RIASSUNTO I
ABSTRACT III
1. INTRODUZIONE 1
1.1Rigenerazione in vitro 4
1.1.1Generalità 4
1.1.2 Fattori che controllano la rigenerazione in vitro 7 1.1.3 Analisi molecolare dell’organogenesi in vitro 9
1.2 Embriogenesi zigotica 13
1.2.1Ciclo ontogenetico e differenziazione del gametofito femminile 13
1.2.2 Fecondazione e sviluppo dell’embrione 14
1.2.3 Embriogenesi zigotica in girasole: alcune peculiarità. 16 1.2.4 Regolazione genica ed embriogenesi zigotica 17
1.3 Embriogenesi somatica 22
1.3.1 Aspetti generali e ruolo degli ormoni 22
1.3.2 Analogie e differenze tra l’embrione zigotico e quello somatico 26 1.3.3 Espressione genica ed embriogenesi somatica 28
1.4 Epifillia 32
1.5 Sequenza bersaglio: CCAAT- box 36
1.5.1 Proteine che legano la sequenza CCAAT: le subunità NF-Y 37
1.5.2 Il motivo di ripiegamento istonico 40
1.5.3 Interazioni con altri fattori proteici associati alla cromatina 42
1.5.6 Regolazione post-trascrizionale 47 1.5.7 Regolazione della localizzazione nucleare 48
1.5.8 “Splicing” alternativo 48
1.5.9 Regolazione nelle piante 48
1.6 LEAFY COTYLEDON 49
1.6.1 I geni LEAFY COTYLEDON sono regolatori centrali
dell’embriogenesi 49
1.6.2 Leafy Cotyledon-LIKE 52
1.6.3 Le proteine Leafy Cotyledon1-LIKE: subunità specializzate
funzionalmente del fattore di trascrizione che lega la sequenza CCAAT 54
2. MATERIALI E METODI 57
2.1 Materiale vegetale 57
2.1.1 Coltura in vitro dei cloni A-2 ed EMB-3 dell’ibrido
interspecifico H. annuus x H. tuberosus 58
2.1.2 Allevamento in vivo di Helinthus annuus, H. annuus x H. tuberosus (clone A-2) e H. annuus x H. tuberosus (clone epifillico) 58
2.2 Estrazione del RNA 59
2.3Corsa elettroforetica su gel d’agarosio in condizioni denaturanti 60
2.4 Retrotrascrizione 62
2.5 Amplificazione del cDNA mediante PCR 63
2.8 5’ RACE 69
2.9 Clonaggio del cDNA 73
2.9.1 Inserzione dell’amplificato nel DNA plasmidico (LIGATION) 73
2.9.2 Trasformazione delle cellule 74
2.9.3 Selezione dei cloni 75
2.9.4 Estrazione DNA plasmidico 77
2.10 Sequenziamento del DNA plasmidico 78
2.11 Analisi delle sequenze 79
2.12 Preparazione delle sonde 79
2.13 Marcatura delle sonde 80
2.14 Ibridazione in situ RNA:RNA 82
2.15 Estrazione di DNA metodo DELLA PORTA (1983) 93
2.16 RT- PCR Relativa 95
2.15.1 Scelta degli oligonucleotidi per la β-actina 96
2.15.2 Amplificazione sequenze 96
3. RISULTATI 102
3.1 Isolamento del cDNA del gene Leafy Cotyledon1-like
in Helianthus annuus 102
3.2 Analisi della sequenza aminoacidica 109
3.3 Studio dell’espressione del gene HaL1L 112
3.3.1 Espressione del gene HaL1L in embrioni zigotici 113
3.3.4Espressione del gene HaL1L nel materiale vegetale epifillico 124
4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONE 131
BIBLIOGRAFIA 139
La regolazione dell’embriogenesi vegetale, divisa concettualmente in una fase morfogenetica e in una fase di maturazione del seme, avviene grazie all’espressione di tre classi geniche distinte. Geni quali WUSCHEL, SHOOT ROOT, SHOOTMERISTEMLESS, SCARECROW appartenenti alla prima classe, essenziali per la formazione dei meristemi apicali (radicale e caulinare), regolano la fase morfogenetica mentre una seconda classe agisce sulla maturazione del seme. Altri geni, Leafy Cotyledon1 (LEC1), Leafy Cotyledon1-LIKE (L1L), LEC2 e FUSCA3, raggruppati in un terzo gruppo, hanno la priorità di controllare entrambe le fasi embrionali, pressuponendo quindi un loro ruolo chiave nella gerarchia genica di queste proteine regolatrici.
LEC1 e L1L codificano per la subunità HAP3 di un fattore di trascrizione che lega una sequenza CCAAT-Bo x . Studi su Arabidopsis thaliana hanno messo in evidenza un’omologia di sequenza tra questi geni per ciò che concerne il loro dominio centrale altamente conservato, ipotizzando anche una conservazione di tipo funzionale. Il gene LEC1 conferisce caratteristiche tipiche embrionali ed induce, quando è espresso ectopicamente, la formazione di embrioni somatici da cellule vegetali differenziate.
Lo scopo della presente tesi è stato quello di valutare l’espressione del gene L 1 L nell’embriogenesi di Helianthus annuus e il suo coinvolgimento nei fenomeni epifillici manifestati, in assenza di trattamenti ormonali, dal variante somaclonale (EMB-2) isolato dalla rigenerazione in vitro dell’ibrido interspecifico tetraploide (2n = 4x = 68) Helianthus annuus x Helianthus tuberosus. Il cDNA del gene Leafy Cotyledon1-LIKE è stato isolato
oligonucleotidi per amplificare la sequenza genomica corrispondente e, nella regione 3’
UTR, oligonucleotidi specifici per una sonda in grado di distinguere il gene L1L dal gene LEC1. La sonda a RNA, utilizzata in esperimenti di ibridazione in situ, ha consentito di evidenziare le caratteristiche di espressione del gene HaL1L nell’embriogenesi zigotica di H. annuus. In particolare, è stato osservato che il gene HaL1L è altamente espresso negli stadi precoci dell’embrione zigotico (5 giorni dalla data di fecondazione) mentre la sua attività si riduce negli stadi più tardivi (10 giorni dalla data di fecondazione). Al contrario, il livello di espressione nei tessuti materni (tegumenti del seme, nocella e sacco gametofitico) rimane elevato per tutti gli stadi embriogenetici analizzati. La riduzione dell’espressione di HaL1L, negli stadi più avanzati di sviluppo dell’embrione zigotico, è stata confermata dall’analisi mediante RT-PCR relativa. Con tale tecnica è stata peraltro dimostrata la bassa o assente espressione del gene in altri organi e/o tessuti (cotiledoni, foglie, radici, fusto e infiorescenze immature). L’ibridazione in situ non ha al momento evidenziato l’espressione del gene HaL1L nei tesutti epifillici del clone EMB-2. Tuttavia, le prove di RT-PCR mostrano che il livello di espressione di HaL1L è molto basso nei germogli epifillici ed elevato negli embrioni somatici ectopici, a dimostrazione del coinvolgimento di questo gene nell’embriogenesi sia zigotica sia somatica.
Plant embryogenesis, which can be conceptually divided into a morphogenetic and a seed maturation phase, is regulated by the expression of three different gene classes. Genes like as WUSCHEL, SHOOT ROOT, SHOOTMERISTEMLESS, SCARECROW, which belong to the first class and play a fundamental role in the formation of both root and shoot apical meristems, are known to regulate the morphogenetic phase, while a second class acts on seed maturation. Other genes as Leafy Cotyledon1 (LEC1), Leafy Cotyledon1-LIKE (L1L), LEC2 e FUSCA3, which are grouped in a third cluster, control both the embryonic phases, and are thus believed to play a key role in the gene hierarchy of these regulator proteins.
LEC1 and L1L encode for the HAP3 subunit of a transcription factor which binds to a CCAAT box. Researches carried out on Arabidopsis thaliana showed a sequence homology among these genes as far as the highly conserved central domain is concerned, suggesting a functional conservation. LEC1 gene confers typical embryonic characteristics and, when ectotipically expressed, it induces the formation of somatic embryos from differentiated vegetative cells.
The present thesis is aimed to evaluate L1L gene expression during embryogenesis of Helianthus annuus and its involvement in the spontaneous epiphyllic phenomenon, not induced by hormone treatment, shown by the somaclone (EMB-2) isolated by in vitro regeneration of the interspecific tetraploid hybrid (2n = 4x = 68) Helianthus annuus x Helianthus tuberosus. Leafy Cotyledon1-LIKE cDNA was isolated by RT-PCR and 5’/3’
RACE from total RNA extracted from immature H.annuus embryos. cDNA sequencing
in situ hybridization experiments allowed to detect the characteristics of HaL1L expression during zygotic embryogenesis in H. annuus. In particular, HaL1L gene has been observed to be highly expressed in the early stages of zygotic embryo (five days after fertilization) whereas its activity was reduced in the later stages (ten days after fertilization).
Conversely, its expression level in the mother tissues (seed teguments, nucella, and gametophytic sac) remained high in all the embryogenetic stages under investigation. The reduction of HaL1L gene expression in the later stages of zygote development was confirmed by RT-PCR. This technique also demonstrated the low or absent expression of this gene in other organ and/or tissues (cotyledons, leaves, roots, shoot and immature inflorescences). At present, in situ hybridization did not reveal HaL1L gene activity in the epiphyllic tissues of the EMB-2 clone. However, RT-PCR analyses showed that its expression is very low in epiphyllic leaf-bud and elevated in ectopic somatic embryos, demonstrating the involvement of the present gene in both zygotic and somatic embryogenesis.
1. INTRODUZIONE
Una prerogativa fondamentale dello sviluppo delle piante è l’accrescimento illimitato, determinato dall’attività mitotica di specifiche regioni cellulari quali i meristemi, destinati a proliferare per l’intero arco della vita e da cui si originano gli organi secondo uno schema di sviluppo regolare e reiterato. Alle due estremità dell’asse principale dell’embrione si formano, durante l’embriogenesi, gli apici meristematici apicali del germoglio e della radice (Clark, 2001). Lo sviluppo post-embrionale prevede la successiva formazione di altri meristemi che determinano ulteriori assi di sviluppo (Clark, 2001). A livello del periciclo si differenziano i meristemi da cui si originano le radici laterali mentre i meristemi all’ascella delle foglie, presiedono alla ramificazione del fusto principale. La localizzazione dei meristemi è una caratteristica, controllata geneticamente, fondamentale per definire il piano di sviluppo delle piante (Clark, 2001). Tuttavia le piante presentano una enorme plasticità a livello morfologico come evidenziato in vitro dalla rigenerazione di plantule attraverso processi organogenetici e/o embriogenici ed in vivo dalle specie epifilliche nelle quali si sviluppano organi vegetativi e/o riproduttivi sulle foglie (Dickinson, 1978; Fambrini et al., 2001).
Il meccanismo attraverso il quale le cellule differenziate possono riacquisire la capacità generativa dello zigote è detto totipotenza. La totipotenza è un fenomeno di interesse centrale con enormi ricadute sia nella ricerca di base che in quella applicata quali la propagazione clonale, l’induzione di variabilità somaclonale, la rigenerazione di piante aploidi e la trasformazione genetica. Ad oggi, lo studio della totipotenza è stato condotto essenzialmente
attraverso l'esame dei processi di rigenerazione in vitro. E’ stato documentato che cellule somatiche isolate e coltivate in terreni sintetici possono perdere lo stato di differenziazione originario e riattivare il ciclo cellulare, determinando un schema di sviluppo alternativo con la rigenerazione di nuove piante. L’esperienza in vitro dimostra che la morfogenesi avventizia può essere influenzata da innumerevoli fattori tra cui decisivi sono il tipo di espianto, lo stadio di sviluppo, il genotipo e soprattutto, la composizione ormonale dei terreni sintetici (Fehér et al., 2003). Per esprimersi la totipotenza richiede un cambiamento di identità cellulare attraverso una profonda riprogrammazione dell’espressione genica che coinvolge specifici meccanismi epigenetici di controllo.
E' opinione comune che l'analisi delle complesse interazioni molecolari alla base della totipotenza cellulare possa essere facilitata dall'utilizzazione di piante (linee cellulari o mutanti) capaci di esprimere un elevato potenziale morfogenetico anche in assenza di apporti ormonali esogeni (Cary et al., 2001; Catterou et al., 2002) quali il clone epifillico EMB-2 dell’ibrido interspecifico Helianthus annuus x Helianthus tuberosus (Fambrini et al., 2000).
Tale clone ottenuto dalla coltura in vitro di espianti fogliari tra due specie non epifilliche è caratterizzato dalla produzione in vivo ed in vitro, in assenza di trattamenti ormonali, di embrioni somatici e germogli ectopici sulla superficie adassiale delle foglie in prossimità del picciolo e delle nervature (Fambrini et al., 2000).
I fenomeni di totipotenza associati all'epifillia in vivo sono stati studiati nel passato soprattutto a livello istologico (Dickinson, 1978). Da un punto di vista fisiologico invece, è stato esaminato principalmente come l'ontogenesi delle strutture ectopiche sia condizionata dagli ormoni e dai principali fattori ambientali (Heide, 1965; Houck e Resemberg, 1983). Permane tuttavia una considerevole carenza di informazioni sul suo controllo molecolare ed i dati
disponibili sono stati ottenuti indirettamente in sistemi modello trasformati geneticamente allo scopo di studiare il ruolo di geni che codificano per fattori di trascrizione. E' stato accertato in particolare, che la riattivazione ectopica dell'espressione di geni implicati nel mantenimento del destino cellulare indeterminato (come i geni homeobox della famiglia KNOTTED, KNOX) può essere sufficiente ad indurre la differenziazione di meristemi avventizi a livello di organi come le foglie (Sinha et al., 1993; Chuck et al., 1996). Analogamente, un simile fenotipo può essere osservato in piante trasformate caratterizzate da un incremento del livello endogeno di citochinine per effetto della sovraespressione del gene ISOPENTENIL TRANSFERASI (IPTC) di Agrobacterium (Estruch et al., 1991). Recenti dati dimostrano peraltro una reciproca correlazione tra il livello di espressione dei geni KNOX e la concentrazione endogena di altre categorie ormonali (Ori et al., 1999; Sakamoto et al., 2001; Hay et al., 2002; Hamant et al., 2002; Rosin et al., 2003; Scanlon, 2003). L’espressione ectopica di geni regolatori che intervengono nel controllo dell’embriogenesi zigotica (ad esempio, LEAFY COTYLEDON1) può indurre invece la differenziazione di embrioni somatici epifillici (Lotan et al., 1998). Tali risultati avvalorano l’ipotesi che i medesimi geni che agiscono in vivo nella differenziazione e nell’attività dei meristemi e nello sviluppo dell’embrione zigotico possono avere un ruolo diretto anche nel determinare la rigenerazione in vitro di germogli avventizi e/o embrioni somatici. Pertanto, con riferimento ai meccanismi di base della totipotenza, si può ritenere il clone epifillico EMB-2 un modello utile per migliorare le conoscenze sulle complesse relazioni tra gli ormoni e l’espressione di geni regolatori coinvolti nel cambiamento dell’identità cellulare.
1.1 RIGENERAZIONE IN VITRO
1.1.1 GENERALITÀ
L’applicazione biotecnologia, che prevede di coltivare le cellule vegetali in un ambiente sterile ed artificiale dove sono controllati i parametri fisici e chimici, prende il nome di coltura in vitro. Rispetto agli animali, nelle piante è tendenzialmente più semplice coltivare cellule isolate, singoli espianti od interi organi e soprattutto, è possibile rigenerare nuovi individui (D’Amato, 1977). La coltura in vitro agevola lo studio di vari aspetti della biologia vegetale e consente una serie di utili applicazioni tra cui: la micropropagazione, il risanamento dalle virosi, la produzione di metaboliti secondari, l’induzione di variabilità genetica e la trasformazione genetica. Da un punto di vista storico, l’intuizione del botanico Haberladt di coltivare in modo artificiale cellule vegetali risale al 1902, ma, nonostante i ripetuti tentativi, non riuscì a verificare la sua ipotesi. La prova decisiva fu ottenuta quasi contemporaneamente nel 1939 da tre autori, White, Gautheret e Nobécourt, con la crescita illimitata di cellule somatiche in presenza di auxina (Krikorian e Simola, 1999). Quando organi o tessuti sono trasferiti in vitro su un idoneo mezzo di coltura, in alcune cellule si riattiva il ciclo cellulare e per mitosi si sviluppano aggregati amorfi definiti callo. Il callo è formato da cellule vacuolizzate, caratterizzate da un citoplasma che si colora debolmente e con nucleo localizzato in posizione periferica. Non tutte le cellule di partenza dell’espianto trasferito in vitro entrano in proliferazione per produrre il callo, infatti, di norma sono le superfici di taglio a partecipare alla callogenesi soprattutto se in queste sono presenti tessuti conduttori (Torrey, 1966; Murashige, 1974). In particolare, è stato dimostrato che, in espianti di fusto di tabacco, la competenza alla sdifferenziazione è
massima nel floema e ciò dipende dalla locale concentrazione endogena di citochinine e dalla rapida riattivazione dell’espressione dei geni CDC2a e CYCB implicati nel ciclo cellulare (Boucheron et al., 2002). Di norma, è necessario usare auxine esogene per ottenere callo, la cui crescita, entro certi limiti, è funzione della concentrazione dell’ormone nel substrato di coltura (D’Amato, 1985). Negli animali la rigenerazione è la capacità di un organismo a ricostruire porzioni del corpo a partire da cellule somatiche (D’Amato, 1977). Questa potenzialità è rilevante in animali molto semplici come la planaria e l’idra, mentre negli animali superiori è molto ridotta e legata soltanto alle cellule staminali. Nell’uomo, ad esempio, l’unica cellula totipotente è lo zigote, poichè allo stadio di blastocisti, 5 giorni dal concepimento, l’embrione è formato da circa cento cellule staminali pluripotenti capaci di dare in vitro un qualsiasi tessuto, ma non un nuovo embrione (Tosh e Slack, 2002). A causa dell’accrescimento illimitato e della mancata separazione di soma e germe, nelle piante vascolari qualsiasi cellula somatica può considerarsi totipotente e rappresentare, quindi, un potenziale progenitore di un nuovo individuo (D’Amato, 1977; 1985). Questa capacità si esprime nella differenziazione di apici meristematici avventizi e/o di embrioni somatici in vivo e, con maggior frequenza, in vitro. In vivo, il processo di rigenerazione con formazione di nuove piante si è probabilmente evoluto come meccanismo di propagazione vegetativa (Steeves e Sussex, 1989). A tale proposito, sono noti due modelli: il primo prevede la differenziazione di propaguli che, dopo la separazione dal tessuto madre, originano un nuovo organismo, mentre nel secondo modello, la rigenerazione presuppone il distacco iniziale di un intero organo, generalmente una foglia, da cui si sviluppano centri meristematici avventizi, per lo più in corrispondenza delle nervature, dai quali avviene la rigenerazione vera e propria. In Bryophyllum calycinum si ritrovano esempi del primo modello, mentre il secondo tipo è comune in Begonia (Steeves e Sussex, 1989). La rigenerazione di nuove piante in vitro
segue due fondamentali vie di morfogenesi: l’organogenesi avventizia e l’embriogenesi somatica (Evans et al., 1983). L’organogenesi, che prevede la formazione di germogli, foglie, radici o fiori, si verifica quando si differenziano in vitro centri meristematici unipolari come gemme avventizie o meristemoidi. Queste aree morfogenetiche sono caratterizzate da cellule isodiametriche ad ampio nucleo, con citoplasma denso non vacuolizzato ed istologicamente simili ai meristemi apicali osservati in vivo.
Nell’embriogenesi somatica, la rigenerazione comporta la successione delle fondamentali fasi di sviluppo che caratterizzano la differenziazione dell’embrione zigotico. Si assiste quindi alla comparsa di una struttura bipolare, priva di connessioni vascolari con il tessuto originario, che evolve in un embrione cotiledonare. In vitro, il tipo di morfogenesi avventizia, , è spesso caratteristica per le diverse specie vegetali: le Umbelliferae, ad esempio, rigenerano soprattutto mediante embriogenesi somatica (Thorpe, 1982). Tuttavia, in una data specie la tecnica di coltura in vitro può modificare il tipo di sviluppo: embrioni zigotici immaturi di Helianthus annuus danno origine a fenomeni di organogenesi avventizia, in un terreno di coltura con un ridotto (3%) contenuto di saccarosio, mentre in terreno ricco di zucchero (12%) si osservano eventi di embriogenesi somatica (Alibert et al., 1994). La differente origine dei due tipi di morfogenesi ha importanti conseguenze sulle piante rigenerate, infatti, dall’organogenesi, prevalentemente pluricellulare, si possono ottenere con più probabilità piante rigenerate che geneticamente sono delle chimere (D’Amato, 1985). Inoltre, deve essere precisato che la morfogenesi è indiretta se il processo di rigenerazione avviene mediante una fase intermedia di callogenesi (Thorpe, 1982). La richiesta o meno della fase di callogenesi deriva dal fatto che nell’organogenesi diretta, nell’espianto primario in vitro si trovano cellule somatiche in grado di generare direttamente nuovi organi, mentre nel processo di morfogenesi avventizia indiretta, le cellule somatiche in coltura devono acquisire la competenza organogenetica, subire un
processo di sdifferenziazione ed un processo di proliferazione che coincide con lo sviluppo del callo (Street, 1976).
1.1.2 FATTORI CHE CONTROLLANO LA RIGENERAZIONE IN VITRO
I fattori che controllano la rigenerazione in vitro sono ancora oggi oggetto di studio poiché si conoscono solo alcuni aspetti dell’intero processo la cui induzione è spesso empirica (Pugliesi et al., 2000; Fambrini et al., 2001). Esperienze di laboratorio hanno dimostrato che il numero di fattori, che condizionano la risposta di un materiale in vitro, è elevato e non si possono estrapolare regole valide in assoluto. I risultati ottenuti in tabacco da Skoog e Miller (1957) hanno un’importanza basilare, poichè hanno chiarito che, modificando il rapporto quantitativo di due diversi ormoni, auxine/citochinine, è possibile indirizzare la morfogenesi avventizia verso la produzione di radici o di germogli. In seguito, saggiando in vitro innumerevoli regolatori di crescita nelle più diverse combinazioni, oltre ad essere confermato il coinvolgimento diretto o indiretto degli ormoni nel processo di rigenerazione, è emerso, che a seconda del sistema vegetale, i fabbisogni possono essere addirittura contrastanti (Evans et al., 1983). Nel grano, ad esempio, un basso livello di citochinine stimola la formazione del germoglio (Thorpe, 1982) mentre, per lo stesso processo di induzione, nella patata è indispensabile l’uso della gibberellina (Jacobsen, 1981) che, a sua volta, ha un effetto inibitorio nell’organogenesi del girasole (Pugliesi ed al., 2000). Tra i mutanti descritti, che presentano un’apprezzabile percentuale di morfogenesi avventizia anche in assenza di ormoni nel terreno di coltura, possiamo citare, in Arabidopsis thaliana, many shoot (msh), caratterizzato da una elevatissima organogenesi e da un non specifico fabbisogno in citochinine (Kakimoto, 1998). Per
contro, nella linea di carota ts11 le sospensioni cellulari non riescono a completare il processo di embriogenesi avventizia perché manca l’attività del gene che codifica per la chitinasi EP3 (Baldan et al., 1997). Oltre che dagli ormoni, la risposta di un espianto può essere influenzata dalla composizione chimica dei terreni di coltura, ad esempio presenza o meno di zuccheri o sali minerali, dal tipo d’illuminazione e dalla durata del fotoperiodo (Evans et al., 1983). Per l’induzione della morfogenesi avventizia, sono fondamentali anche certi caratteri endogeni delle cellule trasferite in vitro. Alcuni autori hanno cercato di valutare se c’é uno specifico controllo genetico della rigenerazione (Sugiyama, 2000).
Koornneef e collaboratori (1993) ad esempio, hanno accertato che in Lycopersicon peruvianum la notevole capacità di organogenesi in vitro dipende dal gene Rg1 localizzato sul cromosoma 3. In Helianthus tuberosus Bianchi e collaboratori (1999), hanno verificato l’influenza del genotipo sull’embriogenesi somatica da espianti fogliari ed hanno accertato che, in genotipi caratterizzato da una percentuale di rigenerazione del 30%, è possibile incrementare la frequenza di morfogenesi (fino ad un valore di oltre il 90%) se gli espianti sono prelevati da piante sottoposte ad un primo ciclo di rigenerazione in vitro. Entro una medesima specie, quindi, il genotipo può condizionare le potenzialità morfogenetiche, ed inoltre, all’interno di uno stesso genotipo il processo di rigenerazione può variare in modo rilevante, in base al tipo di tessuto e/o cellula. Nel girasole, ad esempio, la rigenerazione può essere ottenuta soltanto da porzioni di cotiledoni molto giovani (Pugliesi et al., 2000) o, addirittura, utilizzando porzioni di embrioni zigotici immaturi (Alibert et al., 1994). Il tipo di tecnica utilizzata condiziona sensibilmente la capacità di rigenerazione, anche in specie che si adattano bene alla coltura in vitro come la patata. Ad esempio, nella cultivar Désirée, la coltura su terreno solido consente di rigenerare nuove piante in modo più rapido e con migliori percentuali rispetto alla coltura cellulare in sospensione liquida (Fambrini et al., 1997).
1.1.3 ANALISI MOLECOLARE DELL’ORGANOGENESI IN VITRO
L’espressione della totipotenza è prova del fatto che l’informazione genetica, presente nel nucleo delle cellule somatiche, non si perde, neppure in parte, a seguito della differenziazione (D’Amato, 1977). La rigenerazione di una nuova pianta deve richiedere, in ogni caso, una profonda riprogrammazione dell’espressione genica delle cellule somatiche dalle quali il processo ha inizio. Da molti studi, condotti nelle piante per chiarire le basi molecolari della totipotenza cellulare, è emerso che geni, che controllano lo sviluppo delle piante in vivo, hanno un ruolo decisivo anche nell’espressione della totipotenza in vitro (Fambrini et al., 2001; Ezhova, 2003; Zhang e Lemaux, 2004; Phillips, 2004). Pertanto, i geni regolatori, decisivi nella formazione ed il mantenimento degli apici meristematici, sono coinvolti anche nell’induzione dei poli meristematici a partire da cellule somatiche in coltura. Questo è stato dimostrato, ad esempio, per i geni CUP- SHAPED COTYLEDON1 (CUC1) e CUC2 (Aida et al., 1997; Daimon et al., 2003). CUC1 e CUC2 codificano fattori di trascrizione che hanno il ruolo, durante l’embriogenesi zigotica, di consentire la separazione dei primordi dei cotiledoni e di tracciare l’area di cellule da cui si originerà l’apice vegetativo (Aida et al., 1997). L’attività di questi due geni promuove l’espressione del gene SHOOT MERISTEMLESS (STM), un gene omeotico di classe KNOX. STM è essenziale per la formazione ed il mantenimento dell’identità meristematica (Aida et al., 1999) e può essere considerato un gene marcatore per la competenza meristematica (Clark et al., 1996). Quando ha luogo una riattivazione ectopica dei geni CUC è quindi ipotizzabile che occorra un cambio di destino cellulare e si affermi un nuovo piano di sviluppo. Infatti, le piante transgeniche di Arabidopsis thaliana, caratterizzate da una espressione costitutiva di CUC, differenziano germogli epifillici sulla superficie adassiale (Takada et al., 2001). Durante la coltura in vitro di espianti vegetali, la
de-repressione localizzata di geni coinvolti nel mantenimento dell’attività meristematica è quindi molto probabilmente un requisito necessario alla morfogenesi. E’ importante anche ricordare che esiste un legame tra la variazione del contenuto endogeno di specifici ormoni ed i cambiamenti del livello di espressione di geni implicati nella competenza meristematica. Tale relazione è stata dimostrata dallo studio condotto dal gruppo di Stephen H. Howell, in A. thaliana (Cary et al., 2001; 2002). Il sistema di rigenerazione utilizzato prevedeva l’induzione di germogli avventizi da espianti di radici attraverso una prima fase di callogenesi in terreno ricco in auxine (CIM) ed una seconda fase in un terreno con apporto ormonale spostato a favore della citochinina (SIM). Durante la coltura sul substrato CIM, alcune cellule degli espianti acquisiscono la competenza a rispondere ai segnali chimici presenti nel terreno SIM e dopo sei/sette giorni risultano determinate a sviluppare germogli avventizi. Nella fase di coltura su terreno SIM sono specificamente attivati geni che codificano per fattori di trascrizione implicati in vivo nella formazione e nel mantenimento degli apici meristematici vegetativi, quali STM e CLAVATA1 (CLV1).
Viceversa, geni regolatori, come CUC1 e CUC2, la cui espressione precede quella di STM e CLV1, iniziano ad essere trascritti durante la fase finale della callogenesi, soprattutto nella zona del periciclo. I medesimi autori hanno evidenziato in realtà una situazione molto complessa grazie ad una vasta analisi dell’espressione genica riguardante circa 8000 geni (Che et al., 2002). Nella coltura su terreno CIM, si instaura ad esempio l’attivazione di una serie di geni auxina-inducibili, di geni trascritti durante l’acquisizione dello stato di determinazione all’organogenesi ed, inoltre, quando compaiono i primi germogli, si manifesta l’attivazione di geni implicati nel metabolismo delle cellule differenziate, in particolare nella fotosintesi. Si attivano anche geni che codificano proteine associate alla risposta cellulare agli stress tra cui perossidasi, “heat shock” e metallotionine (Che et al., 2002). In generale, le varie categorie geniche sono trascritte in modo transiente per
intervalli variabili di tempo. Tra i geni che rispondono invece alla somministrazione di citochinina, particolarmente interessante è ARR5 la cui attività inizia precocemente durante la callogenesi e si concentra dove si differenziano i poli meristematici. Inoltre, l’incremento dell’espressione del gene CRE1, codificante un recettore chinasico della citochinina, che si osserva nel passaggio dal substrato CIM al substrato SIM, potrebbe essere un evento molecolare legato all’acquisizione dello stato di competenza (Inoue et al., 2001). Esiste anche una correlazione tra le citochinine e la regolazione del passaggio dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare, mediato dalla trascrizione di un gene che codifica per una ciclina di tipo “D” (CycD3) (Riou-Khamlichi et al., 1999). Anche le auxine interagiscono con i geni del ciclo cellulare come dimostrato in Helianthus tuberosus per i geni CycD1, CycD3 e CDKB1 (Freeman et al., 2003). Un approccio sperimentale diverso rispetto all’analisi dell’espressione a livello genomico, è stato affrontato attraverso la caratterizzazione molecolare di piante selezionate sulla base della elevata capacità di organogenesi in vitro anche in assenza di apporti ormonali esogeni (Banno et al., 2001;
Cary et al., 2001; Catterou et a., 2002). A partire dal modello di organogenesi in vitro proposto circa venti anni fa da Christianson e Warnick (1984) ad oggi possiamo concludere che iniziano ad essere identificati alcuni elementi a livello molecolare. Il principale induttore ormonale del processo di organogenesi avventizia è di norma la citochinina e la competenza cellulare a rispondere a tale induttore è probabilmente legata all’espressione di geni analoghi a CRE1. I geni, implicati nel ciclo cellulare come ad esempio CDC2a e CycD3, sono i marcatori più attendibili della competenza cellulare per la ripresa delle divisioni cellulari. Per quanto concerne invece la fase di induzione dei germogli, sono sicuramente coinvolti i geni di classe KNOX e prima ancora, i loro regolatori. Pertanto, la percezione dell’ormone, l’attivazione delle divisioni ed infine la differenziazione dei duomi meristematici avventizi, rappresentano tre fasi necessarie
all’organogenesi in vitro e per ciascuna di loro, sono stati identificati alcuni geni fondamentali (Zhang e Lemaux, 2004). La perdita dello stato differenziato delle cellule somatiche in coltura, fase fondamentale di tutto il processo di organogenesi, è segnata da un riassetto del bilancio tra eucromatina ed eterocromatina e, i risultati più importanti sono stati ottenuti dallo studio dei protoplasti di tabacco. In questo sistema è stato accertato che gli eventi molecolari di rilievo sono la modificazione post-trasduzionale dell’istone H3, la ridistribuzione spaziale della proteina eterocromatinica HP1 e la distruzione del dominio nucleolare (Williams et al., 2003). Dati preliminari suggeriscono che la decondensazione della cromatina si verifichi in modo dominio-dipendente ed è stato ipotizzato che ciò sia importante per la rimozione del silenziamento di geni come NO APICAL MERISTEM (NAM) il cui prodotto è necessario in vivo per l’acquisizione della competenza cellulare indeterminata (Souer et al., 1996; Grafi, 2004).
1.2 EMBRIOGENESI ZIGOTICA
1.2.1 CICLO ONTOGENETICO E DIFFERENZIAZIONE DEL GAMETOFITO FEMMINILE.
Nelle piante il più comune ciclo ontogenetico è quello con meiosi intermedia (organismi aplodiplobionti). Lo zigote, che rappresenta il prodotto della fusione dei gameti, da inizio alla generazione diploide e, per mitosi, origina l’embrione ovvero lo sporofito.
Quest’ultimo, per meiosi, produce le spore aploidi, che formano per mitosi l’aplofito definito comunemente gametofito (D’Amato et al., 1987; Gerola, 1995a). Il passaggio evolutivo dalle pteridofite alle fanerogame ha determinato il mantenimento sullo sporofito delle macrospore e dei loro prodotti. Questo cambiamento ha permesso l’indipendenza del processo fecondativo dall’ambiente liquido e lo sviluppo dell’embrione nel seme, organo di propagazione e conservazione (Cappelletti, 1975; Ray et al., 1983; Raven et al., 1984;
Gerola, 1995b). Il macrosporangio delle fanerogame è l’ovulo che si trova all’interno di cavità ovariche originate dalla fusione dei margini di foglie carpellari. L’ovulo è costituito da tessuti vegetativi quali la nocella e i tegumenti. La nocella contiene la cellula madre delle megaspore che per meiosi produce quattro megaspore. Di norma, soltanto la più profonda germina e forma, con tre successive divisioni nucleari, il gametofito femminile,ottonucleato, frequentemente chiamato sacco embrionale anche se tale definizione è filogeneticamente impropria (Cappelletti, 1975). Una volta formato, il gametofito si espande a spese della nocella mentre i nuclei assumono una dislocazione spaziale ben precisa. Quattro nuclei migrano verso il micropilo e formano l’apparato ovarico, all’estremità opposta (calaza) i restanti nuclei danno origine all’apparato antipodale. Dopo che i due apparati si sono formati, avviene il processo di
cellularizzazione. A livello dell’apparato ovarico, ben presto si distinguono le due sinergidi e, poco più in basso, l’oosfera. Dei quattro nuclei originari, l’unico intorno al quale non si forma la parete cellulare si sposta verso il centro della cavità per dare il nucleo polare superiore. Alla calaza i processi sono perfettamente speculari e producono tre cellule, le antipode, ed al centro il nucleo polare inferiore. I due nuclei polari (superiore ed inferiore) generalmente si fondono e ciò determina la formazione del nucleo secondario diploide (2n) dell’endosperma.
1.2.2 FECONDAZIONE E SVILUPPO DELL’EMBRIONE.
Le Angiosperme, la più recente espressione evolutiva delle piante superiori, hanno una doppia fertilizzazione che da origine contemporaneamente allo zigote e all’endosperma. Il gametofito maschile è caratterizzato da due nuclei aploidi che al momento della fecondazione si uniscono rispettivamente alla oosfera ed al nucleo secondario dell’endosperma (Cappelletti, 1975; Ray et al., 1983; Gerola, 1995b). La cellula zigotica diploide (2n ) va incontro ad una serie di divisioni controllate e ad eventi di differenziamento che portano alla formazione di un embrione. L’endosperma secondario ha una natura triploide (3n) e una funzione essenzialmente trofica. Inoltre, la fertilizzazione comporta, di norma, la trasformazione dell’ovulo in seme e dell’ovario in frutto. Da un punto di vista descrittivo l’embriogenesi può essere suddivisa in tre principali fasi: post- fertilizzazione, transizione dallo stadio globulare a quello a cuore ed espansione degli organi fino a maturazione (Goldberg et al., 1994; Purves et al., 2001; Srivastava, 2001; Lo Schiavo, 2003). Nello zigote appena formato, così come nella oosfera, si nota una distribuzione asimmetrica dei componenti cellulari. Nella regione superiore della cellula
ritroviamo il nucleo e la maggior parte del citoplasma, mentre nella regione inferiore è contenuto un largo vacuolo. A questa polarizzazione cellulare fa seguito una prima mitosi asimmetrica che determina la formazione di una cellula basale più grande ed una apicale più ridotta nelle dimensioni (Hyman e Stearns, 1992). La prima cellula è destinata a formare il sospensore, mentre dalla seconda si differenzierà l’embrione. Il sospensore, che si forma attraverso divisioni cellulari trasversali, è un cordone di cellule trofiche che degenera con il tempo. Dalla piccola cellula apicale mediante successive divisioni mitotiche si differenzia un embrione che attraversa i seguenti stadi di sviluppo: globulare, a cuore, a torpedine ed infine, cotiledonare. Nel corso di questa successione di stadi, l’embrione assume dapprima una forma sferica per poi progressivamente acquisire una simmetria bilaterale lungo l’asse apicale-basale per effetto dello sviluppo dei due cotiledoni. Il primo evento di differenziazione cellulare si verifica allo stadio embrionale di 16 cellule con la comparsa del protoderma e, successivamente, compare internamente il procambio ed in posizione intermedia il meristema fondamentale. Lo sviluppo morfologico, che conduce allo stadio cotiledonare, presuppone una serie di mitosi differenziali e distensioni cellulari, ma non prevede eventi di migrazione cellulare, essenziali invece nell’embriologia animale. In seguito, si ha la vera e propria fase di maturazione nella quale s’instaurano eventi istologici e biochimici che portano all’accumulo di proteine e lipidi, e successivamente alla dormienza (Bewley et al., 2003).
Quest’ultima evita la precoce germinazione dell’embrione e comporta sia una drastica riduzione della trascrizione genica, sia la disidratazione dei tessuti. A maturità, nell’embrione si distingue una zona radicale inferiore, una centrale che darà l’ipocotile ed una terminale caratterizzata dai cotiledoni. All’accrescimento dell’embrione di norma si accompagna il progressivo esaurimento dell’endosperma e la digestione degli strati nocellari.
1.2.3 EMBRIOGENESI ZIGOTICA IN GIRASOLE: ALCUNE PECULIARITÀ.
Per quanto concerne gli eventi di post-fertilizzazione in Helianthus annuus, possiamo ricordare quanto osservato da Newcomb nel 1973. In stadi molto precoci, la degenerazione di una sinergide segnala l’inizio dello sviluppo dell’embrione e dell’endosperma. Al contrario, l’altra sinergide è persistente fino a quando l’embrione ha raggiunto lo stadio globulare. Il nucleo dell’endosperma primario entra in divisione prima dello zigote formando una struttura cenocitica. Quando sono presenti circa otto nuclei (stadio globulare dell’embrione) le pareti si differenziano e l’endosperma appare cellularizzato all’estremità del micropilo. Allo stadio pro-embrionale, il sospensore consiste di una grande cellula basale e nel complesso la sua degenerazione ha inizio nello stadio a cuore. L’indagine istologica ha chiarito che, a partire dallo stadio a cuore, una zona adiacente all’embrione appare vuota in seguito alla digestione dell’endosperma. Sulla base di tale osservazione l’autore ritiene che dopo questo stadio di sviluppo l’embrione di girasole è probabilmente indipendente dalla presenza dell’endosperma. Più recentemente, Yan e collaboratori (1991) hanno individuato una interessante peculiarità del girasole: questa specie è, al momento, l’unica a presentare uno zigote che inizia a dividersi ancora prima di essere completamente avvolto dalla parete. Per quanto concerne gli stadi avanzati dell’embriogenesi possiamo infine ricordare che, a differenza di quanto accade in specie come Capsella bursa-pastoris, l’asse apicale-basale non assume la tipica curvatura a U capovolto (Bracegirdle e Miles, 1971; Seiler, 1997). Inoltre, l’embrione maturo a livello dei cotiledoni è ricco in sostanze nutritive di riserve sotto forma di triacilgliceroli e tre diverse classi di proteine: eliantinine, albumine ed oleosine (Mazhar et al., 1998).
1.2.4 REGOLAZIONE GENICA ED EMBRIOGENESI ZIGOTICA.
Gli embrioni delle piante sono morfologicamente semplici, ma molecolarmente molto complessi considerando che una sorprendente quantità di geni è espressa. Ad esempio, è stato stimato che in Nicotiana tabacum circa ventimila geni sono trascritti negli embrioni, numero analogo ai geni attivi anche in organi di piante ben differenziate (Howell, 1998). I geni che sono trascritti con modalità stadio-dipendente non sono, quindi, quantitativamente elevati, ma il loro ruolo appare comunque estremamente importante (Srivastava, 2001).
Questa caratteristica è propria del mondo vegetale poiché negli animali il “pattern” di espressione diventa progressivamente più complesso man mano che procede lo sviluppo.
Studi molecolari sul sistema modello Arabidopsis thaliana hanno fornito informazioni sugli specifici programmi di trascrizione genica associati ai vari stadi di sviluppo dell’embrione zigotico. A tale proposito, particolarmente utili sono risultate alcune categorie di mutanti tra cui i letali e i difettivi per la specificazione dell’asse di sviluppo apicale-basale e/o radiale (Howell, 1998).
Nelle piante, a differenza di quanto accade negli animali, cellule somatiche possono originare in vivo e/o in vitro nuovi embrioni e questa potenzialità lascerebbe ipotizzare una scarsa importanza del ruolo materno nel processo embriogenetico. Una serie di dati sperimentali invece avvalora in natura l’effetto materno (Laux et al., 2004). Ad esempio, mutanti caratterizzati dalla deficienza del gene DICER-LIKE1 (DCL1) non sono capaci di sviluppare embrioni zigotici vitali (Golden et al., 2002). Questo gene ha sede nucleare e codifica per piccole molecole di RNA con un ruolo di silenziamento genico. Si ritiene che queste molecole, prodotte nei tessuti materni, siano implicate direttamente o indirettamente nello sviluppo embrionale. E’ stato inoltre accertato che il gene MEDEA (MEA), il quale codifica per una proteina di tipo “polycomb”, ha un ruolo essenziale per una normale
embriogenesi soltanto quando è trasmesso per via femminile. Si ritiene che il ruolo di questo gene sia la repressione della trascrizione di geni di tipo “MADS box” (Kohler et al., 2003). Un aspetto essenziale della regolazione genica dell’embriogenesi zigotica è il controllo che alcuni geni hanno nello specificare la formazione dell’asse apicale-basale (Geyser e Day, 2003). E’ importante sottolineare che l’origine dell’asse apicale-basale può essere ricondotta allo zigote e, addirittura, all’oosfera poiché in entrambe i due tipi cellulari sono presenti mRNA codificanti fattori di trascrizione quali WUSCHEL HOMEOBOX2 (WOX2) e WOX8 (Haecher et al., 2004). Il primo determina il destino del dominio apicale mentre il secondo ha un ruolo specifico per la parte basale dell’embrione ed, inoltre, la divisione asimmetrica dello zigote sembra servire anche alla separazione spaziale dei relativi mRNA. Un altro gene, espresso in modo asimmetrico nelle cellule figlie dello zigote, è PINFORMED7 (PIN7) che codifica per una proteina, essenziale nel meccanismo biochimico di trasporto polare dell’auxina a livello cellulare (Friml et al., 2003). L’mRNA per PIN7 si localizza soltanto nella cellula figlia basale e si ritiene che abbia il compito di favorire il movimento auxinico verso la cellula apicale. E’ dunque probabile che WOX2 e PIN7 siano due geni molto importanti per definire, in un momento estremamente precoce, l’identità apicale (Laux et al., 2004).
La mutazione del gene GNOM, altro gene coinvolto nell’embriogenesi, determina una divisione simmetrica dello zigote e ciò ha considerevoli conseguenze per lo sviluppo dell’embrione. Infatti, mentre la cellula figlia basale produrrà un sospensore di aspetto normale, la cellula apicale si divide in modo non coordinato e l’embrione risulta variamente deforme (Howell, 1998).
Ai fini di una corretta polarità apicale-basale, è successivamente essenziale la specificazione di una identità meristematica in posizione apicale tra i due cotiledoni.
Probabilmente, il primo segnale molecolare è l’attivazione del gene WUSCHEL (WUS) in quattro cellule subepidermiche di embrioni globulari allo stadio di 16 cellule (Mayer et al., 1998). Entrando in mitosi questo piccolo gruppo di cellule garantisce un dominio di espressione di WUS necessario per l’attività, nell’embrione maturo, sia di CLAVATA3 (CLV3), sia di SHOOTMERISTEMLESS (STM). I tre geni sono intimamente correlati nel mantenere perfettamente funzionale il meristema del germoglio per l’intera vita della pianta (Leyser e Day, 2003). Nel passaggio dallo stadio globulare a quello di cuore, la simmetria radiale dell’embrione è sostituita dalla simmetria bilaterale e a livello molecolare è fondamentale l’espressione dei geni CUP-SHAPED COTYLEDON1 (CUC1), CUC2 e CUC3 che hanno lo scopo di reprimere le divisioni mitotiche nella zona centrale e al contempo, di consentire la separazione dei due primordi cotiledonari (Aida et al., 1999).
E’ interessante sottolineare che l’area precocemente interessata dall’espressione di CUC1 e CUC2 è una sottile banda di cellule che divide la porzione apicale dell’embrione in un dominio mediano e due domini laterali ove si verificherà la differenziazione dei cotiledoni (Laux et al., 2004). Le caratteristiche istologiche di espressione dei geni CUC e la loro funzione dipende comunque dai geni MONOPTEROS (MP) e PINFORMED1 (PIN1), entrambi implicati nella risposta cellulare all’auxina (Aida et al., 2002). Per quanto riguarda la determinazione del dominio basale dell’embrione, possiamo ricordare che, allo stadio globulare, l’ipofisi subisce una divisione cellulare asimmetrica che determina la formazione di una cellula superiore di aspetto lenticolare ed una cellula più basale. La prima cellula è destinata a formare il centro di quiescenza del futuro apice meristematico radicale mentre la seconda produrrà le cellule della columella. A livello molecolare è stato accertato che l’espressione dei geni SCARECROW (SCR) e WOX5 sono i marcatori della prima fondamentale divisione asimmetrica dell’ipofisi (Haecker et al., 2004). Nel mutante hobbit (hbt) l’ipofisi si divide in modo abnorme e questo si riflette in un difettivo sviluppo
dell’apice meristematico radicale (Leyser e Day, 2003). Il ruolo dell’auxina è importante anche per la localizzazione spaziale dell’apice radicale: in particolare, l’esatto posizionamento sembra dipendere dal punto di massimo accumulo di auxina. Nel mutante mp il mancato sviluppo dell’apice radicale dipende proprio da un deficiente flusso di auxina secondo l’asse apicale-basale (Howell, 1998). Nelle fasi tardive dell’embriogenesi si attiva un complesso programma di maturazione che deve preparare l’embrione alla dormienza e poi allo sviluppo post-embrionale (Bewley et al., 2003). In quest’ultimo l’ormone acido abscissico (ABA) ha un ruolo essenziale ed, infatti, i genotipi che non lo sintetizzano o che risultano insensibili a questa molecola non completano la maturazione e sviluppano embrioni non dormienti. Sulla base dell’analisi dei fenotipi di mutanti di Arabidopsis thaliana si può ritenere che tre geni sono particolarmente importanti nel processo della maturazione: ABA-INSENSITIVE3 (ABI3), FUSCA3 (FUS3) e L E A F Y COTYLEDON1 (LEC1) (Wobus e Weber, 1999; Holdsworth et al., 1999). Questi geni non sono molecolarmente correlati e la loro espressione è importante soprattutto dopo lo stadio a cuore. Si ritiene che essi codifichino per proteine che sono componenti cruciali della trasduzione dei segnali ambientali e cellulari nelle ultime fasi dello sviluppo embrionale. Il mutante lec1 ha cotiledoni che mostrano tricomi propri delle foglie vere ed hanno un comportamento anomalo anche per quanto concerne il riempimento dei tessuti interni con le sostanze di riserva, la capacità di resistere alla disidratazione e l’entità della dormienza.
Il fenotipo dei mutanti fus3 è praticamente indistinguibile da quello dei mutanti lec1. Per quanto concerne il mutante abi3, caratterizzato da una insensibilità all’acido abscissico, gli embrioni risultano difettivi nella sintesi di specifici mRNA legati ai processi di maturazione e disidratazione (West et al., 1994; Bewley et al., 2003). La sintesi proteica ABA-dipendente è fondamentale per l’acquisizione della tollerenza alla disidratazione, infatti, estremamente importante sembra essere la funzione protettiva che le proteine LEA
hanno a carico dei costituenti di parete in condizioni fortemente disidratate quali quelle di un seme maturo. Le proteine codificate dai geni LEA hanno la caratteristica comune di avere elementi di regolazione con sequenza centrale “G-box” (CACGTG), direttamente controllati dall’ABA (Bewley et al., 2003).
1.3 EMBRIOGENESI SOMATICA
1.3.1 ASPETTI GENERALI E RUOLO DEGLI ORMONI
Lo sviluppo avventizio di embrioni a partire da cellule somatiche è definito embriogenesi somatica. Questo tipo di sviluppo è indipendente dai fenomeni di gamia e produce embrioni che analogamente a quelli zigotici, hanno un asse di sviluppo bipolare delimitato ai due estremi rispettivamente dall’apice vegetativo e da quello radicale. L’embriogenesi avventizia è un fenomeno importante che caratterizza le piante superiori. In natura, l’esempio migliore è rappresentato dall’apomissia sporofitica a localizzazione nocellare come la poliembrionia del genere Citrus (Nogler, 1984). Quando l’ontogenesi avventizia si sviluppa a partire dalle cellule del gametofito femminile, come le sinergidi o le antipodi, si possono differenziare embrioni somatici con assetti cromosomici aploidi. Inoltre, è stato anche frequentemente descritto in vivo lo sviluppo avventizio di embrioni direttamente da cellule di embrioni zigotici o del sospensore. Più rari, ad esempio in Brachiaria setigera, sono i casi di embrioni somatici che si originano dalle cellule dell’endosperma. E’ noto da tempo che l’embriogenesi somatica può essere indotta in modo artificiale anche in sistemi vegetali che non la presentano spontaneamente, attraverso l’espianto e la coltura in vitro di tessuti, organi o singole cellule. L’applicazione di tali tecniche offre quindi l’opportunità di ottenere la rigenerazione di nuove piante e questa possibilità ha una serie di interessanti applicazioni sia per la ricerca di base, sia per innumerevoli finalità biotecnologiche. Verso la fine degli anni ’50 sono stati effettuati in Daucus carota i primi studi volti all’induzione in vitro di embriogenesi somatica (Reinert, 1958; Steward et al., 1958). Queste esperienze
sono state successivamente applicate con successo in molte specie vegetali spontanee o coltivate.
L’embriogenesi somatica può manifestarsi attraverso uno schema di sviluppo diretto o indiretto (Sharp et al., 1982). Nel primo caso, le nuove strutture morfogenetiche si differenziano dalle cellule somatiche dell’espianto. Nel secondo caso invece, gli embrioni si originano soltanto dopo una fase intermedia di proliferazione cellulare di tipo non organizzato, il callo. L’embriogenesi somatica rappresenta un significativo esempio di piano di sviluppo alternativo che presuppone l’acquisizione e l’espressione dello stato di competenza embriogenica da parte di alcune cellule in coltura. Questo processo è influenzato da una serie di fattori ambientali ma anche da alcuni fondamentali parametri endogeni come il bilancio ormonale e l’attività di specifici fattori di trascrizione (Williams e Maheswaram, 1985; Harada, 1999; Chung e Khurana, 2002; von Arnold et al., 2002).
Nei casi di embriogenesi diretta esistono nell’espianto di partenza cellule pre- embriogeniche (“PEDC: Pre-embryogenic determined cells”) che possono realizzare lo schema di sviluppo alternativo semplicemente mediante il trasferimento in terreni sintetici.
La modalità di rigenerazione diretta è di norma la più frequente quando la coltura viene iniziata con espianti caratterizzati da cellule poco differenziate ed in molte circostanze, l’embrione zigotico immaturo è risultato il miglior materiale vegetale di partenza.
Analogamente, vanno incontro al processo di embriogenesi diretta anche gli espianti prelevati da plantule come ad esempio gli ipocotili (Ammirato, 1983). L’embriogenesi indiretta presuppone l’assenza, nell’espianto di partenza, di cellule competenti alla rigenerazione. Questa è la condizione di base che si verifica soprattutto quando sono coltivati in vitro organi con tessuti ben differenziati (ad esempio, una porzione di foglia matura). In questi casi, la morfogenesi avventizia è preceduta da una fase iniziale di
callogenesi durante la quale, in alcune cellule, viene acquisita la competenza embriogenica (“IEDC: Induced embryogenic determined cells”) mediante un processo di riprogrammazione epigenetica del destino cellulare (Parrot et al., 1991). Nella rigenerazione indiretta si assiste spesso alla comparsa in coltura di masse proembriogeniche (“PEM: Pro-Embryogenic Masses”), simili ai centri meristematici essendo caratterizzate da cellule con citoplasma molto denso, con un grande nucleo, piccoli vacuoli e parete sottile (Halperin e Jensen, 1967). Analisi istologiche hanno accertato che all’origine di tali aggregati cellulari può risiedere una divisione cellulare asimmetrica per vari aspetti simile a quella che interessa l’oosfera fecondata (Williams e Maheswaran, 1986). In un tessuto, dove sono presenti cellule di tipo “PEDC”, il processo di embriogenesi somatica si attiva con la semplice stimolazione della divisione cellulare e questa può avvenire anche in assenza di ormoni esogeni attraverso il semplice trasferimento dell’espianto in vitro (Ammirato, 1987; von Arnold et al., 2002). Quando non sono presenti nell’espianto cellule “PEDC”, l’ottenimento della rigenerazione è un processo complesso poiché è necessario fornire dall’esterno appropriati stimoli fisico- chimici attraverso una messa a punto empirica. A tale proposito un elemento chiave può essere la composizione ormonale del terreno di coltura. Sebbene sia problematico effettuare generalizzazioni circa il fabbisogno ormonale esogeno, possiamo ricordare che l’auxina (acido indolacetico; IAA) è l’ormone fondamentale per indurre la comparsa in coltura di cellule “IEDC”. Nel sistema carota (Daucus carota) è stato dimostrato che l’acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D) è il composto auxinico, analogo di sintesi, più efficiente nel processo di induzione (Dudits et al., 1991). E’ importante sottolineare che per ottenere la differenziazione di embrioni somatici di carota, dopo un primo trattamento con dosi elevate di 2,4-D è necessario trasferire le cellule in un terreno privo di auxina. Infatti, si ritiene che l’apporto esogeno di auxina sia importante soltanto per indurre la competenza
embriogenica mentre una prolungata esposizione delle cellule in vitro al 2,4-D reprime la differenziazione di strutture morfogenetiche. Il controllo che l’auxina determina sull’embriogenesi in vitro non deve sorprendere perché questo ormone ha un ruolo chiave nel regolare lo sviluppo dell’embrione zigotico (Leyser e Day, 2003). Inoltre, sempre in carota, è stato dimostrato che, dopo il processo di fertilizzazione in vivo, si verifica un aumento del livello endogeno di auxina prima nell’ovulo fecondato, e poi nei primi stadi di embriogenesi. Questo picco ormonale è di fatto transitorio in quanto, dopo lo stadio a cuore, il contenuto endogeno di auxina crolla di quasi cento volte (Ribnicky et al., 2001).
A livello biochimico, il ruolo che l’auxina esercita sulle cellule somatiche in coltura è complesso (Fehér et al., 2003). Tra gli effetti di maggior rilievo possiamo ricordare che il trattamento auxinico può alterare il livello di metilazione del DNA, il quale è notoriamente correlato con il controllo epigenenetico dell’espressione genica (Chugh e Khurana, 2002).
In sospensioni cellulari di Daucus carota, trattate con una elevata concentrazione di auxina esogena, Lo Schiavo e collaboratori (1989) hanno evidenziato un aumento della percentuale di metilazione dal 16 al 45% dopo cinque giorni di trattamento. In particolare, è stato ipotizzato che l’auxina stimoli l’attività della 5-metiltransferasi. Tale aumento dell’attività enzimatica viene perduta quando le colture sono trasferite in un mezzo a bassa concentrazione di 2,4-D (Lo Schiavo et al., 1989). Per effetto dell’auxina, è probabile che l’aumento della metilazione faciliti la perdita del profilo di espressione genica associato alla differenziazione delle cellule somatiche e che ciò agevoli una profonda riprogrammazione dell’espressione genica (Vergara et al., 1990). Sebbene l’auxina abbia un ruolo molto importante nel processo di embriogenesi è sicuramente riduttivo ricondurre la rigenerazione in vitro unicamente ad un problema di bilancio ormonale endogeno.
Recentemente è stato proposto che la transizione in vitro da una cellula somatica ad una embriogenica sia associata alla risposta biochimica nei confronti della condizione di stress
fisiologico che si crea durante la coltura artificiale (Fehér et al., 2003; Ikeda-Iwai et al., 2003). Infatti, le cellule trasferite in vitro sono esposte ad innumerevoli fattori di stress come le ferite, la presenza di nutrienti a livelli non fisiologici, lo sviluppo di forme attive di ossigeno, lo shock chimico causato dalle alte concentrazioni di regolatori di crescita ed, infine, la presenza di sostanze che innalzano il potenziale osmotico. Pertanto, durante la coltura in vitro è molto difficile disgiungere, a livello cellulare, gli effetti degli ormoni rispetto a quelli elicitati dagli altri fattori artificiali imposti durante la coltura.
1.3.2 ANALOGIE E DIFFERENZE TRA L’EMBRIONE ZIGOTICO E QUELLO SOMATICO
Le piante hanno la rimarchevole capacità di esprimere una straordinaria flessibilità nei processi di sviluppo. Ad esempio, la comparazione tra embriogenesi zigotica ed embriogenesi somatica ha offerto l’opportunità di accertare che nelle piante una struttura complessa come un embrione può essere specificato attraverso diverse soluzioni di sviluppo. L’embrione somatico è molto più accessibile di quello zigotico per le indagini morfologiche essendo privo di rivestimenti tissutali esterni. Ciò ha fatto assumere all’embriogenesi somatica il ruolo di modello semplificato sul quale condurre studi di embriologia (Zimmerman, 1993; Mordhorst et al., 1997; Dodeman et al., 1997). Inoltre, a partire dallo stadio globulare, l’embrione somatico si sviluppa solitamente secondo un piano morfologico molto simile a quello specifico per l’embrione zigotico. Nelle fasi più precoci le indagini sono invece più complesse e per questo sono disponibili un minor numero di dati. Tuttavia, possiamo sottolineare che l’acquisizione della competenza embriogenica è uno stadio critico soltanto nel processo somatico perché nello zigote la totipotenza è di per sé implicita. Eventi analoghi all’acquisizione di una polarità cellulare e
alla successiva divisione asimmetrica della cellula zigotica si ritrovano anche nell’embriogenesi somatica, come dimostrato in medica (Dudits et al., 1991) e in carota (Komamine et al., 1990). Dobbiamo però considerare che in altri sistemi vegetali sono state osservate prime divisioni perfettamente simmetriche (Mordhorst et al., 1997). Dopo questi primi eventi, il piano di sviluppo segue una successione di stadi che è analoga nei due tipi di embriogenesi (Steeves e Sussex, 1989), anche se, in generale, la morfologia degli embrioni somatici è tendenzialmente più variabile per forma, numero di cellule, precoce vacualizzazione, alterazione dell’indice mitotico e tipo di organelli citoplasmatici (Ammirato, 1987; Mordhorst et al., 1997). Tra le differenze di maggior rilievo è necessario sottolineare che gli embrioni somatici si distinguono da quelli zigotici per la mancanza del sospensore sebbene sia possibile la differenziazione di strutture rudimentali in prossimità dell’estremità radicale (Natesh e Rau, 1984). In tre diverse specie (vite, medica e soia) è stato accertato che una consistente frazione di fenotipi anormali dipende dall’alterazione o dall’assenza di meristemi embrionali principali. Ciò, almeno in parte, può giustificare anche la carente potenzialità di germinazione, spesso presente negli embrioni somatici (Dodeman et al., 1997). Non sono disponibili dati certi sulla causa di queste importanti alterazioni di sviluppo, tuttavia, è stato ipotizzato che siano implicati la mancanza di un sospensore e l’apporto ormonale esogeno (Goebel-Tourand et al., 1993). Completata l’evoluzione morfologica, si verificano differenze per quanto concerne il processo di maturazione (Thomas, 1993). Evento essenziale durante questa fase è l’accumulo di proteine di riserva. In medica, Krochko e collaboratori (1992) hanno accertato che negli embrioni somatici la sintesi proteica è qualitativamente analoga a quella presente negli embrioni zigotici e le peculiarità riguardano le cinetiche di sintesi ed i singoli livelli di concentrazione. Allargando l’analisi ad altri sistemi vegetali si può sottolineare che di norma, gli embrioni somatici non diventano dormienti: questo è da ricollegare al tipo di
ambiente esterno all’embrione. In vitro l’embrione somatico non si forma nella cavità dell’ovulo quindi non è in presenza di endosperma, non viene a contatto con l’ABA materno e non subisce un processo di disidratazione. (Dodeman et a., 1997). Esistono evidenze che dimostrano che anche negli embrioni somatici sia possibile indurre un processo di maturazione attraverso la somministrazione di ABA direttamente nel substrato di coltura (Srivastava, 2001).
1.3.3 ESPRESSIONE GENICA ED EMBRIOGENESI SOMATICA
L’embriogenesi somatica presuppone un cambiamento del destino di sviluppo in alcune cellule somatiche. E’ dunque evidente la necessità di un profondo riassetto dell’espressione genica. Questo complesso argomento è stato studiato con metodologie di indagine molecolare quali le librerie sottrattive a cDNA e l’analisi bioinformatica della espressione genica. I risultati ottenuti hanno evidenziato che, nel processo embriogenico, sono coinvolti membri delle seguenti classi di geni: costitutivi, a controllo ormonale, per molecole che traducono il segnale biochimico, implicati nella biosintesi ormonale, attivati da fattori di stress, per fattori di trascrizione e per proteine segnale a sede extracellulare (DeKlerk et al., 1997; Fambrini et al., 2001; Chugh e Khurana, 2002; Ezhova, 2003; Fehér et al., 2003). Nel complesso, durante l’embriogenesi, è risultato piuttosto variabile il numero di geni espressi in modo differenziale, dato comunque condizionato dal sistema vegetale studiato. Indicativamente, possiamo ricordare che l’ordine di grandezza emerso è di 500-1000 geni attivi (Howell, 1998, Thibaud-Nissen et al., 2003). A fronte di un quadro così complesso è problematico effettuare una trattazione esauriente della materia e al contempo, evidenziare il ruolo di un gene preso singolarmente. Si ritiene quindi opportuno
analizzare alcuni dei più significativi risultati ottenuti relativamente a due categorie di geni: sequenze ad espressione inducibile attraverso la manipolazione dei livelli ormonali e geni che codificano per proteine coinvolte nei meccanismi molecolari della trasduzione del segnale. Questa scelta ha una duplice giustificazione: da un lato come abbiamo precedentemente analizzato, gli ormoni sono il principale strumento chimico che può essere modulato dall’esterno per indurre il processo embriogenico, dall’altro, la competenza delle cellule somatiche alla rigenerazione avventizia, dipende soprattutto dalla corretta percezione degli specifici mediatori molecolari coinvolti. L’auxina è probabilmente l’ormone più utilizzato per ottenere l’induzione del processo morfogenetico e, quindi, i vari autori si sono interessati a valutare a livello molecolare le conseguenze dell’apporto di auxina esogena. E’ stato osservato che organi excisi e trattati con auxina modificano in modo sostanziale il profilo di espressione di diversi geni (Chugh e Khurama, 2002). Katamiya e collaboratori (2000), dopo aver messo a punto una tecnica che consente di indurre embrioni somatici di carota in ipocotili trattati per 2 ore con 450 µM di 2,4-D, hanno focalizzato la loro attenzione sui geni Dchsp-1 e Dcarg-1, espressi in modo differenziale. Il primo codifica una proteina che, per struttura, appartiene al gruppo delle
“Heat Shock Proteins”. L’espressione di Dcshp-1 è auxino-dipendente e prosegue anche durante lo sviluppo degli embrioni dopo il trasferimento degli espianti di ipocotile sul terreno privo di 2,4-D. Il gene Dcarg-1 è anch’esso caratterizzato da sequenze regolative che rispondono all’auxina, ma la sua espressione termina precocemente e quindi non accompagna le successive fasi di sviluppo degli embrioni somatici.
Per quanto concerne i geni implicati nella trasduzione dei segnali, possiamo concentrare l’attenzione sulla classe di geni SERK (“Somatic Embryogenesis Receptor Kinase”) che rappresentano le sequenze maggiormente studiate (Mordhorst et al., 1997). I geni di tipo
SERK codificano per un recettore di membrana di natura chinasica ricco in leucina (“plant receptor-like kinases” RLKs), e sono stati isolati da embrioni somatici di diversi sistemi vegetali. Il primo gene SERK è stato isolato nel 1997 dal gruppo di Sacco de Vries (Schmidt et al., 1997) utilizzando una sospensione cellulare di carota in terreno liquido.
Questo gene ha destato interesse poichè la sua espressione di fatto si associava alle singole cellule competenti a dare masse pro-embrionali. Il suo mRNA si accumula sia nella embriogenesi somatica che in quella zigotica e la trascrizione termina precocemente dopo lo stadio globulare (Schmidt et al., 1997). La caratterizzazione molecolare della proteina SERK in vitro ha dimostrato che si localizza in modo specifico a livello del plasmalemma e che la sua interazione con una fosfatasi proteica di tipo “KAPP” è necessaria per il processo di endocitosi (Shah et al., 2002). Il gene è stato isolato anche in Arabidopsis dove è presente una piccola famiglia di cinque membri (Hecht et al., 2001) per i quali è stato confermato il coinvolgimento nei processi di embriogenesi somatica. Inoltre è stato osservato che piante transgeniche, caratterizzate da una espressione costitutiva di questo gene, rigenerano in vitro embrioni somatici con percentuali quattro volte superiori al controllo. Come nella carota, in Arabidopsis questo gene si esprime anche durante le prime fasi della embriogenesi zigotica ed inoltre, in vivo, l’analisi dell’espressione ha riscontrato l’attività di AtSERK anche negli ovuli (Hecht et al., 2001). Il ruolo della famiglia dei geni SERK è stato studiato anche in altre specie vegetali come Dactylis glomerata (Somleva et al., 2000), Zea mays (Baudino et al., 2001), Medicago truncatula (Nolan et al., 2003), Helianthus annuus (Thomas et al., 2004) e cacao (Santos et al., 2004). In Dactylis glomerata l’espressione del gene DgSERK si attiva precocemente in vitro soltanto nelle cellule capaci di sviluppare embrioni somatici e pertanto può essere utilizzato come marcatore molecolare per la competenza embriogenica (Somleva et al., 2000). Lo studio di questa famiglia genica in una monocotiledone è stato affrontato per la prima volta in Zea