti da Biagioni (2004) che ha dimostrato come il metodo basato sull’applicazione di indici di copertura del suolo su entrambe le immagini (pre e post incendio) e sul successivo rapporto di tali immagini (immagine pre incendio / immagine post incendio), sia il migliore per la discriminazione delle aree bruciate.
Gli indici testati da Biagioni sono stati cinque e precisamente :
Soil Adjusted Vegetation Index, Normalized Difference Vegetation Index, Vegetation Index, TM 7/4 Index, TM 7/4 Normalized Index.
Quest’ultimo indice è risultato essere quello più affidabile ed ha la particolarità di essere poco influenzato dallo scattering atmosferico in quanto non acquisisce dati in nessuna delle tre bande del visibile. Visto che i valori della ratio 7/4 sono normalizzati, tale indice può assumere valori compresi tra 1 e –1.
E' da notare comunque che il metodo introduce anche un certo livello di rumore dovuto principalmente alle zone con scarsa illuminazione, forte pendenza e ai cambiamenti di destinazione d’uso apportati sui terreni agricoli.
Tale indice si esprime attraverso il seguente rapporto : Normalized TM 7/4 Index = (TM 7 – TM 4)/(TM 7 + TM 4)
dove per TM 7 si intende il valore di riflettanza misurato dal sensore Thematic
Figura 4.1 Città di Livorno vista con lindice 7/4 normalizzato presa dall’immagine pre. Figura 4.2 TM 7/4 Normalized Index applicato all’immagine pre con stretching lineare.
Le statistiche riguardanti le due immagini precedenti in tabella:
Istogramma 4.1 Istogramma dei valori relativo all’immagine di figura 4.2
DIMENSIONI BANDA VALORE
MIN. VALORE MAX. MEDIA STANDARD DEVIATION
31311306 1 -1 0.778598 -0.23232 0.167649 Tabella 4.1 Dati statistici dell’immagine 4.2
Istogramma 4.2 Istogramma dei valori relativo all’immagine di figura 4.3
DIMENSIONI BANDA VALORE MIN. VALORE MAX. MEDIA STANDARD DEVIATION 31311306 1 -1 0.71875 -0.25248 0.21676 Tabella 4.2 Dati statistici dell’immagine 4.3
Le immagini appena illustrate sono dunque state sottoposte a rationing (immagine pre/immagine post); per evidenziare le aree soggette ad incendio (in rosso) all’immagine risultante è stata applicata la density slicing, utilizzando come valori di riferimento per la caratterizzazione delle aree incendiate quelli individuati da Biagioni (2004).
Figura 4.4 Immagine che raffigura gli incendi (pixels rossi) rilevati sul territorio della Toscana con il metodo del rapporto tra indici 7/4 normalizzato.
Figura 4.5 Immagine che raffigura gli incendi (pixels rossi) rilevati sul territorio dell’isola d’Elba con il metodo del rapporto tra indici 7/4 normalizzato.
In tal modo è stato possibile riconoscere diversi incendi, come ad esempio quello avvenuto nel Comune di Livorno (figura 4.6) o quello sopra Piombino (figura 4.7) dei quali su parlerà più in dettaglio nel capitolo successivo.
Figura 4.6 Incendio nei pressi di Livorno rilevato con il metodo del rapporto tra indici 7/4 normalizzato; conferma tramite riscontro visivo.
Figura 4.7 Incendio nei pressi di Piombino rilevato a con il metodo del rapporto tra indici 7/4 normalizzato; conferma tramite riscontro visivo
Come detto in precedenza, la procedura adottata può portare a degli errori e per questo è necessario effettuare un’operazione di scrematura e selezione dei dati, ovvero delle aree classificate come bruciate: un esempio di zona rilevata come incendiata dal metodo ma valutata non tale per riconoscimento visivo è data dall’area mostrata in figura 4.8.
La successiva elaborazione è stata quella di vettorializzare i risultati visivi ottenuti dalle immagini, ovvero di ricostruire le aree interessate dai pixel che segnalavano la presenza di incendio. Per ottenere ciò sono state implementate delle routine automatiche utilizzando il software ArcView 3.x: come primo step sono stati individuati i centroidi dei pixel suddetti, successivamente è stato applicato un processo di square buffer (lato quadrato = lato pixel) che ha creato un file grafico dove ciascun elemento appartenente al medesimo incendio viene catalogato con lo stesso identificativo. Infine attraverso un processo di “Summarize” sono stati accorpati tutti gli elementi aventi lo stesso identificativo definendo così le singole aree incendiate. La descrizione e mappatura degli incendi verrà affrontata nel capitolo 5.
4.2 SIMULAZIONI NUMERICHE: il modello DEFLOW
Fenomeni di dissesto del territorio successivi agli incendi Dopo un incendio, un bacino idrografico subisce sostanziali cambiamenti delle caratteristiche ideologiche: aumenta il rischio di colate rapide di fango e detrito (debris flows) ed di alluvionamenti. Infatti una conseguenza diretta degli incendi è la diminuzione delle soglie di intensità e di quantità di pioggia necessarie per produrre tali eventi.
L'esatta stima dei danni sulla vegetazione e la successiva valutazione del rischio idrogeologico dovuto ai processi di erosione sopra menzionati, richiederebbe un’ approfondita analisi su diversi fattori quali: lo studio dei singoli parametri che regolano l'infiltrazione, le caratteristiche fisiche e meccaniche dei suoli (prima e dopo l'evento) ed una dettagliata acquisizione dei dati
pluviometrici (Conedera et al., 2003). Tuttavia un'indagine conoscitiva su una vasta area quale per esempio una provincia spesso deve prescindere, almeno nella prima fase di analisi, dalla raccolta di questi dati, che necessitano di apposite campagne di rilevamento e campionamento. Questa fase si deve necessariamente svolgere per quelle aree selezionate in cui, dall'analisi più generale, sono riscontrate situazioni di pericolosità per infrastrutture ed abitati.
Il modello DEFLOW (Pareschi et al., 2003) descritto in questo paragrafo cerca di soddisfare questa richiesta calcolando l’area “massima” potenzialmente esposta ed individuando in maniera speditiva le aree incendiate ed i bacini esposti a più alto rischio. In base a questa prima classificazione è quindi possibile selezionare quelle aree dove saranno necessari ulteriori approfondimenti litologici, geologici ecc.
Procedura per la mappature delle aree a rischio di flusso
Una volta individuate le zone incendiate si procede ad una catalogazione delle medesime attraverso un identificativo che ne valuti l’estensione areale (area minima è 900m, pari al quadrato della risoluzione lineare del pixel di 30m). Successivamente vengono prese in considerazione solo quelle con estensione > a 2 ettari e sovrapposte alle ortofoto AIMA per individuare per classi macroscopiche la tipologia d’uso del suolo presente (bosco, prato, coltivato ecc.).
Per la fase di valutazione del dissesto e del trasporto solido vengono analizzare le aree che cadono su pendii maggiori del 20% (11°). Tale soglia è un primo valore molto conservativo per escludere definitivamente le aree incendiate a bassa pendenza (su pendii modesti i processi erosivi e di dissesto di un versante sono estremamente ridotti). Quindi tutti gli incendi che sono caratterizzati contemporaneamente da aree aventi pendenza >11° e estensione superiore a due ettari sono considerati per la successiva analisi relativa alla dissestabilità e formazione delle colate di fango e detriti. Per le elaborazioni morfologiche si è usato un DEM ricavato dal TIN del Progetto Digitalia dell’IGG- CNR- Ministero dell’Ambiente (Agricola, Pareschi et al., 2002).
Stima dei volumi potenzialmente rimobilizzabili e la stima delle aree interessate dalle colate rapide di fango e detrito
Viene qui descitta la stima per eccesso dei volumi potenzialmente rimobilizzabili in un’area incendiata e quindi esposta al dissesto, cioè fonte di formazione di colate rapide di fango e detrito (Caruso e Pareschi, 1993; Pareschi, 1996). Queste colate sono uno dei fenomeni naturali più pericolosi per infrastrutture e abitati a cui è esposto il territorio italiano, come dimostrato da numerosi casi recenti (e.g. Pareschi et al., 2000; Bisson et al, 2002). La conoscenza del volume potenzialmente rimovibile è il dato di input necessario per identificare le aree potenzialmente interessate dallo scorrimento e deposizione da parte delle colate, attraverso un modello semi-empirico appositamente sviluppato e discusso di seguito.
principali che spiegano l’insorgere di colate rapide di fango in un’area incendiata. Il primo modello considera i processi di erosione superficiale come responsabile della progressiva formazione di una colata rapida. Il secondo modello prevede che la distruzione della copertura vegetale favorisca l'infiltrazione e l'aumento delle pressioni di poro istigando processi diffusi di instabilità che coinvolgono porzioni relativamente modeste di suolo che rapidamente evolvono in colata rapida. Sebbene esista una notevole mole di lavori riguardante ambedue i modelli (indipendentemente se essi siano connessi ad incendi oppure no) per semplicità di trattazione il modello DEFLOW prende in considerazione in particolare il secondo, che tra l'altro è certamente il meccanismo in grado di produrre colate rapide di fango e detrito di volume maggiore (Pareschi et al, 2000).
E' noto che le colate rapide di fango e detrito si originano generalmente da frane superficiali che coinvolgono in media spessori di suolo inferiore ai 2-3 m, come riscontrato in ambienti con suoli estremamente diversi (Pareschi et al., 2002). Per una preliminare stima dei volumi massimi generabili, su questa base, si può assumere una copertura di suolo massima omogenea per tutte le aree incendiate di circa 2 metri.
Dissesti che generano colate rapide avvengono su pendii con acclività molto variabile (tra i 11 e 50°) anche se pendenze maggiori di 25° sono le più frequenti (Iverson et al., 1997).
Nell'analisi proposta si considerano le aree incendiate con pendenza superiore agli 11° e ai due ettari. Sempre per una valutazione massima dei volumi rimobilizzabili, per questi incendi, si assumono come completamente instabili tutte le aree incendiate maggiori di 11°. Il volume totale massimo potenzialmente
mobilizzabile é quindi semplicemente valutato come il prodotto dell’area con pendenza superiore al 20% per una copertura di suolo omogenea di 2 m. Questi volumi “massimi” sono utilizzati nella successiva valutazione dell’area massima potenzialmente esposta a colate rapide di fango e detriti.
Il modello semi-empirico per l’identificazione delle aree esposte a flussi
Il modello semi-empirico DEFLOW utilizza la massima pendenza calcolata da un modello digitale del terreno per definire il percorso di un flusso (Pareschi et al., 2000; Favalli et al, 1999). Il modello traccia N percorsi, ognuno dei quali è un cammino di massima pendenza su una topografia che è, di volta in volta, leggermente variata rispetto all’originale. All’iterazione i-esima, la topografia, in ogni punto, è perturbata di una quantità random nell’intervallo [-∆h, +∆h], dove ∆h è legato all’altezza ipotizzabile del flusso e/o all’altezza degli ostacoli che il flusso è in grado di superare. La somma di tutti i cammini di massima pendenza così ottenuti produce un flusso la cui espansione è funzione di N e ∆h. Garantendo un numero elevato di itererazioni, si può verificare che l’area esposta tende a un valore stabile e costante.
In questo modo è altresì possibile ridurre l’effetto dovuto alle discrepanze topografiche tra il modello digitale del terreno e la reale topografia, cioè alla “risoluzione” in quota della topografia.
Questo modello è in grado di simulare differenti tipi di fluido come una colata lavica o un fluido Newtoniano. Per applicare questo modello ad una colata rapida di fango è necessario modificarlo
opportunamente inserendo una legge in grado di definire la mobilità del flusso, ossia la dissipazione energetica, e quindi il suo arresto. Dai dati di letteratura esiste una certa correlazione tra il volume totale V della colata e il rapporto L/ ∆h, dove ∆h è la differenza di altezza tra l’area di innesco della colata e il fronte di arresto della stessa (Iverson 1997) e L è la lunghezza totale percorsa dal flusso. L/∆h rappresenta l’efficienza della trasformazione tra energia potenziale ed energia cinetica.
Rickenmann, 1999, sulla base dell’esame di centinaia di colate rapide di fango ha proposto la seguente relazione:
(
)
1430V H
L= ∆
Il modello DEFLOW calcola in automatico, dalle aree incendiate con pendenze superiori agli 11°, il volume di suolo potenzialmente rimobilizzabile in colata rapida di fango e, utilizzando la relazione di Rickenmann come distanza massima oltre cui il cammino di massima pendenza è arrestato, è in grado di identificare l’area massima invadibile.
Una volta definite le aree invase dei flussi simulati si procede, attraverso la sovrapposizione delle medesime sulle ortofoto del territorio, al riconoscimento delle infrastrutture potenzialmente interessate da tali flussi (ponti, autostrade, strade ecc.) e dell'abitato (case isolate, gruppi di case, insediamenti ecc.). In questo modo è possibile valutare in maniera rapida il valore potenziale massimo (perché massima è la stima dell’area esposta) presente nell’area interessata dal flusso. La classificazione dei flussi e relativa mappatura viene illustrata e approfondita nel capitolo successivo