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1.2 Test di Coombs

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

L'anemia è definita come una condizione clinica caratterizzata da una riduzione più o meno marcata della massa eritrocitaria circolante, tale da compromettere il trasporto e la cessione di ossigeno ai tessuti.

Le anemie che si manifestano alla nascita e nelle prime settimane di vita presentano aspetti eziologici ed evolutivi del tutto particolari rispetto alle età successive, in quanto la loro patogenesi è spesso legata a fattori di rischio associati alla gravidanza e al parto.

L’anemia del pretermine, ovvero del neonato nato prima della 37ª settimana completa di gestazione, è una forma particolare di anemia ad eziologia multifattoriale, generalmente normocromica normocitica, che si verifica nelle prime settimane di vita con una costante e progressiva riduzione dell’emoglobina, più marcata e precoce rispetto a quanto si osserva nell'anemia fisiologica del nato a termine, e che raggiunge i valori minimi tra la 4° e 8° settimana. Esiste inoltre una forma tardiva di anemia del pretermine, ipocromica microcitica, che comincia a manifestarsi clinicamente tra il 2° e il 4° mese di vita extrauterina a seguito dell'esaurimento delle scorte marziali, e che può insorgere ex novo o in un continuum fisiopatologico con la precedente.

In questa tesi tratteremo specificamente l’anemia del pretermine, attraverso una revisione della casistica della U.O. Neonatologia di Pisa, relativamente all’ultimo triennio, con focus su epidemiologia, fattori di rischio e modalità di trattamento.

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1.Anemia: cenni generali su clinica e diagnosi

L’anemia (dal greco ἀ ν α ιμ ία cioè senza sangue) consiste nella riduzione patologica della concentrazione di emoglobina (Hb) nel sangue circolante, accompagnata dalla diminuzione del numero dei globuli rossi (GR) e dell’ematocrito (Hct), e dunque nella ridotta capacità del sangue di trasportare ossigeno.

I valori di riferimento dell’Hb (tab. 1.1), dei globuli rossi e dell’ematocrito (tab. 1.2) possono essere leggermente diversi secondo il laboratorio di analisi e la strumentazione in uso.

Hb (g/dl)

UOMINI ADULTI 13,5

DONNE ADULTE IN PREMENOPAUSA 11,5 BAMBINI(1 mese-2 anni) 10 BAMBINI (2 anni-pubertà) 11

NEONATI 14

Tabella 1.1 - Valori normali di Hb (modificato da: Carulli G.,2011)

GR EMATOCRITO

UOMO 5-6 milioni/microl 41%

DONNA 4,5-5,5 milioni/microl 37%

NEONATO A TERMINE 4 milioni/microl 45-75%

Tabella 1.2 -Valori normali di riferimento di globuli rossi ed ematocrito (modificato da: Carulli G.,2011)

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E’ importante sottolineare il ruolo della volemia (volume plasmatico) nella determinazione dei valori emocromocitometrici: infatti, le situazioni cliniche caratterizzate da ipervolemia (ad esempio pazienti iperidratati) comportano una riduzione spuria dei parametri eritrocitari, simulando o apparentemente aggravando una condizione anemica; invece, in caso di ipovolemia (determinata ad esempio da emorragia acuta o disidratazione quantitativamente significativa) è frequente una sottostima del livello di anemia in quanto il volume totale di sangue risulta ridotto ma il rapporto tra eritrociti e plasma rimane conservato e quindi l’emocromo non rende un’idea esatta della perdita emoglobinica [1].

In linea generale la gravità della sintomatologia clinica è legata a diverse variabili, tra cui concentrazione di Hb, età del paziente, rapidità d’insorgenza, coesistenza di altre patologie: l’anemia acuta, quasi sempre da sanguinamento o emolisi e quindi a rapida insorgenza, causa una sintomatologia più evidente e grave rispetto a un’anemia a lenta progressione, perché c’è meno tempo a disposizione per l’

attivazione dei meccanismi fisiologici di adattamento; un’anemia grave (Hb 7-8 g/dl) può essere anche discretamente tollerata se il paziente è giovane e l’anemia è insorta molto gradualmente, al contrario livelli di Hb non particolarmente bassi (8,5-9 g/dl) possono esser mal tollerati da un paziente anziano o cardiopatico [1].

I principali segni clinici generici dell’anemia identificabili nel corso dell’esame obiettivo sono:

-pallore delle mucose (generalmente visibile con Hb<10g/dl) -disturbi trofici di cute e mucose

-disturbi trofici degli annessi cutanei

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-circolo iperdinamico

-segni di ipoafflusso a carico di altri organi -segni di scompenso cardiaco.

All’esame obiettivo possono essere rilevati anche segni specifici di particolari tipi di anemia:

-ittero (anemie emolitiche e megaloblastiche) -ulcere malleolari (anemia falciforme)

-deformità ossee

-deformità faciali (talassemia)

-infezioni ricorrenti (anemia associata ad altra patologia midollare come aplasia, sindromi mielodisplastiche).

Considerando la popolazione neonatale, oggetto della nostra tesi, i segni e sintomi dello stato anemico sono ben diversi dai classici dell’adulto: più che in altre epoche della vita, molte forme di anemia neonatale possono presentare un quadro clinico con sintomi più aspecifici ma di particolare gravità, dipendente sia dalla maggiore vulnerabilità del neonato sia da alcune proprietà funzionali e metaboliche delle emazie tipiche delle prime settimane di vita (tab. 1.3) [2].

ADULTI ANZIANI NEONATI

astenia angina o sintomi legati a insufficienza cardiaca scarso accrescimento

adinamia claudicatio tachicardia

difficoltà di concentrazione confusione mentale crisi di apnea

dispnea da sforzo difficoltà nella suzione

palpitazioni apatia

cefalea

Tabella 1.3- sintomi che i pazienti anemici riferiscono più frequentemente (modificato da: Carulli G.,2011)

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Le anemie possono essere classificate in base a criteri diversi. Una classificazione molto utile dal punto di vista clinico e che consente di indirizzare le successive indagini di laboratorio è quella basata sul volume corpuscolare medio dei globuli rossi (MCV), il cui range fisiologico è 80-98 fl nell’adulto e 108 fl nel neonato.

Questa classificazione prevede la suddivisione delle anemie in :

 microcitiche

-da carenza di ferro -talassemie

-legate a perdite ematiche croniche

 normocitiche

-da insufficienza renale cronica -legate a perdite ematiche acute -da ipertiroidismo

-emolitiche congenite e acquisite -da soppressione midollare

 macrocitiche

-da carenza di vitamina B12 -da deficit di folati

-legate a epatopatie -da uso/abuso di alcool -da sindrome mielodisplastica

Quando si fa riferimento a questo parametro volumetrico (MCV) occorre però tener presente che nell’adulto esso risulta fuori dal range di normalità anche in una

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condizione fisiologica, quale è la gravidanza (macrocitosi di modesta entità anche in assenza di deficit vitaminico), mentre nella prima infanzia è facilmente rilevabile una discreta macrocitosi, anche fino a 70 fl [1].

Nei neonati si preferisce far riferimento a una classificazione eziologica dell’anemia:

 anemie post-emorragiche

-da emorragie pre e perinatali per distacco intempestivo di placenta o placenta previa -da emorragie post-natali per parto traumatico, emorragie surrenaliche (in neonati macrosomici, neonati da madri diabetiche, neonati con asfissia peripartum), sanguinamento dal tratto GI o dai vasi ombelicali (ad esempio per deficit congeniti o acquisiti della coagulazione)

 anemie emolitiche

-da alterazioni acquisite dei GR (isoimmunizzazione)

-da alterazioni ereditarie dei GR (difetti enzimatici, talassemie, anomalie di struttura dell’Hb, alterazioni strutturali della membrana eritrocitaria, anemia diseritropoietica congenita, sindrome di Pearson,deficit di transcobalamina II)

 anemie da ridotta produzione

-congenite (anemia ipoplasica congenita, anemia di Fanconi) -acquisite (anemia neonatale ipoplasica da Parvovirus B19)

L’approccio al paziente richiede dunque un’anamnesi e un esame obiettivo accurati che consentano di indirizzare in maniera ottimale le indagini di laboratorio:

infatti, i parametri di riferimento nell’iter diagnostico delle anemie sono molteplici e devono essere indagati con un ordine di priorità dipendente dal ragionamento clinico.

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Pertanto, una serie di indagini comunemente eseguite nell’adulto, non sono impiegate nel neonato. L’algoritmo diagnostico delle anemie neonatali prevede tra le indagini di laboratorio di base (fig. 1.1):

-emocromo completo con conta dei reticolociti ed eventuale esame dello striscio periferico

- tipizzazione gruppo-ematica AB e Rh della madre e del neonato e test di Coombs diretto (TDC)

-dosaggio della bilirubinemia totale e frazionata

Nel sospetto di anomalie ereditarie dei globuli rossi sono necessari test genetici specifici di approfondimento, da effettuare anche nei genitori: nel caso si rendano necessari trattamenti trasfusionali in urgenza tali test devono essere rimandati, e quindi la conferma diagnostica arriverà da indagini di laboratorio eseguite successivamente.

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Hb e/o Ht ridotti

ridotti

Reticolociti A.da ridotta produzione di GR congenite o acquisite

Normali o aumentati

Test di Coombs diretto

positivo

A.immunoemolitiche:Rh,ABO et al.

MCV

ridotto

A.postemorragica cronica α-talassemie

normale

A.postemorragica acuta

Morfologia GR

alterata(+emolisi)

Sferocitosi ereditaria Ellissocitosi ereditaria CID

Emoglobinopatie

normale

Deficit enzimatici G6PD,PK et al.

Emolisi

Indagini specifiche per:

Infezioni intrauterine Galattosemia Ipotiroidismo

Figura 1.1 - Algoritmo diagnostico delle anemie neonatali (modificato da: Casadei Pistilli A.M.,2009)

1.1 Emocromo e reticolociti

Nei neonati la concentrazione di Hb e l’ematocrito a livello dei capillari sono dal 5

al 10% superiori rispetto al sangue venoso e corrispondono rispettivamente a 14g/dl e 45-75%: tale discrepanza risulta accentuata nei neonati prematuri e in quelli con ipotensione, ipovolemia e acidosi. La differenza tra i valori capillari e quelli venosi scompare dopo i 3 mesi di vita [3].

Il numero di forme immature (eritroblasti - fig. 1.2) diminuisce con l’avanzare dell’età gestazionale. Un loro elevato numero nel sangue cordonale è spesso indice di

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ipossia fetale, poiché conseguente ad aumentata produzione di eritropoietina (Epo - ormone glicoproteico sintetizzato a livello renale e che regola appunto l’eritropoiesi), in risposta alla bassa disponibilità di ossigeno nei tessuti.

Dopo i primi tre giorni di vita gli eritroblasti non si ritrovano in circolo a meno che non sia in atto una condizione di ipossiemia cronica o intermittente [3].

I reticolociti, sono cellule allo stadio maturativo immediatamente successivo agli eritroblasti (fig. 1.2) e costituiscono circa lo 0,5-1,5% degli eritrociti circolanti: rispetto alla conta eritrocitaria totale, alla nascita sono circa il 5% mentre scendono bruscamente allo 0-1% intorno al 7° giorno. Essi sono, in pratica, eritrociti giovani appena immessi in circolo, privi di nucleo ma con ancora un esiguo numero di ribosomi: proprio questa caratteristica, consente loro di continuare a produrre emoglobina ancora per circa 24 ore dopo l’immissione in circolo dal midollo osseo.

Sono individuabili grazie alla precipitazione sotto forma di sostanza filamentosa e granulosa “reticolare” ottenuta con l’uso di particolari coloranti come il blu di cresile.

E’ possibile ottenere, tramite le indagini di laboratorio:

- il numero assoluto dei reticolociti in condizioni fisiologiche, che varia da 25.000 a 125.000/mmc

- la frazione di reticolociti immaturi(rapporto tra questi e quelli maturi)

- l’indice reticolocitico corretto (Hct paziente/Hct teorico x % reticolociti / 2): se questo è > 2 è probabile che ci troviamo di fronte a un’anemia di tipo rigenerativo (come nelle emolisi compensate e nelle fasi di compenso post-emorragico), se invece è

< 2 l’anemia è di tipo ipo-rigenerativo, come nelle aplasie o nelle carenze marziali gravi [1].

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Nelle tabelle 1.4 e 1.5 sono riportati i valori medi e il limite inferiore dell’intervallo di riferimento per i principali parametri emocromocitometrici, rispettivamente nei nati a termine nei primi sei mesi di vita e nei nati pretermine con PN (peso alla nascita)

<1500 g nelle prime sette settimane di vita.

Valore medio e limite inferiore dell’intervallo di riferimento

Hb(g/dl) ẋ -2DS

Ht ẋ -2DS

n°GR(X1012/l) ẋ -2DS

MCV(fl) ẋ -2DS

MCH(pg) ẋ -2DS

MCHCH(g/dl) ẋ -2DS)

Nascita(sangue cordonale) 16,5 13,5 0,51 0,42 4,7 3,9 108 98 34 31 33 30

1-3 giorni (capillare) 18,5 14,5 0,56 0,45 5,3 4,0 108 95 34 31 33 29

1 settimana 17,5 13,5 0,54 0,42 5,1 3,9 107 88 34 28 33 28

2 settimane 16,5 12,5 0,51 0,39 4,9 3,6 105 86 34 28 33 28

1 mese 14,0 10,0 0,43 0,31 4,2 3,0 104 85 34 28 33 29

2 mesi 11,5 9,0 0,35 0,28 3,8 2,7 96 77 30 26 33 29

3-6 mesi 11,5 9,5 0,35 0,29 3,8 3,1 91 74 30 25 33 30

Tabella 1.4 -Valori medi esame emocromocitometrico nel neonato a termine dalla nascita al sesto mese di vita (modificato da: Casadei Pistilli A.M.,2009)

Valore medio e limite inferiore dell’intervallo di riferimento

GIORNO DI VITA Hb(g/dl) ẋ -2DS

n°GR(X10 l) 12/

ẋ -2DS

MCV(fl) ẋ -2DS

MCH(pg) ẋ -2DS 1 18,2 12,8 4,71 3,21 115 105 38,9 35,5 7 16,3 10,5 4,45 2,79 110 100 37,3 33,7 14 14,5 9,7 4,10 3,41 106 96 36,3 32,5 21 12,9 8,9 3,71 2,53 102 92 35,3 30,9 28 10,9 7,1 3,17 1,97 100 90 35,1 31,3 35 10,0 7,2 2,97 2,07 98 88 34,3 32,9 42 9,5 6,5 2,92 1,94 97 87 32,2 28,8 49 10,1 6,7 3,21 2,03 95 85 32,1 8,9

Tabella 1.5 - Valori medi esame emocromocitometrico nel neonato pretermine VLBW nelle prime sette settimane di vita (modificato da: Casadei Pistilli A.M.,2009)

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Figura 1.2 - Immagine esplicativa dell’eritropoiesi (http://www.epogen.com/professional/about-

epogen/erythropoiesis.html)

1.2 Test di Coombs

Il Test di Coombs, o test dell’antiglobulina, permette di individuare la presenza di anticorpi diretti contro antigeni eritrocitari. Il principio su cui si basa è il fenomeno per cui i globuli rossi, pur essendo presenti nel sangue in quantità elevatissime, non vengono mai a contatto tra loro in quanto sulla loro membrana sono presenti cariche elettriche negative: perché i globuli rossi si avvicinino tra loro entrando in contatto (fenomeno detto di agglutinazione), queste cariche negative devono esser vinte, il che succede per la mediazione di anticorpi di classe IgM, immunoglobuline sufficientemente lunghe da creare dei ponti tra i globuli rossi stessi.

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Il test è impiegato nell’iter diagnostico di anemie emolitiche, con lo scopo di riconoscere forme auto o alloimmuni. Esso può essere eseguito in due distinte modalità: quella diretta e quella indiretta.

Il test diretto individua la presenza di anticorpi o di proteine del complemento adesi alla membrana degli eritrociti: l’agglutinazione avviene dopo aver miscelato eritrociti del paziente con un antisiero anti-immunoglobuline umane oppure anti-complemento umano (fig. 1.3).

Il test indiretto, invece, serve ad evidenziare la presenza di anticorpi irregolari nel siero: eritrociti di un donatore sono incubati col siero del paziente dopo lavaggio con antisiero anti-immunoglobuline umane oppure anti-complemento umano (fig.1.3).

E’ possibile poi individuare l’antigene specifico in causa, eseguendo test seriali con eritrociti di donatori dei quali è conosciuto il fenotipo antigenico.

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Figura 1.3 - Immagine esplicativa del test di Coombs diretto e indiretto (http://www.histolab.it)

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2. Neonato a termine

Rispetto all’età gestazionale (EG), un neonato viene definito a termine quando nasce tra la 37° e la 42° settimana; pretermine quando nasce prima della 37° settimana e post-termine quando nasce dopo la 42° settimana.

Se si considera il peso alla nascita (PN) si parla di:

-LBW (Low birth weight) se PN<2500g -VLBW (Very low birth weight) se PN<1500g -ELBW (Extremely low birth weight) se PN<1000g

In base al peso alla nascita in rapporto all’età gestazionale (EG) viene definito:

-piccolo per l’età gestazionale (peso < 10° o 3° percentile, a seconda degli Autori) -adeguato per l’età gestazionale (peso è compreso tra 10° e 90°percentile) -grande per l’età gestazionale (peso > 90° percentile).

Attualmente in Italia vengono utilizzate come riferimento le carte antropometriche di Bertino e le relative curve INES [4].

2.1 Anemia fisiologica del nato a termine

Dopo il parto la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso è considerevolmente più alta rispetto alla vita fetale: come risultato, la produzione di eritropoietina è diminuita e la produzione di eritrociti quasi si arresta [5]. Inoltre, la durata media della vita dei globuli rossi nei neonati a termine è stimata intorno ai 60-

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80 giorni ed è ridotta rispetto a quella del bambino più grande e dell’adulto (120 giorni). Durante i primi 2 mesi di vita, pertanto, la concentrazione di Hb del bambino si abbassa gradualmente fino a raggiungere il nadir, che corrisponde a 9-11 g/dl. Questa riduzione dell'Hb è denominata anemia fisiologica del lattante (fisiologica in quanto generalmente non si associa a segni e sintomi clinici) ed è una riduzione transitoria, da adattamento all’ambiente extrauterino, che si verifica nel primo trimestre di vita e non richiede trattamento. Infatti, quando la tensione di ossigeno tissutale si abbassa, la produzione di eritropoietina si ristabilisce e di conseguenza si riattiva la produzione di globuli rossi: l’Hb raggiunge, dopo 4-8 settimane, un livello medio di 12,5 g/dl che rimane per tutta l’infanzia e la prima adolescenza [3].

La principale riserva di ferro nel neonato è rappresentata dall’Hb: infatti, ogni grammo di Hb contiene 3,4 mg di ferro elementare. Il ferro derivante dalla degradazione dell’emoglobina dopo la nascita, e non utilizzato per la nuova sintesi a causa della ridotta attività eritropoietina dei primi 2 mesi di vita, si accumula nel fegato e resta disponibile per la sintesi emoglobinica nei mesi seguenti [6]. In neonati a termine sani e di peso corporeo adeguato i depositi di ferro all’interno del sistema reticolo-endoteliale (ferritina ed emosiderina) rappresentano fino al 25% del ferro corporeo totale. Nei mesi successivi, man mano che il bambino cresce e il volume ematico si espande, il ferro viene nuovamente trasferito all’emoglobina [7]. Si può affermare che il fabbisogno di ferro sia determinato essenzialmente dall’accrescimento, che dunque ne rappresenta la principale causa di consumo: infatti, la perdita di ferro attraverso cute, urine e tratto gastrointestinale nel lattante è costante ma modesta (circa 0,3 mg/die). Di solito le scorte di un nato a termine (75

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mg/Kg di ferro) sono adeguate a supportarne la crescita fino al 6° mese di vita extrauterina (ovvero fino al raddoppio del suo peso corporeo), sia che si tratti di un bambino nutrito con latte materno sia che si tratti di un bambino allattato con una formula lattea del commercio (che ha un contenuto in ferro superiore). In realtà, vista l’assenza di sufficienti evidenze scientifiche, non esiste per i primi 6 mesi di vita una vera e propria RDA (Recommended Dietary Allowance) per il ferro. Si fa dunque riferimento a un livello di assunzione giudicato adeguato, ottenuto calcolando la quota di ferro che solitamente un bambino allattato esclusivamente al seno introduce col latte della propria madre. Va inoltre tenuto presente che in questi primi 6 mesi il bambino attinge ancora alle riserve marziali presenti alla nascita. Dal 7° al 12° mese di vita, invece, la RDA per il ferro ha un valore ben preciso: 7,8-11 mg/die [7].

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3. Neonato pretermine

Il pretermine è un neonato nato prima che si completi la 37° settimana di gestazione:

nell’ambito dei neonati pretermine distinguiamo ulteriormente i nati con meno di 32 settimane di gestazione (pretermine di alto grado) e con più di 32 settimane (pretermine di grado moderato).

La nascita pretermine può verificarsi per un inizio spontaneo e prematuro del travaglio (50%dei casi), rottura spontanea e prematura delle membrane (30% dei casi) oppure per altre cause, materne e/o fetali, che rendono necessario un taglio cesareo (tab. 3.1).

Spesso risulta difficile distinguere i fattori di rischio associati alla nascita pretermine da quelli associati al basso peso alla nascita [2]. L’età gestazionale e il peso alla nascita sono considerati i fattori di rischio a cui maggiormente, e in modo indipendente, si correlano le principali complicanze della nascita pretermine.

MATERNI OSTETRICI FETALI

Età (<18 o >35) Gravidanza multipla Sesso

Razza Poli-oligoidramnios Sofferenza fetale

Peso corporeo Malformazioni uterine Anomalie fetali

Livello socio-economico Incompetenze cervicali

Malattie acute e croniche Rottura prematura delle membrane Malnutrizione Patologia placentare

Attività fisica Travaglio pretermine Abuso alcool e droghe Infezioni

Fumo di tabacco (*) Soggiorno in altura

Esposizione al dietilstilbestrolo

Tabella 3.1 – Fattori di rischio per parto pretermine (modificato da: Casadei Pistilli A.M.,2009). (*) la nicotina dà vasocostrizione e il fumo di sigaretta induce alterazioni a carico della placenta quali necrosi deciduale, microinfarti, endoarterite obliterante)

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3.1 Anemia del neonato pretermine: fisiopatologia

Nel neonato pretermine si sviluppa un’anemia normocitica normocromica nelle prime settimane di vita, con riduzione progressiva e costante dell’emoglobina, fino a valori minimi tra la 4° e l’8° settimana post-natale, in genere più bassi rispetto a quelli del nato a termine; l’entità della riduzione è direttamente proporzionale all'età gestazionale.

Le cause di tale anemia coincidono in parte con quelle dell’anemia fisiologica del nato a termine, ovvero principalmente la caduta dell’attività eritropoietica dopo la nascita legata al passaggio dall’ambiente ipossico intrauterino a quello normo-ossigenato esterno, la ridotta durata di vita del globulo rosso (35-50 giorni nel pretermine) e la marcata espansione del volume ematico in rapporto al rapido accrescimento. Tuttavia, nel neonato pretermine si verifica anche un relativo deficit di eritropoietina, dovuto al fatto che essa, fino alla 32° -36° settimana, è prodotta non dal rene ma dal fegato, meno sensibile allo stimolo ipossico. Le eventuali trasfusioni di globuli rossi, effettuate a scopo terapeutico, aumentando la concentrazione di Hb e migliorando la disponibilità di ossigeno ai tessuti, riducono ulteriormente lo stimolo per la produzione di Epo.

Infine, a tutto ciò si associa anche una causa iatrogena: le frequenti sottrazioni di sangue eseguite a scopo diagnostico contribuiscono notevolmente ad accentuare la caduta dei livelli di Hb, soprattutto nei neonati ELBW. E’ dunque buona norma annotare ogni giorno la quantità di sangue prelevata e, nel caso in cui si arrivi a sottrarre il 5-10% della volemia nel giro di pochi giorni, prevedere una trasfusione di emazie concentrate [2].

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L’anemia è ben tollerata in gran parte dei VLBW, probabilmente per il progressivo spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina legato in parte all’aumento dei livelli di 2-3 DPG (2,3-bisfosfoglicerato, prodotto intermedio della glicolisi che si concentra nei globuli rossi) che favorisce la cessione di ossigeno ai tessuti [2] (fig. 3.1).

Figura 3.1 - Curva di dissociazione dell’Hb

Tuttavia, se il PN è molto basso, e soprattutto è molto bassa l’EG, il neonato ha una quota maggiore di HbF, che per caratteristiche di struttura non lega il 2,3-DPG:

pertanto, non si verifica l’effetto sopra esposto e più facilmente compaiono i sintomi riferibili all’inadeguata ossigenazione tissutale.

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Come già accennato nel capitolo 1, la sintomatologia dei neonati anemici è piuttosto aspecifica (tachicardia, tachipnea, apnea e bradicardia, scarso accrescimento ponderale, aumentato fabbisogno di ossigeno, reattività ridotta, pallore). In linea teorica, quindi, sarebbe necessario considerare, per la diagnosi, anche degli indicatori specifici di insufficiente ossigenazione tissutale, quali O2 disponibile <7 ml/dl, pressione venosa centrale (PVC) <30 mmHg, massa eritrocitaria <30 ml/Kg, elevati livelli sierici di lattato [2]: nella pratica clinica, tuttavia, soprattutto i primi due sono difficilmente valutabili.

In una fase di vita post-natale successiva, generalmente in un continuum fisiopatologico con la precedente anemia normocromica normocitica, il neonato pretermine sviluppa poi una anemia ipocromica microcitica da sideropenia. La carenza marziale dei neonati pretermine è più frequente (fino all’85% dei casi) e più precoce di quella dei neonati a termine: infatti, a differenza dei neonati a termine, per i quali tale condizione si evidenzia in genere dopo i primi 6-9 mesi di vita, i neonati pretermine sono a rischio di sviluppare una carenza di ferro già tra il 2° e 4° mese di vita in maniera inversamente proporzionale al peso e all’età gestazionale [7].

Una combinazione di più fattori predispone il neonato prematuro ad un deficit di ferro:

innanzitutto, le riserve marziali si generano per la maggior parte (circa 80%) durante il terzo trimestre di gravidanza, per cui la quantità totale di ferro corporeo (che comprende quello metabolicamente attivo e quello di deposito) rimane più bassa.

Inoltre, dopo la nascita, durante le prime 6-8 settimane e in corrispondenza dell’inizio dell’eritropoiesi e della crescita rapida di recupero (catch-up growth), le scorte di ferro tendono ad essere rapidamente deplete. Ancora, nonostante la loro limitata

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eritropoiesi, i neonati prematuri allattati al seno hanno un bilancio negativo del ferro per almeno i primi 30 giorni dopo la nascita, a causa della perdita intestinale obbligatoria [9]. Infine, eventuali emorragie croniche e prelievi di sangue, soprattutto se associati ad un’inadeguata supplementazione di ferro, ne riducono ulteriormente le scorte e ne aumentano la richiesta. Per tutte queste ragioni, il nadir dell’Hb è più basso e si verifica più precocemente nel neonato di età gestazionale più bassa [8].

Gli effetti del deficit di ferro coinvolgono più organi e possono essere molto dannosi:

scarso accrescimento, presenza di disturbi gastrointestinali, disfunzione tiroidea, deficit immunitari, instabilità della temperatura corporea, deficit di sviluppo neurologico cognitivi e motori, sono stati attribuiti al deficit di ferro nei VLBW [6, 7] . ll ferro, infatti, riveste un ruolo fondamentale nello svolgimento di molti processi che hanno grande importanza per l’organismo, come la replicazione cellulare, il trasporto dell’ossigeno e il metabolismo ossidativo, nonché nell’ambito del metabolismo energetico neuronale, della funzionalità dei neurotrasmettitori (specialmente monoamine) e del processo di mielinizzazione. Sia nel feto che nel neonato si assiste a un rapido accrescimento del sistema nervoso centrale (a 3 anni si raggiunge la massa cerebrale definitiva dell’individuo adulto) che porta a un aumentato fabbisogno di ferro, che si prolunga nel tempo. La carenza di ferro (a maggior ragione se si accompagna ad anemia) influisce negativamente sullo sviluppo neurocognitivo e comportamentale a lungo termine: mentre nel nato a termine il danno neurologico al quale può contribuire un’eventuale carenza marziale è prevalentemente di tipo cognitivo, nel neonato pretermine è soprattutto di tipo motorio. Si ipotizza che tale danno neurologico, una volta instaurato, risulti almeno in parte irreversibile: dunque,

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quella che potrebbe sembrare la soluzione più logica, ovvero l’integrazione dietetica, in realtà non rappresenta un approccio risolutivo [7].

Per esattezza scientifica, è necessario precisare che in realtà i neonati pretermine non sono l’unico gruppo a rischio di carenza marziale importante: ad essi si associano, infatti, se pur per ragioni diverse i neonati (di qualunque EG) con sanguinamenti perinatali, i neonati con infezioni, i gemelli donatori nell’ambito di una sindrome da trasfusione feto–fetale, i neonati esposti a fattori che provocano ipossia fetale cronica, i neonati con ritardo di crescita intrauterino (IUGR), i neonati da madre fumatrice o con diabete mal controllato o con deficit marziale in gravidanza [7].

Esistono diversi marcatori ematici per la valutazione dello stato marziale ma nessuno è pienamente validato in età pediatrica: la sideremia è soggetta a una considerevole variabilità oraria e giornaliera; la combinazione tra emoglobinemia e ferritinemia è comunemente il più accreditato criterio per la misurazione dello stato marziale e il monitoraggio del trattamento con ferro [7]; nei prematuri il contenuto in emoglobina dei reticolociti può essere un marker di deficit marziale quando inferiore a 29 pg [10].

In sintesi, comunque, il principale parametro di riferimento resta la concentrazione emoglobinica eritrocitaria (MCHC) che, confrontata con altri parametri come ferritina, transferrina e volume globulare medio degli eritrociti (MCV), risulta possedere una maggiore accuratezza nell’identificare la carenza marziale [7].

3.2 Terapia

Come regola generale di orientamento pratico, per il primo semestre di vita il valore di Hb indicante anemia varia in funzione dell’età, mentre fra i 6 mesi e i 5 anni si parla di

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anemia per un valore di Hb< 11 g/dl. Non è stato chiaramente definito quale sia il valore soglia nel pretermine, ma è giustificabile attribuire a un valore di emoglobina pari a 11 g/dl il significato di una soglia operativa ai fini di un tempestivo intervento terapeutico, come dettagliato di seguito.

3.2.1 Trasfusioni

L’anemia del neonato pretermine richiede spesso il ricorso alla terapia trasfusionale con emazie concentrate (EC), per incrementare rapidamente la capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti e contrastare le risposte adattative compensatorie all’ipossia tissutale, come la vasodilatazione periferica o l’aumento della frequenza cardiaca, che il neonato mette in atto allo scopo di evitare condizioni di stress non tollerabile (ad esempio una eccessiva riduzione del pH ematico) [11, 12].

I criteri trasfusionali impiegati nei nati VLBW si basano più sul consenso di opinioni di esperti che su evidenze scientifiche [13]: il problema di base è che rimane incerto il valore al quale si debba mantenere la concentrazione di Hb durante il ricovero presso l’unità di terapia intensiva neonatale. In particolare, non è chiaro se sia desiderabile mantenere la concentrazione di Hb invariata rispetto alla vita intrauterina (spesso servirebbero molte trasfusioni per farlo) o se sia corretto comunque consentire all’Hb di scendere anche a valori piuttosto bassi, nel tentativo di evitare o minimizzare le trasfusioni [14]. La letteratura recente riporta delle raccomandazioni (tab. 3.2), tuttavia la decisione medica può variare non soltanto in relazione alle diverse e specifiche situazioni cliniche ma anche in base alle differenti impostazioni operative

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delle diverse unità assistenziali [11]. In generale, sono a massimo rischio i neonati che nelle prime settimane di vita presentano patologie cardio-respiratorie: essi, pertanto, necessitano del regime trasfusionale più “aggressivo”, che mantenga livelli di Hb>12 g/dl e di Htc>35%. Altri fattori che possono determinare la scelta si effettuare la trasfusione sono: necessità di intervento chirurgico maggiore, sepsi, shock, sindrome emorragica o sintomi suggestivi di anemia (tachicardia, tachipnea). Se i valori di Hb sono solo moderatamente ridotti rispetto ai valori di riferimento per l’età post-natale (tab. 1.5) e il neonato è in condizioni cliniche stabili, è giustificata l’adozione di un atteggiamento di tipo attendista in relazione anche alla ripresa dell’attività eritropoietica (valutazione della conta reticolocitaria) [2].

ETA’(giorni) TIPO DI PRELIEVO

NEONATI IN ASSISTENZA RESPIRATORIA (invasiva o non invasiva)

NEONATI SENZA ASSISTENZA RESPIRATORIA

1-7 capillare </=11,5 </=10,0

arterioso </=10,4 </=9,0

8-14 capillare </=10,0 </=8,5

arterioso </=9,0 </=7,7

>/=15 capillare </=8,5 </=7,5

arterioso </=7,7 </=6,8

Tabella 3.2-Indicazioni alla trasfusione di EC in neonati VLBW in base ai livelli di Hbg/dl (modificato da: Antoncecchi S., 2014)

La quantità di EC da somministrare varia da 10 a 20 ml/kg o si può calcolare più precisamente tramite la formula [2]:

EC(ml)=

La trasfusione deve essere eseguita in un periodo di 3-4 ore, per evitare un sovraccarico di volume eccessivamente rapido [13].

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La trasfusione deve necessariamente essere preceduta da adeguati test, per selezionare GR che non causino danni al ricevente e che abbiano una sopravvivenza accettabile quando trasfusi. Queste indagini comprendono:

 la caratterizzazione AB0 del sangue del donatore e del ricevente,

eseguita per prevenire la trasfusione di globuli rossi incompatibili: il sangue per la trasfusione deve essere dello stesso tipo AB0 del ricevente

la determinazione del fattore Rh: il sangue per la trasfusione dei neonati dovrebbe essere preferibilmente sempre Rh negativo, ma questo è chiaramente obbligatorio se il ricevente è Rh negativo.

 lo screening per gli anticorpi (Ab) irregolari contro i globuli rossi (specifici per gli antigeni eritrocitari diversi dal sistema AB0, D, Kell - K o Duffy - Fya), eseguito sistematicamente su campioni pre-trasfusionali del potenziale ricevente

 il test di Coombs diretto e indiretto

Nel caso in cui il test di Coombs diretto o la ricerca degli Ab irregolari siano positivi, bisogna eseguire la prova crociata: essa è d’obbligo in caso di trasfusioni successive, anche in caso di test di Coombs e ricerca di Ab irregolari inizialmente negativi [13].

Le trasfusioni di EC, da eseguire sempre previo consenso informato scritto dei genitori, non sono scevre dal rischio di complicanze, soprattutto per i neonati con peso alla nascita

<1500 g e/o EG <32 settimane: per questo, si utilizzano abitualmente emocomponenti CMV-safe (ottenuti da donatori CMV negativi o con un residuo di leucociti <5x10^6/unità) e leucodepleti (GB<1X10^6/unità), che sono in grado di

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significativa riduzione riduzione del rischio di alloimmunizzazione e di reazioni febbrili non emolitiche [13]. Ovviamente però, né la donazione da parte di donatori CMV negativi né la leucodeplezione, anche combinate, sono in grado di azzerare il rischio di trasmissione dell’infezione da CMV, per la possibilità di casi occasionali di viremia nello stadio iniziale dell’infezione [13].

Al fine di prevenire la GvHD (Graft versus host disease), è necessario irradiare i globuli rossi con una dose di 25-50 Gray (2500-5000 rad.). Le unità da trasfondere devono essere scelte tra quelle raccolte entro 5 giorni e, una volta irradiate, vanno trasfuse entro 24 h. Se questo non è possibile, è necessario lavare i GR con soluzione fisiologica per limitarne la contaminazione batterica [13]. E’ buona norma riservare sempre ai neonati le unità più fresche e irradiate da minor tempo.

Rimane controversa la possibile associazione tra lo sviluppo di NEC (enterocolite necrotizzante) e l’esecuzione di trasfusioni di emazie concentrate nelle 48 ore precedenti [12]. A tal proposito, uno studio relativamente recente [15]

condotto su un’ampia casistica di 10 anni, ha dimostrato un’associazione tra NEC e trasfusioni di emazie concentrate in un quarto dei pazienti, soprattutto in neonati SGA, pretermine di alto grado e con pervietà del dotto arterioso di Botallo. Altri Autori, al contrario, escludono una relazione temporale significativa tra esecuzione di trasfusioni e NEC, ipotizzando che spesso il peggioramento di un’anemia potrebbe richiedere trasfusioni in pazienti con NEC ancora non diagnosticata, e che quindi una sua successiva diagnosi possa essere posta in rapporto di causa-effetto con le trasfusioni eseguite del tutto erroneamente [16]. In una metanalisi del 2012, ben 11 studi sui 12 inclusi sono concordi nell’affermare che ci sia una relazione causa-effetto tra l’esecuzione di trasfusioni e lo sviluppo di enterocolite necrotizzante [17].

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Esiste, infine, il rischio di ipercorrezione dell’ematocrito. Infatti, se l’anemia di per sé causa una riduzione della stabilità del circolo ematico con conseguente ipo- ossigenazione tissutale e acidosi metabolica, l’ipercorrezione porta invece ad una iperossigenazione periferica, in grado di aggravare patologie concomitanti come la retinopatia della prematurità, ROP [18]. Nello specifico, la ROP, una delle patologie più insidiose e gravi per i neonati pretermine e ad oggi la prima causa di cecità infantile nei paesi in via di sviluppo e nei paesi industrializzati [19], ha etiologia multifattoriale e patogenesi complessa: tuttavia, il comune denominatore dei molteplici fattori in causa nel danno oculare è la produzione di radicali liberi, responsabili in prima linea della vasocostrizione dei vasi retinici immaturi. La vasocostrizione interrompe il normale processo di migrazione vascolare e causa localmente ischemia. Probabilmente, quindi, l’iperossigenazione conseguente alla trasfusione causa un successivo danno da riperfusione.

Ad ogni modo, appare logico ritenere che l’associazione con patologie così complesse come la NEC e la ROP non sia il risultato diretto di una singola trasfusione, ma di una combinazione di trasfusione e condizioni di base del paziente.

3.2.2 Eritropoietina

Durante il precoce sviluppo fetale e neonatale l’eritropoietina si dimostra più che un fattore di crescita eritropoietico.

Innanzitutto, essa è un costituente del liquido amniotico, dove si ritrova in concentrazioni di 25-40 mU/ml. Studi che utilizzano ibridazione in situ e immunoistochimica indicano che l’Epo del liquido amniotico per la maggior parte

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deriva da cellule mesenchimali ed endoteliali della decidua e dall’amnion,e non dalla circolazione materna, in quanto nell’essere umano l’Epo non è in grado di passare attraverso la placenta.

L’Epo è inoltre presente nel colostro e nel latte materno, in concentrazione di 10-20 mU/ml: tali livelli non correlano con quelli del sangue materno. Infatti, dopo la prima settimana di allattamento, la concentrazione sierologica materna di Epo diminuisce mentre quella lattea aumenta e si mantiene per un anno o anche di più. La fonte di Epo contenuta nel latte materno sembra essere l’epitelio della ghiandola mammaria.

L’Epo contenuta nel liquido amniotico, nel colostro e nel latte materno è relativamente protetta dalla digestione proteolitica nel tratto gastrointestinale del feto e del neonato: pertanto, anziché essere assorbita dal tratto GI e dunque passare nel sangue, essa si lega ai recettori sulla superficie luminale dei villi, dove funge da fattore di crescita e sviluppo [14].

Le cellule nervose fetali esprimono recettori per l’Epo, che a questo livello agisce non soltanto come fattore di crescita e sviluppo ma esercita anche un’azione neuroprotettiva: la sua produzione, infatti, aumenta rapidamente a livello encefalico durante l’ipossia e quando si lega ai recettori sui neuroni induce attività anti- apoptotica. È proprio questo il razionale dei lavori sperimentali che ne propongono l’impiego ad alte dosi nella prima settimana di vita come co-trattamento all’ipotermia moderata generalizzata nei casi di encefalopatia ipossico-ischemica [20].

Il fegato è il primo sito di produzione fetale di Epo, mentre il rene produce solo il 5% del totale dell’Epo durante la gestazione. La dimostrazione che i progenitori eritroidi, presenti nel midollo e nel sangue periferico di neonati pretermine anemici,

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sono in grado di differenziarsi e maturare in vitro con dosi crescenti di rHuEPO (Recombinant Human Erythropoietin), ha aperto la strada all’uso clinico di questo fattore [2].

Il trattamento con rHuEPO può essere alternativo o complementare all’emotrasfusione: l’obiettivo primario del suo impiego in effetti è quello di ridurre il numero di trasfusioni, la maggior parte delle quali è eseguita durante le prime tre o quattro settimane di vita, non solo nell’ottica di una riduzione della spesa sanitaria, ma anche e soprattutto per ridurre il rischio di infezioni alle quali i neonati trasfusi sono esposti [21]. Infatti, la somministrazione precoce di rHuEPO, soprattutto se associata all’utilizzo di protocolli trasfusionali restrittivi ed alla riduzione dei prelievi ematici, si è dimostrata efficace nel diminuire il numero di trasfusioni nei pretermine di maggior peso alla nascita e clinicamente stabili [11].

Due recenti metanalisi Cochrane analizzano un ampio numero di lavori su pazienti pretermine trattati con Epo a dosi e con tempistica variabile (nella prima metanalisi 1- 7° giorno di vita, nella seconda 8-28° giorno), con regimi diversi di supplementazione marziale associata (tab. 3.3 e 3.4). I risultati di questi studi suggeriscono che i neonati prematuri più grandi o stabili rispondono meglio al trattamento e dunque ricevono poche trasfusioni; al contrario, i neonati ELBW, che hanno maggiore necessità di trasfusioni subito dopo la nascita, hanno minore risposta all’Epo. Gli autori concludono, inoltre, che il trattamento con Epo può essere più efficace quanto più precocemente prescritto (anche nella prima settimana di vita); la somministrazione tardiva è in grado di ridurre il numero di trasfusioni per neonato ma non il volume totale di RBC trasfusi per neonato [21, 22].

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Per quanto riguarda la posologia, è consigliato somministrare 200 U/kg/die ev per 2 settimane o 400 U/kg sottocute a giorni alterni per 2 settimane. In ogni caso, non si dovrebbe superare la dose massima di 1200-1400 U/kg per settimana [2].

Riferimenti

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