1. LE CELLULE STAMINALI
Durante l’embriogenesi, un singolo oocita fecondato dà origine a un organismo pluricellulare, le cui cellule acquisendo specifici destini, proliferano e differenziano, portando alla formazione di tutti gli organi e tessuti del corpo. Anche dopo la completa crescita dell’animale molti tessuti sono in grado auto-mantenersi grazie ad un processo conosciuto come omeostasi. Grazie a questo, cellule che muoiono per un processo naturale e per cause patologiche vengono sostituite. La capacità dell’embrione di creare tutti i tipi cellulari e quella dei tessuti adulti di rigenerare durante la vita è il risultato della presenza delle cellule staminali (SCs) (Fuchs et al., 2000). Le SCs posseggono sia la capacità di auto-rinnovarsi (self-renewal), cioè di dividersi dando origine ad una cellula identica alla madre, sia di formare precursori in grado di intraprendere processi differenziativi diversi grazie a specifici meccanismi molecolari. Per queste proprietà, in particolare, nell’ultimo decennio le cellule staminali sono state oggetto di forte interesse quali potenziali terapeutici.
1.1 Le cellule staminali embrionali
In seguito alla fusione dello spermatozoo con l’oocita si forma lo zigote che va incontro
alle prime divisioni zigotiche; sia lo zigote che i blastomeri, che si formano in seguito
alle prime divisioni (pre-blastocisti), sono le vere cellule totipotenti, in quanto possono
dare origine a tutti i tessuti embrionali ed extraembrionali. La totipotenza può essere
dimostrata dall’isolamento di un singolo blastomero da un embrione pre-impianto e il
conseguente monitoraggio della sua capacità di portare a termine la nascita di un
individuo completo, in seguito ad un trasferimento in un ricevente adatto. Questo approccio è stato utilizzato sui ratti nei primi esperimenti e successivamente anche su altri mammiferi (Nicholas et al., 1942; Johnson et al., 1995; Willadsen et al., 1981;
Tarkowsky et al., 1959). Con il procedere dello sviluppo, cellule dell’embrione precoce proliferano, formano la blastocisti e differenziano nei primi due lineages: il trofoectoderma e la massa cellulare interna (Inner Cell Mass, ICM). Cellule provenienti dalla ICM della blastocisti, prima dell’impianto nella parete uterina, sono cellule in grado di autorinnovarsi indefinitamente e di dare origine a tutti i tessuti embrionali, differenziando in tipi cellulari dei lineages ectodermici, mesodermici ed endodermici.
Per questa capacità sono definite pluripotenti. Le cellule della ICM si auto-sostengono e la loro pluripotenza è mantenuta intrinsecamente da una rete di fattori di trascrizione (tra i più importanti Oct4, Sox2 e Nanog) e pathways intracellulari, attivati da segnalazioni extracellulari come il LIF (cytokine Leukemia Inhibitory Factor), che, insieme, prevengono la differenziazione e promuovono la proliferazione (De Felici M.
et al, 2009). In vivo le cellule pluripotenti della ICM esistono transientemente, in
quanto, andando avanti nel programma di sviluppo, differenziano in cellule dei foglietti
embrionali (Figura 1.1).
Figura 1.1.Pluripotenza in vivo delle ESCs.
Nonostante ciò, possono essere isolate, stabilizzate e propagate in vitro in uno stadio
indifferenziato come cellule staminali embrionali (ESCs) (Mitalipov et al, 2009). Le
ESCs murine sono state stabilizzate in colture in vitro per la prima volta nel 1981
(Evans e Kaufman, 1981; Martin, 1981) e nel 1998 sono state generate ESCs anche a
partire da blastocisti umane (Thomson et al., 1998) (Figura 1.2).
Figura 1.2.ESCs in vitro.
La propagazione delle ESCs murine in vitro è sostenuta dall’esposizione al segnale
della citochina LIF che agisce su un eterodimero costituito da una subunità che lega del
LIF (LIF-R) e una glicoproteina necessaria per la trasduzione del segnale (gp130) (Dani
et al., 1998). La gp130 attiva la via di trasduzione del segnale tramite il pathway
molecolare delle proteine JAK e STAT, rispettivamente una chinasi e un fattore di
attivazione trascrizionale essenziali per il mantenimento della pluripotenza in vitro. In
assenza di LIF e in seguito a esposizione a specifici fattori di crescita in coltura le ESCs
si aggregano spontaneamente nei corpi embrioidi, costituiti da cellule di diversi lineages
(Dani et al., 1997). Similmente, quando ESCs sono iniettate in siti ectopici in topi nudi,
queste differenziano in masse multicellulari, chiamate teratocarcinomi (Fuchs et al.,
2000). Per la loro possibile tumorigenicità e sulla base di considerazioni etiche, le
ESCs sono oggetto di accesi dibattiti, nonostante siano le cellule più flessibili tra tutte le
SCs. Tuttavia le ESCs rappresentano un modello validissimo per comprendere i meccanismi dello sviluppo embrionale, della differenziazione tissutale e della patogenesi di numerose malattie. Negli ultimi anni gli sforzi della ricerca sono diretti a trovare nuove fonti di cellule staminali capaci di rigenerare organi e tessuti. Uno dei più grandi sviluppi della ricerca degli ultimi anni è stata la scoperta di poter indurre la pluripotenza in cellule somatiche adulte, grazie all’introduzione e l’espressione ectopica di specifici geni. Questo è possibile in seguito a una trasfezione con vettori retrovirali impaccati con quattro geni “embrionali” che codificano i fattori di trascrizione Oct4, Sox2, c-Myc e Klf4 (Takahashi K. et al, 2006). Questi sono in grado di revertire lo stato epigenetico di una cellula somatica adulta in uno simile a quello delle ESCs. Queste cellule sono conosciute attualmente con il nome di iPS (induced Pluripotent Stem cells) e hanno caratteristiche simili alle ESCs in termini di espressione di markers, attività trascrizionale e capacità di differenziare in diversi tipi cellulari (Mitalipov, 2009).
1.2 Le cellule staminali adulte
La stupefacente capacità delle ESCs di dare vita a ogni tipo di tessuto ha intensificato la
ricerca nell’adulto di cellule che potessero contribuire all’omeostasi tissutale, portando
all’identificazione delle cellule staminali adulte (ASCs). Le ASCs sono presenti in tutti i
tessuti e hanno due proprietà essenziali: self-renewal e multipotenza; pertanto sono in
grado di garantire il ricambio cellulare fisiologico e di riparare tessuti danneggiati. Self-
renewal è la capacità di generare una cellula figlia identica alla madre; la multipotenza è
la capacità di generare tutti i tipi cellulari di un tessuto. Nei diversi organi le ASCs si
dividono di rado, per prevenire l’insorgere di mutazioni dovute a ripetute mitosi e sono
quindi prevalentemente quiescenti. Quando una ASC si divide asimmetricamente dà
origine ad una cellula identica alla madre e una cellula di transito, con potenzialità più limitata, che prolifera rapidamente ed è in grado di andare incontro ad una differenziazione terminale. Occasionalmente le ASCs possono andare incontro ad una divisione simmetrica originando due cellule identiche, che aumentano il pool di staminali. Questa organizzazione gerarchica sembra essere mantenuta nei tumori.
Grazie a studi degli ultimi anni, esistono evidenze che anche il tessuto neoplastico
ospita cellule staminali, note come Cancer Stem Cells (CSCs), che sembrano giocare un
ruolo determinante nel mantenimento del processo neoplastico. Recenti scoperte
suggeriscono che la progressione del cancro guidata dalle CSCs sembra essere la causa
del fallimento di terapie attualmente esistenti contro i tumori maligni (Natasha Y. et al.,
2010), e della recidività della patologia dopo il trattamento. Evidenze sperimentali
avvalorano la tesi per cui la propagazione del tumore sia alimentato da un piccolo
numero di cellule con un grande potenziale auto-replicativo. Le ASCs costituiscono una
rivoluzione nella terapia per un ampio spettro di malattie, quali ad esempio il morbo di
Parkinson, Alzheimer, infarto, ustioni, malattie cardiache, diabete, osteoartrite e artriti
reumatoidi. Queste cellule rappresentano un potente strumento per applicazioni cliniche
per lo sviluppo di nuove terapie cellulari mirate al riparo di tessuti e organi
geneticamente alterati o danneggiati. Fondamentale per il loro utilizzo in medicina è la
comprensione della loro biologia e dei meccanismi molecolari che le regolano, per poter
disegnare strategie terapeutiche mirate a indurre rigenerazione tissutale, ad opera di
cellule staminali endogene o attraverso trapianti di staminali espanse e/o differenziate in
vitro. La limitazione nel loro utilizzo deriva dalla difficoltà nell’isolare questi tipi
cellulari dai tessuti adulti, a causa dell’assenza di marcatori unici per un determinato
tipo di ASC; infatti è la combinazione di diversi antigeni di superficie a definire un certo fenotipo staminale.
Le cellule staminali emtatopoietiche (HSCs) rappresentano la popolazione di staminali
adulte meglio caratterizzata sia in termini di markers per la purificazione sia per saggi
per il loro impiego nella clinica. Sono tra le prime ad essere state studiate (Till e Mc
Cullogh, 1961). Quasi tutte le strategie di purificazione delle HSCs si basano sulla
selezione positiva per alcuni marcatori di superficie come CD34, CD45, c-Kit, Sca-1, e
una selezione negativa per marcatori specifici di lineages ematopoietici maturi Lin
-(Challen et al., 2009). Alcuni dei marcatori di superficie come c-Kit o Sca-1 sono
comuni ad altri tipi di ASCs; c-Kit è presente anche su cellule staminali germinali
(Bernex et al., 1996), cardiache (Messina et al., 2004; Wu et al., 2006), neurali (Sun et
al., 2004); Sca-1 (Stem Cell Antigen 1), invece, è stato ritrovato anche su staminali
cardiache (Matsuura et al., 2004) e muscolari (Lee et al., 2000). L’antigene si superficie
CD45 è presente solo su cellule ematopoieitche e rappresenta pertanto il marker
necessario per discriminare le HSCs da un’altra popolazioni nel midollo osseo, quella
delle cellule staminali mesenchimali (MSCs). Le ASCs sono localizzate all’interno di
nicchie specifiche, dove utilizzano una fitta rete di segnali extracellulari e fattori
intrinseci per mantenersi quiescenti. Localizzare e analizzare le nicchie delle cellule
staminali, identificare le molecole che orchestrano programmi di sviluppo specifici,
sono requisiti fondamentali per una migliore comprensione dei meccanismi che
regolano i processi di self-renewal e di commitments. Mentre molti tessuti come la pelle,
il sangue, il tratto respiratorio e i testicoli devono rigenerarsi continuamente, la maggior
parte delle cellule e dei tessuti nei mammiferi adulti esibiscono un ricambio cellulare
molto basso in condizioni normali. Alcuni di questi hanno proprietà rigenerative basse,
come il cuore, mentre altri rispondono meglio alla rigenerazione, come il fegato. Queste osservazioni sono state interpretate fino a un po’ di tempo fa come presenza di cellule staminali nei tessuti ad alto potenziale rigenerativo e mancanza di elementi staminali negli altri tessuti. Molti organi come il cervello o il cuore, sebbene definiti post-mitotici, hanno mostrato invece di avere anch’essi capacità di turn-over e rigenerazione (Beltrami et al., 2003). Queste osservazioni hanno aperto le porte a studi mirati all’identificazione di popolazioni di ASCs residenti in diversi tessuti e alla valutazione del loro potenziale rigenerativo (Wagers et al., 2004).
1.3 Plasticità delle ASCs
Fino a qualche anno fa si pensava che le ASCs provvedessero all’omeostasi
esclusivamente dei tessuti dei quali facevano parte. Negli ultimi anni l’attenzione si è
focalizzata sulla possibilità delle ASCs di differenziare in tipi cellulari propri di altri
tessuti e originari anche di altri foglietti embrionali. Questa proprietà è nota come
plasticità e apre nuove frontiere nell’ambito della medicina rigenerativa. Studi che
propongono la plasticità delle staminali adulte sono molto controversi. Le prime
evidenze sono emerse dallo studio sul sistema ematopoietico, attraverso saggi in vivo: è
stato osservato che cellule di midollo trapiantate in topi mutati difettivi o mieloablati,
genotipicamente o fenotipicamente distinguibili, sembrano essere in grado di dare
origine a progenie “atipica” e rigenerare, anche se ad una frequenza piuttosto bassa, altri
tessuti quali fegato (Theise et al., 2000; Austin e Lagasse, 2003), pancreas (Ianus et al.,
2003), reni (Gupta et al., 2002), pelle (Krause et al., 2001), tratto gastrointestinale
(Okamoto et al., 2002), cuore (Orlic et al., 2001), muscolo scheletrico (LaBarge e Blau,
2002) (Figura 1.3).
Figura 1.3.Plasticità delle ASCs.
Se questo fenomeno fosse confermato, cellule staminali isolate da un tessuto, opportunamente differenziate in vitro, sarebbero in grado di contribuire, in seguito a trapianto, al riparo e rigenerazione di altri tessuti distrutti da processi patologici.
Un'altra possibilità è rappresentata dall’utilizzo, nel caso di malattie genetiche, delle
ASCs in interventi di terapia genica. Questo intervento consiste nella loro modificazione
mediante introduzione in vitro di una copia sana del gene affetto da malattia. Rimane
comunque molto dibattuto il fenomeno della plasticità, sebbene esistono diverse ipotesi
che possono spiegarne i meccanismi di base. Il modello gerarchico (figura 1.4 D)
prevede l’esistenza, all’interno dei diversi tessuti, di cellule staminali altamente
pluripotenti non ancora indirizzate verso un determinato destino differenziativo, e
capaci, quindi, come le cellule staminali embrionali, di dare origine a progenie di diversi tessuti.
Secondo il modello della transdifferenziazione (figura 1.4 A) una cellula già differenziata acquisisce un altro fenotipo, spesso senza andare incontro alla divisione cellulare: un esempio sono le cellule pancreatiche che, in opportune condizioni di coltura, transdifferenziano in vitro in cellule epatiche. Tuttavia, questo modello risulta opinabile poichè non è stato finora possibile stabilire che cosa succeda realmente in vivo.
La transdeterminazione (figura 1.4 C) descrive invece la condizione in cui una cellula staminale o un precursore primitivo già indirizzato verso uno specifico cammino differenziativo, genera una progenie appartenente ad un altro lineage cellulare.
Nella dedifferenziazione (figura 1.4 B), una cellula lineage-specifica riacquisisce dapprima le proprietà di cellula staminale o di precursore primitivo e, in seguito, intraprende un altro cammino differenziativo.
Figura 1.4.Possibili meccanismi ipotizzati che spiegherebbero la plasticità
Comunque, il tema della plasticità delle cellule staminali continua ad essere argomento
di acceso dibattito. Negli ultimi anni, studi sempre più rigorosi hanno messo in evidenza
che alcuni apparenti eventi di plasticità sono in realtà riconducibili ad altri fenomeni,
quali la contaminazione o la fusione cellulare (fig. 1.5 E). Sia la plasticità che la fusione hanno osservazioni sperimentali a conferma e a smentita (La Barge e Blau, 2002; Ianus et al., 2003; Weimann et al., 2003; Caplice et al., 2003). È chiaro che per poter parlare di plasticità è necessario il massimo rigore nelle procedure sperimentali adottate. Per prima cosa bisogna caratterizzare al meglio le cellule che si stanno studiando; è capitato infatti che esperimenti siano stati invalidati perché sono state utilizzate popolazioni cellulari di partenza troppo eterogenee o contenenti alterazioni cromosomiche. Inoltre è molto importante caratterizzare le cellule generate dalle staminali di interesse dal punto di vista funzionale.
1.4 La nicchia delle cellule staminali
Le nicchie sono microambienti localizzati nei tessuti adulti, che mantengono e regolano le cellule staminali. I meccanismi di regolazione delle cellule staminali hanno un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi e, quando alterati nella vita adulta, contribuiscono sia ai processi di invecchiamento che alla tumorigenesi (Morrison et al., 2008). L’omeostasi è un equilibrio tra divisioni simmetriche e asimmetriche delle ASCs. Studi condotti su diversi modelli animali hanno dimostrato che le modalità di divisione sono controllate e influenzate sia da fattori extracellulari della nicchia sia da fattori intrinseci della cellula. Attraverso una divisione asimmetrica una cellula staminale dà origine a due cellule figlie, una che rimane nella nicchia come cellula staminale e una che lascia la nicchia e va incontro a un destino differenziativo.
L’asimmetria può essere determinata da una diversa localizzazione di molecole
regolative all’interno delle due cellule figlie, in associazione con componenti
citoscheletriche, si parla in questo caso di asimmetria divisionale; può anche essere
determinata da un’esposizione delle cellule a segnali extracellulari differenti, i fattori di nicchia, che creano quindi un’asimmetria ambientale (Figura 1.5).
Figura 1.5. Asimmetria divisionale e asimmetria ambientale.
Al contrario, attraverso una divisione simmetrica, la cellula staminale si divide
generando due cellule identiche, entrambe staminali, che rimangono nella nicchia
andando a incrementare il pool delle staminali. La nicchia interagisce con le SCs
attraverso fattori di secrezione, ormoni, interazioni cellula-cellula e cellula-matrice,
molecole segnale di varia natura. Le cellule quiescenti si troverebbero ancorate al centro
della nicchia, questa prende il nome di nicchia di storage, dove le SCs vengono attivate
solo in caso di danni tissutali. Le cellule staminali destinate al self-renewal potrebbero
trovarsi vicino al confine che separa la nicchia dall’ambiente “Non-nicchia”, cioè una
zona in cui risentono di segnali che inducono alla divisione o al differenziamento, per il
normale mantenimento dell’omeostasi. Nonostante esistano diversi tipi di nicchia, a
seconda della localizzazione nei tessuti, molte, recentemente caratterizzate, sembrano
essere sorprendentemente simili nella struttura e nell’utilizzo di meccanismi di regolazione comuni. Spesso specifiche giunzioni aderenti ancorano le cellule staminali a particolari cellule partner (cellule differenziate post-mitotiche). Di fondamentale importanza risulta anche l’interazione con la matrice extracellulare, attraverso giunzioni strette o interazione con molecole segnale della matrice per l’attivazione di vie di trasduzione interne del segnale. Anche fattori metabolici e nervosi giocano un ruolo importante nella definizione della dimensione anatomica e funzionale della nicchia (Figura 1.6)
Figura 1.6.Segnali che contribuiscono a definire la nicchia.
La nicchia meglio caratterizzata nei mammiferi è quella delle cellule staminali
ematopoietiche (HSCs). Il concetto di nicchia delle HSCs fu proposto per la prima volta
da Schofield nel 1978 per descrivere il microambiente fisiologico limitato in cui
risiedono le SCs. Negli adulti, gli osteoblasti, che derivano da cellule staminali
mesenchimale (MSCs), responsabili dell’osteogenesi, e le cellule ematopoietiche,
responsabili dell’ematopoiesi, sono strettamente associati nel midollo osseo, suggerendo
una reciproca interazione tra i due lineages. Negli ultimi anni è stato scoperto che gli
osteoblasti sono una componente chiave della nicchia delle HSCs e ne controllano il numero. Le HSCs non interagiscono solo con gli osteoblasti ma anche con altre cellule stromali, comprese le cellule endoteliali. Si può quindi parlare di due distinte nicchie che supportano le HSCs, identificate nel midollo osseo: una nicchia per il mantenimento e per il self-renewal (dell’endostio) e una importante per la proliferazione, differenziazione e la mobilizzazione delle HSCs (vascolare) (Figura 1.7).
Figura 1.7.Nicchia dell’osso
Nell’ambito delle HSCs si possono distinguere due popolazioni funzionalmente distinte:
le LT-HSCs (Long Term HSCs) e le ST-HSCs (Short Term HSCs). Le LT-HSCs
regolano la popolazione midollare a lungo termine e sono mantenute in uno stato di
quiescenza, grazie alla nicchia dell’endostio. Le ST-HSCs, invece, hanno un’abilità di
ricostituzione limitato a poche settimane, sono molto attive dal punto di vista del ciclo
cellulare e risiedono nella nicchia vascolare. In risposta a danno tissutale, le HSCs quiescenti possono ri-attivarsi, uscire dalla nicchia dell’endostio e migrare verso la nicchia vascolare, responsabile, al contrario, della loro proliferazione, differenziazione e migrazione. La nicchia di self-renewal produce invece precursori multipotenti (MultiPotent Progenitors-MMPs), in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari dei diversi lineages ematopoietici, attraverso meccanismi di asimmetria divisionale o ambientale. A dimostrazione del ruolo degli osteoblasti, che si trovano sulla superficie dell’endostio, nel supporto e mantenimento delle HSCs nella nicchia, sono stati condotti studi su topi transgenici, che esprimono costitutivamente il gene virale della timidina chinasi (TK) sotto il promotore del gene del Collagene
1in osteoblasti. Inducendo l’ablazione degli osteoblasti con il ganciclovir i topi mostrano una diminuzione nel numero di progenitori linfoidi, mieloidi ed eritroidi nel midollo osseo, seguito da un decremento del numero di HSCs. Con l’assorbimento del ganciclovir gli osteoblasti riappaiono nell’osso, come l’ematopoiesi nel midollo osseo (Visnjic et al., 2004). Altri esperimenti hanno dimostrato che l’aumento del numero di osteoblasti nella nicchia comporta un aumento del numero di HSCs (Calvi et al., 2003; Zhang et al., 2003).
Queste osservazioni supportano l’ipotesi secondo la quale gli osteoblasti hanno un ruolo
fondamentale nel mantenimento delle HSCs e nella regolazione dell’ematopoiesi,
controllandone direttamente il numero. La nicchia vascolare è costituita da cellule
endoteliali sinusoidali che creano un microambiente ricco di nutrienti, con un’alta
concentrazione di ossigeno e fattori di crescita e in cui le cellule del sangue mature
possono essere rilasciate per andare nella circolazione periferica (Yin et al., 2006). Le
HSCs sono anche in grado di uscire e rientrare nella nicchia dell’endostio grazie a
processi conosciuti come mobilizzazione e “homing”. La mobilizzazione può essere
indotta attraverso trattamento con fattori come la ciclofosfamide o il G-CSF (Granulocyte Colony-Stimulating Factor), usato nelle procedure basate su trapianti di cellule staminali. Si tratta di un fenomeno che accade normalmente durante l’omeostasi midollare in cui un piccolo numero di HSCs sono costantemente rilasciate in circolo.
Esse forniscono una risorsa velocemente accessibile per la riparazione di eventuali danni al midollo osseo. Un fattore cruciale coinvolto nella migrazione e mobilizzazione delle HSCs durante l’omeostasi e in seguito a danno è SDF1 (Stromal-Derived Factor 1), espresso da diversi tipi cellulari, inclusi osteoblasti e cellule endoteliali dei vasi. È in grado di indurre la motilità, la chemiotassi e l’adesione delle cellule che esprimono il suo recettore CXCR4 (CXC-chemokine Receptor 4). L’interazione SDF1/CXCR4 inoltre è cruciale per la colonizzazione del midollo osseo da parte delle HSCs durante le fasi finali dello sviluppo fetale e per l’induzione della mobilizzazione in circolo durante la vita adulta (Figura 1.8)
Figura
1.8.
Mobilizzazione e homing delle HSCs.Diversi tipi di segnalazioni e molecole di adesione sono coinvolti nelle interazioni
della nicchia delle HSCs. Le molecole meglio studiate implicate nella regolazione della
nicchia includono SCF/Kit, Jagged/Notch, angiopoietina-1/Tie2 (Ang-1/Tie2), Wnt/- catenina, osteopontina. La segnalazione mediata dallo Stem Cell Factor (SCF) attraverso il suo recettore tirosin-chinasico Kit è stata ben caratterizzata nel promuovere sia la proliferazione che la sopravvivenza delle HSCs. Infatti la perdita di funzione di SCF in topo sl/sl o la perdita di funzioni di Kit in topo W/W porta a un’ematopoiesi difettiva, indicando il ruolo essenziale di queste molecole nella nicchia (Yin et al., 2006). Il ligando SCF si può trovare in forma solubile o legato alla membrana. Gli osteoblasti esprimono SCF legato alla membrana e sono in grado di attivare il pathway SCF/Kit attivando il recettore Kit sulla membrana delle HSCs, andando a modificare le proprietà adesive della nicchia endosteale attraverso una modulazione dello stato funzionale di specifiche integrine (VLA4, VLA5). Questa segnalazione quindi è implicata nel controllo dell’attivazione delle HSCs e del loro rilascio dalla nicchia.
Molte altre vie del segnale sembrano influenzare le HSCs, per esempio nel midollo
osseo è stato osservato che sono espressi diversi recettori e ligandi della via di Notch. In
particolare, si è visto che, in concomitanza ad una sovraespressione del ligando Jagged-
1 si osserva un incremento del numero delle HSCs (Calvi et al., 2003) suggerendo un
possibile ruolo della via di Notch durante il self-renewal delle HSCs. L’Ang-1 è secreta
degli osteoblasti, mentre Tie2, un recettore tirosin-chinasico espresso specificamente
dalle HSCs. Ang-1 aumenta la capacità delle HSCs di rimanere quiescenti attivando
l’inibitore del ciclo cellulare p21; induce anche l’adesione agli osteoblasti attraverso il
recettore Tie2 portando ad un aumento dell’espressione della molecola di adesione N-
caderina. La via di Wnt/-catenina è implicata nel mantenimento della quiescenza delle
HSCs ed è necessaria per preservare il self-renewal. Wnt funziona favorendo
l’accumulo di β-catenina citoplasmatica con la conseguente traslocazione nel nucleo e
attivazione di fattori di trascrizione della famiglia TCF/LEF, implicati nella regolazione
della proliferazione cellulare. Questo è stato dimostrato da studi funzionali condotti su
topi ingegnerizzati in modo da far sovraesprimere dagli osteoblasti Dickkopft (Dkk1),
un membro della famiglia degli inibitori di Wnt. Il gene Dkk1 è stato posto sotto il
controllo del promotore del gene Collagene 1α (Col1α), normalmente espresso dagli
osteoblasti. È stato osservato un difetto nel mantenimento del potenziale di
ricostituzione delle HSCs, in seguito a trapianti seriali, di topi letalmente irradiati. Le
HSCs hanno mostrato una riduzione del numero di cellule allo stadio G0 del ciclo
cellulare, chiaro segno che quindi la via di Wnt è necessaria per il mantenimento delle
cellule in quiescenza (Fleming et al., 2008). Infine, la secrezione di osteopontina
(OPN), proteina di matrice altamente fosforilata e glicosilata, da parte degli osteoblasti,
sembra avere un effetto negativo sul numero delle HSCs (Nilsson et al., 2005) e favorire
invece la loro quiescenza.
2. LE CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI
Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono cellule clonogeniche multipotenti, che hanno la capacità di differenziare e contribuire alla rigenerazione di tessuti mesenchimali, come osso, cartilagine, muscolo, legamento, tendine e grasso (Figura 2.1).
Figura 2.1. MSCs
Le MSCs sono rare nel midollo osseo, rappresentano infatti solo una frazione minima
delle cellule midollari (0,001-0,01%), nonostante ciò hanno un ruolo fondamentale in
questa sede e rappresentano uno dei componenti principali della nicchia endosteale delle
HSCs. Le prime evidenze sperimentali a supporto dell’esistenza delle MSCs emergono
dai lavori pionieristici di Friedenstein e colleghi, che per primi dimostrarono che cellule
del midollo osseo erano in grado di intraprendere un percorso differenziativo in senso
osteogenico quando trapiantate in vivo (Friedenstien et al., 1970). Sono stati sviluppati
metodi per il loro isolamento e per il mantenimento in vitro allo stato indifferenziato o
indotte a differenziare in diversi lineages. È stato dimostrato, infatti, che queste cellule potevano essere isolate ed espanse in vitro grazie alla loro capacità di crescere in adesione alla plastica, caratteristica utile per purificarle dalla componente ematopoietica, che, al contrario, cresce in sospensione. Le cellule aderenti inizialmente appaiono molto eterogenee, ma la maggior parte di queste mostrano un fenotipo affusolato e un’alta capacità proliferativa; in seguito a diversi passaggi in coltura, le cellule aderenti di forma fibroblastoide diventano più omogenee (Chamberlain et al., 2007). Il primo saggio utilizzato per identificarle è stato il saggio delle CFU-F (Colony Forming Unit-Fibroblast), grazie al quale queste cellule, piastrate a bassa densità in coltura in un terreno minimo privo di fattori di crescita, sono in grado di creare delle colonie; queste ultime, eterogenee da un punto di vista di potenziale differenziativo, permettono anche di fare una stima del numero delle MSCs presenti nel midollo.
Attraverso questo tipo di analisi è emerso che la capacità di formare le CFU-F in coltura subisce un forte calo con l’avanzare dell’età (Caplan et al., 2007).
2.1. Localizzazione delle MSCs
Le MSCs, oltre che dal midollo osseo, possono essere isolate da altri tessuti. Sono state
trovate MSCs associate ai vasi sanguigni di grande e piccolo calibro. Questo strato
endoteliale a contatto con le MSCs è stato ritrovato in tutti i tessuti del corpo, inclusi
tessuti non-mesenchimali, quali fegato e reni. Le MSCs associate ai vasi sono
conosciute con il nome di periciti o cellule periendoteliali e potrebbero essere una
sorgente in vivo di “MSCs terapeutiche” locali (Da Silva Meirelles et al., 2008). Si tratta
di cellule sparse che si trovano al di sotto della membrana basale, strettamente associate
con le cellule endoteliali mediante gap-junctions. Verosimilmente, quando queste
interazioni vengono interrotte e il pericita viene liberato, questo potrebbe essere considerato una cellula staminale mesenchimale. Queste cellule perivascolari/periciti in coltura mostrano un fenotipo molto simile a quello delle MSCs e, oltre ai marcatori perivascolari, esprimono anche quelli tipici delle MSCs. Sono anche in grado di differenziare in vitro in osteoblasti, condrociti e adipociti, come fanno tipicamente le MSCs. Sono state isolate anche da altri tessuti, quali muscolo scheletrico, tessuto adiposo, fluido amniotico, denti, cordone ombelicale. Studi in corso sono volti alla caratterizzazione molecolare di MSCs provenienti da vari siti anatomici del corpo. Dalle prime analisi sembra che MSCs, isolate da diversi tessuti, mostrino delle differenze a livello molecolare che potrebbero essere legate anche ad una maggiore o minore potenzialità in vivo.
2.2. Identificazione delle MSCs
Ad oggi non esistono singoli markers di superficie che le identificano in maniera
univoca, ma vengono selezionate attraverso una combinazione di antigeni di superficie
positivi, come Stro-1, CD44, CD105, CD166 e SSEA-4 e negativi, come CD45, CD34,
CD14 e Sca-1, markers tipici delle HSCs. Recenti evidenze sperimentali hanno posto
l’attenzione su un altro antigene di superficie che sembra essere espresso ad alti livelli
in sottopopolazioni di MSCs. Attraverso trapianti sottocutanei in topi
immunocompromessi, di cellule del midollo osseo umano di diversa natura e origine, è
stato provato che solo alcune di queste erano in grado di generare osso e midollo osseo
eterotopico, ricreando anche un microambiente ematopoietico. Queste cellule potevano
essere distinte dalle altre per un’elevata espressione di CD146. Colture primarie di
MSCs umane, piastrate a bassa densità, sono state allestite per eseguire il saggio delle
CFU-F. Tutte le colonie formate mostravano l’espressione dell’antigene di superficie CD146. In colture non clonali solo il 30% delle cellule esprimeva questo antigene, ma, l’analisi al FACs ha rivelato che le cellule CD146
-mostravano invece un’elevata espressione di marcatori propri di osteoblasti maturi (ALP
+o CD105
+). Sono stati eseguiti anche trapianti aggiuntivi di singoli cloni isolati da una colonia. Dopo 8 settimane dall’allestimento dei trapianti sono state prelevate di nuovo tutte le cellule umane e piastrate a bassa densità per analizzare le CFU-F. L’analisi al FACs di queste CFU-F secondarie ha mostrato un’omogenea elevata espressione di CD146, indicando che questo è un marcatore di cellule con un’elevata capacità di self-renewal (Sacchetti et al., 2007). Inoltre è stato dimostato che cellule multipotenti CD146
+, isolate da midollo osseo umano, mostrano tutte le caratteristiche tipiche delle MSCs: una proliferazione di 12 settimane, capacità di differenziare in osteoblasti, condrociti, adipociti e cellule stromali di supporto per l’ematopoiesi. In più queste cellule secernono una complessa combinazione di fattori di crescita che sono in grado di controllare la funzione delle HSCs (Sorrentino et al., 2008).
Le MSCs, oltre all’identificazione basata sulla loro morfologia o sulle loro
caratteristiche fenotipiche, si distinguono funzionalmente in base alla loro capacità di
generare in vitro, in seguito a specifiche induzioni, cellule del tessuto osseo, adiposo e
cartilagineo. Il classico metodo per differenziare le MSCs in osteoblasti implica il
trattamento con un cocktail di sostanze inducenti, quali l’Acido Ascorbico, il β-
Glicerofosfato e il Dexametasone, aggiunto alla coltura di MSCs confluenti, in
opportune concentrazioni. Le MSCs in queste condizioni formano aggregati cellulari o
noduli secernenti matrice extracellulare e incrementano l’espressione della Fosfatasi
Alcalina (ALP). Questi noduli risultano positivi a colorazioni istochimiche Alizarin Red
e Von Kossa, che mettono in evidenza la formazione di matrice di fosfati di calcio tipica degli osteoblasti maturi. Per promuovere una differenziazione adipogenica, le colture di MSCs sono incubate con Dexametasone, Insulina, Isobutilmetilxantina e Indometacina.
Una volta differenziate, le cellule mostrano, al loro interno, accumuli di vacuoli lipidici e incrementano l’espressione di geni marcatori come PPARγ (Peroxisome Proliferation- Activated Receptor 2), C/EBPα, lipoproteina lipasi e aP2 (Fatty Acid Binding Protein).
L’accumulo dei lipidi è saggiato istologicamente attraverso la colorazione con Oil Red.
Ulteriori studi hanno dimostrato che le MSCs, opportunamente trattate in vitro, possono
anche essere indotte a differenziare in condrociti. A tale scopo le MSCs devono essere
centrifugate per formare un pellet che viene messo in coltura, come micromassa, in
presenza di TGF-β. Il pellet cellulare sviluppa multistrati e l’analisi istologica evidenzia
la positività alla Toluidina Blu, ad indicare un’abbondanza di glicosamminoglicani nella
matrice extracellulare. Le cellule, così trattate, producono anche il collagene di tipo II
(Chamberlain et al., 2007) (Figura 2.2).
Figura 2.2. Differenziazioni in vitro delle MSCs
Alcuni studi hanno permesso di identificare, nell’ambito delle MSCs, cellule dotate di
maggiore versatilità. Evidenze sperimentali suggeriscono che le MSCs sono molto
eterogenee, ciò è dovuto alla presenza di cellule multipotenti mesenchimali stromali,
capaci di differenziare in vari lineages cellulari mesodermici, insieme a cellule
pluripotenti con caratteristiche simili a quelle di cellule embrionali. Questi ultimi tipi
cellulari possono differenziare in cellule del lineage mesodermico, endodermico e anche
neuroectodermico Recenti studi descrivono una nuova popolazione di progenitori
mesodermici (Mesodermal Progenitor Cells, MPCs), nel midollo osseo adulto umano,
capaci di differenziare in vitro in cellule mesenchimali in opportune condizioni di
coltura. Queste cellule sono in grado di differenziare anche in cellule endoteliali. I
progenitori mesodermici hanno un fenotipo preciso e marcatori di superficie embrionali,
non presenti nelle cellule mesenchimali, e una volta spinti verso un destino
differenziativo, perdono questi marcatori e acquisiscono quelli mesenchimali. Le cellule
mesenchimali, invece, non possono essere indotte a revertire in MPCs, che possono
essere, quindi, considerati precursori delle MSCs (Petrini et al., 2008). Inoltre cellule
con proprietà simili sono state recentemente identificate nel sangue del cordone
ombelicale, note come Unrestricted Somatic Stem Cells (USSCs), e nel midollo, note
invece come Marrow-Isolated Adult Multilineage Inducile cells (MIAMIs) (Nauta e
Willem E. Fibbe, 2009) e Multi-potent Adult Progenitor Cells (MAPCs). Le cellule
staminali MIAMI a MAPC hanno un potenziale proliferativo e differenziativo più alto
rispetto alle classiche MSCs. È stato suggerito che queste possano rappresentare una
sottopopolazione di cellule staminali più primitive che potrebbero essere i precursori
comuni delle MSCs e delle HSCs (Reyes et al., 2001; D’Ippolito et al., 2004; Beyer
Nardi and Da Silva Meirelles, 2006; Giordano et al., 2006). Ulteriori esperimenti sono
necessari per dimostrare che queste colture non sono contaminate da TSCS (Tissue-
Committed Stem Cells), che potenzialmente potrebbero contribuire alla differenziazione
in diversi lineages di queste cellule (Kucia et al., 2005) (Figura 2.3).
Figura 2.3. MAPCs.
2.3. Immunoregolazione e attività trofica
Le MSCs sono in grado di esercitare effetti immunoregolatori, inibendo fortemente il
riconoscimento e l’espansione dei linfociti-T attraverso la produzione di TNF-α e INF-γ
e incrementando i livelli di IL-10. Quest’attività immunoregolatoria supporta il concetto
che MSCs allogeniche possono essere usate come agenti terapeutici. L’intrinseca
attività secretoria di un ampio spettro di molecole bioattive crea anche un
microambiente rigenerativo in caso di lesioni o danni tissutali. Questa straordinaria
capacità delle MSCs è stata testata anche nel contesto di terapie contro il cancro,
aggiungendo MSCs umane, espanse in coltura, ai trapianti di midollo osseo, assumendo
che queste cellule avrebbero attuato un processo di homing e rigenerato il midollo osseo
di pazienti trattati con chemioterapia e radioterapia. Il meccanismo che governa questi processi è lo stesso: la secrezione di fattori paracrini bioattivi che inibiscono la cicatrizzazione, inibiscono l’apoptosi (nei pressi o nel sito della lesione), stimolano l’angiogenesi e anche la mitosi di cellule staminali o progenitori propri dei tessuti.
Questa complessa attività è nota con il nome di “attività trofica” (Caplan et al., 2007).
Le MSCs hanno suscitato grande interesse per la loro facile reperibilità e capacità di espansione e differenziazione in vitro. Inoltre, grazie alle loro proprietà biologiche, le MSCs rappresentano un potenziale valido strumento terapeutico per un ampio spettro di malattie, attraverso interventi di terapia genica, medicina rigenerativa e ingegneria tissutale. Tuttavia, il loro impiego ottimale richiede un’approfondita conoscenza dei meccanismi che ne regolano l’espansione e la differenziazione, ma a tutt’oggi molti aspetti della loro biologia sono ancora sconosciuti.
2.4. L’osteogenesi
Nel corso di tutta la vita, le ossa vanno incontro a rimodellamento e rigenerazione. Gli
osteoblasti, che producono proteine della matrice extracellulare e regolatori della
mineralizzazione della matrice, derivano da precursori mesenchimali che vanno
incontro ad un ben definito programma di espressione genica che si effettua attraverso il
commitment in senso osteogenico, la proliferazione e la differenziazione terminale. Gli
osteoblasti maturi producono una caratteristica matrice extracellulare che
successivamente diventa mineralizzata grazie alla deposizione di cristalli di
idrossiapatite. Oltre ad una funzione strutturale e di protezione, l’osso mineralizzato è la
maggiore riserva di calcio e fosforo e, inoltre, provvede alla nicchia di supporto per
l’ematopoiesi. La deregolazione della formazione e del mantenimento dell’osso è una
componente importante di malattie comuni, come osteoporosi e artrite, di altre rare malattie e disordini, e anche implicate in patologie di disordini metastatici dell’osso che affliggono molti pazienti malati di cancro. La formazione e il riparo dell’osso da parte degli osteoblasti è alla base della guarigione di danni ortopedici e di procedure ricostituenti craniofacciali e dentali. Comprendere i meccanismi che guidano la formazione degli osteoblasti e la loro differenziazione terminale è, di conseguenza, di grande importanza per lo sviluppo di opzioni terapeutiche migliori per queste e altre condizioni cliniche (Jensen et al., 2010).
2.4.1. Meccanismi molecolari alla base dell’osteogenesi
Il primo passo in seguito al commitment dei progenitori mesenchimali è un’elevata
proliferazione, caratterizzata dall’espressione di geni associati al ciclo cellulare. Il
percorso differenziativo che porta da osteoprecursori a pre-osteoblasti, osteoblasti
funzionali e infine osteociti, è accompagnato dall’attivazione e inattivazione di diversi
fattori di trascrizione come Runx2, Msx2, Dlx3-5-6, Osterix (Osx) e dall’incremento
dell’espressione di marcatori funzionali come la Fosfatasi Alcalina (Alp) e più tardivi
come la Sialoproteina ossea, il Collagene di tipo I, l’Osteopontina e l’Osteocalcina,
coinvolti nella mineralizzazione della matrice extracellulare. Questo programma di
espressione genica altamente regolato è governato dall’attività di alcuni fattori di
trascrizione inclusi Runx2, Osterix, SMADs, TCF/LEF. Questi fattori non agiscono in
maniera isolata, ma interagiscono tra loro per integrare diversi segnali e regolare
l’espressione genica (Figura 2.4).
Figura 2.4.
Meccanismi molecolari dell’osteogenesiOltre a questi fattori di trascrizione, un lavoro recente ha messo in luce che anche i microRNAs sono importanti regolatori dell’espressione genica degli osteoblasti.
Runx2 è il regolatore master dell’osteoblastogenesi: agisce, infatti, nell’induzione, proliferazione, maturazione degli osteoblasti e ne regola l’espressione di molti geni.
Molti pathways di segnale e fattori di trascrizione che influenzano l’osteoblastogenesi
agiscono proprio attraverso l’attività di Runx2. Mutanti knock-out (Runx2 -/-) sono
caratterizzati da una mancanza di mineralizzazione dell’osso, e dalla presenza di uno
scheletro cartilagineo, completamente privo di osteoblasti (Komori et al., 1997; Otto et
al., 1997). Oltre al dominio di binding al DNA proprio dei membri della famiglia
RUNT, la proteina Runx2 contiene anche altri domini in grado di legarsi a co-attivatori
e co-repressori. In questo modo Runx2 è in grado di attivare o reprimere la trascrizione
di un gene in maniera spazio-temporale e in risposta al cambiamento dei bisogni
fisiologici (Jensen et al., 2010). Evidenze sperimentali indicano che Runx2 regola
negativamente il ciclo cellulare interagendo con alcune proteine coinvolte nella
regolazione dello stesso, come Retinoblastoma, per poi agire come attivatore trascrizionale nella regolazione dell’espressione di inibitori del ciclo cellulare e di geni che favoriscono la differenziazione (Thomas et al., 2007). Runx2 può anche influenzare l’espressione genica attraverso un modellamento dell’architettura nucleare, agendo su proteine del rimodellamento della cromatina. Inoltre attiva direttamente un certo numero di marcatori osteoblastici come il Collagene di tipo I, l’Osteopontina e l’Osteocalcina. Anche altre proteine con domini di legame al DNA, partecipano all’osteogenesi. Osterix (Osx), è un fattore di trascrizione con un dominio di legame zinc-finger espresso negli osteoblasti e richiesto per la formazione dell’osso.
L’espressione di Osx è successiva rispetto a quella di Runx2, che risulta normale in topi
Osx -/-, mentre Osx è assente in mutanti Runx2 -/-. Questo è stato confermato anche
attraverso la caratterizzazione di un elemento di binding di Runx2 sul promotore del
gene di Osx (Nishio et al., 2006). Anche geni come Dlx5, Dlx6, Dlx3 (Distant Less
homeobox5,6,3) e Msx2 (homeobox, Mesh-like2) sono espressi negli stadi della
formazione osteoblastica. Msx2 è espresso prevalentemente negli osteoprogenitori e la
sua espressione cala durante la differenziazione. La sua funzione sembra essere quella
di favorire la proliferazione delle cellule indifferenziate e inibire la differenziazione,
probabilmente regolando negativamente Runx2 e/o altri geni del differenziamento. Le
proteine Dlx5, Dlx6 e Dlx3 sono espresse in tutte le fasi della differenziazione
osteoblastica e aumentano negli osteoblasti maturi. Dlx5 e Dlx6 hanno patterns molto
simili e pertanto anche la loro funzione risulta simile. Sono antagonisti di Msx2, e
agiscono sui promotori degli stessi geni inibiti da Msx2. Meno chiara risulta la funzione
di Dlx3 che invece sembra poter agire sia favorendo che ostacolando la differenziazione
a seconda dei partners con cui agisce. Sono tutte omeoproteine che si trovano a valle
del segnale delle BMPs (Bone Morphogenetic Proteins). Queste vengono sintetizzate
come pre-peptidi, i quali vengono processati prima della loro secrezione, per poi agire
come omodimeri o eterodimeri. Hanno un’elevata capacità osteoinduttiva e
interagiscono con un complesso dimerico di due recettori di membrana serina-treonina
chinasici, chiamati di tipo I e II. Le proteine BMPs appartengono alla superfamiglia
delle proteine TGFβ, in particolare alla sottofamiglia TGFβ1. Le famiglie dei fattori di
crescita BMPs e TGFβ sono sempre state riconosciute come regolatori vitali della
fisiologia dello scheletro. Le loro segnalazioni portano ad una fosforilazione e
conseguente traslocazione nucleare di recettori attivati SMADs (rSMADs), che
interagiscono con il DNA e, associandosi con fattori di trascrizione, regolano la
trascrizione genica. rSMADs indirizzano le MSCs verso un destino osteoblastico
attraverso l’induzione dell’espressione di Runx2. Interagiscono anche con la proteina
Runx2 per regolare la trascrizione. L’azione delle SMADs può avvenire in senso
inibitorio o di attivazione a seconda delle proteine con cui interagiscono (Jensen et al.,
2010). La via di Wnt/β-Catenina guida un’importante via di trasduzione interna del
segnale per il controllo dell’osteogenesi. La famiglia delle Wnt comprende 19 proteine
secrete che possono agire attraverso due vie di segnalazione: una via canonica e una
non-canonica. Nella via canonica, la trasduzione del segnale di Wnt avviene grazie alla
famiglia dei recettori Frizzled e da co-recettori, come LRP5/6. Questo provoca
l’inibizione dell’attività di GSK3(Glicogen Synthase Kinase-3), che normalmente
sequestra la β-catenina citoplasmatica e ne permette la degradazione in seguito alla sua
ubiquitinazione. L’attivazione di Frizzled grazie a Wnt provoca quindi una
stabilizzazione della β-catenina citoplasmatica e una conseguente traslocazione
nucleare. Una volta nel nucleo è in grado di legare i fattori regolatori della famiglia
TCF/LEF (T-Cell Factor/Lymphoid Enhancer Factor), incrementando quindi l’espressione di alcuni geni, come ad esempio Runx2. È stato ritrovato infatti un dominio di legame di TCF sul promotore di Runx2 (Arnsdorf et al., 2009). Esiste inoltre un cross-talk molecolare tra la via di Wnt e quella di Notch, una famiglia di recettori transmembrana che controlla il destino differenziativo in vari processi di sviluppo. Il segnale di Notch sembra agire in contrasto a quello della -catenina, portando quindi ad una inibizione della differenziazione in senso osteoblastico (Deregowsky et al., 2006).
2.5. L’adipogenesi
L’epidemica obesità negli ultimi 50 anni ha suscitato un grande interesse nello studio
della biologia del tessuto adiposo. L’obesità è il risultato di uno squilibrio tra l’energia
assimilata e quella spesa, ed è spesso caratterizzata da un aumento sia della grandezza
che del numero degli adipociti. Sono classicamente descritti nei mammiferi due
differenti tipi funzionali di tessuto adiposo, che differiscono in molte proprietà
importanti: il BAT (Brown Adipose Tissue) e il WAT (White Adipose Tissue). Il BAT e
il WAT sono entrambi implicati nel bilancio dell’energia, ma presiedono a funzioni
opposte. Il BAT ha esclusivamente la funzione di produrre calore dissipando il
gradiente elettrochimico degli ioni idrogeno, prodotto normalmente dal ciclo di Krebs a
cavallo tra la membrana interna e lo spazio intermembrana. Questa peculiarità fa sì che
l'energia prodotta dalla scissione dei trigliceridi non venga utilizzata per la produzione
di ATP ma venga trasformata in calore; è quindi specializzato nella dissipazione
dell’energia per scaldare durante il freddo e per la termogenesi indotta dalla dieta. Il
WAT è soprattutto implicato nell’immagazzinamento e nella mobilizzazione
dell’energia nella forma di triacilgliceroli. Inoltre, gli adipociti bianchi hanno proprietà
endocrine, paracrine e autocrine, come quella di secernere la leptina e l’adiponectina. Il WAT è stato trovato depositato in diversi siti anatomici nel corpo, e la localizzazione varia tra le specie. Per i mammiferi e gli uccelli, la maggior parte del grasso è intra- addominale e sottocutaneo, ma il WAT può anche essere ritrovato in altre aree, come la faccia e anche il midollo osseo. I diversi depositi di grasso non sono metabolicamente equivalenti. Per esempio l’accumulo di grasso nel seno e nelle cosce è controllato dagli ormoni sessuali, mentre depositi sul collo o parte superiore dei glutei sono più sensibili ai glucocorticoidi. Similmente, tessuti adiposi diversi mostrano differenti patterns di espressione genica. Queste proprietà molecolari e fisiologiche diverse potrebbero in parte spiegare perché la variazione della distribuzione del WAT è associata a disordini metabolici. Per esempio, potrebbero giustificare un più alto rischio di malattie cardiovascolari osservate in pazienti con un aumentata quantità di WAT sottocutaneo.
Le distinte proprietà dei diversi depositi adiposi potrebbero anche suggerire differenze nella loro origine inerente allo sviluppo. I depositi di WAT appaiono infatti in momenti diversi dello sviluppo. Negli uomini, la formazione del WAT comincia durante il secondo trimestre di gestazione e alla nascita appaiono i depositi viscerali e sottocutanei (Billon et al., 2008). Non ci sono differenze significative correlate al sito e al sesso nello sviluppo precoce. Questa scoperta suggerisce che le notevoli differenze nella distribuzione del tessuto adulto tra uomini e donne si sviluppa più tardi nella vita, presumibilmente sotto il controllo degli ormoni sessuali (Kiess et al., 2007).
Gli adipociti, come i miociti e le cellule dell’osso, derivano dalle MSCs. L’adipogenesi
è generalmente descritta come un processo a due steps. Il primo step comprende la
generazione di precursori committed o pre-adipociti da MSCs. Il secondo step implica la
differenziazione terminale di questi pre-adipociti in adipociti funzionali maturi. I pre-
adipociti perdono la capacità di differenziare in tipi cellulari mesenchimali diversi dagli adipociti. La differenziazione dei pre-adipociti in adipociti è stata studiata molto in vitro, grazie alla creazione di linee cellulari di pre-adipociti, 3T3-E1, selezionate da embrioni di topo disaggregati e da tessuto adiposo adulto grazie alla loro capacità di accumulare triacilgliceroli nel citoplasma. Queste linee cellulari sono dei modelli che riproducono fedelmente la differenziazione dei pre-adipociti, proprio per questa ragione hanno permesso di comprendere i meccanismi di controllo delle fasi terminali dell’adipogenesi. Al contrario, i primi steps del commitment delle MSCs verso il lineage adipogenico rimangono ancora sconosciuti. Questo anche a causa della mancanza di marcatori di superficie specifici dei tipi cellulari intermedi tra MSCs e adipociti maturi e la conseguente impossibilità di isolarli in vivo (Billon et al., 2008).
2.5.1. Meccanismi molecolari alla base dell’adipogenesi
Negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi nella definizione degli eventi trascrizionali che controllano la differenziazione delle MSCs in adipociti. Un complesso network di fattori di trascrizione e regolatori del ciclo cellulare, insieme a specifici coattivatori e corepressori trascrizionali, risponde a stimoli extracellulari per attivare o reprimere la differenziazione adipogenica e la creazione di un fenotipo maturo. Al centro di questo network sono presenti due principali fattori adipogenici, PPARγ e C/EBPα, responsabili del processo di differenziazione dei pre-adipociti in adipociti.
PPARγ, in particolare, è considerato il regolatore master dell’adipogenesi (Farmer,
2006). Senza questo regolatore le cellule non sono in grado di esprimere un fenotipo
adipocitico, caratterizzato da un sottile strato di citoplasma e dalla presenza di gocce
lipidiche al suo interno. Il ruolo di PPARγ è supportato da evidenze sperimentali sia in
vivo che in vitro. Studi basati su gain-of-function di PPARγ, in cui questo veniva fatto esprimere ectopicamente in fibroblasti murini, hanno dimostrato che la proteina era in grado da sola di promuovere l’intero programma adipogenico (Tontonoz et al., 1994).
L’ablazione di PPARγ in ES porta alla morte dell’embrione a E.10 legata a difetti nella
formazione della placenta, suggerendo un ruolo di PPARγ nella formazione del
trofoblasto (Barak et al., 1999). Attraverso altre strategie, sono stati ottenuti topi knock-
out per questo gene che hanno messo in luce il ruolo di PPAR sia nella formazione del
WAT che del BAT. Esistono due isoforme di PPARγ, PPARγ1 e PPARγ2, generate
dall’utilizzo di due promotori diversi sullo stesso gene. PPARγ2 differisce da PPARγ1
per 30 amminoacidi aggiuntivi all’N-terminale. PPARγ1 è espresso in molti tessuti,
mentre PPARγ2 è espresso esclusivamente dal tessuto adiposo. Studi condotti su
fibroblasti embrionali murini (MEFs) PPARγ1-/- hanno dimostrato che facendo
esprimere ectopicamente l’isoforma 1, come la 2, veniva indotta l’adipogenesi. Inoltre
un knock-out selettivo di PPARγ2 nel tessuto adiposo nel topo origina animali
insensibili all’insulina con grasso ridotto; tuttavia, non viene del tutto eliminata la
componente adiposa, indicando che PPARγ1 è in grado di compensare molte delle
funzioni adipogeniche di PPARγ2 (Zhang et al., 2004). Topi PPARγ2 -/- sono resistenti
all’insulina, suggerendo un ruolo di questa proteina nella regolazione della sensibilità
all’insulina. Grazie al legame eterodimerico con RXR (Retinoid X Receptor), il partner
principale durante la differenziazione e maturazione adipocitica, PPARγ è in grado di
regolare la trascrizione dei geni targets (Hamza et al., 2009). Tra questi aP2, espresso
specificamente dagli adipociti, e strettamente correlato all’induzione degli enzimi che
sintetizzano gli acidi grassi e i trigliceridi (Yin et al., 2006). Anche C/EBPα svolge un
ruolo cruciale nell’adipogenesi. L’espressione ectopica in fibroblasti di C/EBPα è in
grado di indurre l’adipogenesi (Freytag et al., 1994). Topi knock-out per questo gene muoiono subito dopo la nascita a causa dell’impossibilità di produrre glucosio. Questo evidenzia un ruolo importante per la gluconeogenesi nel fegato (Wang et al., 1995).
Ablazioni di C/EBPα in tutti i tessuti escluso il fegato hanno rivelato che questo gene è
richiesto per la formazione del WAT; non molto più chiaro risulta il motivo per cui
invece questo non sia richiesto per la formazione del BAT. PPARγ può indurre
l’adipogenesi in topi C/EBPα deficienti, ma non è vero il contrario, in quanto C/EBPα
non è in grado di guidare il programma adipogenico in assenza di PPARγ. Quest’ultimo,
quindi, sembra giocare un ruolo fondamentale e necessario. C/EBPα è richiesto
principalmente per la differenziazione terminale, in quanto la sua mancata espressione
porta ad una resistenza all’insulina delle colture cellulari usate come modelli e
l’impossibilità di sviluppare WAT in vivo; inoltre un’altra sua funzione importante è
mantenere l’espressione di PPARγ negli adipociti maturi. Molti studi si sono concentrati
sull’identificazione dei meccanismi che spingono la differenziazione dei precursori
mesenchimali in adipociti. Una cascata di fattori di trascrizione porta all’espressione di
PPARγ e C/EBPα (Farmer, 2006). In presenza dei corretti stimoli ormonali, pre-
adipociti committed esprimono i fattori bZIP C/EBPβ e C/EBPδ. Questi inducono
l’espressione di C/EBPα e PPARγ (Rosen, 2005). L’espressione ectopica di questi
fattori, in assenza di stimoli ormonali esterni, è in grado di indurre l’espressione di
C/EBPα e il programma adipogenico. Sono state riscontrate delle differenze tra studi in
vivo e in vitro. Topi doppi mutanti, mancanti C/EBPβ (-/-) e C/EBPδ (-/-), mostrano
difetti nella capacità di produrre il tessuto adiposo, ma C/EBPα e PPARγ risultano
espressi, anche se a bassi livelli, nel tessuto adiposo poco differenziato, suggerendo un
ruolo dei primi due successivo rispetto a questi ultimi in vivo. Al contrario, MEFs
ottenuti da questi topi knock-out non esprimono C/EBPα e PPARγ e non sono in grado
di andare in adipogenesi. In vivo potrebbero esistere quindi pathways alternativi con una
funzione ridondante nei primi steps dell’adipogensi, che assicurano l’espressione di
C/EBPα e PPARγ. Proteinec-AMP Regulatory Element-Binding (CREB) sembrano
essere attive durante gli stadi precoci del processo adipogenico nelle linee cellulari usate
come modelli e partecipano all’induzione di C/EBPβ. Questo ruolo spiega la necessità
di includere nel cocktail, che induce il programma adipogenico in coltura, induttori del
c-AMP, come l’isobutilmetilxantina. L’induzione di C/EBPδ è facilitata dai
glucocorticoidi. Molti altri fattori di trascrizione fanno parte del network di fattori
responsabile dell’induzione dell’adipogenesi. Krox20 agisce nelle fasi precoci del
processo differenziativo e sembra contribuire all’espressione di C/EBPβ. Krox20 è un
fattore di trascrizione che viene attivato immediatamente dopo l’esposizione delle
cellule ai mitogeni; non solo promuove l’espressione di C/EBPβ ma coopera anche con
questo per facilitare la differenziazione adipocitica terminale. Il fatto che questi eventi
precoci, inclusi l’attivazione di CREB, Krox20, C/EBPβ precedano l’induzione di
PPARγ e C/EBPα di almeno 1 o 2 giorni, suggerisce che siano richiesti processi
aggiuntivi per facilitare la differenziazione terminale. L’ipotesi più accreditata è che
l’espansione clonale di una popolazione di pre-adipociti sia un prerequisito per la loro
successiva differenziazione in adipociti. L’adipogenesi in vitro è indotta in una
popolazione di cellule confluenti mediante esposizione a Insulina, Dexametasone,
Isobutilmetilxantina e Indometacina. Il mezzo di coltura, ricco di mitogeni, induce
l’intera popolazione delle cellule a rientrare nel ciclo cellulare e intraprendere due cicli
di divisione cellulare prima di procedere alla differenziazione adipogenica terminale. È
richiesta una riorganizzazione della cromatina, grazie alla mitosi, per facilitare
l’induzione dei geni adipogenici. Evidenze sperimentali hanno dimostrato che C/EBPβ
non è in grado di legare subito gli elementi di risposta nei promotori dei geni target, in
quanto risulta legato al DNA satellite; il suo rilascio è facilitato da cambiamenti della
struttura cromatinica durante le fasi di espansione clonale e adipogenesi terminale. Il
ritardo della sua attività è anche dovuto alla sua necessità di essere fosforilato dalle
MAPKs e GSK3, per poter svolgere la sua funzione di DNA-binding. Le fasi precoci
del processo differenziativo sono caratterizzate dalla necessità di una fase di espansione
clonale, durante la quale le cellule esprimono specifici fattori di trascrizioni adipogenici
e regolatori del ciclo cellulare, che insieme facilitano l’espressione di PPARγ e C/EBPα
(Farmer, 2006). Inoltre recenti studi sostengono che il ritardo dell’apparizione di
C/EBPβ e l’espressione di PPARγ2 sia dovuto anche al tempo richiesto per la sintesi di
proteine che facilitano l’attività di C/EBPβ. Un esempio è dato dai fattori di trascrizione
della famiglia Kruppel-like, come Klf5, che contribuisce all’induzione di PPARγ2 in
concerto con C/EBPβ e C/EBPδ (Oishi et al., 2005). Esistono altri fattori che svolgono
un ruolo nell’adipogenesi, convergendo sull’attivazione di PPARγ, come un fattore di
trascrizione HLH (Helix-Loop-Helix) SREBP1c/ADD1. Una over-espressione di questa
proteina HLH aumenta l’attività adipogenica di PPARγ. Un’ablazione in topi delle
STAT5A e STAT5B porta ad uno spettro di risposte patologiche associate all’assenza
dell’ormone della crescita e segnalazione delle prolattina, ma porta anche ad una
riduzione di 5 volte del tessuto adiposo rispetto ad animali Wild-Type (WT). Inoltre,
l’espressione ectopica di STAT5A in fibroblasti non adipogenici induce una
differenziazione, che include anche l’attivazione di Pparγ e l’accumulo di gocce
lipidiche (Floyd e Stephens, 2003) (Figura 2.5).
Figura 2.5. Meccanismi molecolari coinvolti nella differenziazione adipogenica
2.6. MSCs: uno switch controlla il destino differenziativo
La differenziazione delle MSCs in adipociti o osteoblasti è competitivamente bilanciata:
meccanismi che promuovono attivamente un destino differenziativo sopprimono
meccanismi che inducono il lineage alternativo (Figura 2.6).
Figura 2.6. Differenziazione da MSCs in adipociti o osteoblasti richiede l’attivazione di specifici fattori di trascrizione
Questo succede grazie ad un cross-talk tra pathways di segnale complessi, inclusi quelli
mediati da BMPs, Wnt, Hedgehogs, Delta/Jagged, FGF, IGF, Insulina e i regolatori
trascrizionali master dell’adipogenesi e dell’osteogenesi, rispettivamente PPARγ e
Runx2 (Muruganandam et al., 2008) (Figura 2.7).
Figura 2.7