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2) Ambito applicativo dell’ istituto nell’ ordinamento amministrativo alla luce del dibattito giurisprudenziale e dottrinale

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Pagina 5 CAPITOLO I

Dal dogma della intangibilità, non interferenza, della giurisdizione sulla azione amministrativa alla tutela demolitoria e, oggi, al crisma normativo su quella ripristinatoria e, perfino, “sostitutiva”

Sommario

1) Profili generali sulla nozione civilistica della reintegrazione in forma specifica.

2) Ambito applicativo dell’ istituto nell’ ordinamento amministrativo alla luce del dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

3) Il risarcimento in forma specifica in seno al giudizio di ottemperanza

4) L’ azione risarcitoria in forma specifica nel prisma del nuovo processo amministrativo.

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Pagina 6 1 - Profili generali sulla nozione civilistica della reintegrazione in forma specifica

L’ introduzione nel codice civile del 1942 dell’ istituto della reintegrazione in forma specifica, se ebbe l’ effetto di sopire l’ ampio dibattito concernente la stessa ammissibilità della figura nel sistema previgente, ove si era sviluppato fino ad allora, contestualmente, dette la stura ad una discussione non meno ampia ed accesa in merito alla natura giuridica della fattispecie1.

La norma in questione è contenuta nell’ art. 2058c.c., laddove si prevede che “ il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.

Le difficoltà di inquadramento dell’ istituto si evidenziano in ragione della discrasia presente nel tessuto dell’ art. 2058 c.c. tra rubrica ( “ risarcimento del danno”) e testo (“ reintegrazione in forma specifica”) che ha indotto una parte della dottrina a negare il carattere risarcitorio del rimedio de quo, per affiancarlo ad altre figure di reintegrazione del diritto violato.

In questo senso, l’ istituto contemplato all’ art. 2058 c.c. verrebbe, invece, a configurarsi alla stregua di mezzo di reintegrazione del diritto leso al pari delle altre azioni reintegratorie disciplinate dal codice civile e comprensive di azioni restitutorie e ripristinatorie ( si pensi alle azioni di rivendicazione ex art. 948c.c.; negatoria ex art. 949c.c.; di accertamento negativo della servitù ex art. 1079 c.c.; di reintegrazione nel possesso ex art. 1168c.c.).

Secondo una diversa impostazione dottrinale, il rimedio in questione verrebbe ad identificarsi con l’

azione di adempimento, atteso che“ la condanna all’ esatto adempimento nei contratti con prestazioni corrispettive è in realtà una condanna al risarcimento in forma specifica”2.

1V. MANDRIOLI, Il risarcimento in forma specifica, Riv. Dir. Comm., 1922 I, 352 ss.

2 V. CASTRONOVO, Il risarcimento in forma specifica come risarcimento del danno in Jus, 1988, pp. 25-26

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Pagina 7 Le due ipotesi ricostruttive prospettate sono state, peraltro, sottoposte a severa critica.

Con riferimento alla prima impostazione, si evidenzia come le azioni reintegratorie indicate siano dirette alla rimozione di un ostacolo all’ esercizio di poteri e facoltà riconosciuti dalla legge al titolare di una posizione giuridica soggettiva, prescindendo dall’ esistenza di un danno in termini di perdita patrimoniale.

In ordine alla seconda, si osserva, poi, che l’ azione di adempimento assicura il soddisfacimento dell’ interesse creditorio per il tramite dell’ ottenimento della medesima prestazione che forma oggetto della obbligazione , mentre il risarcimento del danno costituisce una forma di riparazione della sfera giuridica del danneggiato mediante, cioè, una prestazione diversa e vicaria rispetto a quella oggetto del rapporto obbligatorio3.

Parimenti, sulla scorta delle predette argomentazioni, si esclude qualsivoglia sovrapposizione teorica tra la reintegrazione in forma specifica e le forme di esecuzione forzata in forma specifica previste per l’ inadempimento degli obblighi :a) di consegna o rilascio ( art. 2930c.c.); b) di fare o di non fare ( artt. 2931 e 2933c.c.); c) di concludere il contratto ( art.2932 c.c.).

Si tratta di modalità coercitive di soddisfacimento delle pretese creditorie inadempiute che operano, segnando un elemento di discontinuità rispetto al rimedio risarcitorio ex art. 2058 c.c., esclusivamente nel processo di esecuzione e prescindono da qualsivoglia pregiudizio patrimoniale e dalla sussistenza dell’ elemento soggettivo, sub specie di dolo o colpa.

3 V. BIANCA, Diritto civile IV, L’ obbligazione, Milano, 1990

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Pagina 8 2 - Ambito applicativo dell’ istituto nell’ ordinamento amministrativo alla luce del dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Gli artt. 35 del dlgs n. 80 del 1998 e 7, comma 3, della legge n. 1034 del 1971 , novellato dalla legge n. 205 del 2000, contemplavano il potere del g.a. di condannare l’ amministrazione al risarcimento del danno, “ anche attraverso la reintegrazione in forma specifica “.

Si è posta , in proposito, la questione dell’ ammissibilità del risarcimento in forma specifica sub specie di condanna della p.a. all’ adozione del provvedimento satisfattivo dell’ interesse legittimo del privato4.

La problematica de qua assume rilevanza con specifico riferimento agli interessi pretensivi vantati dal privato.

Ciò perchè, qualora il privato sia titolare di un interesse legittimo oppositivo leso dall’ adozione del provvedimento amministrativo illegittimo, l’ effetto caducatorio dell’ annullamento giurisdizionale può ripristinare pienamente la situazione sulla quale ha inciso il provvedimento poi annullato.

Ciò nondimeno, in questo caso, potrebbero residuare degli effetti, conseguenti all’ adozione del provvedimento amministrativo, i quali potrebbero, del pari, permanere all’ esito dell’ eliminazione dell’ atto dal mondo giuridico.

Con riferimento a tale ipotesi, il giudice amministrativo, disponendo della reintegrazione in forma specifica, può condannare la p.a. a rimuovere tali effetti pregiudizievoli.5

Con riferimento alla ipotesi testè tratteggiata, il leading case è rappresentato dalla sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 3169 del 4 giugno 2001, con la quale i Giudici di Palazzo Spada

4 Per una puntuale ricostruzione del dibattito giurisprudenziale svoltosi in merito alla natura giuridica dello strumento reintegratorio de quo, si veda TRAVI, Processo amministrativo e azioni di risarcimento del danno: il risarcimento in forma specifica in Dir. proc. amm., 2003, pp. 994 ss.

5 V. CARINGELLA, GAROFOLI, MONTEDORO, Le tecniche di tutela nel processo amministrativo, Milano, 2006, p. 581

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Pagina 9 sottolineano come le riforme del biennio 1998-00 abbiano introdotto nel tessuto del giudizio amministrativo uno strumento specifico di ripristinazione dello stato di fatto preesistente all’

adozione dell’ atto, con la conseguente estensione del caratteristico effetto ripristinatorio discendente dalla caducazione giurisdizionale del provvedimento.

In linea di continuità con l’ orientamento supra cennato, poi, si pone una recente opinione dottrinale che, all’ indomani dell’ entrata in vigore del nuovo Codice del processo amministrativo, e, segnatamente, rimarcando la centralità della codificazione delle coordinate civilistiche entro cui collocare l’ istituto da parte del legislatore della riforma, ha evidenziato come “il rimedio è destinato ad operare prevalentemente, se non solo, per gli interessi oppositivi, ove ad essere turbato è il legittimo godimento del bene da parte del privato”6.

In particolare si sottolinea che, in ordine ai profili di tutela risarcitoria degli interessi legittimi oppositivi, “è possibile che l’ effetto caducatorio- ripristinatorio lasci residuare pregiudizi ulteriori (per esempio le modifiche del bene apportate durante la sua occupazione illegittima ): il giudice, pertanto, accordando la tutela in forma specifica potrebbe condannare l’ Amministrazione a rimuovere tali effetti pregiudizievoli, salvo il limite della eccessiva onerosità”7.

Invero, l’ iscrizione del rimedio in parola nella dimensione angusta della tutela risarcitoria dei soli interessi legittimi oppositivi non appare appagante delle potenzialità satisfattorie dell’interesse del privato leso dall’azione amministrativa scaturenti dall’ applicazione dell’ istituto de quo, le quali caratterizzano l’ introduzione dell’ art. 2058 c.c. nell’alveo del processo amministrativo e che, segnatamente, hanno modo di estrinsecarsi, più proficuamente, in ordine alla tutela giurisdizionale degli interessi legittimi di pretesa, in riferimento ai quali, peraltro, si è sviluppato un intenso dibattito giurisprudenziale e dottrinale in relazione alla compiuta definizione dell’ ambito di applicazione di tale strumento reintegratorio nell’ acquis amministrativo.

6V. CARINGELLA, Manuale di diritto civile. 1. La responsabilità extracontrattuale, Roma, 2011, p. 790

7 Cfr. CARINGELLA, op. ult. cit., p. 790

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Pagina 10 Secondo un primo orientamento, invero, con il rimedio de quo, il legislatore ha introdotto un’

azione di adempimento, la quale consentirebbe al privato di agire in giudizio per ottenere la condanna dell’ amministrazione all’ adozione di un atto amministrativo, indipendentemente dal carattere vincolato o discrezionale del provvedimento da porre in essere, evidenziando, in particolare, la possibilità di addivenire alla soluzione di controversie, un tempo affidate al giudice dell’ ottemperanza, nell’ ambito della statuizione giurisdizionale sulla domanda di misure di reintegrazione, emessa in seno al giudizio di cognizione, con la conseguenza che “alla pronuncia di annullamento può affiancarsi, come statuizione consequenziale, la condanna dell’ amministrazione al compimento di attività diretta sia alla rimozione dell’atto annullato, sia alla costituzione degli effetti a suo tempo negati” 8.

In linea di continuità con l’ orientamento testè cennato, un’ ulteriore opinione dottrinale rileva che

“il potere generalizzato del giudice amministrativo di disporre senz’altro la reintegrazione in forma specifica della situazione giuridica soggettiva lesa assorbe tutta la problematica del giudizio di ottemperanza”9 .

Una tesi intermedia, invece, reputa ammissibile l’ azione di condanna ad un facere, consistente nell’

emanazione di un atto amministrativo solo allorquando si tratti di attività vincolata e non anche quando non si sia in presenza di attività connotata da un significativo tasso di discrezionalità10. Invero, anche quella parte della dottrina, la quale appare più propensa a ritenere configurabile nell’

ordinamento processuale amministrativo un’ azione di adempimento, opina nel senso di ritenere

“ammissibile l’ azione di adempimento almeno nei casi in cui in base alle regole oggi vigenti in tema di poteri delle parti e del giudice si pervenga in concreto a un accertamento completo dei

8 Cfr. F. TRIMARCHI BANFI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2000, p. 68

9 Cfr. STELLA RICHTER, Il principio di concentrazione nella legge di riforma della giustizia amministrativa in Giust. Civ., 2000, II, p. 439. Si veda, poi, a suffragio della ricostruzione ermeneutica in parola, la ponderosa opera di VAIANO, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002.

10 V. CARINGELLA , Corso di diritto amministrativo, Milano, 2008, pp. 675 ss.

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Pagina 11 presupposti e requisiti di legge che non lasci all’ amministrazione spazio per alcuna valutazione ulteriore”11.

In presenza di un potere vincolato, difatti, nel rapporto che si instaura tra amministrazione e privato titolare di un interesse legittimo di pretesa, allorquando la prima non adempia il correlato dovere giuridico di facere giuridico, si addiviene ad una c.d.” crisi di cooperazione”, con la conseguenza di ritenere che “è questo lo specifico bisogno di tutela” che richiede soddisfazione nel processo amministrativo, già nella fase della cognizione, attraverso una sentenza dichiarativa del dovere e di condanna a emanare il provvedimento dovuto”12

L’ introduzione del riferimento alla vincolatezza del potere amministrativo esercitato alla stregua di temperamento alla tesi de qua, appare finalizzata a rendere l’ istituto in esame rispondente al principio di separazione delle sfere di attribuzione tra potere amministrativo e potere giudiziario.

A tale riguardo, invero, un’ eminente opinione dottrinale ha evidenziato come “ al sindacato sull’

esercizio di poteri amministrativi sono sottratte tutte le valutazioni che comportino completamento della fattispecie in base a criteri soggettivi, come nelle scelte di organi elettivi, cui il giudice verrebbe altrimenti a sostituirne di proprie, frutto della sua personale cultura, neppure suffragate dal consenso della maggioranza”13.

E ciò viene fatto discendere dalla immanenza nell’ ordinamento giuridico del principio di separazione dei poteri, il quale, ancorchè sia ritenuto, da più parti, “insuscettibile di piena e coerente applicazione, come dimostrano i numerosi e risaputi esempi di conferimento di poteri amministrativi a organi del potere o plesso organizzativo giurisdizionale o di poteri sostanzialmente legislativi ad organi del potere o plesso organizzativo indicato come apparato del Governo o

11 Cfr. CLARICH, Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, p. 579

12 Cfr CLARICH, op. ult. cit., pp. 583 ss.

13 Cfr. AZZENA-FIORITTO, Profili generali del diritto amministrativo, Padova, 2010, p. 78

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Pagina 12 pubblica amministrazione”14, non consente di riconoscere all’ autorità giudiziaria una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto alla pubblica amministrazione.

Peraltro, la pregnanza dogmatica del principio di separazione dei poteri nell’ ambito del vigente ordinamento processuale amministrativo è stata recentemente suffragata dall’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale è stata investita della decisione circa l’ ammissibilità della azione di accertamento a tutela della posizione del terzo leso dall’ illegittima intrapresa di un’ attività soggetta a segnalazione certificata di inizio attività di cui alla legge 30 luglio 2010, n. 122, in pendenza del termine di 60 gg. assegnato alla p.a. ai fini dell’ esercizio di poteri ripristinatori e inibitori, come prescritto dal novellato art. 19, comma 3 della legge 241/90.

In particolare, il Supremo Consesso di giustizia amministrativa, statuendo in merito alla compatibilità dell’ attivazione del predetto meccanismo di tutela con la disposizione di cui all’ art.

34, comma 2 del Codice del processo amministrativo, laddove si prescrive che “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”, ha evidenziato come la norma anzidetta persegua l’ obiettivo di “evitare, in omaggio al principio di separazione dei poteri, che il giudice si sostituisca alla pubblica amministrazione esercitando una cognizione diretta di rapporti amministrativi non ancora sottoposti al vaglio della stessa. Detta disposizione non può che operare per l’ azione di accertamento, per sua natura caratterizzata da tale rischio di indebita ingerenza, visto che le altre azioni tipizzate dal codice sono per definizione dirette a contestare l’ illegittimo esercizio (od omesso esercizio) del potere amministrativo”15. L’ intervento dei Giudici di Palazzo Spada, invero, in punto di interpretazione della disposizione di cui all’ art. 34 comma 2, assolve una funzione delimitatoria dell’ ambito di operatività della norma di cui al comma 1 lett. c) del predetto articolo del Codice del processo, la quale, come ha evidenziato eminente dottrina, codifica un’ azione idonea a consentire “al giudice di poter rivolgere un ordine specifico alla p.a., affinchè quest’ ultima possa restituire al ricorrente la specifica utilità.

14 Cfr. AZZENA-FIORITTO, op. ult. cit., p. 38

15 Cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15

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Pagina 13 Si tratta di un’ azione volutamente generica e atipica proprio per consentire al ricorrente di ottenere il rimedio più opportuno ed adatto per una migliore tutela della sua posizione giuridica soggettiva in concreto lesa”16.

Ciò posto, allorquando la fattispecie normativa non lascia alcun spazio d’ indeterminatezza alla successiva riedizione del potere amministrativo, il quale risulta essere rigorosamente vincolato rispetto ai presupposti previsti ex lege, si ritiene che non sussistano ragioni per escludere che il g.a.

possa sindacare sul rapporto tra amministrazione e cittadino, in un’ ottica più propriamente

“sostitutiva” della voluntas amministrativa.

Una ipotesi ricostruttiva alternativa, infatti, ammettendo che la reintegrazione in forma specifica costituisca il mezzo per impartire un ordine alla p.a. di emanare un determinato provvedimento, finirebbe, poi, per attribuire all’ istituto caratteri che non corrispondono alla tutela aquiliana, accostandolo alla tutela ripristinatoria17.

Invero, lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che in forma specifica , si connota per l’imposizione al debitore (nel processo amministrativo l’ amministrazione) di una prestazione succedanea rispetto a quella dovuta originariamente.

Peraltro, il definitivo avallo della soluzione risarcitoria ha avuto luogo per il tramite dell’ esplicito richiamo all’ art. 2058 c.c. posto in essere dall’ art. 30, comma 2 del Codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. n. 104 del 2010, il quale “costituisce il definitivo chiarimento del fatto che con la previsione di questo istituto nel processo amministrativo, già avvenuta ad opera del d.lgs. 80/1998, non si è introdotta una azione diretta ad ottenere la condanna del debitore all’ adempimento di un’ obbligazione, né un rimedio in forma specifica per l’

attuazione del diritto, ma si è inteso estendere al processo amministrativo lo stesso rimedio, di natura risarcitoria, di cui all’ art. 2058 c.c., al fine di ottenere la diretta rimozione delle conseguenze

16 Cfr. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2011, p. 1374

17 V. Cons. di Stato, 18 giugno 2002, n. 3338

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Pagina 14 derivanti dall’ evento lesivo attraverso la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno”18 . Del resto, laddove il legislatore ha voluto configurare la possibilità per il g.a. di imporre un facere alla p.a, lo ha fatto espressamente, come nell’ ipotesi dell’ art. 25 della l. n. 241/90(“… il giudice amministrativo , sussistendone i presupposti, ordina l’ esibizione dei documenti richiesti…”), attualmente riproposta nel corpus del Codice del processo amministrativo approvato con il dlgs 2 luglio 2010, n. 104.

A sostegno della tesi in esame, si evidenzia come l’ obbligo per la p.a. di provvedere in un determinato modo consegue già all’ effetto conformativo derivante dal giudicato di annullamento.

In questa prospettiva, non si rilevano profili di differenziazione tra una pronuncia che disponga il rilascio di un determinato provvedimento e una decisione che annulli un diniego riconoscendo, in parte motiva, la fondatezza della pretesa sostanziale del privato, imponendo alla p.a. di conformarsi.

Conseguentemente, l’ adozione da parte dell’ amministrazione di un determinato atto attiene più ai profili di esecuzione che non a quelli risarcitori.

Viceversa, riconducendo nell’ ambito della reintegrazione in forma specifica obblighi conformativi gravanti sulla p.a. in conseguenza del giudicato di annullamento, si finirebbe per determinare un abbassamento del tasso di incisività della tutela accordabile al privato, giacchè, quello che prima costituiva il c. d. effetto conformativo per la p.a., assoggettato al solo limite della sopravvenuta impossibilità, verrebbe,invece, ingiustificatamente condizionato alla verifica di onerosità ai sensi dell’ art. 2058, comma 2, c.c.

Più specificamente, si osserva che riportare la fase che attiene alla doverosa esecuzione del giudicato da parte dell’ amministrazione nell’ alveo della tutela risarcitoria comporta un’

estensione a tale fase dei limiti della predetta tutela, che sono più rigorosi rispetto ai limiti previsti per l’ esecuzione.

18 Cfr. Relazione di accompagnamento al Codice del processo amministrativo

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Pagina 15 Con riferimento alle forme di esecuzione in forma specifica della prestazione originariamente dovuta, infatti, non è richiesta la verifica in termini di eccessiva onerosità, rilevando, invece, la sola sopravvenuta impossibilità.

3 - Il risarcimento in forma specifica in seno al giudizio di ottemperanza

Da ultimo, in adesione alle coordinate ermeneutiche enunciate dalla impostazione richiamata nel paragrafo precedente, si è pronunciata l’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale è stata chiamata a sciogliere i nodi interpretativi relativi alla individuazione del plesso giurisdizionale competente a conoscere gli effetti dell’ annullamento dell’ aggiudicazione sul contratto d’ appalto stipulato dalla amministrazione.

Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa ha evidenziato come resti estranea al giudizio di cognizione la domanda di reintegrazione in forma specifica19

Invero, posto che nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rientravano le sole controversie inerenti le procedure di affidamento di lavori , servizi e forniture, con l’ esclusione di ogni domanda che concerna la fase dell’ esecuzione dei relativi contratti, la Plenaria ha evidenziato come alla richiesta di annullamento dell’ aggiudicazione possa conseguire solo il risarcimento del danno per equivalente, ma non anche la reintegrazione in forma specifica che, incidendo necessariamente sulla fase negoziale , esula dai poteri giurisdizionali amministrativi.

Tuttavia, la sentenza di annullamento dell’ aggiudicazione determina in capo alla p.a. soccombente l’ obbligo di conformarsi alle relative statuizioni.

19 V. Cons. di Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2008, n. 9

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Pagina 16 Laddove l’ amministrazione non si conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza, oppure non constati le conseguenze giuridiche che da essa discendono, ovvero nel caso di successiva sua inerzia , l’ interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza nel quale il giudice amministrativo, nell’ esercizio della sua giurisdizione di merito, ben può sindacare in modo pieno e completo l’ attività posta in essere dall’ amministrazione o anche il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure necessarie ed opportune ( direttamente o per il tramite di un commissario ad acta) per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza .

La sostituzione dell’ aggiudicatario , quale “ reintegrazione in forma specifica” del soggetto che ha ottenuto la statuizione di annullamento , appartiene, invero, agli ulteriori provvedimenti della p.a.

che rimangono comunque salvi dopo la pronunzia emanata all’ esito del giudizio di annullamento.

Di questi provvedimenti il g.a. conosce nella sede dell’ ottemperanza, giacchè essi appartengono all’ adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, che l’ amministrazione è tenuta a realizzare nel dare esecuzione al giudicato e ripristinare le ragioni del ricorrente, in conformità alle statuizioni dell’ annullamento.

Si valorizza, in buona sostanza, la dimensione ontologica e funzionale dell’ ottemperanza quale giurisdizione amministrativa estesa al merito, nell’ ambito della quale è consentito al giudice amministrativo, a mezzo dell’ esercizio dei più ampi poteri istruttori e decisori, lo svolgimento di un sindacato sull’ opportunità delle scelte discrezionali e la possibilità di sostituirsi all’

amministrazione inottemperante.

Invero, alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali in parte qua, perde pregnanza dogmatica quella risalente impostazione finalizzata a giustificare il discrimen tra la giurisdizione di legittimità e quella di merito esclusivamente sulla scorta della possibilità del g.a. di accedere al fatto, per il tramite della disponibilità da parte di tale plesso giurisdizionale, nell’ ambito della seconda, di un maggior numero di strumenti istruttori, con conseguente valorizzazione, viceversa, della spendita di poteri sostitutivi da parte del giudice amministrativo nell’ ambito della giurisdizione di merito, fatta

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Pagina 17 sempre salva una maggiore ampiezza cognitoria che investe i profili dell’ opportunità e della convenienza dell’ azione amministrativa.

In linea di continuità con l’ impostazione testè cennata, l’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha recentemente statuito che, per il tramite dell’ ottemperanza, “ il g.a. può realizzare il contenuto conformativo della sentenza, di per sé riferibile alla fase pubblicistica successiva all’ annullamento, ed emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito attraverso il giudizio di legittimità e reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l’ amministrazione non avesse adottato l’ atto illegittimo”20

In questo senso, appare dirimente evidenziare i caratteri peculiari che connotano l’ esecuzione di un giudicato che vada ad incidere sull’ esercizio della potestà amministrativa.

Invero, mentre la pronuncia giurisdizionale chiamata a dirimere una controversia inter privatos ha un contenuto compiutamente determinato, quella diretta “ad influire sull’ attività discrezionale della pubblica amministrazione si conclude con un comando che, il più delle volte, richiede, per la sua esecuzione, più puntuali specificazioni”21.

Di qui si evince la connotazione “mista”, contemporaneamente esecutiva e cognitiva, del giudizio di ottemperanza, laddove la funzione esecutiva di tale giudizio, intimamente preordinata a consentire al giudice di porre in essere quell’ attività sostitutiva della azione amministrativa, nell’ ottica di far conseguire, al destinatario degli effetti favorevoli del decisum il risultato pratico da questo derivante, si intreccia con la fase cognitiva, la quale risulta essere ancora più pregnante, allorquando si palesa la finalizzazione della stessa a tradurre la volontà concreta della legge o a formare la normativa del caso concreto, riempiendo gli spazi non presidiati dal giudicato.

Emerge, pertanto, un’ attività del giudice dell’ ottemperanza che travalica la mera esecuzione della pronuncia giurisdizionale, evidenziando tratti tipici del giudizio di cognizione, quali la definizione

20 Cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2008, n. 9

21 Cfr. GALLI, Corso di diritto amministrativo, vol. II, Padova, 2011 p. 1765

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Pagina 18 del contenuto del precetto da eseguire, unitamente alla enucleazione delle modalità dell’ intervento sostitutivo22.

In assonanza con l’ impostazione supra riferita, una recente pronuncia del Consiglio di Stato, le cui conclusioni appaiono condivisibili anche all’ indomani del varo del nuovo Codice del processo amministrativo, stante la codificazione da parte del legislatore della riforma di una articolata disciplina in subiecta materia (artt. 112 ss. del d.lgs 104/2010)23, ha evidenziato come l’

ottemperanza “presenta senz’ altro caratteristiche differenti rispetto all’ esecuzione forzata disciplinata dal libro III del codice di procedura civile, connotata dall’ esistenza di un titolo esecutivo, nella quale la cognitio è normalmente estranea, poiché il titolo esecutivo pone a disposizione di chi ne è possessore una posizione di preminenza che non soggiace più a nessun controllo”24.

La configurazione del tema dell’ ottemperanza in forma coerente alla impostazione supra esposta e, del pari, finalizzata a valorizzare il potere del giudice dell’ ottemperanza esteso all’ analisi nel merito delle questioni sottese alla pronuncia da eseguire, viene corroborata dalla nuova formulazione dell’ art. 114 del Codice del processo amministrativo, in forza del quale il giudice dell’ ottemperanza “conosce di tutte le questioni relative all’ esatta ottemperanza”25.

A questo occorre soggiungere la portata innovativa insita nella norma contenuta al comma 5 dell’

art. 112, con la quale il legislatore del Codice del processo amministrativo ha introdotto la possibilità di avviare il guidizio in parola “anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle

22 La natura mista del giudizio di ottemperanza è sostenuta, ex pluribus, da F. PATRONI GRIFFI, Giudicato amministrativo e ottemperanza, in Codice della giustizia amministrativa, a cura di MORBIDELLI, Milano, 2005. Si richiama, sul punto, la ricostruzione operata da CAIANIELLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, p. 852, il quale evidenzia come il profilo funzionale del giudizio di ottemperanza sia “necessariamente di esecuzione ed eventualmente di cognizione”. In senso conforme si veda FERRARA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003, pp. 76 ss.

23 V. GALLI, op. ult. cit., p. 1764

24 Cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2007, n. 5409

25Il profilo di innovazione ricavabile dalla novella legislativa è stata evidenziato da T.A.R. Lazio, Roma, Sez. 2/bis, 13 ottobre 2010, n. 32797

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Pagina 19 modalità di ottemperanza”, con la conseguenza di implementare la potestà cognitoria del giudice amministrativo, ove il giudicato da eseguire da parte della pubblica amministrazione presenti indicazioni non sufficientemente definite e puntuali in ordine alle modalità esecutive.

A fronte dell’ inquadramento dogmatico supra esposto e finalizzato a consentire il conseguimento dell’ utilitas sostanziale da parte del soggetto che abbia ottenuto l’ accoglimento della domanda risarcitoria in forma specifica nell’ ambito del giudizio di ottemperanza , l’ ordinanza di rimessione 28 marzo 2008 n. 1328, la quale ha dato la stura alla pronuncia dell’ Adunanza Plenaria n. 9 del 2008- quest’ultima assolutamente coerente con la prefata impostazione - fa propri, ex adverso, approdi ermeneutici sostanzialmente antitetici.

Invero, nell’ ipotesi in cui sia stata formulata una domanda di reintegrazione in forma specifica che postula l’ accertamento incidentale dell’ inefficacia del vincolo negoziale ( che costituisce il presupposto indefettibile della sostituzione del contraente), è proprio la norma che attribuisce al g.a.

una potestà cognitiva piena in materia di risarcimento del danno nell’ ambito del giudizio di cognizione a giustificare l’ ammissibilità, in tale fase, dell’ accertamento di tutte le situazioni di diritto implicate dalla domanda risarcitoria.

La querelle giurisprudenziale supra evidenziata merita di essere oggetto di attenta rilettura all’

indomani dell’ approvazione del nuovo Codice del processo amministrativo( dlgs n, 104/2010 ), con il quale sono state introdotte, nei giudizi avverso l’ aggiudicazione di contratti pubblici, pronunce di inefficacia del contratto eventualmente già stipulato e pronunce dirette al conseguimento dell’

aggiudicazione da parte del ricorrente( artt. 120 ss.).

In particolare, l’ art. 124 del codice, laddove si fa riferimento all’ accoglimento della domanda volta a conseguire l’ aggiudicazione, in esito alla dichiarazione di inefficacia del contratto, allude al potere facente capo al g.a. di disporre il subentro nel contratto d’appalto dell’ impresa illegittimamente pretermessa, già nell’ ambito del giudizio di cognizione.

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Pagina 20 Invero, tale previsione conferma l’ indirizzo secondo cui nelle procedure ad evidenza pubblica per l’ aggiudicazione di contratti pubblici sono tendenzialmente inconsistenti i margini di apprezzamento discrezionale da parte dei pubblici poteri26, escludendo, in radice, i dubbi ermeneutici legati all’ eventuale vulnus arrecato al principio di riserva di amministrazione, all’ esito dell’ attribuzione di siffatto potere al giudice amministrativo in sede di cognizione.

Peraltro, la linea interpretativa volta a riconoscere allo stesso bando di gara consistenza di strumento idoneo a comprimere sensibilmente i margini di discrezionalità radicati in capo alle pubbliche amministrazioni nello svolgimento delle procedure di affidamento di appalti pubblici è stata recentemente suffragata dal comma 4bis dell’ art. 64 del Codice dei contratti pubblici, introdotto della legge 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. decreto sviluppo), laddove si prescrive che “i bandi sono predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli (bandi – tipo) approvati dall’

Autorità, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate”.

Si tratta, evidentemente, di una previsione volta, da un lato, ad eliminare elementi di incongruenza presenti nei bandi di gara emessi da talune stazioni appaltanti, e, dall’ altro, ad operare una consistente limitazione alla discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici, le quali, qualora ritengano di discostarsi dal bando-tipo, devono addurre un adeguato corredo motivazionale in ordine alle deroghe apportate, in sede di delibera a contrarre.

26 Si richiama, a tal proposito, un corposo filone giurisprudenziale che si è espresso in ordine alle controversie in tema di appalti pubblici, affermando che “ con la predisposizione del bando la stazione appaltante ha esaurito al sua facoltà di scelta ed ha sviluppato nel seguito della procedura di gara un’ attività di tipo vincolato”: cfr. TAR Lombardia, Brescia, 23 novembre 2004, n. 1695.

Con riferimento, poi, all’ ipotesi in cui la p.a. determini criteri direttivi funzionali a disciplinare puntualmente, a monte, il proprio modus operandi, con conseguente consumazione dei propri margini di apprezzamento discrezionale appare opportuno richiamare un risalente – ma, ciò nondimeno foriera di spunti d’ interesse – statuizione giurisdizionale, con la quale T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 gennaio 2002, n. 4 ha accolto il ricorso per l’ annullamento dell’ aggiudicazione e la conseguente domanda risarcitoria in forma specifica di un’ impresa che lamentava la violazione da parte della stazione appaltante dei vincoli che quest’ultima si era data in relazione all’ avviso particolare di invito a licitazione privata.

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Pagina 21 Ciò posto, venendo a trattare delle questioni interpretative discendenti dalla lettura dell’ art. 124 del Codice, un’ impostazione dottrinale ha ritenuto di non configurare la disposizione de qua in guisa di una vera e propria fattispecie risarcitoria, con la conseguenza di attribuire alla misura monetaria disposta dal giudice, nell’ ipotesi di mancata dichiarazione di inefficacia del contratto, consistenza di corresponsione dell’ equivalente, in termini pecuniari, della tutela specifica non più possibile, sulla falsariga di quanto previsto dall’ art. 948 c.c.27

Tale impostazione, invero, producendo, sostanzialmente, una indebita sovrapposizione tra profili rimediali di matrice ripristinatoria del diritto e strumenti di riparazione del danno28, appare finalizzata a depurare la condotta della p.a dall’ elemento soggettivo della colpa o del dolo.

In senso contrario, difatti, la prevalente dottrina ha correttamente evidenziato l’ ascrivibilità del rimedio dei cui all’ art. 124 del Codice nell’ alveo del più ampio genus della responsabilità civile della pubblica amministrazione per lesione di interesse legittimo, sub specie di interesse legittimo di pretesa29.

La vulnerazione dell’ interesse legittimo del concorrente nella procedura ad evidenza pubblica, pertanto, gode di una tutela specifica nel senso che egli potrà conseguire direttamente il bene della vita per il tramite della concessione da parte del giudice della cognizione del subentro nel contratto di appalto, il cui accoglimento – si badi bene – appare subordinato alla prova che il concorrente medesimo abbia titolo all’ aggiudicazione, non residuando, all’ esito dell’ annullamento giurisdizionale, spazi di apprezzamento discrezionale in capo alla p.a.

Viceversa, laddove si possano ravvisare ambiti di attività discrezionale, il concorrente illegittimamente pretermesso potrà partecipare alla rinnovata procedura selettiva indetta dalla

27 V. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, pp. 1427 ss.

28 L’ orientamento teso ad evidenziare la linea di discrimine tra tutela ripristinatoria e tutela risarcitoria è autorevolmente rappresentato da SCOGNAMIGLIO, Il risarcimento del danno in forma specifica in Riv., trim. dir. e proc. civ., 1957, pp. 201 ss.. Sul punto, sia consentito rinviare alle considerazioni svolte nell’ ambito del par. II del cap. II.

29 V. LIPARI, La direttiva ricorsi nel codice del processo amministrativo: dal 16 settembre si cambia ancora? In www.giustamm.it, 2010

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Pagina 22 stazione appaltante, con la conseguente eventualità di risultare aggiudicatario, a seguito della riedizione del potere amministrativo.

Qualora, poi, il giudice non pervenga a riconoscere tale forma di tutela, a cagione della mancanza dei presupposti per la dichiarazione di inefficacia del contratto ex art. 122 del Codice, il risarcimento dell’ interesse legittimo di pretesa, in guisa di pregiudizio da perdita di chance, nell’

ipotesi di attività discrezionale della p.a., dovrà essere commisurato in misura percentuale alle possibilità che il ricorrente avrebbe avuto di conseguire l’ aggiudicazione, in assenza dell’

illegittimità che ha costituito oggetto di doglianza.

Ciò che rileva, stante il riconoscimento di spazi di potestà discrezionale in capo alla p.a., è la stessa consistenza dell’ interesse legittimo, il quale tutela l’ interesse sostanziale al bene della vita in termini di possibilità e non di certezza30.

In ragione di quanto testè affermato, giova sottolineare come dal meccanismo di tutela approntato dal Codice nell’ ambito del giudizio avente ad oggetto i contratti pubblici, si può dedurre la spendita di poteri sostitutivi in capo al giudice della cognizione per il tramite del subentro del concorrente illegittimamente pretermesso nel contratto di appalto, con esclusivo riferimento a quelle fattispecie in cui l’ attività amministrativa conseguente alla caducazione dell’ illegittima aggiudicazione si connoti in termini di rigorosa vincolatezza.

In linea di continuità con l’ impostazione sopra riferita e finalizzata a preservare la separatezza delle sfere di attribuzione tra potere amministrativo e funzione giurisdizionale, giova rammentare l’

orientamento praeter codicem del T.A.R. Lombardia, il quale, chiamato a decidere sulla domanda risarcitoria in forma specifica del ricorrente che aveva ottenuto la caducazione dell’ aggiudicazione, ha statuito che “trattandosi di procedura di gara con sistema di aggiudicazione non automatico, per di più inficiata in radice dall’ adozione di criteri di valutazione in parte incongrui, in parte indeterminati che ne determinano il travolgimento, non vi sono elementi per affermare che la

30 V. ROMANO TASSONE, Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Enc. Dir., Agg., VI, p. 1003.

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Pagina 23 ricorrente si sarebbe aggiudicata il servizio. Sicchè potrebbe in teoria essere risarcito il solo danno da perdita di chance”31

4 - L’ azione risarcitoria in forma specifica nel prisma del nuovo Codice del processo amministrativo

L’ approccio ermeneutico teso ad accogliere l’ introduzione della reintegrazione in forma specifica nell’ ordinamento amministrativo alla stregua una azione di adempimento, modellata sulla falsariga dell’ equivalente rimedio disciplinato nell’ ordinamento tedesco32, non ha potuto fare a meno di trascurare gli spunti problematici concernenti la struttura del giudizio amministrativo coinvolti nella vicenda de qua, atteso che, come autorevolmente sostenuto in dottrina, sostanza e processo sono strettamente connessi, alla luce dell’ essenziale contributo offerto dalla giustizia amministrativa con riferimento all’ emersione della figura dell’ interesse legittimo33.

Invero, la configurazione tradizionale del processo amministrativo è connessa all’ idea del giudizio impugnatorio e cassatorio, inteso alla stregua di revisio prioris istantiae della determinazione amministrativa34, identificata nel provvedimento amministrativo unilaterale, il quale si atteggiava alla stregua di unica manifestazione del potere amministrativo.

31Cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, 8 maggio 2008, n. 1380

32 V. DETTERBECK, Allgemeins Verwaltungsrecht. mit Verwaltungsprozessrecht, V ed., Munchen, 2007.

33 V. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1976, pp. 21 ss.

34 In ordine alla configurazione tradizionale del giudizio amministrativo si rinvia a STELLA RICHTER, Per l’ introduzione dell’ azione di mero accertamento nel giudizio amministrativo in Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 1988,III, p. 858 ss.; CANNADA BARTOLI, Interesse in Enc. Dir., XXII, pp. 9 ss.; A. ROMANO, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa e la loro evoluzione in Dir. proc. amm., 1994, pp. 635 ss.

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Pagina 24 Tale impostazione, in forza del lavorio incessante della dottrina e della giurisprudenza, non corrisponde più alla realtà del vigente ordinamento amministrativo35 e non ha mancato, nel corso del tempo, di dare la stura ad opinioni finalizzate a mettere in luce la sostanziale inadeguatezza del processo amministrativo alla necessità di somministrare una tutela piena ed effettiva della posizione del privato36, fino al punto di far dubitare perfino dell’ attualità dell’ intero sistema di giustizia amministrativa37

Da un lato, infatti, la manifestazione del potere amministrativo non può più ricondursi esclusivamente all’ adozione di provvedimenti amministrativi unilaterali, evidenziandosi, al contempo, accordi, contratti, silenzi variamente tipizzati e persino comportamenti mediatamente connessi all’ esercizio del potere.

Dall’ altro, si assiste alla proliferazione di figure soggettive nuove, afferenti alla sfera della pubblica amministrazione, ma che si discostano dalle strutture amministrative tradizionali.

Si tratta degli organismi di diritto pubblico, società miste esercenti attività amministrativa, soggetti privati anch’essi svolgenti attività a rilevanza pubblicistica e che, per tale ragione, sono tenuti all’

osservanza dei precetti che la governano ex art. 1 ter della legge n. 241 del 199038.

Simili profili di innovazione hanno determinato cambiamenti anche in ordine al sistema di tutela giurisdizionale, il quale non può più essere contenuto nell’ alveo di una perimetrazione in cui la

35 Le numerose “epifanie” attestanti il cambiamento intervenuto, ed ancora in atto, con riferimento al rapporto tra pubblica amministrazione e privato sono analizzate compiutamente da FERRARA, La pubblica amministrazione tra autorità e consenso: dalla “specialità” amministrativa a un diritto amministrativo di garanzia?, in Dir. amm., 1997, p. 225, laddove l’ Autore affronta molteplici tematiche, quali la privatizzazione del pubblico impiego, l’ influenza del diritto comunitario, la nascita di nuovi modelli di amministrazione, evidenziando, da ultimo, i profili di problematicità connessi all’ affermarsi del diritto comune che si discosta da quel carattere di specialità proprio della funzione pubblica.

36 Sul punto, si rinvia alla importante opera monografica di MERUSI-SANVITI, L’ “ingiustizia”

amministrativa in Italia, Bologna, 1986.

37 Il riferimento allude al contributo di NIGRO, E’ ancora attuale una giustizia amministrativa? in Foro it., 1983, V, p. 22, con il quale l’ Autore mette in rilievo come “una giustizia amministrativa come è oggi ordinata non è più attuale, nel senso che non è più adeguata ai modi di essere della amministrazione ed ai rapporti fra amministrazione ed amministrato che essi comportano”.

38 V. PAJNO, La giustizia amministrativa all’ appuntamento con la codificazione in Verso il Codice del processo amministrativo a cura di G. Pellegrino, Milano, 2010, p. 19

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Pagina 25 difesa del cittadino risulti, in pratica, fondata esclusivamente su strumenti di reazione avverso il provvedimento amministrativo.

Alle suddette esigenze di rinnovamento ha dato risposta il legislatore con l’ approvazione della legge 18 giugno 2009 n. 69, con la quale si è delegato il Governo affinchè si ponesse in essere un riassetto normativo delle norme sul processo amministrativo, nell’ ottica di garantire la snellezza, la concentrazione e l’ effettività della tutela (art. 44, comma 2, lett. a)) e di fornire una disciplina delle azioni esperibili avanti al giudice amministrativo per il tramite della previsione di “pronunce dichiarative, costitutive e di condanna, idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa” (art. 44, comma 2, lett. b), n. 4).

L’ intervento legislativo di cui sopra, invero, appare perfettamente coerente con un incessante lavorio ermeneutico condotto dalla dottrina e dalla giurisprudenza e finalizzato ad infrangere il principio di tipicità delle azioni nel processo amministrativo, il quale corrispondeva al modello originario di tutela degli interessi legittimi oppositivi, come era possibile evincere dal dettato normativo contenuto all’ art. 45 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato e dall’ art. 26, comma 2 della legge istitutiva dei T.A.R., laddove si individuava come unico dispositivo di accoglimento la sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo.

Su un versante interpretativo coerente con l’ impostazione testè evidenziata, si è sottolineato che il tema della atipicità delle azioni appare intimamente connesso alla questione della effettività della tutela, in ragione del fatto che un sistema di giustizia amministrativa incardinato su di un’ unica azione costitutiva di annullamento mal si concilia con la crescente esigenza di accedere ad un sistema di tutele differenziate che emerge dalla multiforme realtà dei rapporti sociali39.

39 Si veda, a tale riguardo, l’approfondita analisi svolta da A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia non amministrativa, Milano, 2005, p. 54, il quale mette in risalto lo stretto rapporto conflittuale che connette effettività e tipicità delle forme di tutela, allorchè la “prima risulta strettamente legata con l’ opposto principio di atipicità”, richiamando, a suffragio della presente tesi, alcune disposizioni proprie del processo civile che attestano l’ atipicità della tutela, quali l’ art. 700 c.p.c., per quanto concerne la tutela cautelare, e l’ art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in ordine ad un contesto giuslavoristico.

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Pagina 26 A tal proposito, giova rammentare taluni passaggi fondamentali della suddetta evoluzione.

In primo luogo, si è proceduto ad una rilettura del modello di giustizia amministrativa, alla luce dei precetti costituzionali, che troppo spesso sono stati considerati “una pedissequa recezione del sistema”, mentre, in verità, essi debbono essere considerati forieri di innovativi sviluppi dell’

ordinamento processuale amministrativo40.

Sulla scorta di un recente arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si è evidenziata ”l’

insostenibilità di precedenti ricostruzioni della figura dell’ interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l’

intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di diritto oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l’ interesse del privato”41.

Sul medesimo versante interpretativo, si situa l’ orientamento del Consiglio di Stato volto ad affrancare la tutela dell’ interesse legittimo dalle “strettoie” dell’ ambito della sola tutela demolitoria, laddove si evidenzia che “deve allora trovare accoglimento la prospettiva ermeneutica secondo la quale l’ oggetto del giudizio risiede in questi casi proprio nel rapporto amministrazione – amministrato su cui incide l’ atto impugnato, nell’ ambito sempre delle doglianze avanzate dal ricorrente; la sentenza di annullamento si arricchisce di nuovi contenuti tali da pregiudicare il rapporto sottostante per effetto della caducazione dell’ atto”42

I referenti costituzionali, relativamente al tema che qui interessa, si ricavano dall’ art. 24 e dall’art.

11343, primo e secondo comma Cost., laddove si prescrive l’ ammissibilità della tutela

40 V. CERULLI IRELLI, La giurisdizione amministrativa nella Costituzione in Verso il nuovo Codice del processo amministrativo a cura di G. Pellegrino, Milano, 2010, p. 23

41 Cfr. Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254

42 Cfr. Cons. di Stato, 22 aprile 2004, nn. 2367 e 2368

43 Con precipuo riferimento all’ incidenza dei precetti costituzionali de quibus in ordine alla conformazione del sistema di giustizia amministrativa, si rinvia a CERULLI IRELLI, Giurisdizione amministrativa e Costituzione, in Giur. cost., 2004, pp. 3031 ss.

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Pagina 27 giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi avanti agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa e che tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.

La pregnanza dei precetti de quibus è emersa, assumendo maggiore concretezza, allorquando le riforme dell’ ordinamento amministrativo introdotte nel biennio 1998/2000 con il dlgs n. 80/98 e la l.n. 205/00, unitamente alla riflessione ermeneutica della Suprema Corte con la sentenza n. 500 del 1999 hanno assicurato l’ accesso alla tutela risarcitoria da parte del titolare di una situazione di interesse sostanziale, nel caso di specie di interesse legittimo, ove vengano poste in essere condotte che ne impediscono o mancano di consentirne la realizzazione.

Ciò posto, si rende necessario evidenziare come la dottrina abbia enucleato una serie di indici normativi idonei a dimostrare la tendenza evolutiva in atto e orientata a portare a compimento la trasformazione del processo amministrativo da giudizio sul provvedimento a giudizio sul rapporto.

Tale evoluzione è stata sintetizzata nelle seguenti tappe fondamentali: a) possibilità per il privato di impugnare i provvedimenti connessi con l’ oggetto del giudizio adottati dalla p.a. nel corso del processo mediante lo strumento dei motivi aggiunti , contribuendo ad una visione non più parcellizzata ma sintetica del rapporto amministrazione– amministrato44; b) ampliamento del bagaglio probatorio del giudice amministrativo per il tramite della introduzione della possibilità per il g.a., anche in sede di legittimità, di disporre la c.t.u., con conseguente possibilità di accertamento pieno del fatto; c) introduzione nel processo amministrativo di una tutela cautelare atipica, non più

44 Con riferimento all’ elaborazione giurisprudenziale, in parte qua, si veda TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2000, p. 223, laddove l’ Autore evidenzia come “introducendo la possibilità di introdurre motivi aggiunti, la giurisprudenza ha cercato di porre rimedio alla posizione di inferiorità del ricorrente, determinata dal fatto che il termine per il ricorso decorre dalla conoscenza del tenore essenziale dell’ atto e non da una conoscenza completa dell’ atto e del procedimento e, quindi, dalla conoscenza dei vizi. La conoscenza di un vizio che sia raggiunta successivamente alla notizia dell’ atto non consente la riapertura dei termini per l’ impugnazione: se però è già stato impugnato l’ atto è possibile far valere il vizio attraverso i motivi aggiunti”. In ordine, poi, al rilievo assunto dai motivi aggiunti nell’ attuale panorama ordinamentale, quale strumento idoneo a consentire una verifica della vicenda amministrativa complessivamente intesa, si sottolinea come la centralità del mezzo di tutela sia suffragata dalla implementazione dell’ istituto posta in essere per il tramite dell’ art. 43 del Codice del processo amministrativo.

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Pagina 28 limitata alla sospensione dell’ efficacia del provvedimento ma rivolta verso formule atte a stimolare il riesercizio del potere amministrativo guidato dal g.a.;d) l’ introduzione della categoria dei vizi non invalidanti in forza dell’ art. 21 octies della l.n. 241/90 e la possibilità per il g.a., in caso di provvedimenti vincolati, di valutare la fondatezza della pretesa avanzata dal privato, con conseguente non annullabilità dell’ atto, allorquando si verifichi che il contenuto dispositivo dello stesso non avrebbe potuto essere differente anche laddove si fossero rispettate le norme sul procedimento e la forma; f) i poteri attribuiti al g.a. in riferimento al giudizio sul silenzio- inadempimento della p.a., laddove si prevede che “ il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’ istanza “, dando la stura ad una trasformazione del processo da “ attacco “ all’ atto in indagine sul rapporto, limitata, secondo la giurisprudenza alle ipotesi in cui la p.a è chiamata all’

esercizio di poteri vincolati45.

Tale rinnovata struttura del giudizio amministrativo ha condotto, ad esempio, la giurisprudenza a significative aperture in tema di tutela del terzo controinteressato a fronte di una attività assoggettata a d.i.a., la cui disciplina è stata sottoposta a revisione, anche nominalistica, a seguito dell’ approvazione della legge 30 luglio 2010, n.122.

Al riguardo, il Consiglio di Stato, in adesione all’ opzione ermeneutica che vede nella d.i.a. un atto privato, strumento di liberalizzazione e rigettando la tesi che afferma trattarsi, invece, di un provvedimento autorizzatorio per silentium46, ha accolto l’ interpretazione innovativa che consente al terzo l’ esperibilità della azione di accertamento autonomo47, tesa ad accertare e dichiarare l’

insussistenza dei presupposti per l’ effettivo espletamento della attività intrapresa dal privato sulla base della d.i.a, con conseguente obbligo della p.a. di ordinarne la rimozione degli effetti48.

45 V. CARINGELLA Lezioni e sentenze di diritto amministrativo, Roma, 2008, pp. 139 ss.

46 V. SEMPREVIVA-SILVESTRO, Il nuovo procedimento amministrativo, Napoli, 2009, pp. 186 ss. In senso conforme si veda, più recentemente, T.A.R. Calabria, 23 agosto 2010, n. 915

47Appare ineludibile, per una attenta disamina in parte qua, richiamare il fondamentale contributo di GRECO, L’ accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1981

48 V. Cons. di Stato, 9 febbraio 2009, n. 717

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Pagina 29 Ciò posto sinteticamente in ordine agli apporti forniti dalla dottrina e dalla giurisprudenza a beneficio di una evoluzione della struttura del processo amministrativo nella direzione di una più incisiva effettività della tutela della posizione del privato nei riguardi dell’ azione dei pubblici poteri, il legislatore è intervenuto, in forza della delega contenuta nell’ art. 44 della legge n. 69 del 2009 supra rammentata, con il varo del nuovo Codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Con riferimento al tema che costituisce oggetto della presente trattazione, invero, lo schema di codice elaborato dalla apposita Commissione costituita presso il Consiglio di Stato in forza dell’ art.

44, comma 4, della l.n. 69/2009 presentava rilevanti elementi di innovazione in merito all’

introduzione di una disciplina ad hoc delle azioni esperibili nel giudizio amministrativo, le quali venivano ricondotte, oltre alla tradizionale tutela demolitoria dell’ azione di annullamento, alla azione di accertamento e di condanna, sub specie di reintegrazione in forma specifica e per equivalente, nonché, sulla falsariga del modello tedesco, all’ azione di adempimento.

La rinnovata concezione del processo amministrativo, nonché del rapporto tra potere amministrativo e tutela giurisdizionale emergeva distintamente dalla previsione dell’ art. 40 dello schema del Codice, laddove si prevedeva la possibilità di chiedere “ la condanna dell’

amministrazione all’ emanazione del provvedimento richiesto o denegato”, con la conseguente valorizzazione della ratio della delega finalizzata a consentire, per il tramite della tutela giurisdizionale, il soddisfacimento della pretesa della parte vittoriosa.

L’impostazione supra sommariamente delineata ha subito un sostanziale revisione ad opera del Governo all’ atto della adozione del decreto delegato, laddove si è proceduto, sia ad aggiungere nuove disposizioni, sia a modificare o cassare istituti già presenti nello schema, in ragione della necessità di scongiurare l’ introduzione di rimedi che “potessero essere suscettibili di determinare

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