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INTRODUZIONE Per il mio elaborato ho pensato di prendere in esame un argomento di grande attualità in questo periodo: l’emigrazione

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

Per il mio elaborato ho pensato di prendere in esame un argomento di grande attualità in questo periodo: l’emigrazione. Basta guardarsi attorno e nella vita di tutti i giorni possiamo vedere immigrati di ogni paese ed etnia.

Questo fenomeno implica poi tutta una serie di problematiche di vario genere: politiche, economiche e sociali; soprattutto queste ultime si manifestano con forme di razzismo e intolleranza, situazioni di difficoltà di convivenza e di integrazione dovute ai fattori più disparati (etnici, religiosi, ecc.). Ritroviamo tutte queste problematiche nei testi da me scelti per la traduzione.

Prima di iniziare la mia discussione, ho ritenuto giusto aprire una breve parentesi e soffermarmi sui termini ‘straniero’ ed ‘emigrante’, termini che hanno un’importanza particolare nei testi da me tradotti.

Qualsiasi dizionario fa corrispondere al lemma ‘straniero’ la definizione

«appartenente a un altro paese»1, così come anche dall’etimologia latina del termine extrăneus, il prefisso extra sottolinea l’appartenenza a un ‘fuori’.

Lo straniero è dunque qualcuno che si trova fuori posto, al di fuori del proprio paese di appartenenza, e di conseguenza ‘spaesato’.

Al lemma ‘emigrante’, invece, corrisponde la definizione «chi si trasferisce all’estero o in una regione diversa dalla propria, generalmente in cerca di un lavoro e per migliorare la propria condizione economica»2.

Nel corso della storia sono state numerosissime le persone che hanno scelto di abbandonare la propria terra per cercare una vita migliore in paesi

1 Definizione tratta da SERIANNI Luca e TRIFONE Maurizio (a cura di), Il Devoto-Oli, Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 2007.

2 Ibidem.

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più ricchi, che molto spesso erano visti come la Terra Promessa. Il desiderio di trovare un lavoro e guadagnarsi un salario era nella maggior parte dei casi il motivo principale della migrazione: molti erano spinti a raggiungere paesi lontani dall’esempio di familiari o conoscenti che avevano lasciato il villaggio natio ed erano riusciti a trovare un buon lavoro all’estero. La maggior parte delle persone che cercavano lavoro fuori dal proprio paese, lo facevano con l’intenzione di restare là solo per un certo periodo di tempo e speravano di tornare un giorno. Alcuni addirittura partivano con il sogno di guadagnare un buon gruzzolo per poter poi aprire un’attività una volta tornati in patria, ma soprattutto di poter aiutare la famiglia rimasta ‘al paese’.

Guardando indietro nella storia dell’Europa, i grandi flussi migratori internazionali iniziarono a registrarsi a partire dal XVII secolo in seguito alle guerre di religione e proseguirono quasi senza interruzione per tre secoli.3 Anche il Portogallo, in passato culla di grandi conquistatori ed esploratori, si è rivelato in questo arco di tempo un paese di emigranti, di persone spinte da necessità economiche, in certi casi proprio dalla fame nel vero senso della parola e dal miraggio di una vita migliore, a rifugiarsi in terre lontane e straniere.

Possiamo affermare che il Portogallo è stato un “paese di emigranti” fin dal XV secolo, cosa che finì per condizionare tutta la sua storia. Certo è che il concetto di emigrazione si è notevolmente modificato nel corso degli anni, sia per quanto riguarda le mete scelte dai portoghesi, che soprattutto le motivazioni che li spingevano a partire. Quindi, se durante il XV e il XVI secolo l’“emigrazione” era rivolta soprattutto verso il Nord Africa (Marocco) e le isole atlantiche (Azzorre, Madera, São Tomé, Capo Verde e Canarie), dopo la scoperta della via marittima per l’India (1498) si spostò verso Oriente, mantenendosi molto attiva fino alla fine del XVIII secolo.

3 R. BALZANI, Emigrazione europea in Dizionario di storia moderna e contemporanea, sul sito Internet: http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/e/e034.htm (data di accesso: 8 aprile 2010).

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Naturalmente questi flussi migratori erano dovuti alla necessità di ripopolare e di mantenere il controllo di quelle terre appena conquistate o soggiogate con la forza.

Lo stesso accadde dopo la scoperta del Brasile, e soprattutto a partire dalla metà del XVI secolo, con il trasferimento dell’asse della politica coloniale dalle Indie all’Atlantico e con i tentativi di occupare quelle nuove terre.

Ma fu durante il periodo dell’unificazione dinastica con la Spagna (1580-1640) che l’esodo dei portoghesi verso il Brasile si intensificò, causando un notevole spopolamento della madrepatria in favore delle nuove terre. Tutto questo obbligò il potere centrale a emanare dei provvedimenti legislativi che riuscissero a limitare una tendenza migratoria che, da colonizzatrice, gradualmente stava assumendo il carattere di fenomeno puramente migratorio. Il Brasile restò comunque la destinazione per eccellenza dei portoghesi fino alla metà del XX secolo, anche se solo a partire dall’Ottocento fu la meta preferita di coloro che volevano migliorare la propria condizione economica.

Tra l’inizio e la metà del XX secolo si cercarono nuove mete alternative al Brasile, sia in Europa che dall’altra parte dell’Atlantico (Stati Uniti, Canada, Venezuela, Argentina) e in seguito aumentò anche il flusso migratorio verso l’Africa, che prima interessò la zona lusofona (Angola e Mozambico) e solo dopo il 1974 (anno dell’indipendenza delle colonie africane dal Portogallo) interessò il Sudafrica, lo Zimbabwe e il Congo.

Il grande esodo dal Portogallo si ebbe però negli anni del secondo dopoguerra, diretto in paesi europei come la Francia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e la Svizzera, che necessitavano di molta manodopera per risollevare le loro economie.

Per quanto riguarda l’emigrazione portoghese in Francia, è giusto soffermarci sul fatto che questa interessò tutto lo spazio continentale portoghese, come evidenzia anche Nuno Bragança in A Navalhada.

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È interessante notare che le mete preferite dagli emigranti portoghesi sono state innanzitutto quei paesi linguisticamente e culturalmente vicini al Portogallo. Nelle colonie africane e orientali e in Brasile gli emigranti si sentivano più a loro agio, se non altro perché non avevano problemi di integrazione, dal momento che il fattore linguistico dava loro buone speranze di adattamento. Maggiori difficoltà, invece, si trovarono ad affrontare quei portoghesi che si trasferirono negli Stati Uniti e in altri paesi europei.

I testi da me scelti sono ripresi da quella che Jean-Jacques Marchand ha definito “letteratura dell’emigrazione” e sono opere di autori che in prima persona hanno intrapreso viaggi all’estero. Ognuno di questi autori ha dovuto abbandonare il Portogallo per motivi diversi, ma tutti ci danno una visione dell’emigrato come di un individuo diviso a metà, tra due realtà geografiche e culturali differenti, che guarda al nuovo con occhi d’ammirazione e stupore, ma che ha sempre nel cuore il ricordo malinconico della patria, alla quale sente ancora di appartenere, ma a cui in realtà ormai non appartiene più. La mia scelta è ricaduta su testi che potessero risvegliare nel lettore italiano ricordi di tanti suoi connazionali che hanno dovuto fare altrettanto.

I cinque autori portoghesi da me individuati sono José Maria Ferreira de Castro, Miguel Torga, José Rodrigues Miguéis, Herberto Helder e Nuno Bragança, importanti rappresentanti della letteratura portoghese dell’emigrazione.

Ferreira de Castro e Miguel Torga scrivono negli anni Trenta e narrano la loro esperienza di emigranti in Brasile. Di Ferreira de Castro ho scelto i capitoli VIII e IX del romanzo Emigrantes, pubblicato nel 1928. Il protagonista è Manuel da Bouça, che non è altro che l’alter ego dello scrittore, che in prima persona visse l’esperienza di emigrante, imbarcandosi per il Brasile. Ferreira de Castro fa di Manuel da Bouça il simbolo di tutti gli emigranti, con i loro sogni e le loro aspirazioni. Con

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Emigrantes questo scrittore si fece il precursore del Neorealismo portoghese, mostrando interesse per la trasformazione del mondo del suo tempo descrivendola, soffermandosi soprattutto con lo sguardo sulla condizione dell’uomo, dell’eterno emigrante. L’autore riesce a mettere in risalto il “sogno brasiliano” degli emigranti portoghesi, denunciando allo stesso tempo lo sfruttamento economico di quella terra, con l’occhio attento e critico del giornalista.

Di Torga ho selezionato alcuni passi del romanzo autobiografico A Criação do Mundo pubblicato nel 1937. Quest’opera è molto simbolica, poiché, come si può percepire dal titolo, riprende il mito cristiano della creazione del mondo, divinizzando così l’essere umano (capace di assumere la vita per darle senso) e lo stesso scrittore (capace di riprodurre la vita nelle sue opere). La narrazione è in prima persona, e racconta la vita dell’autore, che passò cinque anni in Brasile lavorando nella fazenda di uno zio molto autoritario. Proprio seguendo il mito della creazione del mondo per mano di Dio, il romanzo è suddiviso in sei giorni (il settimo anche Torga se lo prende di riposo). Del Primo Giorno ho scelto di tradurre alcuni passi in cui il narratore-protagonista descrive la partenza da Agarez per il Brasile. Del Secondo quelli in cui continua il viaggio sulla nave Arlanza (vista come la nave della libertà) e ha il primo impatto con la nuova terra, la nuova natura, i nuovi animali, la nuova cultura e la nuova famiglia nella fazenda dello zio.

Infine del Terzo, quelli in cui parla del suo ritorno in Portogallo dopo cinque anni, quando ormai è cresciuto e maturato.

Dei cinque autori da me analizzati Rodrigues Miguéis è quello che fa da spartiacque, narrando la propria esperienza di emigrante negli Stati Uniti a distanza di quasi trent’anni. Di lui ho scelto il racconto Gente da Terceira Classe, tratto dall’omonima raccolta pubblicata nel 1962, che si presenta come un diario di bordo datato 1935, anno in cui lo scrittore decise di lasciare il Portogallo, per andare a vivere negli Stati Uniti. Il viaggio sulla nave degli emigranti Arlanza, che lui prese per raggiungere Southampton

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dove poi si imbarcò sulla nave a vapore di lusso Normandie, gli permise di raccogliere materiale interessante per la sua cronaca.

Helder e Bragança narrano invece le loro esperienze di emigranti in paesi europei e scrivono il primo negli anni Sessanta e il secondo negli anni Ottanta.

Di Helder ho scelto due testi di prosa che fanno parte della raccolta Os Passos em Volta, pubblicata nel 1963: Holanda e Os Comboios que vão para Antuérpia. La prosa molto poetica di questi racconti, dove protagonista è il narratore-autore, o per meglio dire, il poeta-viaggiatore, condannato a vivere in paesi che non gli appartengono e ai quali sente di non appartenere, affronta la problematica della deambulazione umana in spazi a essa alieni.

Di Bragança ho tradotto il racconto A Navalhada, tratto dalla raccolta Estação pubblicata nel 1984, dove l’autore affronta il tema della lotta degli operai emigranti per far valere i propri diritti sui padroni che sfruttano senza scrupoli la loro forza lavoro.

Ciascuno scrittore tratta il tema dell’emigrazione in modo diverso e personale, anche in base all’esperienza vissuta e da tutti i testi emerge la difficoltà di ambientazione dell’individuo in una terra estranea, che a sua volta si rivolge a lui come a un estraneo che non potrà mai fino in fondo adeguarsi alla nuova realtà in cui si trova catapultato.

Nello specifico, ho strutturato il mio lavoro nel seguente modo: prima delle traduzioni dei testi ho presentato le biografie dei cinque autori, cosa che ho ritenuto importante fare sia per inquadrarli nel loro contesto storico, sia per dare delle notizie sulla loro vita che potessero servire anche per la comprensione dei testi, trattandosi in tutti i casi di testi autobiografici o che comunque hanno a che fare con la personale esperienza dell’autore- emigrante. Infine sono passata all’analisi delle strategie traduttive da me adottate cercando anche di interpretare i testi e di introdurli così al mio lettore modello.

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Nello svolgimento del mio elaborato sono partita dall’analisi dei testi Emigrantes, Gente da Terceira Classe e A Criação do Mundo, tutti e tre ambientati negli anni Trenta del secolo scorso e riguardanti il periodo di emigrazione dei portoghesi in Brasile e in America in genere. Sono poi passata a testi che parlano dell’emigrazione portoghese in Europa, precisamente in Olanda, Belgio e Francia, e riguardanti quindi il periodo storico che va dalla metà del Novecento agli anni Ottanta. Con Holanda e Os Comboios que vão para Antuérpia si passa a un’analisi psicologica dell’emigrante che evidenzia soprattutto i suoi stati d’animo, la sua solitudine, l’incapacità di inserimento e quindi la sua vera e propria crisi esistenziale. Infine in A Navalhada si parla di una situazione specifica che l’emigrante si trova a fronteggiare: uno dei primi scioperi di operai- immigrati in Francia.

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