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POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE TAXE PERÇUE TRIESTE

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Academic year: 2022

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Fondato a Pola il 29.7.1945 - Organo dell’Associazione del “Libero Comune di Pola in Esilio” - Via Silvio Pellico, 2 - 34122 Trieste Direttore responsabile: Silvio Mazzaroli - Redazione: via Malaspina 1 - 34147 Trieste - Telefono e Fax 040.830294 - sito web:www.arenadipola.it

Quote associative annuali per l’Italia: € 30 - Per l’Europa € 30 - Per le Americhe € 60 - Per l’Australia € 66 - da versare sul Conto Corrente Postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola - Trieste Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste perla restituzione al mittente previo pagamento resi

ALL’INTERNO

A proposito del francobollo su Fiume

Prima Guerra Mondiale,***

gli Istriani

nei Campi di internamento Serenissima***

Due Dogi di origine polese di Danilo Colombo Davanti la ‘Rena de Pola***

di Sergio Fantasma A chi la primogenitura***

dell’utilizzo delle Foibe di Aligi Vidossi La potenza navale austriaca***

e la piazzaforte di Pola di Aldo Chierini

Profughi***

di Roberto Stanich Lettere in redazione***

risponde Silvio Mazzaroli

NON HA MAI FINE L’INGRATITUDINE DELL’ITALIA

PER GLI ESULI

ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI

di Silvio Mazzaroli

Era

già successo e si è ripetuto. Ottobre è un mese funesto per gli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati e, per quanti hanno buo- na memoria e sono attenti alle no- stre cose, non è certo difficile in- tuirne il perché.

Era l'ottobre 2003 quando l'allora Presidente della Repubbli- ca Carlo Ciampi rinunciò, su pres- sione della Croazia, ad appuntare la Medaglia d'Oro al Valor Milita- re sull'ultimo Gonfalone della Città di Zara italiana, in possesso del “Libero Comune di Zara in Esilio”. La cosa fece scalpore, non solo per la vergognosa rinun- cia, ma anche per la polemica sor- ta in merito alla motivazione per il conferimento della medaglia. Il suo contenuto “resistenziale”

(vds. Arena di Pola del 15 nov.

2003) era, infatti, non solo un fal- so storico - come denunciato an- che dall' On. Renzo de' Vidovich -, bensì un'offesa - per altro, mini- mizzata da qualche altro esule dalla Città martire, con la scon- certante considerazione che “le motivazioni si dimenticano men- tre le medaglie rimangono” - alla memoria dei tanti Zarattini morti per l'immotivata violenza dei bombardamenti alleati prima e per la barbaria titina poi. Così, co- me nel 1944 lo storico Oddone Talpo, nella piena consapevolezza dell'ineluttabile perdita della Città, in una sua lettera aveva espresso la “disperata gioia” degli abitanti di Zara per la sua distru- zione, molti esuli dalla stessa, nel 2003, avranno probabilmente av- vertito una sorta di consolatoria compensazione tra la vile rinuncia del conferimento della medaglia e la mancata offesa arrecata alla memoria di tanti loro concittadini.

Rimaneva, comunque, il fatto che quel cedimento costituiva un al- larmante precedente, foriere di ul- teriori cedimenti, quando non an- che di poco nobili compromessi, per il futuro. Così è stato!

SEGUE A PAGINA2

Storia postale di Fiume F

iume, ovvero la romana Tarsatica …Terra

Fluminis Sancti Viti - Terra di San Vito al Fiume. Difesa da un vallo costruito dai romani nel 178 a.C. a protezione del confine orientale d'Italia, seppe resistere a lungo alle molte inva- sioni, specie da Avari e croati. Fu soggetta a Ra- venna nel Dominio bizantino, all'impero di Car- lo Magno, per passare nel X secolo come feudo ai Vescovi di Pola e, alla fine del secolo XV, in- corporata all'Austria sotto l'imperatore Carlo VI che proclamò la città "porto libero".

E' del 1749 l'apertura del primo Ufficio postale fiumano. Nel 1779 con Bolla di Maria Teresa, di- venne "corpo separato" del Regno d'Ungheria; dal 1809 al 1813 appartenne alle Province Illiriche sotto Napoleone; indi ancora all'Austria fino al 1825, quando ridivenne "corpo separato” dell'Un- gheria. Sebbene fosse "porto libero" dal 1717, Fiu- me si trovava fuori dalla rete principale delle co- municazioni, poiché la posta dei Torre e Tasso non si estendeva oltre Capodistria.

Il primo annullo conosciuto è in stampatello di- ritto in cartella di colore nero: “V. FIUME”. Du- rante l'occupazione francese (Province Illiriche) gli annulli, furono di tre tipi in stampatello diritto di colore rosso: “FIUME YLLIRIE”, “P.P. FIUME YLLIRIE” e “DEB. FIUME YLLIRIE”, dove le diciture "P.P.” indicano “Port Paye” (Porto pagato) e "DEB" vale per Debousè (tassa a carico del desti- natario). Dopo l'occupazione francese, riapparve il timbro "FIUME" in stampatello diritto senza la

"V" (von = da) di colore prima rosso e poi verde, blu e nero. Dal 1° giugno 1850, con l'emissione della prima serie di francobolli, finisce la prefilate- lia. I francobolli non dentellati raffigurano l'aquila bicipite con i seguenti valori e colori : 1 Kreuzer giallo, 2 kr. nero, 3 kr. rosso, 6 kr. bruno e 9 kr. az-

zurro. Per questa emissione, che durerà fino al 1858, l'annullo sarà a un cerchio, giorno, mese ed anno. Il 1° novembre 1858 viene emessa la secon- da serie dentellata con l'effigie di Francesco Giu- seppe rivolta a sinistra, con il fiocco sulla nuca a forma di "3" e con i valori e colori : 2 kr. giallo, 3 kr. nero, 5 kr. rosso, 10 kr. bruno e 15 kr. azzurro.

Nel 1860/61 la terza emissione ha i medesimi va- lori e colori della precedente con l'effigie di Fran- cesco Giuseppe rivolta a destra. L'annullo per que- ste due emissioni è ancora circolare, indi in riqua- dro ad angoli smussati.

L'emissione del 1° luglio 1863 è raffigurata nuo- vamente con l'aquila bicipite in ovale e di due tipi:

la prima a dentellatura 14, la seconda a dentellatu- ra 91/2. Con il 1° giugno 1867 l'emissione è nuo- vamente con l'effigie di Francesco Giuseppe aven- ti i valori da 2 kr. arancio, 3 kr. verde, 5 kr. rosso, 10 kr. azzurro, 15 kr. bruno, 25 kr. lillà-grigio e 50 kr. bruno. Come "corpo separato" d'Ungheria, arri- vano a Fiume i primi francobolli con i valori in krajczar (kreuzer in ungherese). Gli annulli saran- no di vari tipi : prima circolari, poi ovali, sempre con giorno, mese ed anno. In seguito saranno a doppio cerchio con giorno, mese, anno, ora di spe- dizione e lunette. Alla fine della prima guerra mondiale, rimangono i francobolli ungheresi con l'effigi di Carlo e Zita, la serie "mietitori" sovra- stampati "FIUME". Nel gennaio del 1919, Fiume stampa francobolli propri con la torre comunale, l'Italia, la prua di una nave con bandiera italiana.

In seguito a scontri con spargimento di sangue fra cittadini e truppe francesi di occupazione, Ga- briele D'Annunzio costituisce a Ronchi un corpo di volontari ed entra nella città alle ore 11 del 12 set- tembre 1919 acclamato dalla popolazione.

SEGUE A PAGINA2

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PAG.

2

L’ARENA DI POLA N.11 del 30 novembre 2007

NON HA MAI FINE L’INGRATITUDINE DELL’ITALIA PER GLI ESULI ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

La rinuncia all'emissione del francobollo ordinario dedicato alla città di Fiume “Terra orienta- le già italiana”, enunciata da Po- ste italiane con enfasi in data 16 ott. 2007, inopinatamente disdet- ta, per volontà del Governo su pressione esercitata ancora una volta dalla Croazia, alle ore 22.00 del giorno precedente alla data - 30 ottobre - prevista per la sua presentazione, annullo e messa in circolazione ed ora di prevista uscita in data 10 dic.

2007, è questione di umiliante at- tualità.

Ne hanno parlato tutti i media nazionali; la reazione sdegnata delle Associazioni degli esuli è stata assolutamente concorde;

il fattaccio è stato oggetto d'interrogazione parlamentare e le motivazioni addotte, impronta- te ad opportunismi politico-eco- nomici sul piano internazionale ed a meschine considerazioni di carattere commerciale su quello interno per le prevedibili specu- lazioni di carattere filatelico, hanno ancora una volta fatto emergere, oltre al pressappochi- smo, l'assoluta mancanza di di- gnità del Governo, da qualcuno tacciato di inopportuna conti- nuità nel proprio atteggiamento di “cupidigia di servilismo”.

Infatti, quello che nei confronti

degli Esuli è stato un pesante ol- traggio ai lori sentimenti, è stato - e non sembra proprio il caso di minimizzarlo - una assai più pe- sante, autoinferta, umiliazione per la classe politica italiana e per l'intero Paese, poiché il meschino cedimento costituisce una rinun- cia all'esercizio della sovranità nazionale. Si può definire in altra maniera la rinuncia a celebrare una pagine della propria storia?

E' forse da qualcuno confutabile che Fiume ed il suo territorio, ol- tre che per millenni culturalmen- te italici, siano stati storicamente, anche se sfortunatamente non per molto, italiani e come tali ricono- sciuti a livello internazionale e quindi “Terra orientale già italia- na”? Assolutamente no! Eppure non sono state poche le forze po- litiche e singoli cittadini che han- no espresso condivisione, quan- do non anche apprezzamento, per l'atteggiamento del Governo e questo deve costituire campanel- lo d'allarme per tutti noi e farci comprendere quanto sia ancora arduo e lungo il cammino per la comprensione ed il completo ri- scatto della nostra vicenda uma- na e storica.

Ma non è ancora tutto. Questi mesi autunnali, infatti, ci hanno dato un'altra palese dimostrazio- ne della assoluta mancanza di considerazione e della profonda ingratitudine che questo nostro

paese e la sua classe dirigente hanno per noi esuli. Il riferimento va, ovviamente, all'interpretazio- ne autentica della legge 140/85 contenuta nell'art. 61 della finan- ziaria 2008 (vds. l'Arena di Pola di ottobre), che priva del caratte- re dell'automaticità la perequa- zione della maggiorazione previ- sta per il trattamento pensionisti- co di talune categorie di cittadini, tra cui gli esuli, in aperta viola- zione, tra l'altro, del principio di uguaglianza (vds. art. 3 della Co- stituzione) che sancisce la parità di trattamento di tutti i cittadini beneficiari di uno stesso diritto.

Anche in questo caso, alla pre- sentazione del dettato di legge, la reazione di tutte le Associazioni è stata unanime, ne hanno parlato i media (soprattutto “Il Piccolo”, perché sembra che il problema sia particolarmente sentito nell'a- rea triestina), lo stesso è stato og- getto di critica da parte di qual- che politico che, in maniera tra- sversale ai partiti di maggioranza ed opposizione, aveva promesso il proprio impegno per una revi- sione dell'articolo in sede di di- scussione in Senato. Non se n'è fatto invece nulla; l'articolo è sta- to approvato nella sua forma ori- ginale; qualcuno, con scarsissima credibilità, ha dato da intendere che forse si potrà rimediare in se- de di discussione alla Camera.

Pura fantasia!? Così, non solo si è perpetrato un ennesimo furto

nei confronti degli esuli, ma si è anche dato dell'imbecille a tutti quei giudici ordinari e di Corte di Cassazione che, avevano dato ra- gione agli oltre 1000 esuli che avevano fatto causa all'INPS, in- terpretando il dettato della L.

140/85 in senso ad essi favorevo- le; in questa maniera il Governo, non solo si è sporcato le mani ru- bando a categorie deboli di citta- dini (quali indubbiamente sono i pensionati) pochi miserabili euro al mese (poco importa se sono € 15.50, corrispondenti alle 30.000 lire dell'85, o € 38.00 - corrispet- tivo aggiornato al 2007), ma han- no anche messo in discussione, cosa assai più grave, principi ba- silari della nostra Costituzione, quali l'indipendenza tra i tre pote- ri dello Stato, unica garanzia di democraticità.

Per concludere, stando così le cose, possiamo ancora sperare di avere un giorno giustizia da que- sto Stato che, anziché consolida- re viepiù la propria democrati- cità, anziché essere espressione del diritto svela, con crescente ar- roganza e senza pudore alcuno, il proprio carattere mercantile e di casta? Ricordiamocene quando dovremo esercitare il nostro dirit- to di voto; quando saremo chia- mati ad esprimere la nostra prefe- renza per questo o quel politico.

SILVIOMAZZAROLI

F LASH

A CURA DELLA REDAZIONE CON LA COLLABORAZIONE

DEI LETTORI

Collaborazione tra CRS di Rovigno, IRCI e CDM di Trieste

Lo scorso mese di ottobre si è tenuto a Rovigno un incontro tra i responsabili degli enti sto- rico-culturali che fanno capo agli esuli istro-dalmati e alla comunità italiana in Istria per promuovere un patto di colla- borazione permanente, da rea- lizzare con gradualità. Ad in- contrarsi sono stati: Giovanni Radossi (CRS), Silvio Delbello (IRCI), Renzo Codarin (CDM), l'Assessore alla cultura del Co- mune di Trieste, Massimo Gre- co, ed il suo omologo di Rovi- gno, Nicolò Sponza, ed il Presi- dente dell'Unione Italiana, Fu- rio Radin. Nel corso dell'incon- tro è stato auspicato il supera- mento delle preesistenti “situa- zioni di frontiera” alla luce delle dinamiche di allargamento della UE e si è parlato, oltre che di collaborazione in campo culturale, di progetti di sviluppo comuni in am- bito universitario e ri- guardanti sanità e ricer- ca. Successivamente, il Presidente della U.I., Radin, ha visitato il Mu- seo in via di realizzazio- ne a Trieste; nel corso della visita è stato preci- sato che lo stesso non sarà semplicemente il Museo dell'esodo, bensì il Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dal- mata, dove non si farà solo memoria del passa-

to ma si cercherà anche di pro- gettare il futuro. Questi sinteti- camente i fatti riportati dalla stampa. Se da un lato non si ha nulla da eccepire circa le pro- spettive di collaborazione tra enti che si occupano di ricerca storica e di cultura, dall'altro si eccepisce sul taglio politico at- tribuito all'incontro, volto ad accreditare la progettata colla- borazione come primo passo del processo di riavvicinamento tra esuli e rimasti. Inoltre, in quanto accaduto, sembra di po- ter cogliere un allarmante se- gnale di travisamento dell'idea originale di impostazione del- l'istituendo Museo triestino.

Giornata dei defunti: visita ai Cimiteri di Pola

In occasione del “giorno dei morti” si sono svolte a Pola le tradizionali visite ai Cimiteri cittadini, organizzate d'intesa tra le Autorità consolari e citta- dine e le Associazioni degli Esuli da Pola, precedute dalla celebrazione di una Messa di suffragio nel Duomo, celebrata

da Don Desiderio Staver e la partecipazione del coro Maria- ni. In particolare, venerdì 2 nov., il Console d'Italia a Fiu- me, Fulvio Rustico, il Vice sin- daco di Pola, Fabrizio Radin, il Presidente dell'Ass.ne “Libero Comune di Pola in Esilio”, Sil- vio Mazzaroli ed una rappre- sentanza di Esuli, guidata dal Consigliere Lino Vivoda giunta da La Spezia, hanno deposto corone di fiori al Sacrario ai Ca- duti Italiani nel Cimitero della Marina e, successivamente, sul- la tomba della Famiglia Saccon (in memoria delle vittime di Vergarolla) e su quella in cui sono ricordati i deputati istriani al Parlamento di Vienna. Nella prima circostanza, il

Gen. Mazzaroli ha pubblicamente depre- cato il recente inter- vento del Presidente croato Mesic, pronun- ciato nell'Arena di Po- la lo scorso 15 settem- bre.Sabato 3 novembre, la visita è stata ripetu- ta da una nutrita rap-

presentanza della “Famiglia Po- lesana” di Trieste, guidata dal neo eletto Presidente, Gen. Ric- cardo Basile. La stessa ha visi- tato per primo il Cimitero di Montegiro dove ha deposto mazzi di fiori sulle tombe degli Eroi italiani li sepolti. Toccante la commemorazione davanti al- la lapide che ricorda alcuni dei Morti di Vergarolla: qui, dopo la deposizione di una corona, è stata data lettura di una preghie- ra che ha commosso tutti i pre- senti. Alla cerimonia al Cimite- ro della Marina si è unito al gruppo il Sindaco del nostro Comune di Pola in esilio, Silvio Mazzaroli. Dopo la deposizione di una corona davanti al Sacra-

rio Militare Italiano è stato rag- giunto il cippo che ricorda, oggi dignitosamente, il sacrificio di Nazario Sauro, dove è stato de- posto un mazzo di fiori con i colori della nostra Bandiera e del nostro Comune. Il pranzo sociale ha concluso la giornata.

54° Raduno Nazionale dei Dalmati a Pesaro

Ci è stata trasmessa l'allegata relazione sul Raduno Nazionale dei Dalmati a Pesaro, contenen- te, a detta del suo estensore, Se-

reno Detoni, “una notizia che possiamo considerare storica, cioè un futuro svolgimento del Raduno a Zara- Zadar (Croa- zia). Si reputa ciò possibile, da- to l'evidente cambiamento cul- turale della Repubblica croata, prossima ad entrare nell'Unione Europea.” La relazione così re- cita: “Il 22 e 23 set. u.s., si è svolto a Pesaro, alla presenza di numerosissimi dalmati prove- nienti da ogni Paese, soprattutto dal Canada e dall'Australia, il raduno in oggetto, presenti an- che le rappresentanze delle Co- munità degli Italiani di Zara con la Presidente Rina Villani Marusic e quelle di Spalato, Le- sina e Cattaro. Il Consiglio Co- munale ha avuto luogo nella Sa- la del Hotel Cruiser, presieduto dal Sindaco Franco Luxardo, noto industriale del maraschi- no, coadiuvato dal Vice sindaco On. Renzo De Vidovich ed alla presenza del Sindaco onorario Ottavio Missoni, noto stilista di fama mondiale. Il vivace dibat- tito, soprattutto per l'intervento di De Vidovich e del Consiglie- re Sereno Detoni, pure Presi- dente onorario della Comunità degli Italiani di Zara, si è orien- tata ad analizzare la situazione che si è creata a Zara, soprattut- to in linea culturale, con l'auspicio che un prossimo Ra- duno dei Dalmati possa svol- gersi a Zara, che gli esuli dal- mati considerano sempre la ca- pitale morale della Dalmazia.”

Nulla da eccepire sulla mani- festata intenzione; anche noi siamo stati sfiorati, e più di una volta, dall'idea di svolgere un nostro raduno nella terra d'origne. Ciò che ci sorprende e ci preoccupa è la considerazio- ne che la renderebbe possibile.

Evidentemente gli amici Dal- mati sono di memoria corta, avendo dimenticato recenti strappi di bandiere nazionali e

Storia postale di Fiume

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Per ricordare questa data, il 12 settembre 1920 esce l'emissione con l'effigie di D'Annunzio aventi 14 valori ordinari e 2 espressi, e una di 4 valori per l'ingresso del Legionari, raffigu- ranti una spada che taglia un no- do, un vaso che versa acqua pe- renne, pugnali del Legionari e Piume con corone di spine. Il 20 novembre 1920 viene costituita la Reggenza del Carnaro e ne segue l'emissione di 16 franco- bolli - della serie Legionari - so- vrastampati “Reggenza Italiana del Carnaro". Nel novembre 1920 a Rapallo con gli accordi fra Italia e Jugoslavia, Fiume di- venta uno "Stato libero e indi- pendente" e sono emessi 14 francobolli raffiguranti: galea veneziana, arco romano, prore romane e San Vito con colonne.

II 2 febbraio 1921 la preceden- te serie con l'effigie di D'Annunzio viene emessa sovra- stampata "Governo Provvisorio"

e il 24 aprile dello stesso anno escono francobolli della serie

"Fondazione Studio" sovrastam- pati "24 IV 1921 - Costituente Fiumana - 22 II 1924".

ARMANDOBASSA

SEGUE A PAGINA3

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A proposito

del francobollo su Fiume

Croazia (Dalmazia inclusa);

tengono in assai scarsa conside- razione i continui furti culturali perpetrati dalla Repubblica croata nei confronti della cultu- ra italica sulla sponda orientale adriatica; sono sordi alle fresche parole pronunciate da Mesic, nonché alle denuncie fatte a li- vello europeo in merito ai ritardi di democraticità tuttora presenti nella vicina Repubblica. Che sia il loro solo un eccesso di ottimi- smo? Dalla stessa fonte appren- diamo altresì che è stato inaugu- rato il Consolato onorario d'Italia a Ragusa-Dubrovnik con sede in via Andrije Hebran- ga 112 nel porto raguseo di Gra- vosa. Il Console onorario italia- no Francesco Bongi, alla pre- senza delle autorità croate della Contea di Ragusa, ha illustrato le attività che il suo Consolato è chiamato a svolgere a favore dei numerosi turisti italiani che visi- tano l'antica Repubblica mari- nara di Ragusa, degli imprendi- tori italiani che operano nella Contea e dei cittadini croati che si sono dichiarati di nazionalità italiana o che hanno espresso in- teresse per la nostra cultura. Do- po la cerimonia, l'on. Renzo de'- Vidovich ha inaugurato, nella sede adiacente il Consolato la biblioteca della Fondazione Ru- stia Traine, che mette a disposi- zione di quanti sono interessati alla cultura italiana non solo i li- bri in lingua italiana che trattano la storia della Dalmazia, ma an- che pubblicazioni di ogni tipo edite in Italia.

L'Arena di Pola sta crollando

L'Arena di Pola rischia di crollare: pochi fondi e nessun restauro. Questo il titolo di aper- tura a pag. 11 di “Il Piccolo” del 24 ottobre u.s., pagina dedicata all'Istria, Quarnero e Dalmazia.

L'allarme viene dal Vice sinda- co italiano Fabrizio Radin, se- condo il quale l'anfiteatro roma- no verserebbe in condizioni pie- tose causa la scarsa cura prestata dal Museo archeologico istriano che gestisce il monumento sin dal 1961. Allarme un po' tardi- vo, non c'è che dire!

Infatti, oltre vent'anni fa - il 28 feb. 1987 - lo stesso “Picco- lo” pubblicava un mio servizio giornalistico dal titolo “Violen- ze ad una reliquia romana”, nel quale affermavo che “ormai del nobile anfiteatro romano ci è concesso di ammirare la schiet- ta linea e le armoniose propor- zioni solo nelle vecchi stampe e illustrazioni”. E ancora: “ Nel- l'horror in cui si presenta l'Arena c'è qualcosa di assoluta- mente imperdonabile: sono stati tagliati i muri romani antichi che collegavano la cinta interna (augustea) con quella esterna (claudia). Sono irrimediabil- mente distrutti.” Il mio allarme (mai smentito) continuava: “ Quando l'Arena, 2000 anni fa, era stata fatta sorgere esisteva l'intera costruzione interna con le volte radiali che reggevano le gradinate ellittiche: dunque la costruzione era organica com- pleta. Poi le strutture interne erano state demolite, e ai poste- ri è rimasta la parte esterna. Una visione unica, che ha avuto il potere di esaltare i nostri grandi architetti, da Michelangelo al Palladio, a Serio da Bologna (che, tra l'altro, diresse i lavori del castello di Fontainbleau).

Concludevo: “Il nostro ministe- ro degli esteri provvede a stan-

capolavori d'arte in Istria e nella Dalmazia”. Ecco i risultati!

Più che mai ora - dopo ben vent'anni - viene da chiedersi:

quali i doverosi controlli? E i soldi (chissà quanti) dove sono finiti?

RANIERIPONIS

Cadono le sbarre di confine ,

rimangono sbarrate le porte

delle nostre case

Il 20 dicembre prossimo l'Unione europea celebrerà l'ingresso della Slovenia, a completamento del suo proces- so d'integrazione, nell'area Schengen. Di conseguenza, sa- ranno rimosse tutte le sbarre di confine tra le Repubbliche di Italia e Slovenia. L'evento sarà celebrato, a sorpresa (stanti al- cuni precedenti si pensava che

la festa dovesse tenersi in area goriziana), al valico di confine di Fernetti (Trieste) con un megabrindisi allo scoccare della mezzanotte, alla presen- za dei sindaci e delle autorità provinciali e regionali italiane e slovene; due giorni più tardi a Rabuiese (presso Muggia), ci sarà, invece, una grossa mani- festazione alla presenza del presidente e vice presidente della Commissione UE, Josè Manuel Borroso e Franco Frat- tini, e dei 27 ministri dell'In- terno dei Paesi membri. Le sbarre in questione dell'area triestina, erano state poste nel 1945, alla fine del II° Conflitto Mondiale, come demarcazione temporanea tra la Zone A, sot- to occupazione militare allea- ta, e la Zona B, militarmente occupata dalla Jugoslavia, del Territorio Libero di Trieste;

avevano acquisito una nuova valenza, sempre però transito- ria, con il Memorandum di Londra del 1954, che restitui- va la Zona A all'Italia e affida- va l'amministrazione della Zo- na B alla Jugoslavia; avevano

lorché, con il Trattato di Osi- mo, l'Italia aveva definitiva- mente rinunciato alle sue terre orientali cedendole alla RSFJ di Tito e, dal 1991, quello con la neonata Repubblica di Slo- venia.

Dandone l'annuncio, il quo- tidiano triestino “Il Piccolo”, ha affermato enfaticamente:

”La notte dei festeggiamenti, italiani e sloveni per tornare a casa, dopo 62 anni, non do- vranno esibire i documenti e così sarà poi sperabilmente per

sempre”.

Non è esattamente così! In- fatti, ancorché sia assoluta- mente vero che dopo questa data italiani e sloveni potranno varcare senza mostrare i docu- menti il confine, rimane pur sempre il fatto che non tutti gli italiani, così facendo, potran- no fare ritorno alle loro case.

Questo non sarà possibile per

tanti istriani le cui porte di ca- sa continueranno ad essere sbarrate.

Con questo non si intende as- solutamente condannare la ca- duta di questo confine, che di per se' rappresenta un fatto po- sitivo, né sembra giusto orga- nizzare al riguardo una contro- manifestazione, che equivar- rebbe a porsi fuori dall'attua- lità storica; ciò non di meno ri- sulta per noi esuli estremamen- te doloroso che il tutto accada senza che prima si sia fatta giustizia o che si manifesti, da parte italiana, la ferma volontà di pretenderla in futuro. In so- stanza, come già nel '45, quan- do tutta l'Italia e gran parte del- l'Europa gioivano per la pace ritrovata, anche domani gli Istriani continueranno a pian- gere per le proprie vite spezza- te ed i propri beni dovuti ab- bandonare e che, confini o me- no, nulla lascia ben sperare po- tranno un giorno riavere. Una qualche civile forma di prote- sta appare, pertanto, oltre che lecita, giusta e, quindi, dovero- sa da parte nostra.

Valico di Fernetti: primi anni ‘60

Valico di Rabuiese, 1954: si traccia il nuovo confine

La

vicenda del francobollo su Fiume, con la sua ridda di annunciate emissioni, sospen- sioni e rinvii ha del tragicomico, o meglio del traumatico per noi esuli, direttamente chiamati in causa, e dell'irridente nei confronti dei nostri gover- nanti. Eppure, in passato, l'Italia è stata una cosa seria, meno pavida. Nel 1954 un francobollo (in realtà 2, dal valore di 25 e 60 lire), per celebrare l'avvio del servizio televisivo in Italiana, aveva suscitato le aspre proteste della Jugoslavia, perché vi appariva l'Istria come se

fosse ancora italiana. Allora eravamo certamente più perdenti di oggi, più poveri, ma la dignità del Paese, pur da poco sconfitto, era un'altra come altri, diversamente temprati e motivati, erano gli uomini che la governavano e l'emissione avvenne regolarmente. Oggi, come a tutti noto, le cose sono andate in maniera diversa.

Forse, un po' meno note le cause che hanno determinato questa enne- sima meschina figura del nostro paese. Alla base del tutto una protesta che sarebbe stata rivolta dalla Croazia alle nostre autorità diplomatiche per il supposto carattere “revanscista” ed “irredentista” della scritta

“Terra orientale già italiana” e della valenza provocatoria dell'immagi- ne del Palazzo del Governatore di Fiume, rappresentato nel francobol- lo, considerato dai nostri vicini simbolo dell'occupazione nazifascista della Città. La Farnesina, negando di aver soggiaciuto al “ruggito del topo”, ha preferito imputare la sua decisione di farne sospendere l'emissione ad una autonoma decisione di opportunità politica per non arrecare turbamento alle incombenti elezioni politiche in Croazia. In sostanza, considerazioni di “buon vicinato” e di “vicinanza ideologica”

hanno avuto il sopravvento sui sentimenti di tanti connazionali, non so- lo esuli e sulla dignità dell'intero paese.

Tralasciando le prese di po- sizione assunte e le dichiara- zioni rilasciate a posteriori al riguardo dai tanti politici di casa nostra, tutti indistinta- mente colpevoli o di pres- sappochismo, per non aver valutato in tempo utile le conseguenze internazionali di una simile emissione fila- telica o di non aver vigilato efficacemente affinché il paese non incorresse in que- sto increscioso scivolone, piace sottolineare che in questa circostanza le mani- festazioni di sdegno espres- se da tutte le nostre Asso- ciazioni, come emerge da vari comunicati, sono state unanimi tant'è che, ripropo- nendo le parole espresse dai vari Presidenti, si corre- rebbe il rischio di essere ri- petitivi. Per questo, si è

scelto di dare spazio a manifestazioni espressi-

ve della protesta e dello sdegno degli esuli proposte da altri esponenti della nostra diaspora.

A

lziamo le bandiere abbrunate, poiché in Italia è morta definitiva- mente la giustizia. Il 30 ottobre 2007 le Poste Italiane dovevano emettere un francobollo dedicato alla città di Fiume. Dopo la medaglia d'oro alla città di Zara, ecco il secondo schiaffo agli esuli giuliano dal- mati. Proveniente dalla capitale mondiale dei calabrache (quei trinari- ciuti tanto cari a Giovannino Guerreschi) che oggi o[kk]upano la Far- nesina è arrivato il "contrordine compagni". Evidentemente da Zaga- bria (indignata) è partito l'ordine di sospendere l'emissione e l'Italietta dei "prodi", dal cuor di coniglio, prontamente ha ubbidito. Altro che memoria questi ci stanno facendo ritornare nelle "riserve" (leggasi ta- ne) dell'oblio. Che tristezza.

PIEROTARTICCHIO

A

proposito di bandiere, dando seguito alle parole del proprio Pre- sidente, l'Unione degli Istriani ha tolto, in segno di protesta, il Tricolare dalle finestre della propria sede e l'ha sostituito con il cartello

“Ridateci il francobollo di Fiume” ed ha reso noto che lo esporrà nuo- vamente se e quando il francobollo verrà effettivamente emesso.

SILVIOMAZZAROLI Fotomontaggio di Franco Biloslavo

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L’ARENA DI POLA N.11 del 30 novembre 2007

Prima Guerra Mondiale:

gli istriani nei Campi d’internamento M

olto spesso, quando

parliamo di foibe, di campi di sterminio (es.

Borovnica) o di rieducazione (es.

Goli Otok) ci vediamo sbattere in faccia, dalla controparte slovena e croata, i campi di internamento allestiti dall'Italia fascista nel cor- so del secondo conflitto mondia- le, quali i ben noti campi di Arbe e Gonars. A prescindere dal fatto che tra le suddette tipologie di istituti ci sono differenze assai si- gnificative, quali: l'essere stati re- si operativi guerra durante o a conflitto finito; pratiche come tortura, lavori forzati, esecuzioni individuali e collettive in essi at- tuati o meno; … è da rilevare che

l'istituto del campo

d'internamente, per le popolazio- ni civili ritenute a torto o a ragio- ne infide, è previsto dalle leggi di guerra internazionali e che tutti i paesi, anche i più democratici e civili, se ne sono ampiamente av- valsi, in periodo bellico, nel corso della storia.

Se n'è ampiamente avvalsa, ad esempio, l'Austria-Ungheria nel corso del I Conflitto mondiale e, anche in quella occasione, a su- birne le nefande conseguenze fu- rono, in particolare, le genti italia- ne del Trentino, della Venezia Giulia e dell'Istria. Una triste esperienza che le genti slave resi- dente negli stessi territori non sperimentarono minimamente, essendo, al tempo, fedelissime del regio-impero di Francesco Giuseppe (l'irredentismo slavo era allora un fatto assolutamente elitario), e furono anzi tra i mag- giori beneficiari degli esiti di quel conflitto, con la nascita del Regno degli Sloveni, Croati e Serbi.

Ma qual è la sorte toccata allora ai nostri conterranei? I più fortu- nati furono inviati in Boemia e Moravia presso famiglie di conta- dini che, mossi a compassione per le loro pietose condizioni, simpa- tizzarono con i profughi italiani.

Assai più sfortunati invece coloro che furono internati nei campi, o meglio nei lager, di concentra- mento austriaci. Uno di questi era quello di Landegg (Pottendorf) che, nel corso di circa trenta mesi, accolse oltre 6.000 italiani di cui 650, come ricordato da una lapide ivi posta, vi trovarono la morte.

Altri simili lager, con il loro co- rollario di morti, furono quelli di Wagna e Leibnitz e, per i fiumani, quello ungherese di Tapiosuly.

A Wagna, il 1°luglio 1953, ven- ne posta una targa commemorati- va bilingue a ricordo dei 2.920 istriani e friulani che vi perirono e degli altri 90 morti nel campo di Wurmberg. Statisticamente par- lando, in questi campi perirono di stenti oltre il 10 per

cento degli internati, soprattutto vecchi e bambini; assai numerosi furono altresì coloro che ne usci- rono minati nel fisico e morirono successivamente. Tra questi, ri- cordiamo il polesano Egidio Bul- lesi, morto a soli 24 anni di tuber- colosi, contratta da bambino du- rante l'internamento a Wagna, e recentemente Beatificato dalla Chiesa.

Di seguito, una sintesi di come andarono le cose, tratta da una te- si di laurea dal titolo La popola- zione civile dell'Istria meridiona- le nei campi d'internamento au- striaci 1915-1918, discussa pres- so l'Università di Padova nell'a.a.

1997/98.

In seguito allo scoppio del pri-***

mo conflitto mondiale, e in parti- colar modo dopo l'adesione dell'I- talia alla guerra a fianco dei Paesi dell'Intesa (24 maggio 1915), le alte sfere militari dell'Impero au- stro-ungarico decidono di far eva- cuare dalla popolazione civile la zona circostante la fortezza e il porto militare di Pola. Si trattava dell'ampia area comprendente, considerate le località maggiori e i relativi territori: Pola, Dignano, Valle, Carnizza, Barbana, Sanvin- centi, Canfanaro, Rovigno, Villa di Rovigno, Barbariga. Scopo del provvedimento è quello di assicu- rare libertà di manovra militare nell'Istria meridionale all'Impero.

L'Istria rappresentava per l'Austria di allora una regione marginale dal punto di vista geo- grafico, ma aveva un ruolo milita- re e strategico importante. Confi- nava con il Regno italiano, parti- colarmente infido agli occhi del- l'Impero, a causa soprattutto della questione adriatica, continuamen- te risollevata in Istria dallo svi- luppo negli ultimi cinquant'anni di un forte irredentismo, che l'Austria, favorendo l'elemento slavo della penisola, cercava di combattere e di soffocare con mezzi più o meno legali.

Vienna aveva investito molto nella costruzione e nel riadatta- mento delle strutture difensive che puntellavano tutta la costa adriatica, concentrando, però, i suoi sforzi nell'alto Adriatico, nella parte meridionale dell'Istria.

Pola, dal 1856 in poi, aveva subi- to una radicale metamorfosi, di- venendo il maggior porto militare austro-ungarico, sede anche della Marina e dell'Arsenale, ottima- mente protetto. Ciò non bastava e in quel maggio del 1915 l'Austria, per essere sicura di non vedersi tagliare le vie di rifornimento al- l'esercito e agli operai dell'Ar- senale, e per garantirsi una maggiore li- bertà di ma- novra, decise di far evacua- re la popola- zione civile dell'Istria meridionale.

Voleva evi- tare anche la possibile penetrazio- ne di spie

nemiche ed eventuali atti di sabo- taggio, eseguiti in accordo con gli irredentisti ed i nazionalisti locali.

Questa scelta, che poteva essere giustificata dal punto di vista stra- tegico-militare, si rivelò gravida di conseguenze disastrose per la popolazione interessata: migliaia di istriani furono costretti a vivere per tre anni in condizioni quasi animalesche, lontani dalle loro terre, abbandonate alla mercè dei soldati imperiali. E' impossibile indicare esattamente la data d'inizio dell'esodo forzato. C'è molta imprecisione in merito, sia per ciò che riguarda il tempo e il modo in cui venne dato l'ordine di sgombero ai cittadini istriani, sia per ciò che riguarda l'inizio delle partenze.

L'avviso portò ad una tremenda confusione, mista di incompren- sione e di sorpresa; costrinse tutti a delle scelte immediate sul da farsi. La guerra entrava prepoten- temente nelle case di ognuno sen- za bussare. E' certo, comunque, che le partenze si svolsero nel pe- riodo compreso tra l'ultima deca- de di maggio e i primi giorni di giugno. Il viaggio, una vera e pro- pria odissea, fu disastroso: nei va- goni bestiame le per-

sone vissero per gior- ni pigiate le une sulle altre, avendo a di-

sposizione uno spazio vitale limi- tatissimo, senza acqua, ne pane, ne paglia per potersi riposare;

senza la possibilità di scendere dal treno per sgranchirsi un po' le membra o per procurarsi del ci- bo: si rischiava di venir abban- donati nelle varie stazioni. I con- vogli attraversarono la Croazia, la Slovenia e l'Austria raggiun- gendo poi varie località. General- mente i treni arrivavano fino a Marburg (Maribor) in Slovenia e qui si dividevano o verso l'Austria o verso l'Ungheria e la Cecoslovacchia. La maggior par- te degli istriani venne raccolta nel campo (lager) di Wagna. Gruppi di minor consistenza si trovavano anche a Gmund, Leibnitz, Steink- lamm, Oberhollabrunn, Ober- stinhenbrunn, Pottendorf, Ka- mensdorf, Napensdorf, Nulen- dorf, Innendorf, Gutendorf, Bruck an der Leitha, Retz; in Un- gheria: Paks, Bonjihadi, Salka, Grand, Mocva, Kisvejka; ed an- cora in Cecoslovacchia, Moravia e Boemia.

I campi-profughi o, meglio, le stazioni d'internamento (Internie- rungstation), come appariva scrit- to a caratteri cubitali all'entrata dei campi - erano già pronti ad at- tendere i nuovi arrivati. Costituiti generalmente da baracche di le- gno, assunsero ben presto l'aspetto di vere e proprie "città di legno". Alcune di queste, vedi il campo di Wagna, presso Leibnitz (Stiria) in Austria, erano dotate di tutte le strutture ritenute necessa- rie per permettere un'esistenza

“normale”: oltre alle baracche- abitazioni, c'erano le cucine, i ba- gni, gli edifici scolastici (asili in- fantili, scuole elementari, scuole di musica, collegio militare), lo spaccio, gli ospedali e gli ambula- tori, la chiesa, la sala di lettura, le officine (per falegnami, fabbri, carpentieri, muratori, pittori, sarti e calzolai, ecc.). L'Austria aveva

p e n s a t o

proprio a tutto, con meticolosità e spirito di organizzazione. Occor- re, però, fare attenzione e non la- sciarsi andare alle facili conclu- sioni: c'era una differenza abissa- le tra quelle che erano le intenzio- ni della amministrazione e quella che era la realtà dei campi, tra il progetto teorico, probabilmente funzionante nei primissimi tempi, e la prassi successiva. E' interes- sante notare come i testi di parte austrofila tendano ad accentuare l'ottima organizzazione e siste- mazione dei profughi, ottenendo alla fine il risultato di evidenziare il lato grottesco di tutte le azioni e disposizioni adottate dal Gover- no. Solo nelle intenzioni ed in ap- parenza, infatti, sono volti a di- mostrare come le imperial-regie autorità abbiano agito, non solo in buona fede, ma anche nel ri- spetto delle leggi e dei diritti umani.

Lontana dalle loro terre, da tut- to ciò che era costato anni di la- voro e di sacrifici e che, forse, non avrebbe più rivisto o ritrova- to integralmente, la gente istria- na, profondamente attaccata alle sue radici e alle sue tradizioni, subì una frattura psicologica, so- ciale ed economica, che fu diffi- cile rimarginare e che, ancor og- gi, è ben presente nella memoria dei pochissimi ancora in vita so- pravvissuti a quella esperienza.

Una volta arrivati a destinazio- ne, ultima stazione di quella este- nuante via crucis, e sistemati nel- le baracche, iniziava per gli sfol-

lati un lungo periodo di indigenza e di sof- ferenza: la fame e la miseria dominavano sovrane, la morte in- fieriva sui più deboli e indifesi, il pensiero rivolto ai propri cari in guerra o alla casa abbandonata, la man- canza di libertà, l'ozio forzoso, l'insofferenza per una guerra non da tutti compresa e condivisa erano i pensieri ed i problemi che affanna- vano gli animi. Inizia- va una specie di lotta per la sopravvivenza, per cui in ogni cosa, in ogni attività della gior- nata si cercava di alleg- gerire il peso di un'esi- stenza fatta di stenti e di privazioni per condurre una vita, almeno all'ap- parenza, civile.

Per chi volesse approfondire la***

conoscenza del processo di inter- namento di civili dall'Istria, dal momento della loro partenza fino al loro rientro in patria (maggio 1915 -autunno 1918), relativa- mente al quale le fonti nazionali consultabili sono estremamente carenti, si suggerisce la lettura di due fonti austriache risalenti al momento dei fatti: A lmanacco del popolo. Strenna di Wagna, ri- spettivamente per il 1916 e per il 1917, pubblicate dalla luogote- nenza di Graz, e l'opuscolo Flii- chtlingslager-Wagna bei Leibnitz (Campo profughi - Wagna presso Leibnitz) stampato, anch'esso, a Graz. Quest'ultimo fornisce, in modo preciso e minuzioso, il pro- cesso di adattamento e di costru- zione del campo in questione, nonché informazioni utili sull'or- ganizzazione della vita dei profu- ghi all'interno del reticolato di ferro. Gli almanacchi, pur con le dovute attenzioni interpretative data l'ispirazione prettamente fi- loaustriaca del testo, aiuta a rico- struire gli aspetti sociali del sog- giorno degli internati a Wagna (organizzazione di tipo militare del campo, organizzazione dell'i- struzione, del sistema sanitario, delle occasioni di divertimento), nonché a far capire, attraverso la lettura delle poesie e dei racconti che ne riempiono abbondante- mente le pagine, il modo di senti- re di quei poveretti.

Il Campo di internamento di Wagna

Albino, Katharina e Emil Bacich

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Ricordi dal Campo

di internamento di Pottendorf

Da testimonianze orali di Amelia Petronio Sidari

di Tito Lucio Sidari

Mia

mamma A me-

lia - allora bam- bina - come tantissimi altri cittadini italiani della Pola asburgica nel corso della I^ Guerra Mondiale aveva a lungo soggiornato nei campi di internamento istituiti dall'A u- stria-Ungheria nei propri territori per allontanare gli elementi con- siderati “infidi” dalle aree sensi- bili ai fini del conflitto in atto. Di quel soggiorno coatto conservava un lucido ricordo ed amava rac- contare a noi figli episodi partico- lari del suo sofferto vissuto. Ve ne riporto alcuni, così come mi sono stati raccontati.

poi nel paese di Bata in Ungheria, poi nel campo di concentramento di Gmünd nella Bassa Austria, insieme con i figli più giovani (12, 14 e 16 anni) tra cui mia mamma. Dopo lo spaventoso campo di Gmünd, dove la so- pravvivenza alle privazioni e alle malattie era frutto di pura fortuna personale, si trova ora nel campo di Pottendorf - Landegg, presso Wiener-Neustadt, il quale è me- glio organizzato, ma subisce tre catastrofi consecutive: un'allu- vione da parte del fiume che lo attraversa, un incendio devastan- te, un'epidemia di vaiolo.

Finalmente ai profughi giunge una visita che, in tanta dispera- zione, ha quasi del soprannatura- le: la Principessa Zita, la futura Imperatrice (nata in Italia dai Borbone-Parma). Colei che tanto farà, con Carlo d'Asburgo, per tentare di giungere ad una pace separata e anticipata con le po- tenze dell'Intesa e che nel frat- tempo lo convincerà, io ritengo, a consentire il rientro dei deportati a Pola.

violini davanti alla Principessa Zita; poi tutti ricevemmo dalle sue mani dei doni, consistenti nell'occorrente per il ricamo, per le bambine, e in astucci di colori per disegno, per i bambini. Inol- tre furono loro destinati dei doni in denaro e delle catenine ...”.

“Evviva Cesare Battisti!!! Ev-

Cominciò un applauso da parte dei più vicini, quale consenso a quel grido; gradatamente l'applauso si estese a tutti i pre- senti. “E' un patriota trentino!”

bastava ad informare chi non lo conosceva e a suscitare l'applauso.

Il giovane non aspettava al- tro. Con le braccia in alto inci- tava ad applaudire. Ai più vici- ni disse: “Si è arruolato come alpino; è stato catturato e subi- to impiccato a Trento! “ Espressioni di orrore si dipin- sero sui volti di chi aveva sen- tito; quei pochi si girarono ver- so chi avevano dietro di sé, ri- petendo la notizia, che così si diffuse a quasi tutta la folla, che andava crescendo ancora.

“E ancora una volta … ev- viva!!! Cesare Battisti!!!”

gridò il giovane quando l'applauso iniziale si affie- volì. “Evviva!!!” rispose la folla, applaudendo nuova- mente. E poi ancora.

“E ancora una volta … ev- viva!!! Cesare Battisti!!!” -

“Evviva!!!”

La gente commentava la notizia, esterrefatta. Era ab- bastanza noto, tra i profu- ghi, che nell'esercito italia- no si erano arruolati molti giovani delle terre italiane soggette all'Austria-Unghe- ria. Ma forse nessuno aveva immaginato che questi pa- trioti, se catturati, sarebbe- ro stati trattati come tradi- tori e, addirittura, impiccati!

Battisti poi, uomo di vasta cultu- ra, quarantunenne, padre di tre fi- gli, era da sempre un avversario dichiarato e leale dell'autorità imperiale, non certo un sobillato- re che manovrava nell'ombra.

L'accusa di tradimento era una indegnità, poiché gli irredenti combattevano per propria scelta nell'esercito della loro patria, re- golarmente arruolati ed inqua- drati nell'esercito regolare, vestiti in divisa e, taluni, comandanti di unità; nessuna ambiguità od equivoco poteva sussistere. Lo stesso Battisti lo sostenne a chia- re parole nel suo processo ed af- fermò di aver svolto in piena co- scienza tutte le attività antiau- striache di cui veniva accusato, sia come cittadino, sia come par- lamentare eletto dalla popolazio- ne italiana, sia come soldato ita- liano.

“E ancora una volta … evvi- va!!! Cesare Battisti!!!” - “Evvi- va!!!”

Amelia era nella folla che ap- plaudiva; essendo piccola, facil- mente si intrufolava tra gli adulti, per arrivare sempre più vicino a quel povero palco improvvisato.

Ormai la folla rumoreggiava, ri- bolliva, era in procinto di fare … cosa? Un corteo, una dimostra- zione nel campo di concentra- mento ... una protesta davanti al- le autorità del campo …

“E ancora una volta ... evvi- va!!! Cesare Battisti !!!” urlava ancora il giovane, quasi senza

più voce.

“Evviva!!!” rispondeva la folla.

Egli aveva potuto dare poche altre notizie, “Sì, Battisti era uffi- ciale nel Sesto Alpini. E' stato catturato in battaglia vicino a Ro- vereto … anche Fabio Filzi, un ufficiale istriano, è stato catturato

… li hanno portati a Trento e su- bito impiccati !!! Hanno gridato:

Viva l'Italia!”

Forse non sapeva di più, non poteva sapere che il primo cappio si era rotto. Non poteva sapere, poi, di quei sacri otto minuti di orrore. Non poteva sapere che Fabio Filzi era stato impiccato benché fosse stato gravemente ferito, prima della cattura, da una sventagliata di mitragliatrice.

“E ancora una volta … evvi- va!!! Cesare Battisti!!!” - “Evvi- va!!!”

Si fecero largo a gomitate nella folla alcuni gendarmi; giunsero al giovane; lo tirarono giù dalla cas- sa e lo portarono via di peso, ra- pidamente, prima che la folla si richiudesse su di loro e scoppias- se l'irreparabile.

Così il campo di concentra- mento di Pottendorf-Landegg ap- prese dell'impiccagione dei primi due martiri italiani della Prima Guerra. Ben presto si sarebbe compiuto il terzo sacrificio.

Se lo desiderate, ho per voi molte altre testimonianze, tratte da suoi appunti originali.

Cresima a Pottendorf

Landegg, 1916

“Evviva

Cesare Battisti”!

Mio

nonno materno, Bor- tolo Petronio, che era carpentiere presso l'imperial-re- gio Arsenale di Pola e morì nel 1917, usava dire

ai figli, indicando due ritratti appesi alle pareti di casa:

“Guardate, figli:

quello è

l ' I m p e r a t o r e Francesco Giu- seppe; gli dob- biamo rispetto perché è lui che ci dà da mangia- re. Questo è il Re d'Italia e noi lo amiamo per- ché è il nostro Re.”Era lo stesso nonno che nel 1891 impose ad una figlia i nomi di Margherita Regina Italia.

Forse deriva da quelli come

lui e dai loro padri la lunga storia di devozione che parecchi esuli dalle terre di Istria, Fiume e Dal- mazia, me compreso, hanno ver- so la Monarchia italiana. Non si tratta di vuoto sentimentalismo:

per i nostri nonni e i nostri padri essa fu il simbolo della nostra Pa- tria, alla quale le nostre terre fu- rono unite finalmente nel 1918, per troppo breve tempo.

Ma torniamo al 1916. Da oltre un anno la popolazione non mili- tarizzata di Pola, cioè donne, bambini, vecchi e inabili è stata deportata dalle Autorità asburgi- che in lande sperdute dell'Unghe- ria e in campi di concentramento austriaci, in condizioni difficilis- sime; solo i più facoltosi hanno potuto trovare sistemazione in al- cune città, con condizioni di vita accettabili, nonostante la fame che imperversa in tutto l'Impero.

Antonia, mia nonna materna, dopo aver lasciati forzatamente a Pola nel maggio 1915 il marito e sei figli militari o militarizzati, ha già passato un'odissea nel campo di concentramento di Wa- gna presso Leibnitz in Austria,

Ecco le poche parole che mi so- no rimaste di mia madre Amelia (che allora aveva 12 anni) su que- sto avvenimento:

“... Ma a Pottendorf avvenne anche una importante e bella ce- rimonia, che rimase impressa nel- la mia mente, certamente più che in altre bambine della stessa età:

la Cresima.

Le bambine vennero preparate con molti giorni di anticipo; quel- le che sapevano suonare il violi- no, come me, ebbero gli strumen- ti e la possibilità di esercitarsi.

Probabilmente avemmo anche le- zioni di catechismo. Poi fu an- nunziato che avremmo avuto una madrina d'eccezione: la Princi- pessa Zita d'Asburgo! Si trattava nientemeno che della sposa del Principe Ereditario Carlo d'Asburgo (che sarebbe divenuto Imperatore di lì a pochi mesi, nel Novembre 1916).

La Cresima riempì di gioia i bambini e fece passare una gior- nata consolante a tutti i profughi;

fu un vero avvenimento. E fu an- che un segno che quegli esuli era- no ancora considerati dei cittadi- ni, degni dell'attenzione di una maestà imperiale, pur in quella situazione.

Io - Amelia - e le altre bambine tenemmo il nostro bel concerto di

il suo fiato:

“Evviva Cesare Battisti!!! Ev- viva Cesare Battisti!!!”

Donne, bambini, vecchi attorno a lui lo guardavano attoniti, senza parlare. Chi era nei pressi si avvi- cinava sempre più; chi era lonta- no nella via si incamminava velo- cemente in quella direzione, il volto fisso a captare quello che stava succedendo. In breve si ad- densò una folla. E il giovane con- tinuava a ripetere: “Evviva Cesa- re Battisti!!!”

Qualcuno cominciò a chieder- gli: “Cosa è successo? perché gri- da così?”. I profughi da Trento e dal territorio circostante conosce- vano bene il nome di Cesare Bat- tisti, era come il Tricolore. Era stato eletto, dalla popolazione italiana, deputato al parlamento di Vienna e poi alla dieta di Inn- sbruck; aveva fondato giornali ed associazioni di dichiarata fede italiana ed irredentista, attirando- si naturalmente i fulmini delle autorità austriache ed il consenso dei concittadini. Un anno prima della dichiarazione di guerra del- l'Italia all'Austria era entrato in Italia con la famiglia e alcuni amici. I profughi trentini poteva- no sapere poco di più; di meno o niente gli altri.

“Evviva Cesare Battisti!!!”

viva Cesare Battisti!!!”

Il grido fortissimo echeggiò nella strada principale del campo, all'improvviso, facendo sussulta- re quelli che erano vicino; tra essi Amelia, che stava tornando dalla scuola alla sua baracca.

Un giovane aveva portato in mezzo alla strada una cassa di le- gno, alta circa mezzo metro, ci era salito sopra, fra la curiosità dei passanti, ed immediatamente aveva iniziato a gridare con tutto

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A cura della Redazione di Milano diretta da Piero Tarticchio L’ARENA DI POLA N.11 del 30 novembre 2007

di Ruggero Botterini

di Danilo Colombo

MAIERLING IL MITO

C

hi era il bambino Rodolfo che per un bacio avreb- be buttato al vento il ti- tolo di principe eredita- rio? Tale la conseguen- za del vivere in un mondo senza affetti, dove il padre Francesco Giuseppe, era Impera- tore per volontà divina.

Così Rodolfo, alla tene- ra età di due anni venne portato al cospetto del-

l’Imperatore con l’uniforme di co- mandante del I9° Reggimento fanteria dell’Impero austro-unga- rico. Il padre guardò il figlio con orgoglio: sarebbe diventato un buon... soldato.

Invece...

E pensare che Rodolfo, fin da bambino, terrorizzato dal buio, era colui che in famiglia chiama- vano «cadaverino» perché, fre- quentemente ammalato, avrebbe molto volentieri ceduto le mostri- ne di colonnello a chiunque fosse stato disposto a regalarli una ca- rezza o cullato con dolci parole.

La madre, Sissi, ancorché amata dal popolo, era troppo indaffarata a rincorrere le sue ubie, ad ascol- tare i suoi doloretti, a sospirare per la sua infelicità. E così, anziché elargire ciò che Rodolfo si aspet- tava dalla madre: parole e carez- ze; preferiva scriverli, con una ve- na di stizzito disappunto: «Ho sentito che ti sei arrabbiato perché non ho scritto anche a Te. Ti ricor- di ancora un pochino di me?» Ro- dolfo era, anche, un bambino neu- ropatico e ansioso che aveva pau- ra di stare da solo e che, nella sua iperbolica fantasia immaginava cose terribili che si distaccavano spesso dalla verità.

A consolare il suo cuore inaridito da tale atavica carenza di affetti non serviva il matrimonio con l’eterea sedicenne Stefania del Belgio, figlia di Leopoldo II, cele- brato a Vienna nella chiesa degli Agostiniani nel maggio del 1881.

Matrimonio celebrato per conve- nienza politica, in spregio ai più elementari sentimenti e contro la volontà degli interessati. Stefania invano aspettò una tenerezza, una parola amorosa. Disse: «La notte fu un...tormento, orrore e rivolta».

Destinata a essere mes- sa in secondo piano da uno stuolo di amanti del marito: l’ultima, Maria Vetsera, infatuta del principe ereditario.

Ma il rubacuori, l’uomo che si faceva affibbiare la gonorrea da una pro- cace ballerina tzigana, che impunemente tra- smetteva alla moglie per poi esorcizzare le paure nell’alcool e nella morfina, finì per diventare perico- loso alla fazione conservatrice dell’Impero, per le sue idee politiche e poiché personificava l’impossibilità di un dialogo co- struttivo tra le forze più fedeli alla monarchia austro-ungarica e quel- le liberali che premevano per una apertura al federalismo e sostene- vano il problema slavo-danubiano.

Si arrivò, così, al tragico 30 gen- naio l889. Rodolfo e Mary muoio- no. Suicidi?

Vale la pena notare, ancora una volta, la sensibilità di Romana De Carli Szabados, appassionata cul- trice della lezione absburgica nel non prendere posizione su una tesi piuttosto che l’altra evitando, co- sì, di indulgere sui pettegolezzi di palazzo. Ma l’autrice, da severa germanista, evidenzia, invece, i contrasti politici tra Rodolfo e il padre Imperatore.

La morte di Mayerling, coperta subito dall’imbarazzo della corte, fece ipotizzare un complotto con- tro il principe, ordito per occultare quella particolare animosità, trop- po progressista degli Asburgo.

Penosa è l’impressione che ne ri- cava il lettore alla sepolpura in gran segreto di Mary e Rodolfo.

Altrettanto glaciale risulta la lette- ra scritta dall’Imperatore, solo po- chi giorni dopo la morte del figlio, alla «cara amica» Katharine - una relazione ben nota al grande stati- sta e libertino Principe di Metter- nich -, l’attrice che aveva preso il posto di Sissi nel suo cuore, lette- ra con cui tuona affettuosamente:

«Le ordino di riguardarsi?».

Evidentemenete traspare l’in- quietante realtà dell’indifferenza:

l’immagine del principe ereditario era già svanita nel nulla, e... senza

rimpianti! R.B.

Riflessioni sul libro

«Mayerling il mito»

Romana di De Carli Szabados

Nella gloriosa storia della Serenissima, due Dogi di origine Polese

F

ra i centoventi Signori della città lagunare che si alterna- rono dal 697 al 1797 due fu- rono d’origine polese. Il tredicesi- mo, Pietro Tradonico (836-864) e il trentaseiesimo, Pietro Polani (1130-1147). Morto assassinato il primo, dopo aver retto per 28 anni uno dei dogati più lunghi della storia veneziana, secondo soltanto ai 34 anni, sei mesi e otto giorni di Francesco Foscari. Morto il se- condo di morte naturale dopo es- sere rientrato a Venezia dal co- mando di una flotta che, a solo un anno di distanza dal suo decesso, avrebbe trionfalmente battuto a Capo Matapan i normanni.

Tradonico era uomo di carattere autoritario anche se, sul piano cul- turale, firmava da analfabeta con una crocetta: come, del resto, nel medioevo faceva anche Carlo Magno. L’esordio del suo dogato fu un susseguirsi di brutte figure in operazioni contro i saraceni e i pirati illirici che creavano proble- mi ai traffici marittimi veneziani.

Una serie di sconfitte che non gli tolse però, i favori dell’imperatore Lotario che, per la prima volta ri- conobbe Venezia come ducato;

con il permesso di inserire nelle monete, su uno dei versi, sosti- tuendo l’effige imperiale, la scrit- ta «Criste salva Venecias».

Un ducato di modesta estensione che comprendeva diciassette inse- diamenti.

Tredici insulari: fra questi, Mura- no, Malamocco, Chioggia, Era- clea e Grado e quattro sulla terra- ferma con propaggini che si esten- devano fino a Oriago, Altino e la foresta di Ceggia. Un ducato-fran- cobollo ma con tutte le ambizioni e prospettive in quel confine di

«aquas salsas» la conquista del quale avrebbe fatto di Venezia la Regina dell’Adriatico.

E se Tradonico fu il primo ad es-

sere onorato con il titolo di doge egli indossò per primo quel copri- capo, noto come «corno ducale»

con cui sarebbero stati incoronati i suoi successori.

Vuole la leggenda che a donar- glielo sia stata Agostina Morosi- ni, badessa di San Zacarria.

Un copricapo che, a credere a cer- ti scritti del tempo, oltre che esse- re d’oro massiccio, sarebbe stato ornato con ben ventiquattro perle orientali grosse come noci e sor- montato da una croce in cui dia- manti e smeraldi erano tanti quan- ti i bruscolini in un melone.

Perché Tradonico fu assassinato?

Forse perché creando il figlio Giovanni co-doge aveva dato l’impressione di voler instaurare una specie di dittatura famigliare, ma più probabilmente perché il suo autoritarismo aveva messo sul chi vive le cosiddette «famiglie apostoliche veneziane», quelle che per nobiltà e censo aspiravano a gestire il vero potere. I congiura- ti agirono proprio nel giorno in cui ricorreva la data della consacra- zione della chiesa di San Zaccaria.

Trafitto da decine di pugnalate Tradonico morì senza che nessu- no dei presenti mettesse mano al- l’elsa della spada.

Chi fu il mandante? Chi prezzolò i sicari? Nonostante si fosse imba- stito (forse più di forma che di so- stanza) un processo e cinque dei congiurati fossero caduti nelle grinfie della giustizia non si ven- ne, o non si volle venire, a capo di nulla. Cinque finirono sul patibo- lo e di un sesto, che era riuscito a fuggire, si sparse la voce che era morto indemoniato.

Con Pietro Polani, che l’origine polese l’aveva nel suo stesso no- me (da Pola i suoi antenati si era-

no stabiliti prima ad Eraclea, poi a Malamocco e, infine, a Rialto) si entra in quel complesso, turbinoso periodo di storia medievale in cui ad ogni Papa veniva opposto un Antipapa, mentre dall’oggi al do- mani non si sapeva bene se affi- darsi per aiuto e protezione al- l’Imperatore d’Occidente o a quello di Bisanzio.

Una vicenda intricata che gli op- poneva, oltre ai maggiorenti della città, il patriarca Enrico Dandolo.

Polani, nonostante avesse le sue gatte da pelare nell’impedire che gli ungheresi mettessero in peri- colo la presenza veneziana nei fondaci di Dalmazia, si dimostrò, in quello che era il tira e molla del momento, uomo di polso e spre- giudicato. Il Patriarca e le fami- glie apostoliche non volevano che nemmeno si trattasse con l’imperatore bizantino Manuele Comneno, ma, di fronte alla pro- messa di quest’ultimo di nuove basi commerciali a Chio, Rodi, Cipro e Candia, non soltanto Po- lani mandò in esilio i suoi avver- sari ma fece abbattere tutte le case dei Dandolo nel sestriere di San Luca. Della sua morte naturale ho già riferito ma, a conclusione di questa nota storica, vorrei dire qualcosa delle mogli dei «dogi polesani». Ignoto quello della consorte di Pietro Tradonico, noto quello della moglie di Polani, tale Adelasa (non si tratta di un refuso si chiamava proprio così!) figlia del doge Michiel che aveva prece- duto Polani nell’alta carica.

Sulle sembianze di Adelasa non ci sono pittori che abbiano ritratto i suoi sembianti, ma certamente la

«dogaressa» non era ancora quel- la «first lady» alla quale qualche secolo dopo sarebbe toccata una incoronazione e il cui funerale avrebbe avuto speciale grandio- sità.

Certo Adelasa non è uno di quei nomi che capita di sentire di fre- quente. Ma a consultare l’elenco delle dogaresse, di nomi strambi se ne trovano parecchi. Richelda, Troila, Romerica, Zilia, Dalmet.

Quest’ultima, in realtà, fuori elen- co in quanto non era una nobile!

E sì, anche allora, si faceva un gran parlare delle «vip», ma per niente di chi nelle vene non aveva

sangue blu. D.C.

NADAL 2007 NADAL 2007

G

ente mia, iera mia intension de man- darve i mii auguri de Nadal insieme a un disegneto, come che go fato ogni ano.

Ma cossa volè; la carosseria la xe sempre più scassada; l'albero de trasmission el xe sempre più storto no gavendo più le guar- nissioni de cartilagine tra le vertebre; de fa-

nai me ne funsiona solo uno e, co' 1'ora solare, le ore de ciaro no le me basta per far qualcossa de passabile.

La matina me passa per far le robe de casa e per andar fora a ciorme el giornal, per passar in farmacia o per impostar letere: tuta roba che (per fortuna!) xe quà de fronte casa mia dato che dopo pochi passi me manca el fià e 'desso me se ga messo anca la gamba sinistra a farme mal de note tignindome sveia a rivoltarme in tel

1eto come San Lorenso su la gradela. I me dise: «Và del dotor!» Ma qual? Quel de ba- se xe ‘na dotoressa che fa solo ricete rilassa- de de altri dotori. E pò mi no me fido de me- ter la mia carosseria int’un garage in man de qualchedun che magari me cambia un toco bon invesse de quel che xe a remengo e se ti vol ‘na revision totale ti te devi meter in li- sta de atesa per tanto de quel tempo che ti fi- nissi prima su la nuvoleta a bever cafè co’i do’ mati de la television! Perciò o sarà quel che Dio vol! Cussi invesse del disegneto ve mando la fotogra- fia del primo A1bero de Nadal de quando, co’ iero s’gnesola, papà se dava de far a‘iutar Gesù Bambin ne la Note Santa per farme la sorpresa più bela de quei giorni felici! Gente mia, ve voio ben a tuti quanti e ve mando i mii auguri de ritrovarve vissin, almeno in quei giorni! Con tuto el cuor. EddaGarimberti

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