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Editore: Diana Carpaneto,Giada Giumbini Autori: Antonio Francomano, Ida Maragò, Alessia Martini, Alessandro Giuliani

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Data: 18 Marzo Editore: Diana Carpaneto,Giada Giumbini Autori: Antonio Francomano, Ida Maragò, Alessia Martini, Alessandro Giuliani

Trattamento dei Tumori

[Ripresa della lezione precedente] Il paradigma del trattamento dei tumori è un cambiamento che riguarda la selezione delle terapie. Fino a poco tempo fa in presenza di un tumore si faceva una biopsia e un esame istologico, il quale mi da informazioni come il differenziamento cellulare delle cellule tumorali per poter stabilirne lo stadio, in modo tale da creare categorie per ogni tipo di tumore. Queste categorie (che si stabiliscono sia con parametri clinici sia con parametri

istologici) permettono di stabilire la situazione del paziente e di scegliere poi uno dei protocolli guida che permettono di selezionare una terapia. Le varie terapie si dividono per tipologia di cancro e di stadio, ma, nonostante le similitudini tra i malati inseriti in una determinata categoria, i pazienti hanno comunque caratteristiche molecolari molto diverse fra di loro, cosa che

permette lo sviluppo di medicine e cure adatte ad ogni individuo in relazione alla sua situazione personale e di “stratificare” in ulteriori categorie i pazienti grazie alla caratterizzazione molecolare fenotipica. Pertanto ad oggi dalla biopsia si fa una serie di analisi molecolari per conoscere le mutazioni e il riarrangiamento particolare di ogni paziente per elaborare una terapia.

Nello studio riportato sulla slide hanno preso 650 pazienti malati della stessa categoria di tumore (cancro al polmone) e hanno fatto una divisione in base alla caratterizzazione molecolare della malattia. Infatti non tutti i pazienti avevano la stessa mutazione somatica. La maggior parte dei pazienti presenta mutazioni di KRAS e di EGFR (recettore di un fattore di crescita) ma vi sono poi molte altre mutazioni diverse.La fetta del grafico a “NO mutazione” indica che questi pazienti presentano una mutazione diversa da quelle “cercate”, che sono invece segnate. Questa scelta delle mutazioni da cercare è dovuta ai limiti tecnici degli strumenti di analisi e quindi vengono cercate le mutazioni che possono manifestarsi con più frequenza.

Per ogni tipo di tumore e mutazioni sono stati sviluppati farmaci specifici, che quindi non sono efficaci in pazienti con una diversa mutazione (IMITANIB, TRASTUZUNAB, ERLOTINIB,

GEFITINIB, CRIZOTINIB). L’indicazione terapeutica per somministrare questi farmaci è dunque la presenza della mutazione e si inizia a somministrare il farmaco con la maggiore probabilità di essere efficace. I farmaci indicati con “INIB” (sta per “inibitore”) vengono usati per inibire l’attività di una proteina mutata (di solito un oncogene), mentre quelli indicati con “AB” (che sta per

“antibody”) non sono nient’altro che anticorpi monoclonali diretti contro una proteina che determina la proliferazione cellulare.

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Esempi:

A) BRAFV600E Melanoma

Tra le mutazioni più diffuse c’è quella del gene BRAF. Questa mutazione si trova in vari tipi di tumore, ma è più frequentemente associata al melanoma (in più della metà dei pazienti con melanoma si è riscontrata questa mutazione). Nella mutazione somatica V600E (che sta per

“valina posizione 600 glutammato”) il glutammato sostituisce la valina in posizione 600 della sequenza amminoacidica della proteina. Il BRAF è una chinasi che agisce a valle di un recettore che da un segnale di proliferazione cellulare e, quando c’è la mutazione V600E, questa proteina perde la sua capacità di essere regolata e diventa attiva costitutivamente.

La sostituzione della valina da parte del glutammato perturba la struttura secondaria (causata dalla sostituzione di un legame idrogeno con un altro tipo di legame con un amminoacido diverso), cambiando le interazioni del dominio chinasico col resto della proteina e la geometria del sito di attacco del substrato (in questo caso l’ATP). Questo cambiamento strutturale rende la proteina suscettibile al trattamento del farmaco che infatti è in grado di inattivare la proteina mutata in modo specifico, bloccando la cascata di segnalazione e dunque la proliferazione incontrollata delle cellule tumorali, senza influenzare il funzionamento delle proteine wild type. Lo studio della struttura tridimensionale delle proteine (effettuata tramite software- bioinformatica) è quindi molto importante per la selezione di molecole chimiche destinate a diventare farmaci in grado di bloccare specifiche attività.

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Nel grafico è possibile vedere l’effetto del farmaco molecolare sulla massa tumorale: E’

rappresentato un campione di pazienti affetti da melanoma presi al tempo 0 e a cui è stato

somministrato il farmaco specifico per l’inibizione di BRAF mutato. E’ possibile valutare dal grafico la percentuale di crescita del tumore notando come a seguito della somministrazione si abbia regressione nei pazienti con mutazione BRAFV600E mentre negli altri pazienti il melanoma

continua a svilupparsi. La risposta dei pazienti con mutazione BRAF alla cura è comunque diversa l‘una dall’altra, con molta probabilità per la presenza di altre mutazioni che operano sulla

regolazione dell’apoptosi e sulla proliferazione cellulare.

B) HER2 Cancro alla mammella

Contro il cancro della mammella sono stati sviluppati farmaci specifici per una sola mutazione (la quale si riscontra in ¼ di tutti i malati), caratterizzata dalla sovraespressione (data

dall’amplificazione di centinaia di volte del gene associato) di un recettore di superficie che stimola la crescita cellulare chiamato HER2. Questo recettore non ha una sequenza aminoacidica modificata, come nel caso del BRAFV600E, ma semplicemente viene prodotto in grandissime quantità e pertanto la cellula presenta una concentrazione eccessiva dei recettori che quindi reagiscono a segnali di crescita normalmente sotto soglia . Questo causa la proliferazione cellulare anche in presenza di un segnale recettivo molto basso. Nel caso di questa mutazione, si è

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sviluppato un farmaco Herceptin (più precisamente un anticorpo) il quale si lega al recettore competendo con il ligando e impedisce l’attivazione delle vie di segnalazione.

C) KRAS Tumori del tratto gastro-intestinale

Riscontrata in vari tumori, ma associato principalmente ai tumori del tratto gastro-intestinale, la mutazione del gene KRAS avviene principalmente al livello del 12° codone (37,1%. La mutazione può avvenire al altri livelli con frequenza minore, importante per stabilire la terapia). KRAS è una proteina G monomerica (a differenza delle altre che sono trimeriche), che si trova a valle del recettore del fattore di crescita. Esistono farmaci (anticorpi) che agiscono al livello del recettore, bloccandolo, ma sono utili solamente in pazienti che presentano il gene KRAS wild type: infatti, in seguito a una mutazione, questa proteina G diventa costitutivamente attiva e dunque, anche se non arrivano segnali al recettore associato, KRAS da via alla cascata di secondi messaggeri per iniziare la riproduzione cellulare. Sono stati sviluppati e sono tutt’ora in fase di ricerca farmaci che vanno ad agire a diversi stadi della cascata di messaggeri. Prendendo l’esempio precedente, se abbiamo un paziente con KRAS mutato, e quindi sempre attivo, abbiamo bisogno di farmaci (immagine sottostante)che agiscano a valle rispetto alla proteina G (non ha senso bloccare il recettore), in modo da bloccare la via di segnalazione.

Determinare mutazioni somatiche

Esistono vari modi per poter individuare le mutazioni:

• Metodi a bersaglio molecolare: indicati per individuare poche mutazioni (vari usi della PCR).

• Metodi di screening: per individuare più mutazioni contemporaneamente (sequenziamento)

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[Approfondimento sui metodi di sequenziamento]: Nel giro di pochi anni saranno questi i metodi più adottati. Si stanno sviluppando sistemi che presto consentiranno di determinare l’intero genoma della cellula tumorale e confrontandolo con il genoma di riferimento di una cellula normale (non poligenica) sarà possibile rilevare tutte le mutazioni e i riarrangiamenti presenti in quel paziente. Lo sviluppo di queste metodiche sta diventando più economico e più accessibile e questo permette di superare l’utilizzo di tecniche a bersaglio molecolare.

Problematiche tecniche comuni a tutte le metodiche:

• Errore di proporzione: per analizzare del DNA non possiamo ottenere un campione omogeneo in quanto si utilizzano biopsie in cui solitamente abbiamo una frazione di cellule tumorali e una frazione di cellule normali. Ciò significa che quando andiamo a cercare una variante genetica abbiamo una proporzione di sequenze di DNA normale e una

proporzione variabile di DNA mutato. Questa proporzione va tenuta in considerazione o si rischia di non accorgersi della mutazione somatica perché vi è tanto più materiale della cellula sana che maschera quello della cellula mutata. Per evitare questo errore nel momento in cui si ha il tessuto che deriva dalla biopsia, si prepara e analizza il vetrino e si fa una sezione del tessuto in cui c’è la maggioranza di cellule tumorali per sottoporla ad analisi di biologia molecolare.

• Degradazione del campione

• Scarsa quantità estratta Next generation sequencing

Deriva come concetti di base dal metodo storico di Sanger (sequenziamento di sintesi in cui si prende un frammento di DNA stampo di sequenza ignota, si aggiungono dei nucleotidi marcati con delle molecole fluorescenti e uno strumento rileva la fluorescenza durante l’azione della

polimerasi). Questo concetto base rimane nel NGS e ciò che cambia è che mentre nei metodi precedenti si analizzavano poche sequenze di DNA alla volta, nel NGS il sequenziamento è massivo e in parallelo, cioè è possibile analizzare non una singola sequenza ma milioni di esse e non una alla volta ma tutte insieme. Esistono diversi metodi di lettura della sequenza, i tre più famosi sono:

1. Piattaforma ROCHE 454: il primo step, comune a tutti i metodi di sequenziamento, è quello di estrarre il DNA e frammentarlo in pezzi piccoli sottoponendo il DNA purificato agli infrasuoni (il mix di frammenti che ne viene fuori è chiamato libreria e rappresenta tutte le sequenze

presenti in un genoma). Dopodiché questo sistema, con un determinato metodo, attacca alle estremità di tutti questi frammenti a doppio filamento delle sequenze sintetiche di DNA note (adattatori); ci ritroviamo quindi una libreria in cui la parte centrale è sempre diversa ma le estremità completamente identiche e note. Questo è necessario perché generalmente si fa un’amplificazione per volta( o nella multiplex PCR più di una insieme) e solitamente non si

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possono inserire troppi primer in una provetta. Gli adattatori permettono di superare questo ostacolo utilizzando una sola coppia di primer ad essi complementare. Successivamente si utilizza la PCR in emulsione (N.b.emulsione = unione di una fase idrofobica come l’olio e una idrofilica come l’acqua. Le due fasi sono immiscibili e si disgregano in tante microgoccioline formando una soluzione solo apparentemente) per amplificare le sequenze producendone molte copie per avere un segnale sufficiente per la rivelazione. Gli ingredienti della PCR sono una polimerasi, i nucleotidi, un buffer salino che aiuta il funzionamento della polimerasi, il DNA stampo e dei primer (oligonucleotidi innesco che sono i responsabili della specificità delle cellule amplificate).

Nella PCR emulsione, oltre agli ingredienti canonici, è anche immessa una minuscola biglia di materiale inerte alla quale sono attaccati degli oligonucleotidi complementari ad uno degli adattatori.

FASE 1. Tutti gli elementi sono inseriti una provetta con l’aggiunta di un olio particolare e si mescola. Viene fuori un’emulsione in cui nel mezzo (organico) di ogni gocciolina idrofilica si intrappolano una biglia e una molecola di DNA stampo. Dopodiché, in ognuno di questi microreattori (biglia con oligonucleotide + frammento casuale di DNA) si fa avvenire una reazione di applicazione a catena della polimerasi, per cui il frammento viene amplificato. Si fa aumentare la temperatura in modo tale che i filamenti di DNA si separino e uno dei due si possa appaiare nella regione terminale con l’oligonucleotide attaccato alla biglia. Questa breve regione a doppio filamento funge da innesco per la polimerasi. Una volta avvenuto questo appaiamento parziale si abbassa la temperatura in modo che la polimerasi possa funzionare e il filamento attaccato alla biglia possa iniziare ad estendersi (N.b. il filamento che non si lega alla biglia dopo la denaturazione rimane in soluzione).

FASE 2. (fase di annealing) si ripetono gli stessi passaggi. Si ha di nuovo la denaturazione e uno dei frammenti sintetizza di nuovo con il primer legato alla biglia e una seconda molecola a singolo filamento si è legata con l’oligonucleotide sulla biglia. Con l’aumentare dei cicli (una trentina) ci ritroviamo ad avere una biglia ricoperta completamente da filamenti di DNA tutti con la stessa sequenza.

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FASE 3. Abbiamo alla fine un mix di milioni di biglie, ognuna con una sequenza diversa attaccata. Queste biglie vengono purificate, cioè quelle coperte da DNA vengono separate da quelle che non hanno reagito. Le biglie ricoperte di DNA si fanno passare su un chip con migliaia di micropori che hanno il diametro delle biglie. Ognuna di esse va quindi a finire in un poro e in ognuna avviene un sequenziamento particolare denominato

pirosequenziamento, simile alla tecnica di Sanger (denaturazione e sintesi con primer di sequenziamento, polimerasi, nucleotidi ecc.) con presenza aggiuntiva dell’enzima luciferasi (enzima delle lucciole), che fa si che ogni volta che viene incorporato un nucleotide nella sequenza nascente venga emesso un segnale luminoso sfruttando la scissione del pirofosfato. Questo meccanismo avviene contemporaneamente in tutti i pozzetti della micropiastra e si registrano tutte le sequenze diverse che derivano da questi pozzetti. Il software abbinato elabora tutte le sequenze derivanti da ogni singolo pozzetto. E’ molto probabile che vi siano delle sequenze che si sovrappongono perché stiamo frammentando il genoma di migliaia di cellule e non di una sola. Ogni sequenza viene letta un certo numero di volte e il software riconosce le regioni di sovrapposizione e le allinea con un genoma di riferimento, che è il genoma umano.

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Nel caso della ricerca di una mutazione somatica, si hanno un certo numero di sequenze lette per ogni frammento di DNA uguale. Nella mutazione somatica se si ha una combinazione di DNA wild type, derivante da una cellula normale, e di DNA mutato, avremo in posizione 600 di bead* (nel caso in cui siano state lette 100 sequenze) un 70% con alanina ed un 30 % per esempio con glutammato.

Questo mi permette di dire se in quel campione è presente una mutazione somatica. Ovviamente più è puro il DNA tumorale più alta è la probabilità di identificare la mutazione.

C’è tutto un lavoro statistico e di algoritmi per identificare la qualità delle sequenze per evitare di avere dei falsi positivi.

Metodo Ion Torrent

La parte iniziale è sostanzialmente uguale al metodo di sequenziamento precedente.

Il metodo consiste sempre :

1. Nella preparazione di una libreria

2. Nell’ amplificazione su biglie di emulsione. Il sequenziamento è sempre per sintesi. Ciò che cambia è il modo in cui viene rilevata la sequenza.

Si hanno delle biglie posizionate su chip con dei micropozzetti. Viene aggiunto un nucleotide alla volta e anche in questo caso si va a rilevare il segnale che viene emesso quando il nucleotide viene incorporato. Questa volta però, il segnale non è luminoso (infatti non c’è luciferasi) ma è dato da un sensore di pH. Il chip contiene dei semiconduttori e quando viene incorporato un nucleotide da una parte c’è rilascio di fosfato e dall’altra di un protone. Sono i protoni che si vanno a rilevare quando viene incorporato il nucleotide.

Es: aggiungo una T (Timina), se viene rilasciato un protone significa che è stata incorporata la T, se non rilevo il segnale significa che il nucleotide che sto aggiungendo non è stato incorporato.

Un’invenzione di questo genere ha una portata rilevante tanto da apparire su “Nature” anche se poi questa tecnologia commercialmente è stata un po’ un flop.

* Bead=sferetta

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Metodo Illumina Sequencing

Questo metodo non utilizza l’ amplificazione tramite PCR ad emulsione, ma usa un’amplificazione su chip ( un chip non è altro che un sostegno solido). Questi chip utilizzati sono molto piccoli ed hanno dimensioni di 3-4 cm. Il principio del “sequenziamento illumina” è il sequenziamento delle estremità appaiate.

Mentre i due metodi precedenti sequenziavano soltanto uno dei filamenti della doppia elica e ricavavano l’altro per complementarietà, questo metodo sequenzia entrambi i filamenti.

Questo dà un vantaggio in termini di accuratezza, perché è come se per ogni frammento avessimo una doppia lettura.

Il metodo consiste :

• nella preparazione del DNA in frammenti

• nella preparazione di una libreria

• nella legatura degli adattatori di sequenza nota.

• si fa passare la libreria sul chip. Il chip ha legati, ad altissima densità, degli oligonucleotidi che sono complementari agli adattatori che sono stati legati alle sequenze note. Ci sono due tipi di oligonucleotidi: un tipo è complementare all’adattatore di destra e l’ altro a quello di sinistra. Le molecole di DNA denaturate si legano sul chip per complementarietà agli oligonucleotidi legati. Ma, poiché la densità degli oligonucleotidi presenti su chip è molto superiore alla densità di molecole di DNA che andiamo a legare, queste si legano sul chip in modo sparso. (“Vale a dire che ogni tanto sul chip si lega una molecola di DNA”).

• La molecola di DNA legata, essendo flessibile, può piegarsi ed interagire con un altro primer fissato sul chip complementare all’altra estremità della molecola. Si forma così una struttura a ponte (bridge amplification) in cui ho la molecola di DNA, che deve essere bersaglio della semireazione, legata sul chip e in cui una parte è a doppio filamento.

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• La molecola ora è suscettibile all’azione della polimerasi, che agisce e forma un doppio filamento che è appiccicato al chip. Una volta denaturato questo filamento si ottengono due molecole di

DNA a singolo filamento.

Ripetiamo il ciclo fino ad avere dei cluster.

Cluster → punti in cui si ha una grande densità della stessa sequenza evidenziata.

Su questi cluster

opereremo il

sequenziamento vero e proprio formato da:

1. denaturazione 2. aggiunta dei primers 3. aggiunta di nucleotidi

fluorescenti per

evidenziare la sequenza come nel metodo Sanger.

4. infine la macchina rileva diversi colori di fluorescenza per ognuno dei nucleotidi aggiunti.

Descrizione video:

Vediamo il chip a cui sono legati miliardi di oligonucleotidi. I due colori corrispondono alle due sequenze attaccate alle estremità del DNA della libreria. Quindi se io metto la libreria a singolo filamento, quest’ultimo si appaia. Inserisco poi la polimerasi e faccio avvenire la PCR. La molecola di DNA si attacca ad un altro primer che è attaccato vicino e ottengo la struttura a ponte. Rimetto la polimerasi che fa l’elongation step.

Dopo denaturo, i filamenti si ridistendono, si ripete il processo e si forma un cluster.

Per cui in posizioni vicine si hanno tante copie della stessa sequenza di DNA.

Sul chip ci sono tanti cluster, perchè in ogni posizione dove si era attaccato random un frammento di DNA si è ripetuto questo processo. Quindi in ogni posizione si è formato un cluster specifico per la sequenza.

Dopo di che denaturo ed inizio il sequenziamento vero e proprio: aggiungo i 4 nucleotidi fluorescenti e la macchina rileva il colore della fluorescenza. Ogni colore corrisponde ad una base incorporata. Quindi in questo caso in ogni cluster si trovano una centinaia di sequenze e sul chip ho tutte le sequenze diverse che ottengo contemporaneamente.

Viene rilevato un segnale ottico ed anche qui vi è un software che allinea le sequenze.

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N.B. questo metodo legge tutti e due gli strend (=filamenti) perché fa 2 step separati, nel primo step sequenzia un filamento e ne acquisisce tutti i dati, inizia poi un altro step in cui aggiunge un primer diverso e sequenzia l’altro filamento.

Le sequenze lette

contemporaneamente sono

dell’ordine di milioni. Tutto ciò si fa al massimo in 3 giorni, mentre per fare il sequenziamento del genoma ci sono voluti una decina di anni. Questa rapidità nell’acquisizione del dato è fondamentale per somministrare rapidamente al paziente la corretta terapia. La rapidità delle tecnologie ci fa sperare che questi metodi potranno essere utilizzati nella pratica clinica. Il prezzo di questi metodi è tra i 500-1000 euro per paziente, il problema è però il costo di queste macchine (che è di circa 200-300.000), quindi un ospedale non può acquistarle. Inoltre il prezzo per campione rimane sui 500-1000 euro solo se processiamo un certo numero di campioni, non certamente un campione ogni 3 mesi . Quindi la cosa migliore sarebbe fare dei laboratori centralizzati (uno magari al centro-nord e uno al centro-sud) a cui spedire il DNA.

Le librerie che si creano all’inizio di questi sequenziamenti possono essere diverse.

Se frammentiamo tutto il genoma andiamo a sequenziarlo tutto poiché mettiamo sequenze di vario tipo dello stesso genoma.

Gene Panel : per ottimizzare i costi e le rese, si può decidere di non sequenziare tutto il genoma (perché più sono le sequenze da analizzare, meno campioni si possono fare nello stesso kit di analisi). Infatti preparando un pannello di analisi vado a sequenziare solo le regioni che ho selezionato.

Es: è possibile disegnare un pannello in cui anziché analizzare tutto il genoma, analizzo solo quei frammenti di DNA che contengono le mutazioni somatiche note. Quindi invece di studiare solo KRAS al codone 12, faccio un pannello che le contiene tutte.

Quindi limitando i frammenti di DNA, posso aumentare il numero di campioni che processo nello stesso ordine di tempo, ma con costi minori.

Quindi otterrò delle librerie iniziali diverse. Un modo per frammentare solo le regioni che ci interessano è fare una PCR che amplifica in maniera specifica soltanto le regioni che contengono le mutazioni di nostro interesse. Questa è la maniera attualmente più praticabile, in futuro

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speriamo di poter ottenere per il paziente il sequenziamento dell’intero genoma. Ma prima di arrivare a questo vi è una via intermedia: sequenziamento dell’esoma.

Sequenziamento dell’esoma: Esoma→esoni dei geni, porzioni codificanti. Poiché gran parte delle mutazioni avvengono nelle regioni codificanti, questo è un buon modo per fare uno screening di tutte le regioni codificanti del paziente. Questo metodo è però limitato poichè non va ad evidenziare le mutazioni che avvengono nelle regioni regolatorie.

Biopsia: prelievo di materiale che sia rappresentativo del tumore; e consiste nel:

· prendere un pezzo di tessuto · fissare il tessuto in paraffina

· fare l’ analisi istologica. Poi dal tessuto si prende del materiale genetico per fare l’analisi molecolare. Oggi come oggi, poiché non si usa il sequenziamento, dal DNA estratto si possano fare al massimo 2-3 test per la limitata quantità di materiale. Quindi la biopsia viene fatta solo quando è veramente necessario. Inoltre non tutti i pazienti hanno disponibile una biopsia sulla quale fare una caratterizzazione.

Ad oggi però si intravede la possibilità di fare delle biopsie liquide.

Biopsia liquida:

Il prelievo di materiale rappresentativo del tumore in questo caso si può ottenere da un prelievo di sangue. Quindi ho un grande vantaggio, poiché il prelievo di sangue può essere fatto anche ogni giorno.

Cosa c’entra il sangue con il materiale tumorale?

Si è visto che nei pazienti affetti da tumore nel sangue si possono ritrovare due specie di materiale tumorale:

· cellule tumorali: la massa tumorale può esfoliare dalle cellule, le quali passano nel circolo sanguigno.

· DNA tumorale: del DNA in forma libera.

Se riusciamo, quindi, ad isolare dal sangue cellule e/o DNA tumorale possiamo fare tutte le analisi che vogliamo. Se abbiamo a disposizione il DNA possiamo analizzare le mutazioni cromosomiche e se isoliamo la cellula tumorale, possiamo analizzare geni, proteine e markers espressi.

Addirittura queste cellule isolate potrebbero essere coltivare in modo da ottenere un modello ex vivo che deriva direttamente dal paziente. Sulle piastre ottenute può esser fatto un test di efficacia del farmaco e andare in questo modo a selezionare il migliore trattamento tra quelli possibili.

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In alcuni centri di ricerca questa pratica si fa con le cellule tumorali derivanti da biopsie e prende il nome di : xenograph. Lo xenograph è un trapianto dall’esterno. Le cellule tumorali derivanti dal paziente si impiantano sostanzialmente su modelli di topo. Il topo viene quindi fatto crescere con il tumore e si va a vedere a quali farmaci è più sensibile. Sono per lo più delle pratiche di ricerca.

I vantaggi della biopsia liquida :

o assenza di contaminazione dalle cellule normali (teoricamente prendiamo solo le cellule tumorali)

o può essere ripetuta per quante volte si desidera

o valutare i trattamenti utilizzati ed un’eventuale resistenza del farmaco

o nel sangue oltre alle cellule del tumore primario possiamo trovare delle cellule tumorali secondarie che ci danno informazioni sulle sottopopolazioni presenti

o selezionare il cocktail di farmaci più appropriato.

Le cellule tumorali circolanti (CTCssi): esfoliano dal tumore ed entrano in circolo andando a creare le metastasi. Ci sono tre metodi fondamentali che si usano per isolare queste cellule ( che sfruttano le dimensioni, quindi la densità, e marker specifici delle cellule tumorali):

• metodo per esclusione: si fanno passare le cellule derivate dal prelievo di sangue su un supporto solido. Il supporto presenta dei pori di

dimensioni tali per cui, le cellule del sangue, abbastanza piccole, possono passarci attraverso, mentre le cellule tumorali, avendo delle dimensioni maggiori, rimangono in superficie . Quindi voi fate il passaggio attraverso questo filtro e le cellule che vi rimangono in superficie sono quelle tumorali.

• La cellula più grande ha una densità diversa: La centrifugazione permette di separare tra loro delle cellule che hanno una densità diversa . Si prende una provetta e la si mette all’interno di una macchina che sottopone il contenuto della provetta ad una forza di gravità maggiore di quella normale. Le cellule più pesanti vanno verso il fondo, mentre quelle più leggere rimangono in superficie della soluzione. Nella macchina viene messo il sangue intero a cui è stata aggiunta una soluzione, chiamata mezzo di separazione, che ha una densità intermedia tra i diversi elementi corpuscolati del sangue. Perciò, una volta fatto questo mix, si ottiene un risultato finale in cui i globuli rossi e bianchi si depositano tutti sul fondo della provetta, il mezzo di separazione, che ha densità ovviamente minore di questi

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elementi corpuscolati, si deposita in mezzo e sulla superficie si depositano le cellule più grandi e meno dense, tra cui le cellule tumorali (il plasma che è meno denso di tutti rimane in alto).

• Isolamento immunomagnetico. Si mettono sul supporto delle biglie che presentano degli anticorpi specifici contro le molecole di superficie della cellula tumorale. Quando la cellula tumorale passa quindi su questo supporto si lega agli anticorpi (attraverso il legame antigene-anticorpo), mentre le cellule del sangue normali passano senza problemi.

Aprendo poi il supporto è possibile andare a separare le cellule tumorali.

Tutti questi metodi però non sono molto accurati. Si possono avere infatti, dei falsi positivi dovuti per esempio, a dei linfociti di grandezza superiore alla media.

Come si fa allora a capire se le cellule tumorali raccolte siano realmente tumorali? Attraverso gli anticorpi fluorescenti.

Ogni anticorpo riconosce una specifica molecola collegata ad un colore e quindi si usano delle molecole che hanno una differente colorazione tra cellula cancerosa e cellula ematica.

Esempio:

o CD45 è una marker di superficie dei linfociti per cui se si ha una colorazione di CD45 su una cellula allora non è tumorale.

o Citocheratina è un marker delle cellule tumorali (essendo le cellule tumorali di origine epiteliale).

Inizialmente, la scoperta di queste cellule tumorali, fece scalpore perché il numero delle cellule trovate in circolo è stato correlato alla prognosi di alcuni tumori. Si sono stabiliti dei cut-off. Per esempio per il cancro della mammella il cuf off era di 7 cellule per ml di sangue(?) : per cui se avevi un numero inferiore a 7 cellule tumorali circolanti avevi una maggiore possibilità di una diagnosi negativa. Ovviamente più è alto il numero di cellule tumorali circolanti più è grande il rischio di metastasi. Ad oggi si preferisce caratterizzare le cellule tumorali dal punto di vista neurologico o molecolare, poiché questi metodi forniscono maggiori informazioni.

Il DNA circolante: è stato descritto per la prima volta nel ’48 ed è stato ritrovato in tutte le cellule.

Vi è quindi una nomale presenza di DNA che deriva dalle cellule ematiche, per esempio, che al termine del loro ciclo vitale rilasciano il loro DNA. Successivamente si è osservato però che pazienti oncologici avevano molto più DNA circolante rispetto ad individui sani.

Il DNA circolante oggi viene molto utilizzato per test prenatali in quanto nelle donne in gravidanza si trova il DNA delle cellule fetali.

Come fa il DNA tumorale ad essere presente?

Non si è arrivati ancora ad una risposta definitiva ma sono state proposte diverse ipotesi. Le possibilità sono:

• frammenti di DNA che derivano dall’apoptosi di cellule della massa tumorale;

• frammenti di DNA che derivano da processi necrotici

• Secrezione attiva da parte della cellula tumorale di DNA (cose ancora troppo vaghe però, che lasciamo ai ricercatori).

Quello che a noi interessa è la possibilità di isolare questo DNA e di farci sopra degli screening.

Ovviamente anche in questo caso ci sono delle problematiche.

Innanzitutto anche le cellule tumorali, come tutte le molecole, hanno un’emivita, e non si mantengono inalterate per un tempo indeterminato.

Sono stati però inventati dei metodi, che utilizzando dei tubi particolari che contengono un conservante, consentono di mantenere stabili le cellule tumorali e il DNA per qualche giorno.

Il prelievo deve essere fatto poi in modo da preservare l’integrità sia del DNA che delle cellule tumorali.

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Per quanto riguarda il DNA circolante, essendo presente in quantità estremamente ridotte, c’è un problema di sensibilità degli strumenti. Alcune metodiche sono più sensibili di altre.

Concludiamo con la speranza di poter utilizzare la biopsia liquida per monitorare continuamente il paziente con un tumore ad ogni step. In caso di resezione chirurgica, molti studi hanno osservato come la quantità di DNA circolante diminuisce moltissimo (ciò viene usato come indice di risultato della resezione).

Ovviamente il monitoraggio costante del paziente è anche un indice del risultato della

chemioterapia (anche dopo resezione chirurgica), in questo caso, la quantità di DNA circolante offre un aiuto molto importante per il dosaggio, in quanto consente in base ai valori di DNA circolante, di poter modificare il dosaggio del farmaco chemioterapico nel tempo.

Infine può anche essere considerato come un metodo estremamente vantaggioso per accorgersi precocemente di un eventuale ripresa di malattia.

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