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Discrimen » Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza

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Academic year: 2022

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Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

27

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Dove va il diritto penale, quali sono i suoi itinerari attuali e le sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto pe- nale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza uti- litaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico- criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, perso- nalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale”

che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interro- garsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevolez-

za di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto pena-

le, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad

approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più lar-

go giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distan-

za prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezio-

ne Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni

necessariamente contenute, su momenti attuali o incroci parti-

colari degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più signifi-

cative spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova

espressione il ricorrente trascorrere del “penale”.

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IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ NEL DIRITTO PENALE

CANONE DI POLITICA CRIMINALE, CRITERIO ERMENEUTICO, PARAMETRO DI RAGIONEVOLEZZA

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

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http://www.giappichelli.it

ISBN 88-348-5730-5

Composizione: Compograf - Torino Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volu- me/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTI- GIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it

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e a mio padre

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– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.

– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, risponde Marco, ma dalla linea

d’arco che esse formano.

Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge:

– Perché mi parli delle pietre?

È solo dell’arco che m’importa.

Polo risponde:

– Senza pietre non c’è arco.

(I. C

ALVINO

, Le città invisibili)

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da, va al professor Filippo Sgubbi, per il costante sostegno e la fiducia, e, soprattutto, perché al Suo insegnamento devo l’entusiasmo che è for- se la cifra essenziale, e la ragione fondante, di questo percorso.

Ma ho contratto molti altri debiti di gratitudine durante questi an- ni: con il prof. Gabriele Fornasari, a cui ringrazio la tenacia e la dedi- zione con la quale mi ha seguito sin dall’inizio; con i professori Massi- mo Donini, Gaetano Insolera e Nicola Mazzacuva, le cui sollecitazioni – e, soprattutto, la cui disponibilità ad un costante, preziosissimo dia- logo – hanno avuto un valore autenticamente fondativo per questa ri- cerca; e con tutti coloro che, leggendo il manoscritto, mi hanno inco- raggiato a proseguire il cammino, con consigli, suggerimenti, e, so- prattutto, critiche.

Un pensiero di ringraziamento, inoltre, desidero esprimere all’allo- ra direttore del Max-Planck-Institut für ausländisches und internatio- nales Strafrecht, prof. Albin Eser, per l’ospitalità periodicamente rice- vuta negli anni 1999-2003; e al prof. Hans-Heinrich Jescheck, per le in- dimenticabili Sprechstunde.

Grazie, infine, a mia sorella Paola, per l’inesauribile affetto; e a Fe- derica, per avermi accompagnato con il suo sorriso nei momenti deci- sivi.

V.M.

Bologna, ottobre 2005

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XV 1

11

16

19

25

41 ABBREVIAZIONI

INTRODUZIONE

P

ARTE

I

IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ NELLA FONDAZIONE COSTITUZIONALE DELLA POLITICA CRIMINALE

CAPITOLOI

LO SCENARIO DELLA TEORICA DEL BENE GIURIDICO, TRA ASPIRAZIONI CRITICHE E INVOLUZIONI METODOLOGICHE

1. Il «livello politico» e la selezione degli oggetti della tutela penale:

alle radici dell’incontro con la teorica del bene giuridico

1.1. Concezioni «critiche» (o «orientate alla politica criminale») vs. concezioni «formali» (o sostanzialmente «metodologi- che») del bene giuridico

1.1.1. Le concezioni «critiche»: il bene giuridico come «dato prepositivo» e «esterno» alla norma e come parametro valutativo in tensione con i doveri del legislatore. La

«personale Rechtsgutslehre»

1.1.2. Le concezioni «formali» (o «sostanzialmente metodo- logiche»): il bene giuridico come «dato interno alla norma» o come «scopo» di essa. Il bene giuridico come

«accessorio» dogmatico nel modello funzionalista. La dissoluzione nel concetto di «pretesa di osservanza»

CAPITOLOII

LA TEORIA COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DEL BENE GIURIDICO: «SPLENDORE E CRISI»

2. L’approccio costituzionale e la sua ambivalenza: la Costituzione come limite o come fondamento dell’intervento penale

pag.

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140 140 142 2.1. La «teoria costituzionalmente orientata del bene giuridico» di

Franco Bricola: i «beni di rilevanza costituzionale» e il «prin- cipio di offensività» (o di «necessaria lesività»)

2.1.1. La costituzionalizzazione del principio di offensività e le sue conseguenze

2.1.2. L’offensività nel prisma della «dimensione fondaziona- le» della Costituzione

2.1.3. Excursus: principio di offensività, principio di materia- lità e principio nullum crimen sine iniuria

2.2. Le radici storiche e culturali della teoria del bene giuridico co- stituzionalmente orientata

2.3. Le critiche alla teoria di Bricola. La Costituzione come sem- plice limite per il diritto penale

2.4. Conseguenze. La dimensione flou del principio di offensività 2.4.1. Le tecniche di aggiramento del principio di offensività.

L’utilizzo di beni giuridici «vaghi» o «indeterminati»

2.4.2. (Segue): lo schema della plurioffensività 2.4.3. (Segue): la teorica dei beni giuridici strumentali 2.4.4. Dalla «tutela di beni» alla «tutela di funzioni»

2.4.5. La formalizzazione dell’offesa in chiave strumentale e le ripercussioni sul «volto costituzionale dell’illecito penale». Paradigmatica della «tutela di funzioni»

2.4.5.1. Riflessi sul piano del principio di legalità (ri- serva di legge; tassatività/determinatezza) 2.4.5.2. Riflessi sul piano del principio di colpevolezza 2.4.5.3. Riflessi sul piano della funzione della pena 2.5. L’indebolimento del principio di offensività e le sue ricadute

sulla teoria del bene giuridico: le recenti vicende della politica criminale

CAPITOLOIII

LE PROSPETTIVE ATTUALI DELLA TEORICA DELL’OFFENSI- VITÀ E DEI BENI DI RILIEVO COSTITUZIONALE

3. «Vivo» e «morto» nella teorica dell’offensività. Il fondamento as- siologico e costituzionale della ricerca «costituzionalmente orien- tata» degli oggetti di tutela

3.1. La perdita di centralità dell’«argumentum libertatis» (in senso stretto) e le sue ricadute

3.2. La traslitterazione dell’offensività nel giudizio di proporzione 3.3. La sottovalutazione della qualificazione penalistica e delle sue

conseguenze sulla sfera del singolo

3.3.1. L’efficacia stigmatizzante dell’accertamento penale 3.3.2. L’incisività dei poteri attribuiti alla polizia giudiziaria e

all’autorità giudiziaria nell’accertamento penale

pag.

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213 218 230 3.3.3. Gli «effetti penali» della condanna

3.4. La qualificazione penalistica dell’illecito al cospetto dell’attua- le dimensione valorativa del concetto di libertà personale 3.5. La perdurante attualità del riferimento costituzionale come

criterio vincolante, ma duttile, nella selezione degli oggetti di tutela: limiti e prospettive

3.5.1. La Costituzione come catalogo «aperto» e l’ermeneuti- ca costituzionale

3.5.2. La difficile, ma necessaria, ricognizione dei «sottointe- ressi» di rilievo costituzionale. L’esempio della «traspa- renza societaria»

3.5.3. Valori costituzionali e livello di «comprensione socia- le» del bene giuridico

3.5.4. (Segue): i diversi vettori della «comprensione sociale»

del bene giuridico (input/output)

3.5.5. La revisionabilità della Costituzione come ultima ratio 3.5.6. Beni di rilievo costituzionale e significatività. L’oriz-

zonte dei diritti fondamentali

3.5.7. Le prospettive aperte dalla Carta dei diritti fondamen- tali dell’Unione (e della Costituzione europea)

3.5.8. La proposta di «costituzionalizzazione» della tesi dei beni di rilievo costituzionale (l’art. 129 del Progetto di riforma costituzionale della Commissione bicamerale)

P

ARTE

II

I PARADIGMI OPERATIVI DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

CAPITOLOI

LA POSIZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLA «TEORIA COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA

DEL BENE GIURIDICO» E SUL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

1. Dal livello politico-costituzionale al livello giuridico-costituzionale 1.1. La Costituzione come mero limite del diritto penale nella giu-

risprudenza costituzionale (e l’uso solo argomentativo della tesi dei «beni costituzionali» come legittimi oggetti di tutela) 1.2. L’utilizzo del principio di ragionevolezza come criterio di con-

trollo contenutistico sulla fattispecie penale

1.3. (Segue): la sentenza della Corte n. 354 del 2002: verso un pri- mo utilizzo dell’offensività in chiave dimostrativa

pag.

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300 302

307 1.4. Il principio di offensività come «canone interpretativo univer-

salmente accettato»

1.5. L’offensività come vettore di determinatezza e, dunque, di ra- gionevolezza

1.6. Interludio. I tre volti del principio di offensività: canone di po- litica criminale, criterio ermeneutico, parametro di legittimità costituzionale

CAPITOLOII

L’OFFENSIVITÀ COME CRITERIO ERMENEUTICO

2. L’offensività come criterio ermeneutico e l’applicazione critica del diritto penale: l’eredità della c.d. concezione realistica del reato e l’orizzonte dell’«esiguità»

2.1. Le direttrici di applicazione dell’offensività come criterio-gui- da dell’interpretazione teleologica

2.1.1. Riconversione «costituzionale» dei beni oggetto di tu- tela e principio di offensività

2.1.2. Offensività e proporzione nell’intepretazione del tipo legale

2.2. La limitata operatività del principio «interpretativo» di offensi- vità di fronte a taluni modelli strutturali. La distinzione tra be- ne-oggetto e bene-scopo e gli spazi residui per una valorizzazio- ne della dimensione critica e costituzionale del bene protetto 2.3. Excursus: i progetti di codificazione del principio di offensività

CAPITOLOIII

L’OFFENSIVITÀ COME PARAMETRO DI RAGIONEVOLEZZA

3. L’offensività come parametro di ragionevolezza del precetto penale 3.1. Offensività e ragionevolezza in relazione all'oggetto di tutela o al bilanciamento di interessi sotteso alla meritevolezza di pena 3.2. Offensività e ragionevolezza delle tecniche di (anticipazione

della) tutela penale

3.2.1. Pericolo astratto e presunzione di pericolosità non em- piricamente fondata

3.2.2. (Segue): le fattispecie autorizzative

3.2.3. Le presunzioni di pericolo fondate su condizioni o qua- lità soggettive

3.2.4. Le incriminazioni di «pericolo indiretto»

BIBLIOGRAFIA

pag.

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AP Archivio penale AT Allgemeiner Teil

AUF Annali dell’Università di Ferrara Aufl. Auflage

BBTC Banca borsa e titoli di credito BverfG Bundesverfassungsgericht

BverfGE Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts CD Critica del diritto

CG Corriere giuridico CP Cassazione penale

DDP Digesto delle discipline penalistiche DDPub Digesto delle discipline pubblicistiche DDDP Dei delitti e delle pene

DPP Diritto penale e processo ED Enciclopedia del diritto

EG Enciclopedia Giuridica Treccani

FI Foro italiano

FP Foro penale

FS Festschrift

GA Goltdammers’ Archiv für Strafrecht GC Giurisprudenza costituzionale GD Guida al diritto

GI Giurisprudenza italiana GM Giurisprudenza di merito GP Giustizia penale (La) IP Indice penale (L’) JuS Juristische Schulung

JZ Juristenzeitung

KritV Kritische Vierteiljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft

LP Legislazione penale

Nss.D.I. Novissimo Digesto Italiano NStZ Neue Zeitschrift für Strafrecht PD Politica del diritto

QC Questione criminale (la)

QG Questione giustizia

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RDC Rivista di diritto costituzionale

RIDP Rivista italiana di diritto penale (sino al 1958) RIDPP Rivista italiana di diritto e procedura penale RIDU Rivista internazionale dei diritti dell’uomo RIEJ Revue interdisciplinare d’ètudes juridiques RP Rivista penale

RTDPC Rivista trimestrale di diritto e procedura civile RTDPE Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia StGB Strafgesetzbuch

ZRP Zeitschrift für Rechtspolitik

ZStW Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissenschaft

(18)

1Il lemma «offensività» identifica, come noto, la «lesione o messa in pericolo dell’interesse protetto»; in tale accezione, anche il termine «lesività» è di regola usa- to in un significato del tutto equivalente (e ciò perché nell’espressione «lesività» si intende ricompresa non la sola lesione ma anche la semplice messa in pericolo del- l’interesse protetto).

2Per una presa di posizione esplicativa sul concetto di «principi» nel diritto pe- nale, e su talune caratterizzazioni distintive rispetto al concetto di «norme», si ve- da, di recente, FIANDACA, Introduzione ai principi generali del diritto penale, in FIAN-

DACA-DICHIARA, Una introduzione al sistema penale, Napoli, 2003, 6 ss.; sui diversi caratteri dei principi penalistici, e sulle relative funzioni, cfr. inoltre, BERNARDI, Sul- le funzioni dei principi di diritto penale, in AUF, 1991, 59 ss.

Si può senz’altro concordare con l’affermazione ormai consueta che vede nell’«offensività» un prodotto concettuale tipicamente riferi- bile all’elaborazione penalistica italiana

1

. Ad esso, nelle diverse rico- struzioni dottrinali, si riconosce una valenza ancìpite, proiettata sulla duplice dimensione di «categoria» e di «principio».

Come «categoria» – quale concetto descrittivo di sintesi, piuttosto che come «categoria sistematica» –, l’offensività identifica la cifra che permette di misurare la caratterizzazione lesiva della condotta tipizza- ta in una data fattispecie incriminatrice, rispetto al bene giuridico che si assume tutelato nella stessa. Le sue declinazioni più comuni, in un lessico che trascenda i confini della geografia dogmatica nazionale, so- no quelle che rimandano alle tipologie del pericolo e del danno, e alle diverse e frastagliate modulazioni che le specificano.

Come «principio», invece, esso presenta una complessità che riflet-

te la natura trasversale delle sue pretese prescrittive, e che lo rende

persino difficile da tradurre nelle categorie giuridico-penali di ordina-

menti anche vicini al nostro, non essendo dato rintracciare autentici

correlativi che non siano frutto di una mera trasposizione dell’elabora-

zione italiana. Non tanto – o non solo – perché esso presenta le ambi-

guità tipiche del concetto di «principio», nel suo incessante periclitare

tra dimensione giusnaturalistica e diritto positivo, e nella costante ri-

cerca della propria essenza di «norma»

2

. Quanto perché sottende pro-

blematiche distinte e collocate a diversi livelli: quello della plausibilità

dell’opzione penale sul piano politico, e dell’istanza di razionalità che

(19)

3Tanto che il «principio di offensività» sarebbe uno dei principi «inespressi» o

«impliciti» del sistema, come prospettava, nel suo celebre saggio, già VASSALLI, I principi generali del diritto nell’esperienza penalistica, in RIDPP, 1991, 699 ss., 703 (pur in chiave dubitativa), e come di recente afferma FIANDACA, Introduzione ai prin- cipi generali del diritto penale, cit., 9 e 117.

4PALAZZO, Costituzione e diritto penale (un appunto sulla vicenda italiana), in RDC, 1999, 167 ss., 172; amplius, ID., Valori costituzionali e diritto penale (un con- tributo comparatistico allo studio del tema), in AA.VV., L’influenza dei valori costitu- zionali sui sistemi giuridici contemporanei, a cura di Pizzorusso-Varano, Tomo I, Milano, 1985, 531 ss., in partic. 578 ss., 584 ss.

5DONINI, voce Teoria del reato, in DDP, XIV, 1999, 8 (dell’estratto).

6Ancora DONINI, Dogmatica penale e politica criminale a orientamento costitu- zionalistico. Conoscenza e controllo critico delle scelte di criminalizzazione, in DDDP, 1998, fasc. 3, 37 ss., 58; inoltre, cfr. ID., Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta Costituzionale. L’insegnamento dell’esperienza italiana, in FI, V, 2001, 29 ss. e, per un bilancio ulteriore, ID., Il volto attuale dell’illecito penale, Mila- no, 2004, 61 ss., 66 ss.

la legittima; quello dell’applicazione critica delle fattispecie incrimina- trici.

Approssimandoci a questa seconda dimensione, lo spessore delle aspettative riposte nel «principio di offensività» sul piano politico-cri- minale (assiologico), e delle prestazioni ad esso attribuite a livello dog- matico (epistemologico), è proporzionale al lignaggio della sua genesi, e della sua ancora attuale e diretta affinità con il «volto costituzionale dell’illecito penale».

Nonostante l’assenza di un espresso riconoscimento normativo rin- tracciabile nella Costituzione o altrove

3

, il razionalismo di una politi- ca criminale costituzionalmente fondata – quale tradizionale aspira- zione della scienza penalistica italiana

4

e quale riflesso di quella più vasta «koiné culturale» che ha visto nell’approccio costituzionale il

«metodo trasversale alle principali ‘scuole’ penali»

5

, se non l’autentico mos italicus

6

–, ha creduto di vedere proprio nel principio di offensi- vità (o di necessaria lesività) un originale e formidabile volano per cer- care di rintracciare fondamento, contenuti e limiti dell’intervento pe- nale, sia nella sua circoscrizione astratta, che nella sua gestione con- creta.

Sotto il primo profilo, da un lato si è visto nell’offensività il punto di fuga a cui poter orientare la scelta degli oggetti di tutela, e, dunque, la

«problematica del bene giuridico», aspirando ad offrirne una «giuridi- cizzazione» alla luce del tracciato costituzionale; dall’altro, esso è sta- to un fondamentale gradiente alla luce del quale parametrare le tecni- che di tutela compatibili con il quadro dei principi.

Sotto il secondo profilo, il canone dell’offensività è stato pensato e

sempre più utilizzato come criterio interpretativo in materia penale

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per una ermeneutica costituzionalmente guidata (recuperando così, in definitiva, l’eredità della c.d. «concezione realistica del reato», e con essa le timide e discusse aperture verso un concetto di antigiuridicità orientato in senso sostanziale).

Tutto ciò è ben noto, e fa parte ormai di un patrimonio tralatizio dell’esperienza penalistica italiana nell’approccio costituzionale, offer- to persino al flusso dell’esportazione concettuale e così assimilato in altri contesti.

In realtà, questa importante eredità, come ogni ingente lascito, sug- gerisce, oggi più che mai, una accettazione con «beneficio di inventa- rio», perché molte delle ambiziose promesse originarie che hanno ga- rantito al principio di offensività una «sontuosa celebrità» sono state tradite sia nell’esperienza legislativa che nella prassi applicativa.

Infatti, l’«inarrestabile crisi» del concetto di bene giuridico non ha certo trovato nell’offensività un argine capace di sorreggere l’impeto delle più diverse istanze di penalizzazione. Il principio di offensività, pur iscritto dalla più autorevole manualistica italiana tra i «principi fondamentali» in materia penale, e in astratto riconosciuto come limi- te di rango costituzionale alla discrezionalità legislativa, ha avuto spes- so un ruolo più onorifico che effettivo. Basti pensare che esso non è mai stato utilizzato dalla Corte Costituzionale come parametro diretto ed autonomo per dichiarare l’illegittimità di una fattispecie incrimina- trice; e ciò, nonostante lo scenario politico-criminale dimostri una pre- ferenza crescente per modelli di tipizzazione edificati su sensibili anti- cipazioni della tutela, o spesso su vere e proprie presunzioni di perico- losità, il cui utilizzo – è noto – riflette un paradigma dominante specie nel diritto penale complementare.

Piuttosto, nell’argomentazione dei giudici costituzionali il criterio della necessaria lesività ha visto via via restringersi il proprio raggio d’azione al livello applicativo, quale «canone interpretativo universal- mente accettato», funzionale ad una circoscrizione della tipicità og- gettiva delle singole fattispecie sul piano esegetico, e capace, pertan- to, di mettere al riparo da possibili censure di legittimità talune ipote- si stridenti di pericolosità astratta, presunta, o semplicemente indi- retta.

Su questa scia, tuttavia, si è andata perdendo l’idea-forza che presi-

diava la tematica dell’offensività; quella di poter offrire non solo un

criterio guida nelle opzioni di politica criminale, ma anche un para-

metro di legittimità ad uso della Corte delle leggi. Disertando tale sche-

ma, infatti, gli strumenti del controllo contenutistico sulla fattispecie

incriminatrice si sono sempre più concentrati e stilizzati sul parame-

tro della ragionevolezza: il riferimento a questo principio, originaria-

mente sperimentato per assicurare la coerenza ordinamentale, e poi

per garantire l’equilibrio sanzionatorio della scelta penale, ha permes-

so in realtà alla Corte, in taluni casi-limite, di ridiscutere non solo la

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7Su questa basilare distinzione tra principi informatori o di indirizzo, dotati di mera efficacia argomentativa, e principi dotati di capacità dimostrativa, «tale da farli assurgere al rango di norme costituzionali cogenti nella costruzione di tutte le leggi ordinarie e suscettibili di essere applicati autonomamente (senza l’ausilio di altri principi) dalla Corte Costituzionale per caducare le disposizioni in contrasto con essi», si veda DONINI, voce Teoria del reato, cit., § 6. Inoltre, ID., Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta Costituzionale, cit., 35, e, con riferi- mento diretto all’offensività, ID., Prospettive europee del principio di offensività, in AA.VV., Verso un codice penale modello per l’Europa. Offensività e colpevolezza, a cu- ra di Cadoppi, Padova, 2002, 109 ss., 111; una analoga distinzione, intesa a focaliz- zare la differenza tra «veri e propri principi aventi efficacia normativa», «orienta- menti» o caratteri del sistema ovvero direttive di politica legislativa, era già stata lu- meggiata da VASSALLI, I principii generali del diritto nell’esperienza penalistica, cit., 704 ss., 738 s.

Questa prospettiva sottolinea dunque che un «principio», una volta ottenuta espressamente o implicitamente cittadinanza nel sistema come principio «giuridi- co» (da cui la distinzione, sottolineata ancora da FIANDACA, Introduzione ai principi generali del diritto penale, cit., 10, tra «principi del diritto penale» e «principi di po- litica criminale» a carattere pre-giuridico) può avere diversi «gradi» di giuridicità, a seconda delle prestazioni direttamente invalidanti ad esso riconosciute rispetto a norme che si pongono in contraddizione con lo stesso.

congruità della comminatoria edittale, ma anche la stessa scelta di contenuto dell’opzione penale.

Proprio questa trasmigrazione fotografa bene le coordinate attuali, e la direzione di senso, della tematica che si è scelto di approfondire; e soprattutto lascia trasparire con nettezza lo «statuto costituzionale ambiguo» del principio di offensività che – attingendo ad una distin- zione che rappresenterà un punto di riferimento costante nel glossario di questa ricerca – non si è ancora visto riconoscere alcuna capacità o

«forza di legge» dimostrativa – tale da poter supportare una declarato- ria di illegittimità –, ma solo carattere argomentativo, o valenza di me- ro indirizzo politico

7

. Una versione «minimale» in cui ben si inquadra, in parallelo, anche la ormai consolidata funzione di ausilio ermeneuti- co per risolvere, in sede applicativa, taluni casi-limite (declinazioni più aggiornate e «moderne» dei modelli paradigmatici, e ormai «di scuo- la», del furto nummo uno o del falso «grossolano»).

La linea evolutiva brevemente ripercorsa – dal tradimento delle ori-

ginarie aspirazioni al «passaggio di consegne» ad altri criteri di con-

trollo – sembrerebbe dunque dimostrare una riconversione della teori-

ca originaria in una veste «più castigata» e più conforme alle fenome-

nologie tipiche e alle modulazioni del diritto penale contemporaneo; o

persino lascerebbe presagire un suo superamento di fronte al progres-

sivo consolidarsi dei postulati programmatici del «diritto penale del ri-

schio», e dei suoi pionieristici modelli strutturali (si pensi, ad esempio,

al «principio di precauzione»). Un contesto nel quale, d’altronde, viene

spesso rimarcata l’obsolescenza dei più radicati canoni garantistici –

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8Il richiamo diretto è al celebre saggio di FIANDACA-MUSCO, Perdita di legittima- zione del diritto penale?, in RIDPP, 1994, 23 ss.; da un’analoga denuncia – peraltro ormai consueta – prende l’avvio, di recente, la riflessione di G. DEFRANCESCO, Pro- grammi di tutela e ruolo dell’intervento penale, Torino, 2004, 9 ss.

9In questi termini proprio uno dei più autorevoli e tenaci alfieri dell’approccio costituzionale, e cioè FIANDACA, La legalità penale negli equilibri del sistema politico- costituzionale, in FI, 2000, V, 137 ss., 141; diversamente, sottolinea l’attualità e le potenzialità inespresse dei principi costituzionali quali vettori di una modernizza- zione del diritto penale che bilanci esigenze di efficienza con le imprescindibili ga- ranzie individuali, DOLCINI, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuo- vo millennio, in RIDPP, 1999, 10 ss.

10DONINI, Prospettive, 112, e nota 3; ID., voce Teoria del reato, cit., 267 ss.

primo fra tutti lo stesso principio di personalità della responsabilità – ovvero, persino, una generalizzata «perdita di legittimazione del dirit- to penale»

8

.

E in quest’orizzonte, tra utopia e rassegnazione, sembrerebbe aver avuto la meglio quest’ultima: dal «progetto» di Franco Bricola, e del movimento penalistico italiano sviluppatosi a partire dagli anni Set- tanta, che auspicava una Costituzione capace di farsi fondamento, e non mero limite, del diritto penale, e che vedeva proprio nell’offensi- vità l’autentica «chiave di volta» di quel sistema, si è giunti ad una let- tura estremamente riduttiva di quel principio, costretto a rivedere se stesso e confinato, per lo più, al rango di mero escamotage interpreta- tivo. Tanto che si comprende il tiepido distacco di chi, aprendo il dia- framma di osservazione, ha avanzato il timore che «una dogmatica co- stituzionalmente orientata non possa, in prospettiva, dare molto di più di quanto ha già dato (…)»

9

.

Tuttavia, non pare che l’atteggiamento minimalista della giurispru- denza costituzionale mascheri un autentico rifiuto o una vera e pro- pria «crisi di rigetto»; piuttosto, sembra che l’efficacia argomentativa del canone di necessaria lesività si sia comunque vascolarizzata nel tessuto connettivo del sistema, affermandosi – pur in taluni casi peri- ferici – attraverso la forza dimostrativa di altri principi più consueti e collaudati negli schemi concettuali della Consulta.

In altri termini, se nell’orizzonte attuale il principio di offensività ri- sulta condiviso come «valore» piuttosto che come modello autentica- mente precettivo, ciò sembra dovuto al fatto che esso non si è ancora espresso attraverso parametri tecnici di controllo sulle scelte legislati- ve che pemettano di superare il limite della political question, raziona- lizzando metodo e criteri di giudizio in modo da impedire o almeno ri- durre ad un grado tollerabile (e compatibile con la separazione dei po- teri) il rischio di arbitrî valutativi di un organo, la Corte, estraneo al circuito della legittimazione democratica

10

.

Ma se nell’ambito del sindacato sulle scelte incriminatrici l’offensi-

(23)

11Per la caratteristica propria dei principi di offrirsi come «Optimierungsgebo- te», suscettibili appunto di «indefinite potenzialità di realizzazione, da un minimo a un massimo», cfr. ancora DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, 33, sulla traccia di Alexy (ALEXY, Theorie der Grundrechte, Baden-Baden, 1985, 75 s., 152).

vità ha visto ridurre il proprio perimetro operativo in favore della ra- gionevolezza, e di altri principi ritenuti immediatamente «giustiziabi- li», ciò significa, in ogni caso, che il suo «principio attivo» – forse tra- visato sotto altre vesti – è ancora capace di «reagire», com’è dimostra- to, d’altronde, dal suo profondo radicamento negli schemi interpreta- tivi seguiti dalla giurisprudenza nell’ermeneutica di fattispecie, e, dun- que, in quella Kriminalpolitik im kleinen che orienta la gestione quoti- diana del problema giuridico-penale; quasi che la «topica» dell’offensi- vità, mantenendo comunque in vita il principio, abbia fatto premio su una dimensione sistematica incapace di dimostrarsi coerente.

Occorre allora interrogarsi sulla struttura e sul contenuto del suo modello argomentativo, sulle sue cadenze, sulla dinamica dei rapporti di reciproca implicazione o persino di intercambiabilità che lo legano agli altri parametri di legittimità; per valutare se questa transfluenza mascheri una indebita «invasione di campo», o solo una fisiologica e proficua osmosi, alla luce della quale l’offensività possa riguadagnare vigore dimostrativo, magari offrendosi proprio come uno dei parame- tri in grado di dirigere il controllo di ragionevolezza.

Questo lo scopo della presente ricerca, che prenderà le mosse dalla genesi del principio di offensività, per cercare di analizzarne fonda- mento, struttura e funzioni, allo scopo di rintracciare le basi di un suo possibile «statuto dimostrativo», e, comunque, di evidenziare i percor- si e gli schemi all’interno dei quali le diverse istanze giurisprudenziali che rendono ancora attuale il codice dell’offensività possano trovare una possibile razionalizzazione, e un punto di equilibrio all’interno delle sue «indefinite potenzialità di realizzazione»

11

.

Una precisazione, tuttavia, servirà a chiarire ulteriormente il conte- nuto, ma soprattutto i limiti, dello studio proposto.

Trattando dell’offensività come principio, piuttosto che come cate- goria, l’indagine non considera direttamente i profili dogmatici legati, tradizionalmente, alla tematica del bene giuridico, tralasciando il ruo- lo da questo esercitato, o allo stesso attribuito, nei più diversi ambiti:

dalla soluzione delle problematiche sottese al concorso di norme, alla

distinzione tra reato autonomo ed elemento circostanziale, all’applica-

zione della legge penale nel tempo, di fronte a vicende successorie o

abrogative, fino all’identificazione della persona offesa dal reato (e i di-

versi profili di disciplina, sia di carattere sostanziale che processuale,

ad essa relativi).

(24)

Nella stessa prospettiva, anche la tematica del «pericolo» (tipologie e tecniche di tipizzazione; gradi di astrazione; struttura e accertamen- to, ecc.), così prossima al tema dell’offensività, sarà affrontata solo dal- l’angolatura delle premesse di legittimazione che la riguardano, e nel- la misura in cui, ancora, si rende utile e necessaria per chiarire la coe- renza e la capacità di tenuta della teorica costituzionalmente orientata del bene giuridico; avendo comunque l’impressione che i suoi stilemi

«classici», così come le distinzioni categoriali con cui tradizionalmen-

te si è inteso scandire in modo spesso perentorio i tempi e i modi della

politica criminale (pericolo concreto vs pericolo astratto/presunto), si

rivelano, ormai, largamente insoddisfacenti, e che una ermeneutica

dell’offensività a base costituzionale possa persino condurre a smenti-

re la «forma» apparentemente indicata nel tipo legale.

(25)
(26)

IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ NELLA FONDAZIONE COSTITUZIONALE

DELLA POLITICA CRIMINALE

(27)
(28)

LO SCENARIO DELLA TEORICA DEL BENE GIURIDICO, TRA ASPIRAZIONI CRITICHE

E INVOLUZIONI METODOLOGICHE

SOMMARIO: 1. Il «livello politico» e la selezione degli oggetti della tutela pe- nale: alle radici dell’incontro con la teorica del bene giuridico. – 1.1. Conce- zioni «critiche» (o «orientate alla politica criminale») vs. concezioni «for- mali» (o sostanzialmente «metodologiche») del bene giuridico. – 1.1.1. Le concezioni «critiche»: il bene giuridico come «dato prepositivo» e «esterno»

alla norma e come parametro valutativo in tensione con i doveri del legisla- tore. La «personale Rechtsgutslehre». – 1.1.2. Le concezioni «formali» (o «so- stanzialmente metodologiche»): il bene giuridico come «dato interno alla norma» o come «scopo» di essa. Il bene giuridico come «accessorio» dog- matico nel modello funzionalista. La dissoluzione nel concetto di «pretesa di osservanza».

1. Il «livello politico» e la selezione degli oggetti della tutela penale:

alle radici dell’incontro con la teorica del bene giuridico

Come si è anticipato, la tematica dell’offensività affonda le sue ra- dici più profonde nel problema stesso della legittimazione del diritto penale, interrogandosi sui possibili predicati della tutela e sulla misu- ra della stessa, ossia su qualità e quantità dell’offesa degna di rilevanza penale.

La prima prospettiva d’indagine è, di conseguenza, una prospettiva

«politica» (o «politico-criminale»), che inquadra il principio di offensi- vità in rapporto dialettico con i doveri del legislatore; proprio sotto questo punto di vista esso ha incrociato la teorica del bene giuridico, rappresentando, per così dire, la più originale «versione italiana» della Rechtsgutslehre. Da qui conviene dunque prendere le mosse, per risali- re alla genesi del «nostro» principio.

Occorre tuttavia premettere che, al cospetto della problematica del bene giuridico, il panorama che ci si trova a fronteggiare appare, ora come prima, estremamente diversificato, e, per certi aspetti, confuso.

Se l’equazione che visualizza il concetto sostanziale di reato – cioè la

(29)

1ZIPF, Kriminalpolitik: ein Lehrbuch, 2. Aufl., Heidelberg, Karlsruhe, 1980, trad.

it. Politica criminale, a cura di A. Bazzoni, Milano, 1989, 173. Al concetto sostanzia- le di reato, quale specchio dell’«etica» del legislatore penale, come noto, è sotteso il fondamentale problema assiologico del «quando proibire», unitamente ai sottopro- blemi relativi alla scelta dei vari strumenti proibitivi (penali, amministrativi, civili) o delle diverse tipologie di illecito penale (delitti o contravvenzioni): sul punto, cfr.

FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, III ed., Bari, 1996, 460 ss.

2Nonostante le aporie che accompagnano l’utilizzo del bene giuridico come strumento di definizione sostanziale unitaria del sistema vigente, ovvero come concetto generalizzante valevole già sul piano descrittivo (cfr., nel contesto italia- no, le riserve di DONINI, voce Teoria del reato, §§ 20-22), esso rimane punto di riferi- mento costante nel paradigma dominante della Allgemeine Verbrechenslehre. Come si vedrà – e come già da più parti si è segnalato (ad es., DONINI, Il volto attuale, cit., 13, n. 30) – l’unica vera teoria «generale» alternativa alla protezione dei beni giuri- dici, infatti, è quella che si deve alla teorizzazione jakobsiana (JAKOBS, Sobre la nor- mativización de la dogmática jurídico penal, Madrid, 2003, 47 ss., 59 ss.; ID., ¿Qué protege el derecho penal? Bienes jurídicos o la vigencia de la norma?, in El Funziona- lismo en Derecho penal. Libro Homenaje al Professor G. Jakobs, Universidad Exter- nado de Colombia, Bogotá, 2003, 39 ss.) e alla sue varie declinazioni (si veda, ad es., LESCH, Der Verbrechensbegriff. Grundlinien einer funktionalen Revision, Köln-Ber- lin-Bonn-München, 1999), radicate sull’assunto in base al quale oggetto di prote- zione penale non sarebbero beni giuridici, bensì, semplicemente, norme (rectius:

norme-precetto), la cui vigenza deve essere garantita attraverso la validazione con- trofattuale della pena (secondo il modello, appunto, della positive General-Präven- tion: sul punto, comunque, infra, § 1.1.2., II).

Per un quadro aggiornato sulla discussione relativa alle definizioni sostanziali di reato, nel panorama di lingua tedesca, cfr., di recente, HEFENDEHL-VONHIRSCH- WOHLERS(Hrsg), Die Rechtsgutstheorie.Legitimationsbasis des Strafrechts oder dog- matisches Glasperlenspiel?, Baden-Baden, 2003; inoltre, FRISCH, Straftat und Straf- system, in WOLTER-FREUND(Hrsg), Straftat, Strafzumessung und Strafprozeß im ge- samten Strafrechtssystem, Heidelberg, 1996, 135 ss.

3NAUCKE, Die Aushölung der strafrechtlichen Gesetzlichkeit durch den relativisti- schen, politisch aufgeladenen strafrechtlichen Positivismus, in Gesetzlichkeit und Kriminalpolitik, Frankfurt a.M., 1999, 257 ss.

«coscienza dell’ordinamento penale positivo»

1

– come «offesa ad un be- ne giuridico» permane indisturbata nell’opinione largamente prevalen- te

2

, è vero che questa parafrasi dominante appare sempre più un «para- digma senza regole», dove ogni ricostruzione, lungi dal poter attingere ad un valore epistemico, è soggiogata all’opinione individuale. Infatti, il concetto di bene giuridico è divenuto un «concetto-ombra» incapace di fornire le prestazioni selettive che la tradizione gli vorrebbe attribuire; e la sua forza di attrazione è dovuta alla estrema facilità nel seguire i corsi della politica criminale, piuttosto che alla capacità di guidarli.

Ma è proprio la politica criminale a smentire l’efficacia orientativa

del concetto, avvilita da un imperante giuspositivismo

3

: gli slogan ri-

correnti sulla «smaterializzazione» o «spiritualizzazione» del bene

giuridico, sulla sua dissoluzione in «programmi di scopo», in «proces-

(30)

4Per tutti, LÜDERSSEN, Die Krise des öffentlichen Strafanspruch, in ID., Abschaf- fen des Strafens?, Frankfurt a.M., 1995, 22 ss.

5In questo senso già HASSEMER, Grundlinien einer personalen Rechtsgutslehre, in Jenseits des Funktionalismus, in FS-A. Kaufmann, Heidelberg, 1989, 85 ss., 87, se- condo il quale, pur a fronte dell’originaria vocazione critica, lentamente si è però compreso che «la potenzialità in termini di riduzione penale del principio del bene giuridico dipende da presupposti storici particolari, come il caso della ipertrofia della protezione penale, perché altrimenti, questo principio si caratterizza molto più per la sua tendenza ‘criminalizzante’: i beni giuridici, nella misura in cui sono minacciati ‘effettivamente’ da determinte condotte, rendono esigibile la proibizio- ne di tali condotte».

Questo monito ormai risalente riecheggia, di recente, nel «bilancio critico» di FIANDACA, Nessun reato senza offesa, cit., 122, secondo il quale «in atto, piuttosto che fungere da baluardo o da antidoto rispetto all’«inflazione» crescente di norme pe- nali, esso somiglia a un «lupo in pelle d’agnello» che oppone poca o nessuna resi- stenza alla tentazione di introdurre continuamente nuove ipotesi di reato. Anzi, si giunge a paventare che sia lo stesso concetto di bene giuridico «corresponsabile» di questa nevrosi o bulimia repressiva: la facile qualificazione di un qualche interesse come «bene giuridico» provocherebbe una sorta di riflesso condizionato nel solle- citare l’attivazione di una sua copertura penale (…)».

6Considerazione ormai comune, ma con «pesanti» ricadute conseguenziali;

tant’è che la «massima difficoltà» nello studio dei reati di pericolo – come rileva PA-

RODI-GIUSINO, I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990, 6 –

si sociali normativamente guidati», o in «funzioni» – e, in definitiva, sulla sua «sconfinata disponibilità» quale caratteristica dell’attuale le- gislazione penale

4

–, tradiscono tutti l’inattualità di convinzioni fidei- stiche circa la sua portata selettiva. E dimostrano la plausibilità, al contrario, di una vera e propria «eterogenesi dei fini»: dall’originaria aspirazione liberale e critica che ne faceva la livella costante della po- litica criminale, il concetto di bene giuridico avrebbe sviluppato una straordinaria capacità propulsiva, facendosi strumento di legittima- zione della più disparate scelte legislative

5

.

Questa perdita di contorni sul piano identificativo, d’altronde, ha precise ricadute consequenziali sulle ulteriori funzioni tradizional- mente ascritte al Rechtsgutsbegriff.

Infatti, e parallelamente, non è diverso l’esito delle prestazioni of-

ferte sul piano dogmatico: la «plasticità» del concetto di bene giuridi-

co permette di ricostruire la struttura della fattispecie a seconda della

fantasia o della «precomprensione» dell’interprete. Concetto estrema-

mente user-friendly, il bene giuridico dimostra una estrema duttilità er-

meneutica, confermata dal suo successo euristico, e direttamente pro-

porzionale, tuttavia, all’incapacità di offrire punti di riferimento preci-

si per ricostruire i gradi dell’offesa: a seconda dell’opzione interpreta-

tiva sull’oggetto di tutela, è noto come un medesimo comportamento

possa essere ricostruito in chiave di danno o di pericolo; di pericolo

concreto o di pericolo astratto, o meramente presunto

6

.

(31)

sta proprio nel «pensare il bene giuridico come punto fisso», per chi «non si rasse- gni passivamente a ricalcare le scelte e le indicazioni terminologiche (o sostanzia- li) già operate dal legislatore, ma voglia anche valutare le fattispecie penali alla lu- ce delle esigenze di politica criminale e delle superiori istanze costituzionali».

7Sulle diverse funzioni del concetto di bene giuridico, il rinvio scontato, ma an- cora chiaramente attuale, è al saggio di ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, 6 ss.; più di recente, ROMANO, Pre-Art. 39, in Com- mentario sistematico del codice penale, Vol. I, III ed., Milano, 2004, 299 ss., 301 ss.

8Peraltro, la tradizionale «funzione critica» attribuita al concetto di bene giuri- dico è molto discussa (da ultimo, ZUCCALÀ, Due questioni attuali sul bene giuridico:

la pretesa dimensione «critica» e la pretesa necessaria offesa ad un bene, in RTDPE, 2004, 839 ss.), specie perché risulterebbe non storicamente fondata. In effetti, quando BIRNBAUM[Über das Erforderniß einer Rechtsverletzung zum Bregriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in Archiv des Criminalrechts, 14 (1834), 149 ss.] contrappose alla teorica feuerbachiana della

«violazione del diritto soggettivo» (di schietta ispirazione giusnaturalistica) il con- cetto di «offesa ad un bene» – concetto che in realtà solo con BINDING(Die Normen und ihre Übertretung, I, I ed., Leipzig, 1872, 187 s.) sarebbe poi diventato «bene giu- ridico», guadagnando un visto d’ingresso definitivo nella teoria del diritto penale (tanto che AMELUNG, Rechtsgüterschutz und Schutz der Gesellschaft, Frankfurt a.M., 1972, 45, arriva a sospettare che se proprio Binding non avesse fatto richiamo al la- voro di Birnbaum, questo sarebbe forse persino passato inosservato) –, egli è mos- so sia dal tentativo di rintracciare un supporto dogmatico che permettesse di di- scernere le offese di pericolo da quelle di danno, quelle consumate e quelle sempli- cemente tentate, sia dalla necessità di giustificare l’espansione dell’ambito di rile- vanza penale fino a coprire offese che, prescindendo da (la lesione ad) un «diritto soggettivo», destituivano di fondamento il paradigma della Rechtsverletzungs- theorie, quali appunto i reati di pericolo (tra cui il tentativo), le offese del senti- mento morale e religioso della comunità, ritenute comunque lesive del «bene co- mune», ma anche i reati c.d. di polizia (cfr., approfonditamente, SIRACUSANOP., I delitti in materia di religione, Milano, 1983, 16 ss.; inoltre, PADOVANI, La problemati- ca del bene giuridico e la scelta delle sanzioni, in DDDP, 1984, 114 ss., 115 s., il qua- le, proprio in relazione alla categoria dei c.d. reati di polizia – sostanzialmente pri- va di un referente materiale qualificabile come «bene giuridico» – sottolinea tutta- via l’ambiguità e le aporie dello stesso concetto proposto da Birnbaum).

In altre parole, da un lato, di fronte a certe esigenze spiccatamente dogmatiche, il paradigma del diritto soggettivo non riusciva a dimostrarsi utile; dall’altro, di fronte al crescere delle «eccezioni» alla Rechtsverletzungstheorie, esso non risultava più coerente, e, dunque, capace di valenza sistematica (d’altronde, lo stesso Feuer- bach non era riuscito a tener fede del tutto alle premesse della propria teorica

In altri termini, dunque, nell’orizzonte attuale il bene giuridico, da

un lato, vede smarrire sempre più la propria funzione critica

7

, secon-

do la quale esso non dovrebbe operare soltanto come punto di riferi-

mento per una ricostruzione induttiva delle norme vigenti, ma, in chia-

ve politico-criminale, diviene istanza di raffronto e di giudizio dedutti-

vo che permette di inquadrare il sistema in una prospettiva valutativa,

offrendosi come parametro «trascendente il sistema» in grado di gui-

dare le scelte del legislatore penale, o comunque, de lege lata, di giudi-

carle

8

. Dall’altro, come ricaduta consequenziale di ciò, sembrano an-

(32)

quando, successivamente, aveva assunto anche le violazioni di polizia tra i reati in senso lato, legittimando, così, la rilevanza penale di condotte lesive soltanto del di- ritto all’obbedienza dello Stato, e cioè di comportamenti solo formalmente lesivi o solo moralmente illeciti, a prescindere da una lesione di un diritto soggettivo: cfr.

P.J.A. FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland geltenden peinlichen Rechts, XI ed., Gießen, 1832, § 22).

È vero quindi che, almeno originariamente, «la teoria del bene rappresentò dunque il prezzo pagato (di buon grado) da Birnbaum a favore del momento dom- matico e a scapito di quello critico» (così ANGIONI, Contenuto e funzioni del concet- to di bene giuridico, cit., 22, n. 2).

Nonostante questa originaria vocazione dogmatica, e pur con i limiti e le apo- rie che lo stesso Rechtsgutsbegriff anche inizialmente mostrava sul piano critico, è indubbio il profondo apporto in termini di aderenza alla realtà sociale che il con- cetto di bene giuridico voleva esprimere, offrendosi, quale valore della vita degli uo- mini, come dato in essa presente e preesistente all’intervento del legislatore, in gra- do quindi di esercitare un ruolo di delimitazione garantistica del penalmente rile- vante (in questi termini, ROMANO, Pre-Art. 39, in Commentario sistematico del codi- ce penale, cit., 300).

Per una evoluzione della storia «dogmatica» del concetto di bene giuridico, è ancora utile il rinvio a SINA, Die Dogmengeschichte des strafrechtlichen Begriffs

«Rechtsgut», Basel, 1962 (su cui, cfr. SANTAMARIA, Per una storia del bene giuridico, in Studi senesi, 1964, 301 ss.).

9Difatti, mentre la mera disobbedienza, come infrazione alla norma, è fattore costante di ogni illecito, il vantaggio dogmatico della teoria del bene giuridico con- siste proprio nel permettere di graduare, a seconda del valore del bene giuridico, delitti del tutto equivalenti sotto il profilo della disobbedienza al precetto normati- vo, potendo altresì distinguere – nella lesione ovvero nella semplice messa in peri- colo – diversi gradi dell’offesa realizzata.

10Si veda, di recente, HIRSCH, Die aktuelle Diskussion über den Rechtsgutsbegriff, in FS-Spinellis, Bd. I, Athen-Komotini, 2001, 426 ss., 436 ss., il quale, appunto muo- vendo da una critica alla funzione delimitatrice tradizionalmente attribuita ad un concetto di bene giuridico «trascendente il sistema», insiste sulla opportunità di (li- mitarsi a) rivalutare la funzione «systemimmanent», spesso svilita nell’intepreta- zione delle fattispecie cui si affida la Vorfeldkriminalisierung (specie nelle aree di ri- sulta del moderno Nebenstrafrecht: diritto penale dell’ambiente, delle sovvenzioni pubbliche, della circolazione stradale, ecc.), in una prospettiva di approfondimen- to del concetto schiettamente «positivrechtlich» (fondamentale per stabilire la gra-

che offuscarsi o indebolirsi prestazioni riconosciute anche in seno ad un concetto di bene giuridico «intrasistemico», e tradizionalmente in- discusse, di carattere dogmatico (ossia la capacità di fornire un sup- porto concettuale sulla base del quale identificare la struttura del rea- to e ricostruire la graduazione dell’offesa

9

), o di carattere interpretati- vo (secondo cui il bene giuridico sarebbe la «bussola» che permette al- l’interprete di riempire di senso i contrassegni della tipicità).

Di fronte a questo scenario, non può sorprendere il sempre più dif-

fuso scetticismo sulle potenzialità orientative del concetto, la progres-

siva rinuncia ad attribuirgli funzioni trascendenti il perimetro stretta-

mente giuspositivo della fattispecie

10

, o persino l’emersione di model-

(33)

dualità dell’offesa, per orientare la scelta tra delitti, contravvenzioni e illeciti am- ministrativi, e, dunque, utile anche sul piano politico-criminale).

11È questa la più consolidata frontiera definitoria del concetto di bene giuridi- co, nell’espressione (Funktionseinheit) originariamente coniata da RUDOLPHI, Die verschiedene Aspekte des Rechtsgutbegriffs, in FS-Honig zum 80. Geburtstag, Göttin- gen, 1970, 163, e diffusa, con diverse sfumature, nell’ambito della letteratura tede- sca (ad esempio da OTTO, Grundkurs Strafrecht. Allgemeine Strafrechtslehre, 5. Aufl., Berlin-New York, 1996, § 1, II, Rn. 32) come nella dottrina italiana (v., ad es. FIAN-

DACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, IV ed., Bologna, 2004, 5; v. anche ROMA-

NO, Pre-Art. 39, in Commentario sistematico, cit., 301 s.).

Una definizione in parte simile è offerta da ROXIN, Strafrecht, in AT, München, 1997, § 2, Rn. 9, 15, secondo cui «beni giuridici sono entità o programmi di scopo necessari al singolo e al suo libero sviluppo nello spazio di un sistema sociale co- mune orientato a questo obiettivo o al funzionamento di tale sistema». In prospet- tiva diversa, ricavando il concetto dallo scopo stesso dell’ordinamento giuridico e del diritto penale, KINDHÄUSERafferma che «se si identifica lo scopo del diritto pe- nale nell’assicurazione del fondamento giuridico di una società, allora beni giuridi- ci rilevanti per il diritto penale sono beni che riproducono l’identità giuridica di una società nel suo assetto concreto o i presupposti della sua continuazione. Dato che lo scopo del diritto in una democrazia è l’assicurazione dell’integrazione sociale at-

li alternativi nella spiegazione del concetto sostanziale di reato i quali, pur senza escludere il concetto di bene giuridico dal proprio vocabola- rio dogmatico, ne offrono un (limitato) utilizzo in chiave sostanzial- mente metodologica; si allude, com’è facile intuire, alle ricostruzioni di matrice funzionalista, secondo un paradigma principalmente tema- tizzato da Jakobs, e progressivamente affinato dai suoi epigoni, sulla scorta della teoria della c.d. prevenzione generale positiva e dal suo connubio con posizioni neo-retribuzionistiche.

Tutto ciò, d’altronde, è ben noto, ed è stato oggetto di analisi ap- profondite e di penetranti critiche. Sarà sufficiente, dunque, solo ten- tare di inquadrare, con un sintetico excursus, le coordinate del proble- ma ai fini della presente indagine.

1.1. Concezioni «critiche» (o «orientate alla politica criminale») vs.

concezioni «formali» (o sostanzialmente «metodologiche») del bene giuridico

Nell’ottica che qui interessa (la dimensione «politica» del proble- ma), appare anzitutto chiaro come nessuna scelta definitoria, più o meno dotata di valenza sistematica, sia realmente capace di offrire un contributo di chiarificazione.

Definire il bene giuridico come «bene», come «valore», come «inte-

resse», o come «dato culturale», ovvero come «situazione», come «isti-

tuzione», come «sussidio alla partecipazione sociale» o come «unità

funzionale»

11

, rischia di risolversi in una mera questione terminologi-

(34)

traverso l’accordo su liberi spazi di sviluppo personale, allora beni giuridici sono le condizioni di questa partecipazione corale all’integrazione giusta ed eguale. Breve:

i beni giuridici sono sussidi alla partecipazione sociale (Subsidien sozialer Partizi- pation)» (KINDHÄUSER, Rationaler Rechtsgüterschutz durch Verletzungs- und Gefähr- dungsverbote, in Aufgeklärte Kriminalpolitik oder Kampf gegen das Böse?, a cura di Lüderssen, Band I, Baden-Baden, 1998, 263 ss., 264, secondo il quale, infatti, su- scettibile di essere considerato bene giuridico sarebbe qualsiasi «qualità di cose, persone, o istituzioni»). Muovendo da questa vaghezza definitoria, si comprende come, in un altro passaggio, il concetto di bene giuridico venga risolto nella stessa

«pretesa di osservanza di una norma» o nel «sufficiente livello di motivazione al di- ritto» che ne rappresenta il pendant: cfr. infra, § 1.1.2, III.

12Approfonditamente, ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuri- dico, cit., 14 ss., 15.

13HASSEMER, Theorie und Soziologie des Verbrechens, Frankfurt a.M., 1973, 63, secondo il quale il tentativo di fornire un concetto definitorio onnicomprensivo (o sistematico) si risolve, appunto in generalizzazioni astratte prive di rilevanza dog- matica e politico-criminale.

Sulle varietà (e sulla fallacia) delle definizioni offerta in seno alla dottrina tede- sca, recentemente, STRATENWERTH, Zum Begriff des «Rechtsgutes», cit., 378; KORIATH, Zum Streit um den Begriff des Rechtsguts, in GA, 1999, 561 ss., 565.

Il diffuso scetticismo sulla Definitionsmacht delle diverse formule, nel panora- ma italiano, è ben sintetizzato, di recente, nel pensiero di PULITANÒ, Il laboratorio del giurista: una discussione su strumenti e scopi, in RIDPP, 2003, 108 ss., 132: «A formule del genere mi pare applicabile la tagliente osservazione di Wittgenstein:

‘Ricorda che a volte richiediamo definizioni, non per il loro contenuto, ma per la forma della definizione. La nostra è una richiesta architettonica; la definizione è come un finto cornicione che non sorregge nulla’».

14In prospettiva simile, cfr. anche FIORELLA, voce Reato in generale, in ED, Vol.

ca, senza che al «significante» corrisponda un «significato» che, pur non privo di una propria coloritura ideologica

12

, sia capace di esplica- re effettiva funzione critica o dogmatica. Nessuna formula dimostra di avere reale contenuto informativo ma, al più, si riflette in un semplice effetto placativo

13

; tanto che il problema, dunque, sarebbe solo rinvia- to alla interpretazione della definizione.

Piuttosto, ribaltando la prospettiva, è utile inquadrare le diverse teorie a partire dalle conseguenze immediate che esse offrono sul ter- reno dei limiti imposti alle scelte di criminalizzazione.

Da questa angolatura, è possibile, in linea di principio, seguire la di- varicazione che contrappone concezioni che del bene giuridico valo- rizzano la sola funzione dogmatica (interpretativa, sistematica, classi- ficatoria) e concezioni che, all’opposto, ne esaltino la fondamentale funzione critica, radicata – si è visto – nella possibilità di porsi come criterio di giudizio esterno rispetto alla singola scelta legislativa. Così, per comodità e sintesi espositiva, si sceglie di avviare la ricerca distin- guendo tra «concezioni critiche» del bene giuridico e «concezioni acri- tiche» («formali», o «sostanzialmente metodologiche»)

14

: queste ulti-

2.

(35)

XXXVIII, Milano, 1987, 789 ss., 790, che segnala «due maniere fondamentalmen- te diverse» di definire il concetto di bene giuridico, «a seconda che venga conce- pito come un valore effettivo e concreto, pre-dato rispetto alla norma (concezione empirico-effettuale), ovvero come «abbreviazione dell’idea di scopo» o «scopo nella sua forma più ridotta» (concezione metodologica)» (e l’A. opta decisamente per la concezione empirico-effettuale, la sola ritenuta compatibile con «una ben impiantata concezione teleologica»); in sintesi, la prima definizione costringe a cercare il bene giuridico al di fuori dalla norma, la seconda lo trova sempre al suo interno, come traduzione pedissequa della cifra di tipicità della fattispecie (cfr.

anche DONINI, Teoria del reato, cit., 145, n. 71). Recentemente, propone una parti- zione simile a quella da noi accolta STÄCHELIN, Strafgesetzgebung im Verfassungs- staat, Berlin, 1998, 31-33, il quale distingue tra un «concetto metodologico» (me- todologischer Begriff) e un «concetto sostanziale» (substanzieller Begriff) di bene giuridico.

15La distinzione tra un concetto di bene giuridico «di carattere sistematico» o immanente al sistema, e un concetto di bene giuridico «di carattere critico», ovve- ro trascendente il sistema (systemimmanente vs systemtraszendente Rechtsgutkon- zepte) è alla base della celebre opera di HASSEMER, Theorie und Soziologie des Ver- brechens, cit., 19, nella quale si spiegava la partizione segnalando che «nel primo caso il concetto di bene giuridico ricalca solo un modello degli oggetti di protezio- ne scelti da un determinato codice penale, da un determinato ‘sistema’ legale di di- ritto penale, senza poter mettere in discussione questa scelta; nel secondo caso vie- ne invece sottoposta ad analisi critica la stessa scelta degli oggetti di tutela da par- te del diritto penale sostanziale». Le due diverse concezioni, secondo l’Autore, sa- rebbero animate da un diverso interesse conoscitivo e tenderebbero ad un fonda- mento qualitativamente diverso (e opposto) del concetto di bene giuridico (cfr. an- che ID., Il bene giuridico nel rapporto di tensione tra costituzione e diritto naturale, in DDDP, 1984, 104 ss.): se si valorizza l’aspetto trascendente del bene giuridico, lo si assume necessariamente in una dimensione critica, che esula da una semplice pa- rafrasi del dato legislativo esistente per elevare un parametro di confronto (e di controllo) esterno alla fattispecie penale.

me, come è noto, ravvisano un oggetto di tutela in ogni norma incri- minatrice, con atteggiamento quasi contemplativo; mentre le prime, al contrario, lo assumono appunto a fondamentale categoria critica delle scelte di criminalizzazione, reclamando l’estromissione dal sistema dei reati privi di una oggettività di tutela, esterna e predefinita rispetto al- la sagoma legale ritagliata dal legislatore.

È questa una distinzione classica all’interno delle Rechtsgutlehren

che correrà in parallelo con la contrapposizione tra un concetto di be-

ne giuridico «trascendente il sistema» (systemtraszendent) e un concet-

to, simmetrico e contrario, «intrasistemico» (systemimmanent)

15

; e ciò

almeno fino a quando la teorica costituzionalmente orientata del bene

giuridico – come si avrà modo di vedere – aprirà la strada ad una pos-

sibile compenetrazione tra i diversi livelli, promuovendo un concetto

di bene giuridico dotato di valenza critica e, al contempo, garantito da

cittadinanza intrasistemica, e inquadrando così il problema non più

nella prospettiva esclusiva della scienza della legislazione o della poli-

(36)

16La possibile sintesi tra le due prospettive è chiarita da ANGIONI, Contenuto e fun- zioni del concetto di bene giuridico, cit., 7: «Nell’ipotesi che certe fattispecie risultino non riferibili a oggetti legittimamente tutelabili, sarà ancora da distinguere a secon- da che nel sistema normativo esista una norma superiore che comporti la caducazio- ne delle suddette fattispecie, o non esista; nel primo caso, la funzione critica esercita- ta dal bene giuridico sarà immanente al sistema, nel secondo caso sarà trascendente al sistema con rilevanza de iure condendo, dunque politico-criminale». Quindi, i due livelli di operatività del concetto (metasistemico/intrasistemico) e le diverse funzioni ad esso riconnesse (critica/metodologica) possono trovare una possibile sintesi se al bene giuridico si offre una patente di legittimazione nel diritto positivo garantita da un livello di vincolatività che al tempo stesso ne salva la funzione critica; ed è questo il solco – appunto – in cui si muoverà la teoria dei beni di rilevanza costituzionale.

17Tale che «la norma giuridica lo trova già, non lo crea», secondo la nota affer- mazione di V. LISZT(Lehrbuch des deutschen Strafrechts, 21./22. Aufl., Berlin-Leip- zig, 1919, 133) che gli è valsa la paternità della dimensione critica del Rechtsguts- begriff (nonostante la sua adesione ad uno stretto giuspositivismo lo conducesse, come si vedrà, a rinnegare di fatto questa presupposta dimensione sociologica de- gli interessi tutelati, accomunandolo negli esiti a Binding: cfr., sul punto, PARODI

GIUSINO, I reati di pericolo, cit., 13 ss., 14, n. 19).

18Anche se ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 70 ss., illustrando il «concetto culturale» di bene giuridico offerto da M.E. MAYER(Re- chtsnormen und Kulturnormen, Breslau, 1903, 64 ss., 69, e, a margine della critica alla Bindings Normentheorie, 134 ss.), ne segnala, in concreto, l’assenza di capacità critica (oltre che l’inconsistenza dogmatica). A nostro parere, se pur è condivisibi-

tica legislativa, bensì in quella della stessa gerarchia delle fonti interne all’ordinamento

16

.

In ogni caso, per l’importanza che assumono nel prosieguo dell’in- dagine, è opportuno ripercorre, pur in estrema sintesi, le opposte filiè- res concettuali.

1.1.1. Le concezioni «critiche»: il bene giuridico come «dato prepositivo»

e «esterno» alla norma e come parametro valutativo in tensione con i doveri del legislatore. La «personale Rechtsgutslehre»

I. Le «concezioni critiche», imperniate sull’assioma di fondo che funzione del diritto penale sia la tutela di beni giuridici, ne traggono un corollario decisivo: le norme nelle quali non è possibile ravvisare al- cun «bene» protetto sono illegittime, e come tali, devono essere pro- scritte dall’ordinamento penale. Ove è chiaro che il bene giuridico si rappresenta come un dato sostanziale, esterno rispetto alla norma, che possa fungere appunto da parametro di giudizio della stessa.

Il margine più netto di confronto critico è, almeno in linea di prin-

cipio, offerto dalle teoriche che identificano il bene giuridico in un da-

to necessariamente pre-positivo

17

, ricavato da una fonte esterna rispet-

to allo spazio di scelta del legislatore penale: siano esse le Kulturnor-

men o lo spaccato sociale che le cementa

18

.

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