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Suicidio annunciato di Marco Prato, trasferito in un carcere meno «favorevole»

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Suicidio annunciato di Marco Prato,

trasferito in un carcere meno «favorevole»

- Eleonora Martini, 21.06.2017

La denuncia del Garante nazionale, Mauro Palma. Il presunto killer di Luca Varani morto a Velletri. A Regina Coeli insegnava agli stranieri. La procura apre un'inchiesta

Un suicidio è imponderabile per definizione. Analizzarne i motivi o perfino tentare di evitarlo potrebbe risultare esercizio sterile. Tanto più se a togliersi la vita è un detenuto come Marco Prato, 31 anni e già tre tentativi di suicidio alle spalle, prima e dopo l’orrendo delitto di cui era accusato: la tortura e l’omicidio brutale e sanguinario del 23enne Luca Varani, ucciso (secondo l’accusa insieme all’amico Manuel Foffo, già condannato in rito abbreviato a 30 anni di reclusione) il 4 marzo 2016 in un appartamento della periferia est di Roma, per puro sadismo. Eppure dei 23 suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno (52 i morti, secondo Ristretti orizzonti) raramente ce n’è stato uno tanto annunciato.

Marco Prato si è ucciso, usando una bomboletta di gas e un sacchetto di plastica e proprio alla vigilia dell’udienza del suo processo, in una cella del carcere di Velletri dove era finito per la seconda volta dall’estate scorsa, trasferito da Regina Coeli. Chi lo aveva visitato nel reparto 8 della prigione romana, come il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma (nell’estate 2016) o la Radicale Rita Bernardini (a marzo 2017), lo aveva trovato molto depresso. Anche se la direzione del carcere assicura che «aveva colloqui settimanali con uno psichiatra della Asl» e l’ultima relazione medica di cinque giorni fa era stata molto tranquillizzante.

Ieri invece il Garante nazionale dei detenuti ha emesso un duro comunicato sulla vicenda.

E non a caso, la procura di Velletri ha aperto un’inchiesta contro ignoti per istigazione al suicidio, coordinata dal pm Francesco Prete che dovrà verificare anche se lo stato psicofisico dell’uomo fosse compatibile con la reclusione in una prigione così sovraffollata, sotto organico di personale, e dove

«la cosiddetta Articolazione psichiatrica è inesistente», come ha spiegato Palma.

Il Garante nazionale ha riferito i motivi con i quali il Dap ha giustificato lo spostamento di Marco Prato che «a Regina Coeli aveva cominciato ad insegnare italiano agli stranieri» a Velletri. «Nei mesi scorsi scrive Palma una sua legittima richiesta di poter essere trasferito a una sezione diversa al fine di svolgere attività è stata il pretesto per un suo nuovo invio a Velletri, avendo

l’Amministrazione penitenziaria ritenuto che questa richiesta fosse indicativa del fatto che la

permanenza in questo Istituto è ormai un fattore a favore del soggetto che gli permette di adattarsi e crearsi un ambiente favorevole». Sono parole testuali, quelle riferite dal Garante. Il quale prosegue la nota «aveva segnalato alla direzione del carcere e al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria la paradossalità di questa affermazione () Il positivo percorso trattamentale è stato usato come pretesto per il trasferimento in una situazione di peggiori condizioni. Al di là di

rassicurazioni informali e generiche nessuna di queste autorità responsabili ha voluto recedere dalla posizione presa, nonostante l’indicazione dell’inadeguatezza della collocazione a Velletri e del

rischio suicidario ancora esistente».

Un giudizio duro, quella di Mauro Palma, e coraggioso. Perché la difesa dei diritti dei detenuti che si macchiano di reati così efferati è particolarmente impopolare e suscita pensieri d’odio (Prato infatti era recluso in una sezione protetta). Anche il ministro Orlando però non si è fatto intimidire, e da New York ha chiesto al Dap «un rapporto dettagliato per vedere se il protocollo di prevenzioni dei suicidi (dove il Guardasigilli aveva inserito le regole europee che impongono di preparare

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psicologicamente i detenuti ad eventuali trasferimenti di istituto, ndr) è stato rispettato».

Al ministro viene rivolto però l’appello di Ilaria Cucchi, presidente dell’associazione Stefano Cucchi Onlus e di Irene Testa, presidente dell’Associazione Radicale «Il Detenuto Ignoto», perché emani

«quanto prima i decreti delegati sulla riforma dell’ordinamento penitenziario», e metta fine «in modo istantaneo, alla immane violenza di uno Stato, l’Italia, che viola e continua a violare sempre più le sue stesse leggi a tutela del diritto di ogni suo cittadino».

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