2.8 Comportamento
I Cetacei sono Mammiferi gregari, che quasi sempre si muovono e vivono in gruppo. Ciò consente loro di usufruire di una forma di “consapevolezza sensoriale collettiva” che li aiuta a migliorare la capacità di avvertire la presenza di predatori e di prede. La socialità dei Misticeti sembra essere più primitiva di quella degli Odontoceti. Nei primi, i gruppi pare siano dovuti a labili aggregazioni di individui attirati nello stesso luogo da una concentrazione di cibo oppure dalla presenza di femmine in stato riproduttivo. I legami più duraturi tra i Misticeti sembrano essere quelli che si instaurano tra madre e figlio, anche questi comunque raramente si protraggono per più di un anno. Ultimamente si sta ipotizzando che in realtà vi sia una socialità più complessa, se è vero che balenottere riescono a comunicare a distanza di centinaia di Km si può ipotizzare come diceva Payne che quelle che erano considerate animali solitari o gruppi temporanei in realtà siano parte di un più grande gruppo sparso per una vasta area ma sempre in contatto sonoro. Le società degli Odontoceti invece sono strutturate in maniera in genere più complessa. Le Orche vivono in gruppi la cui composizione è più stabile nel tempo, modificata solo dalle nascite e dalle morti dei loro componenti; essi sono costituiti da maschi e femmine di tutte le età strettamente imparentati tra loro, gli accoppiamenti non avvengono all’interno del gruppo ma tra maschi e femmine di gruppi diversi. Nei Tursiopi, nei Globicefali e nei Capodogli invece le unità fondamentali delle popolazioni sono costituite da gruppi di femmine, legate da vincoli assai duraturi, che allevano i loro piccoli fino al momento dello svezzamento. I maschi adulti vivono segregati: i Tursiopi in coppie o terzetti mentre i Capodogli adulti sono per lo più solitari; in queste specie i maschi si uniscono ai branchi delle femmine solo al momento della riproduzione. I maschi dei Globicefali invece rimangono più a lungo associati al gruppo delle femmine, ma passano facilmente da un gruppo all’altro.
I Cetacei, in particolare gli Odontoceti, sono dotati di un enorme cervello, che va però messo in
relazione alla mole per avere un’idea delle dimensioni relative, ottenendo il cosiddetto “quoziente di
encefalizzazione”. Nel Tursiope questo parametro è di 4.4 contro i 7 e oltre dell’Uomo. In questi
animali la corteccia cerebrale si è alquanti sviluppata, le circonvoluzioni e la superficie corticale
sono maggiori che nel cervello umano. Negli Odontoceti ci sono diversi punti che fanno pensare ad
una forte spinta selettiva per un grande cervello: il parto singolo, dopo una lunga gestazione, che
consente già nel feto lo sviluppo di un grande capo; lo svezzamento tardivo, con un accresciuto
tempo di dipendenza dalla madre, e il conseguente aumento del tempo di esposizione
all’apprendimento di comportamenti complessi; infine, una lenta maturazione e una notevole
longevità. Il tutto presumibilmente per la necessità di formare e ricordare relazioni sociali in società
complesse, utili ad evitare i pericoli della predazione e a reperire l’alimento in uno spazio opaco e
tridimensionale; per lo sviluppo di un sofisticato biosonar accoppiato alla necessità di analizzare gli stimoli acustici in tempo reale; e per la velocizzare l’apprendimento in situazioni nuove e complesse.
2.8.1 Comportamento di riposo
Non esiste un sonno profondo vero e proprio ma una forma di dormiveglia passata in superficie con atti respiratori compiuti a intervalli regolari, nel corso della quale il Cetaceo, più che dormire, riposa. Il gruppo si muove così lentamente in posizione serrata, e la protezione dai predatori di questi animali appisolati è affidata alla consapevolezza collettiva del branco. Inoltre i Tursiopi sono in grado di far riposare metà del cervello per volta, mantenendo l’altra metà in condizioni di moderata attività (fig. 36).
Fig. 36: Elettroencefalogrammi dei due emisferi cerebrali di un delfino durante il sonno. Si può notare che il tracciato dell’emisfero sinistro è tipico di un sonno ad onde lente (1-3), mentre a destra abbiamo un’attività a basso voltaggio e alta frequenza tipica dello stato di veglia (4-6).
Sono stati descritti due comportamenti di riposo: il "riposo in movimento” e il "riposo in superficie”. Nel primo, l’animale oltre a non produrre alcun suono, non mostra interesse per l’ambiente esterno e mantiene una un’attività natatoria lenta con traiettoria regolare. Spesso, questo comportamento, viene osservato in animali in coppia che nuotano in stretta sincronia e ciascuno tiene un solo occhio aperto.
Durante il riposo in superficie, invece, il delfino resta fermo con lo sfiatatoio emerso, non produce alcun suono e si mostra disinteressato all’ambiente.
2.8.2 Comportamento alloparentale
Fra delfini in cattività la madre è spesso assistita da un’altra femmina durante il parto e nella cura del neonato (Caldwell w Caldwell, 1964, 1966; Tavolga 1966), e tale comportamento di cui trae profitto il piccolo è definito alloparentale. Opinioni contraddittorie sono state espresse sul significato più adatto di tale interazione e molti scopi ne sono stati proposti. La funzione di baby sitter riferita al fatto di rimanere col piccolo durante l’assenza della madre, sembra giovare alla madre lasciandola libera di cercare cibo in maniera più efficiente, e ciò può rappresentare un esempio di apparente altruismo che ha significato evolutivo in termini di teoria di selezione della stirpe (Riedman, 1982). D’altra parte alcuni autori hanno considerato le interazioni come comportamento egoistico durante il parto dell’allomadre, “imparando a fare la madre” per sviluppare l’abilità materna da parte dell’allomadre (Lancaster, 1971).
Osservazioni quantitative sulle risposte della madre e dell’allomadre in tali interazioni in relazione al neonato nell’ambiente naturale tendono ad essere molto difficili, specialmente in ambienti marini.
Le colonie in cattività potrebbero offrire una base per questo approccio.
Studiando le interazioni tra un neonato, la madre e una femmina non correlata (definita come “zia”), è stato visto come quest’ultima assuma un ruolo di baby-sitter in assenza della madre.
L’attività di “imparare a prendersi cura” della “zia” è particolarmente rilevante durante il primo mese di vita del piccolo, ed è riconoscibile dall’alta frequenza di comportamento di contatto “zia”- piccolo. I segni di contatto possono essere variati in molti modi per aumentare il loro contenuto in informazioni, incluso come vengono manifestati, dove si ha il tocco e l’intensità di contatto (Herman e Tavolga, 1980). Il contatto esteso con le pettorali, la coda o il tronco durante le relazioni affiliative è comune fra i delfini, mettendo in evidenza forti legami sociali e fra la coppia madre- piccolo e “zia”-piccolo che può essere in parte sviluppato e mantenuto attraverso il contatto.
E’ stato dimostrato che il piccolo è in grado di riconoscere la madre dalla zia, manifestando
comportamenti diversi, mantenendo una posizione al lato della zia senza mostrare le azioni tipiche
di madre-piccolo (nuotare sotto la madre, battere l’area mammaria con la cima della testa, tentare di succhiare).
Il babysitteraggio è come un modo per guadagnare esperienza (“imparando da madre”) per l’animale primiparo. Poiché la femmina più vecchia ed esperta non ha mostrato una funzione di
“prendersi cura” evidente. Questa osservazione in cattività suggerisce una possibile influenza ambientale nell’insorgere e nello sviluppo del comportamento allo-materno poiché nel selvatico il ruolo di “zia” è spesso sostenuto da femmine esperte (Norris e Pryor 1991).
2.8.3 Comportamento coi turisti
L’eccessivo e non regolato far visita ai delfini in libertà abituati agli uomini ha sollevato ansietà in parecchie zone, e in particolare in Europa (Reyes et al., 1991). Nowacek et al. (2001) ha condotto osservazioni mirate sul comportamento animale durante approcci in barca riguardanti 33 delfini bottlenose individualmente identificati e ben conosciuti al largo di Sarasota, Florida. I delfini avevano intervalli fra i respiri (IBI) più lunghi durante gli approcci con la barca paragonati ai periodi di controllo (nessuna barca entro i 100 metri) e la durata era inversamente correlata alla distanza dalla barca più vicina. I delfini diminuivano la distanza fra un animale e l’altro, cambiavano rotta e aumentavano la velocità di nuoto in maniera significativa più spesso come risposta ad un approccio in barca che durante i periodi di controllo.
2.8.4 Comportamento nel nuoto
Per i delfini i polmoni rappresentano un importante spazio di aria comprimibile. L’aria nei polmoni impartisce una forza di galleggiamento pari all’ammontare dell’acqua spostata secondo il principio di Archimede. Durante l’immersione, la pressione aumenta di 1 atm per ogni 10 m di profondità (Heine, 1995). Poiché il volume varia inversamente con la pressione, il volume del polmone dei delfini decrescerà con la profondità.
Il corpo intero del delfino oscilla mentre nuota. Un’onda ondulatoria avanza dietro la pinna dorsale
in giù dal peduncolo alla coda (fig. 37).
Fig. 37: Immagine video (A) e range del movimento (B) di quattro parti anatomiche durante un singolo colpo per un
delfino bottlenose in nuoto orizzontale accanto a una barca a 1,5 m/s. I quadrati colorati nella figura corrispondono alle linee colorate che illustrano i movimenti per ogni parte. Notare che la pinna dorsale (blu scuro) raggiunge la sua massima escursione per prima, seguita in sequenza dal peduncolo (rosso), la cerniera della coda (verde) e infine dalla punta della coda (rossa).