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Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni

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Academic year: 2022

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(Legge 5 giugno 2003, n. 131)

Deliberazione n. 7/SEZAUT/2016/FRG SEZIONE DELLE AUTONOMIE

Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni

Esercizio 2014

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(Legge 5 giugno 2003, n. 131)

SEZIONE DELLE AUTONOMIE

Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni

ESERCIZIO 2014

Deliberazione n. 7/SEZAUT/2016/FRG

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Relatori: Pres. Adolfo Teobaldo DE GIROLAMO

Pres. Mario FALCUCCI

Cons Alfredo GRASSELLI

Cons. Francesco UCCELLO

Cons. Adelisa CORSETTI

Cons Stefania PETRUCCI

Cons. Angela PRIA

Hanno collaborato all’istruttoria il dirigente Renato PROZZO ed i funzionari:

Giuseppe BILOTTA Alessandra BONOFIGLIO Paola CECCONI

Alessandro DI BENEDETTO Antonella DI NARDO Clara FALLUCCO Giuseppe GIULIANO Germano MARCELLI Guido PARLATO Alessandra RACIOPPI

Editing: Alessandro DI BENEDETTO

Corte dei conti – Sezione delle autonomie Via Baiamonti, 25 – 00195 ROMA

www.corteconti.it

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Corte dei Conti

S e z i o n e d e l l e a u t o n o mi e

N. 7/SEZAUT/2016/FRG

Adunanza del 4 febbraio 2016

Presieduta dal Presidente della Corte – Presidente della Sezione delle autonomie Raffaele SQUITIERI

Composta dai magistrati:

Presidenti di Sezione Mario FALCUCCI, Adolfo Teobaldo DE GIROLAMO, Ciro VALENTINO, Raffaele DAINELLI, Roberto TABBITA, Maria Giovanna GIORDANO, Carlo CHIAPPINELLI, Agostino CHIAPPINIELLO, Ermanno GRANELLI, Rosario SCALIA, Francesco PETRONIO Consiglieri Carmela IAMELE, Alfredo GRASSELLI, Rinieri

FERONE, Paola COSA, Francesco UCCELLO, Adelisa CORSETTI, Licia CENTRO, Stefania PETRUCCI, Angela PRIA, Benedetta COSSU, Massimo VALERO, Dario PROVVIDERA, Gianfranco POSTAL, Simonetta BIONDO

Primi Referendari Valeria FRANCHI, Beatrice MENICONI

Referendari Michela MUTI

Visto l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni;

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Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Visto il regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato dalle Sezioni riunite con la deliberazione n. 14 del 16 giugno 2000, e successive modificazioni;

Vista la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 1/SEZAUT/2015/INPR, depositata il 5 febbraio 2015, con la quale è stato approvato il programma delle attività di controllo per l’anno 2015;

Vista la nota n. 972 del 28 gennaio 2016, con la quale il Presidente della Corte dei conti ha convocato la Sezione delle autonomie per l’adunanza odierna;

Uditi i relatori Consiglieri Alfredo Grasselli, Francesco Uccello, Adelisa Corsetti, Stefania Petrucci, Angela Pria, e viste le relazioni finali dei Presidenti di Sezione Adolfo Teobaldo De Girolamo e Mario Falcucci

DELIBERA

di approvare l’unita relazione con la quale riferisce al Parlamento sulla gestione finanziaria delle Regioni per l’esercizio 2014.

Ordina che copia della presente deliberazione, con l’allegata relazione, sia trasmessa al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati, ai Presidenti dei Consigli regionali e comunicata, altresì, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’economia e delle finanze, al Ministro dell’interno, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali, ai Presidenti delle Giunte regionali, al Presidente della Conferenza dei Parlamenti regionali ed al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Copia della deliberazione, con annessa relazione, sarà altresì comunicata in formato elettronico, a cura della segreteria della Sezione, alle Amministrazioni interessate.

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Così deliberato in Roma nell’adunanza del 4 febbraio 2016.

I Relatori Il Presidente F.to Adolfo T. DE GIROLAMO F.to Raffaele SQUITIERI

F.to Mario FALCUCCI

Depositata in Segreteria il 22 febbraio 2016 Il Dirigente F.to Renato PROZZO

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Sintesi

PARTE I

Analisi della gestione finanziaria delle Regioni/Province autonome

Il contesto economico regionale

Sebbene l’economia italiana stia uscendo lentamente dalla crisi, le Regioni del Mezzogiorno ancora non vedono significativi segnali di ripresa. Il calo del PIL risulta superiore di oltre un punto percentuale rispetto a quello rilevato nel resto del Paese, ciò in quanto la spinta della domanda estera ha nel Sud un peso assolutamente modesto, mentre la domanda interna è ancora negativa, a causa della contrazione dei consumi e del crollo della spesa pubblica per investimenti, particolarmente essenziale nel Mezzogiorno.

In tale contesto, le politiche nazionali di bilancio hanno promosso iniziative dirette, da un lato, ad arginare la spesa regionale per proseguire nel difficile percorso di riequilibrio dei conti, dall’altro, a sostenere la domanda interna per stimolare la ripresa dell’economia, dell’occupazione e del reddito attraverso ripetute iniezioni di liquidità al sistema stesso, con effetti sugli equilibri finanziari delle Regioni che ne hanno reso, di anno in anno, sempre più problematica la tenuta.

Il conto consolidato delle Amministrazioni regionali diffuso dell’Istat registra, infatti, per il secondo anno consecutivo, un saldo economico negativo di dimensioni ancora elevate, con un indebitamento netto che da 6,5 miliardi si riduce a 4,4 miliardi, a fronte del quale l’avanzo corrente, dopo aver raggiunto nel 2013 il livello minimo di 1,6 miliardi, tende nuovamente a riconsolidarsi portandosi a 4,1 miliardi nel 2014.

Gli equilibri di bilancio

Il tema degli equilibri di bilancio assume una posizione centrale nella valutazione dei conti pubblici. La salvaguardia degli equilibri è stata assunta a principio costituzionale, espressamente richiamato in più disposizioni (artt. 81, 97, 119 Cost.), e costituisce, ormai, un punto di riferimento costante della giurisprudenza costituzionale in tema di contabilità pubblica.

La Corte dei conti – cui il legislatore ha affidato la verifica degli equilibri di bilancio nei confronti degli Enti territoriali sin dalla legge n. 131/2003 (art. 7, co. 7), attribuzione ribadita dal d.l. n.

174/2012 – ha più volte rimarcato, peraltro, la difficoltà nel ricostruire un quadro complessivo della finanza regionale per le difformità dei vari ordinamenti regionali.

Per quanto riguarda i profili metodologici, i dati sono stati raccolti attraverso il sistema informativo Con.Te. (Contabilità territoriale), alimentato dagli uffici e dai revisori regionali. Per i dati mancanti sono state effettuate acquisizioni presso le amministrazioni o sono stati utilizzati i dati già utilizzati per il referto del 2014. I prospetti sono coerenti con quelli approvati con le linee guida per le relazioni sui rendiconti dei revisori dei conti regionali (approvate con delib. Sez. aut.

n. 5/SEZAUT/2015/INPR).

Con riferimento all’esercizio 2014, la riforma per l’armonizzazione dei bilanci, introdotta con il d.lgs. n. 118/2011, come modificata e integrata dal successivo d.lgs. n. 126/2014, ancora non è a regime, con solo tre Regioni in sperimentazione.

Conseguentemente, le analisi svolte risentono delle difformità esistenti negli ordinamenti regionali e permane, quindi, la necessità di avvertire che i risultati esposti possono presentare un certo

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margine di approssimazione, attesa la difficoltà di riportare gli aggregati contabili a rappresentazioni omogenee.

Quanto ai risultati rilevati, il saldo complessivo della gestione di competenza nell’annualità 2014 è pari a -10 miliardi. Considerando il quadriennio 2011-2014, soltanto la gestione 2013 presenta un saldo positivo (+2 miliardi), mentre il saldo complessivo evidenzia un deficit di -25 miliardi. La gestione di cassa è in disavanzo nel 2012 e nel 2014, ma è in avanzo nel 2011 e nel 2013 (+2,6 e +3,2 miliardi rispettivamente) e nel quadriennio cumulato (+932 milioni).

Circa la gestione corrente (comprensiva del rimborsi della quota capitale dei prestiti al netto dei rimborsi per anticipazione di cassa) sulla base dei dati così come comunicati nel sistema Con.Te., il consolidato nazionale del risultato di competenza, al netto dei trasferimenti tra Regioni, è di segno positivo nell’annualità 2011 (+2,4 miliardi) e nell’annualità 2013 (+836 mln) mentre nel 2012 e nel 2014 si registrano disavanzi rispettivamente pari a -640 mln e -2 mld, con un risultato cumulato del periodo pari a +549 milioni.

Il consolidato nazionale del risultato della gestione corrente di cassa (comprensiva delle riscossioni e dei pagamenti in conto residui e in conto competenza) è di segno positivo nel 2011 (+9,6 miliardi), nel 2013 (+25,6 miliardi) e nel 2014 (+4,9 miliardi), mentre nel 2012 si evidenzia un disavanzo di circa -459 mln. Il risultato del quadriennio complessivamente considerato assomma a +39,6 miliardi.

La gestione in conto capitale di competenza mostra risultati di segno negativo nel 2011, nel 2012 e nel 2014 con valori rispettivamente di -7,1 mld, -8,4 mld e -7,6 mld, mentre nel 2013 presenta un saldo positivo di +1 miliardo. Si registra un saldo cumulato pari a circa -22 miliardi di euro nel periodo considerato.

Il dato deve essere valutato positivamente, perché significa che, nel complesso, il comparto della gestione straordinaria dell’insieme delle Regioni non ha generato liquidità “libera”, (tranne nell’annualità 2013) consumabile, quindi, per spesa corrente (fermo restando che si tratta di una valutazione di tendenza e resta impregiudicata ogni più approfondita indagine relativa a singole operazioni di prestito e a singoli enti).

Per quanto riguarda la gestione di cassa del conto capitale, l’andamento corrisponde a quello della gestione di competenza negli anni 2011 e 2012 (rispettivamente -5,3 e -6,3 mld). I risultati del 2013 e del 2014 sono influenzati dalle anticipazioni di liquidità concesse dallo Stato (che sono state generalmente registrate nel titolo V delle entrate) e mostrano segno positivo: +1,8 mld nel 2013, +101 mln nel 2014.

Per quanto riguarda le contabilità speciali (partite di giro), di norma, nella gestione di competenza dovrebbero dare un saldo pari a zero.

Il saldo complessivo del quadriennio mostra un risultato negativo, di circa -16,3 milioni di euro.

Nella gestione di cassa il saldo delle contabilità speciali difficilmente potrà essere pari a zero a fine anno, per i motivi legati all’asincronia tra riscossioni e pagamenti, ma dovrebbe tendere a zero in un arco temporale più ampio.

Dalla rilevazione effettuata si riscontra un saldo complessivo negativo nel quadriennio di oltre -26 miliardi di euro, dovuto principalmente al disavanzo verificatosi nel 2013 (-22,7 miliardi) e nel 2014 (-6,3 mld). Nel 2011 risulta un saldo positivo di +1,6 mld e il 2012 espone un saldo positivo di +3,2 miliardi.

Si tratta di importi di rilievo, che confermano l’attenzione da rivolgere a questo comparto gestionale, che, evidentemente, finisce per incidere sul bilancio, nonostante la teorica neutralità sulla gestione.

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Le entrate regionali

Il quadro delle risultanze di competenza dei rendiconti del 2014 denota una perdita contenuta (-5%) delle entrate complessive del comparto Regioni e Province autonome rispetto all’eccezionale incremento di risorse registrato nell’esercizio 2013. Le cause della flessione vanno ricercate sia nella caduta delle basi imponibili che sostengono il gettito tributario, sia nella gestione in conto capitale, poiché le Regioni, al fine di rispettare i vincoli del patto di stabilità interno e di contribuire al miglioramento del saldo netto da finanziare, hanno rinunciato ai trasferimenti statali previsti per il finanziamento degli investimenti piuttosto che ridurre ulteriormente la spesa corrente. Ciò ha influito negativamente sulle risorse da destinare a misure anticrisi, al sostegno dell’occupazione e al rilancio delle economie regionali.

L’eccezionale iniezione di liquidità effettuata dallo Stato nel biennio 2013-2014, con circa 20 miliardi di anticipazioni di cassa destinate al pagamento dei debiti pregressi delle Regioni e del Sistema sanitario regionale, ha rappresentato una straordinaria opportunità che non ha, tuttavia, consentito alle Regioni in squilibrio strutturale di riassestare la propria gestione finanziaria. In attesa di colmare lo sbilanciamento fra la cassa e la competenza, le Regioni sono chiamate ad uno sforzo aggiuntivo, consistente nel trovare nuove coperture finanziarie per il rimborso delle anticipazioni di liquidità ricevute e dei relativi oneri per interessi.

Peraltro, sul piano delle disponibilità di cassa, dopo gli straordinari risultati registrati nel bilancio del 2013, le riscossioni generali del 2014 subiscono un brusco contraccolpo, con un anomalo ridimensionamento del 16,5%. Dal lato della competenza, invece, le Regioni stanno progressivamente allineando i propri risultati gestionali ai principi dell’equilibrio di bilancio introdotti dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, con le Regioni a statuto ordinario che hanno assicurato un maggior recupero nella capacità di riscossione dei residui attivi (la cui massa si è ridotta del 31,6% tra il 2011 e il 2014), mentre le Regioni ad autonomia speciale, nello stesso arco temporale, hanno smaltito i propri residui attivi soltanto del 7,7% (a fronte di una massa di residui passivi sostanzialmente stabile per entrambi i comparti istituzionali). In questo quadro, tuttavia, le Regioni a statuto speciale, pur dimostrando una capacità programmatoria ampiamente superiore a quella delle altre Regioni, con margini in via di progressivo miglioramento, evidenziano anche un sensibile calo delle risorse tributarie, con percentuali di riduzione particolarmente elevate nelle Isole.

Benché la quota dei trasferimenti correnti provenienti dallo Stato si vada progressivamente riducendo nel corso degli anni, le lamentate difficoltà di cassa delle Regioni non sembrano riconducibili a ritardi nei predetti trasferimenti erariali, quanto, piuttosto, al lento smaltimento dei residui propri delle Regioni. Infatti, i residui di maggiore consistenza ed anzianità riguardano principalmente, oltre alle entrate in conto capitale, quelle tributarie ed extra-tributarie.

Le criticità delle entrate in conto capitale risultano, altresì, particolarmente evidenti per le Regioni del Sud, che assistono ad un repentino crollo degli accertamenti, la cui incidenza, rispetto al totale delle entrate in c/capitale accertate dalle Regioni, risulta più che dimezzata rispetto al livello raggiunto nel 2012. A livello di riscossioni, invece, i relativi flussi di cassa risultano sostenuti per il 90% da incassi in conto residui, a conferma del sostanziale abbandono di specifiche politiche nazionali di immediato sostegno infrastrutturale di queste aree meno produttive del Paese.

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La spesa regionale

Gli istituti peculiari dell’armonizzazione contabile, recata dal d.lgs. n. 118/2011 emendato dal d.lgs. n. 126/2014, sono stati applicati, negli esercizi 2013 e 2014, soltanto dalle Regioni che hanno aderito alla sperimentazione, nella gradualità dei tempi di attuazione della riforma. Le stesse hanno effettuato il riaccertamento straordinario dei residui (attivi e passivi) e adottato, per la fase dell’impegno, i criteri della competenza finanziaria potenziata e del fondo pluriennale vincolato di cui all’art. 56, d.lgs. n. 118/2011, provvedendo alla netta separazione della gestione dei residui da quella di competenza (art. 60, d.lgs. n. 118/2011). Nelle more della piena operatività di tali principi per tutte le Regioni, le analisi sulla spesa tengono conto dell’utilizzo, nella maggior parte dei casi, dei pregressi principi contabili. Sono ormai consolidati nell’ordinamento gli istituti della preventiva verifica della compatibilità dei pagamenti con gli stanziamenti di bilancio (art.

56, co. 6, d.lgs. n. 118/2011, già art. 9, co. 1, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla l. 3 agosto 2009, n. 102), come pure i provvedimenti intesi a limitare i ritardi nelle transazioni commerciali di cui è parte una pubblica amministrazione, di cui si evidenzia l’obbligo di pubblicazione dei pagamenti effettuati dopo la scadenza e dell’indicatore annuale della tempestività dei pagamenti (art. 4, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231; artt. 8, 41 e 42, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla l.

23 giugno 2014, n. 89). Tali misure convergono verso l’obiettivo di limitare la formazione dei debiti pregressi anche sotto il profilo del sostanziale allineamento della fase dell’impegno con quella del pagamento.

Con riferimento alla gestione del bilancio, la comparazione degli stanziamenti iniziali con quelli definitivi conferma la tendenza delle Regioni a sottostimare le proprie esigenze di spesa e, comunque, a presentare al Consiglio regionale, per l’approvazione, bilanci previsionali recanti valori ben lontani da quelli che l’Ente andrà a gestire. Alcune Regioni denotano, comunque, una più efficace capacità di programmazione (Abruzzo, Valle d’Aosta, Province autonome e, per quanto riguarda realtà più ampie, Veneto ed Emilia-Romagna). Lo scostamento tra le risorse previste e quelle effettivamente stanziate, a seguito delle fasi dell’assestamento, è più marcato per la spesa in conto capitale, in relazione al minor grado di rigidità, benché la variazione, in termini assoluti, sia maggiormente apprezzabile per la spesa corrente.

Dall’analisi del ciclo di spesa nell’esercizio 2014 (impegni e pagamenti, gestione dei residui, di competenza e provenienti da esercizi precedenti, se non eliminati a qualsiasi titolo) e, specificamente, dal raffronto degli impegni con i pagamenti di competenza, risulta che non sono ancora evidenti gli effetti delle richiamate misure normative, da tempo vigenti, volte a contrastare il ritardo nei pagamenti e, in generale, a contenere la formazione dei residui (v. tabella 1/REG/SP).

Nell’esercizio 2014, i pagamenti in conto competenza raggiungono, a livello nazionale, il 76,91%

circa della quota impegnata, per effetto della buona performance delle RSO (che sfiora l’80%) ad eccezione di Molise, Calabria, Toscana e Lombardia che effettuano pagamenti, rispettivamente, per il 58,76%, il 67,80%, il 71,24% e per il 74,34% delle somme impegnate. Correlativamente, i pagamenti in conto competenza costituiscono l’83,34% di quelli complessivi, mentre i debiti pregressi tornano a manifestare una tendenza in aumento; a fronte di residui iniziali pari a 66,11 miliardi, sono stati effettuati pagamenti in conto residui pari a 29,26 miliardi, mentre ne rimangono da pagare 31,31 miliardi, al netto dei debiti cancellati dal bilancio. Di conseguenza, a livello globale, i residui finali aumentano rispetto a quelli accertati ad inizio esercizio 2014 (+13,82%). L’incremento interessa tutti gli aggregati oggetto di indagine, ad eccezione dell’area Centro (in particolare, la Regione Lazio espone residui in conto competenza per il 19,14%

dell’impegnato, mostrando di essersi allineata nel secondo anno di sperimentazione del nuovo sistema contabile armonizzato, ai principi ivi esposti; alla Lombardia, al contrario, restano da pagare residui in conto competenza per il 25,66% dell’impegnato, mentre nell’esercizio precedente ne residuava il solo 9,35%).

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Nonostante le risorse apprestate dal d.l. n. 35/2013, l’aumento dei residui finali nel 2014 è influenzato in maniera consistente dalla gestione di competenza che continua a generare residui rilevanti, evidenziando l’esigenza di consolidare, a livello organizzativo, comportamenti virtuosi anche sotto il profilo di tale gestione, al fine di evitare che il ricorso a provvedimenti normativi a ripiano dei debiti pregressi acquistino natura ordinaria e ricorrente. Peraltro, l’andamento in crescita si riscontra anche in una delle Regioni in sperimentazione, la Lombardia, ove la massa dei residui si sarebbe dovuta ridurre anche per effetto delle operazioni di riaccertamento straordinario richieste dall’art. 7, d.p.c.m. 28 dicembre 2011.

L’analisi dell’andamento della spesa nel quadriennio 2011 – 2014, con separata evidenza dei primi tre titoli di spesa (corrente, in conto capitale e per rimborso di prestiti), dà contezza del trend complessivo nel quadriennio, sia a livello regionale sia per area territoriale e nazionale.

Dal lato degli impegni, si rileva una crescita della spesa regionale (+6,93%) dovuta all’effetto combinato del consistente aumento nelle RSO, nel 2014 rispetto al 2011 (+9,47%), con la lieve flessione rilevata nelle RSS (-0,74%) (v. tabella 5/REG/SP).

Con riferimento alla parte corrente, si evidenzia che la variazione di +6,13% nelle RSO, per il 2014 rispetto al 2011, si declina nella maggior espansione della spesa corrente non sanitaria, pari a +8,77% (essa rappresenta il 17,38% del totale corrente). Resta stabile la spesa corrente nelle RSS. A livello pro capite, si osserva che l’area Nord, nella quale risiede il 50% della popolazione nazionale, spende per ciascun abitante 2.285 euro, al di sotto della media nazionale (2.425 euro), contro i 2.589 euro del Centro, i 2.536 euro del Sud e i 3.733 euro rilevati nelle RSS.

Ma è la spesa in conto capitale, sempre nelle RSO, a tornare a crescere in maniera consistente (+27,13% nel quadriennio), diversamente da quanto si registra nelle RSS.

Per quanto riguarda i pagamenti, si nota il loro aumento generalizzato nelle RSO (+5,49%, di cui +5,86% in conto competenza e +3,36% in conto residui). Diversamente, nelle RSS il dato si contrae quasi ovunque, ad eccezione della Regione Siciliana e del Trentino-Alto Adige.

L’analisi della gestione dei residui passivi mostra una sostanziale stabilità dei residui finali totali, nel quadriennio pari a 0,11% (tab. 11/REG/SP), ma una notevole crescita rispetto all’esercizio 2013 (circa 5,2 miliardi in più, +7,40%) (v. tabella 11/REG/SP).

Nel dettaglio emergono situazioni tra loro diversificate, ove la tendenza in aumento interessa i residui in conto competenza (+21,56% nel quadriennio), mentre quelli provenienti dagli esercizi precedenti diminuiscono (-17,40%).

Le predette risultanze sono coerenti con quanto osservato sul ciclo di spesa 2014, in relazione alla presenza di situazioni, anche in talune Regioni aderenti alla sperimentazione, di pagamenti in conto competenza per importi ben al di sotto della media nazionale, mentre l’applicazione del principio della competenza potenziata avrebbe dovuto migliorare il risultato. Ciò vale a dire che non sono stati compiutamente adottati i comportamenti volte a promuovere il criterio dell’esigibilità dell’obbligazione. Ma non solo. L’analisi dimostra che non sono state pienamente accolte le indicazioni normative tendenti a contrarre la formazione dei residui mediante le richiamate disposizioni, valide per tutte le Regioni e da tempo presenti nell’ordinamento, intese alla preventiva verifica della compatibilità degli impegni con gli stanziamenti di bilancio e a limitare i ritardi nelle transazioni commerciali di cui è parte una pubblica amministrazione.

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L’indebitamento regionale

Con l’entrata in vigore dell’art. 10 della l. 24 dicembre 2012 n. 243, potrà dirsi completato il passaggio alla nuova disciplina diretta ad assicurare il principio del pareggio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico degli enti territoriali, in coerenza con l’ordinamento dell'Unione europea.

La “regola aurea” del divieto di indebitamento per spese diverse dagli investimenti dettata dall’art.

119, comma 6, Cost., è, pertanto, inscindibilmente collegata ed integrata da altri principi costituzionali quali il coordinamento della finanza pubblica, l’ordinamento civile e la tutela degli equilibri di bilancio.

Con l’emanazione del d.lgs. n. 118/2011, successivamente emendato dal d.lgs. n. 126/2014, è stata introdotta una nuova normativa finalizzata all’armonizzazione dei sistemi contabili che, in materia di indebitamento regionale, integra, tra l’altro, la casistica legislativa delle fattispecie costituenti indebitamento e di quelle inquadrabili tra le spese di investimento e consente il superamento del sistema dei cosiddetti “mutui a pareggio” per i quali le Sezioni regionali hanno ravvisato la necessità di specifici documenti finalizzati a porre in correlazione i predetti mutui con le spese di investimento finanziate.

Non sono inquadrabili, come noto, nelle fattispecie di indebitamento le anticipazioni di cassa che, come chiarito dalla Consulta (sent. n. 188/2014), per non trasformarsi surrettiziamente in un mezzo di copertura alternativo della spesa, devono essere finalizzate al superamento di una momentanea carenza di liquidità, essere di breve durata e rapportate dalla normativa statale vigente a limiti ben precisi.

Nell’esercizio 2014, il limite quantitativo all’indebitamento è stato oltrepassato dalla Regione Piemonte. Le Regioni Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto-Adige, Veneto, Puglia non hanno fatto ricorso ad indebitamento, come si evince dalle richiamate relazioni allegate ai giudizi di parificazione.

Nel limite di indebitamento sono incluse anche le rate sulle garanzie prestate dalla Regione a favore di enti e di altri soggetti ai sensi delle leggi vigenti, salvo quelle per le quali la Regione ha accantonato l'intero importo del debito garantito. Come evidenziato dalla Sezione delle autonomie, con deliberazione n. 30/SEZAUT/2015/QMIG, per effetto dell’accantonamento si consegue, nel rispetto dei principi di veridicità, attendibilità e prudenza, un'idonea copertura degli oneri conseguenti all’eventuale escussione del debito per il quale è concessa la garanzia; i soggetti destinatari del rilascio di garanzie devono, inoltre, essere individuati con riguardo alla finalità degli investimenti finanziati, che devono rientrare necessariamente fra le tipologie di cui all’art. 3, co.18, l. n. 350/2003, secondo la nozione di investimento per l’ente territoriale che fornisce la garanzia. Sono invece espressamente escluse dal calcolo dei limiti indebitamento le risorse finanziarie assegnate a titolo di anticipazione di liquidità, ex d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 che, sul piano generale, rientrano nel novero delle operazioni qualificabili come indebitamento ai sensi dell'art. 3, l. 24 dicembre 2003 n. 350.

L’indebitamento derivante da emissioni obbligazionarie è, attualmente, assoggettato ai vincoli da ultimo dettati dalla legge di stabilità 2014 (l. n. 147/2013), che ha introdotto il divieto di emettere prestiti o altre passività che prevedono il rimborso del capitale in unica soluzione. La Sezione regionale di controllo per il Trentino-Alto Adige, sede di Trento, ha ravvisato la violazione della citata norma per le concessioni di credito erogate dalla Regione alla Provincia autonoma per le quali è prevista la restituzione, in unica soluzione, allo scadere del termine di venti anni.

Le operazioni di ristrutturazione del debito regionale, avviate ai sensi dell’art. 45 del d. l. n. 66/2014, risultano in fase di attuazione per sei Regioni (Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia) per 5,6 miliardi di euro di titoli in circolazione.

Le Sezioni regionali, sempre nell’ambito dei giudizi di parificazione dei rendiconti regionali, hanno concentrato la propria attenzione anche su altre operazioni di ristrutturazione del debito, come

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emerge dalle valutazioni espresse dalle Sezioni riunite per la Regione Siciliana (deliberazione n.

2/2015/INPR) che hanno esaminato la rimodulazione dell’esborso delle quote capitale dei piani di ammortamento di mutui contratti tra il 2001 e il 2003 rilevando che le condizioni favorevoli ottenute dalla Regione sono però limitate alle prime scadenze, con un preoccupante deterioramento della situazione finanziaria nel corso dei successivi esercizi.

Il nuovo sistema normativo in materia di armonizzazione contabile esplica i propri effetti anche nella materia della finanza derivata, per la quale persistono i divieti legislativi da ultimo innovati dalla l.

n. 147/2013. Il punto 3.23 del principio contabile, contenuto nell’allegato n. 4/2 al d.lgs. n. 118/2011, è dedicato, infatti, alla rilevazione dei flussi finanziari conseguenti all’esistenza di contratti derivati, alle ipotesi di sottoscrizione di derivati da ammortamento di debiti che presentano un’unica scadenza ed alle estinzioni anticipate di contratti derivati ove si vieta la destinazione a spesa corrente di eventuali valori positivi conseguenti all’estinzione.

Come sottolineato dalle Sezioni riunite in sede di controllo, nell’audizione tenutasi, in data 6/05/2015, presso la commissione finanze della Camera dei Deputati, il comparto delle autonomie territoriali ha ben presto evidenziato profili di criticità piuttosto elevati, considerata sia l’incidenza di tali strumenti sullo stock complessivo del debito sia l’inadeguatezza degli apparati preposti alla loro gestione.

Le Sezioni regionali, in sede di parificazione, hanno prestato particolare attenzione a tale forma di gestione del debito rilevando, tra l’altro, criticità nella redazione della prescritta nota informativa, il persistere di flussi negativi (Emilia-Romagna, Veneto, Molise, Umbria), la conclusione di accordi transattivi (Calabria, Puglia) e la pendenza di procedimenti giudiziali diretti a far accertare le responsabilità degli Istituti di credito, operanti in qualità di advisor, per le violazioni dell’incarico di consulenza affidato e per responsabilità extracontrattuale per aver indotto la Regione a sottoscrivere contratti derivati non finanziariamente equi per la presenza di c.d. costi occulti (Lazio).

Dall’analisi dei dati comunicati dalle Regioni mediante il sistema di compilazione informatico Con.Te., emerge che, nell’esercizio 2014, l’indebitamento complessivo regionale (incluso il debito con oneri a carico dello Stato) è pari a 66,97 miliardi di euro, in aumento di circa 5,7 miliardi di euro rispetto al precedente esercizio contabile e con un incremento del 25,50% nel quadriennio 2011-2014 (v. tabella 3/REG/IND).

Nell’esercizio 2014, si registra anche un tendenziale aumento dell’indebitamento con oneri a carico delle Regioni che passa da 55,54 miliardi di euro del 2013 a 63,40 miliardi di euro nel 2014 (v. tabella 1/REG/IND). Nell’indebitamento a carico della Regione, oltre alle componenti tipiche del debito (mutui ed obbligazioni), sono state valorizzate le operazioni qualificabili come indebitamento ai sensi dell'art. 3, l. 350/2003, diverse da mutui ed obbligazioni, oltre alle forme, tipiche e atipiche, di garanzia del credito, nonché le anticipazioni di liquidità concesse ai sensi del d.l. n. 35/2013 e successive modificazioni e rifinanziamenti (v. la voce “Altro” nella tabella 5/REG/IND).

Risulta, pertanto, in crescita sia il debito a carico delle Regioni a statuto ordinario pari a 53,88 miliardi di euro che il debito delle Regioni a statuto speciale che ammonta a 9,52 miliardi di euro.

Tornando a considerare l’indebitamento complessivo regionale, rispetto all’esercizio precedente si rileva un notevole incremento nelle Regioni Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Regione siciliana, particolarmente evidente nella Regione Lazio (passando da 15,54 miliardi a 19,94, per effetto della variazione in aumento della voce “Altro”).

Dalla stessa tabella 3/REG/IND emerge, inoltre, un incremento dell’indebitamento complessivo per sanità che passa da 23,81 miliardi di euro del 2013 a 30,66 miliardi di euro del 2014 con un incremento del 64,30% rispetto all’esercizio 2011; tale andamento risente presumibilmente dell’effetto delle erogazioni ricevute a titolo di anticipazione di liquidità imputate alla gestione sanitaria; la Regione Piemonte ha registrato, nel quadriennio considerato, un eccezionale incremento del debito sanitario con una variazione del 2.308,87%, mentre nella Regione Lazio il debito sanitario mostra i valori assoluti più elevati (11,28 miliardi).

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L’indebitamento a carico delle Regioni per abitante, nel 2014, a livello nazionale, risulta pari a 1.043 euro, in aumento rispetto alla somma di 931 euro del 2013; il valore più elevato del debito pro capite si registra nella Regione Lazio, ove è pari a 3.380 euro (v. tabella 6/REG/IND).

L’analisi dei dati inerenti il ricorso delle Regioni a strumenti di finanza derivata evidenzia che tali strumenti, in larga parte, sono a copertura di prestiti obbligazionari e presentano una flessione del 16,29% nel quadriennio 2011/2014. Anche per gli strumenti di finanza derivata su mutui, si rileva una contrazione del 21,66%, sia per effetto della normativa sempre più stringente in materia, sia per la risoluzione anticipata di alcuni contratti da parte delle Regioni (v. tabelle da 7/REG/IND a 9/REG/IND).

L’esposizione debitoria di un ente è formata oltre che dai debiti di finanziamento, tipicamente debiti a medio/lungo termine, dai debiti di funzionamento, ovvero i debiti a breve termine.

Dall’esame dei dati che, tuttavia, sono risultati largamente incompleti per la mancata compilazione dei relativi quadri, si registra un significativo aumento dei debiti a breve termine sia verso lo Stato ed altri enti pubblici che verso le ASL ed altre Regioni, mentre i debiti verso fornitori subiscono una contrazione rispetto al 2013.

Gli effetti delle anticipazioni di liquidità ex d.l. n. 35/2013 sui bilanci regionali

Nell’ambito delle misure adottate per il rilancio dei consumi, dell’occupazione e del reddito, il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, come successivamente integrato con gli stanziamenti del d.l. 31 agosto 2013, n. 102 e del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, ha messo a disposizione delle Regioni una dotazione finanziaria, in termini di maggiore liquidità, pari a quasi 29 miliardi (a fronte dei circa 10,2 miliardi assegnati agli enti locali), di cui 17 miliardi a beneficio degli enti del Servizio sanitario nazionale; ciò allo scopo di sollecitare il più rapido pagamento dei debiti scaduti e accumulati per effetto del concomitante succedersi di sempre più impegnative manovre di consolidamento dei conti pubblici e di più cospicui deficit di cassa. La consistenza dei debiti di funzionamento del comparto regionale al termine del 2012 aveva raggiunto, infatti, un importo complessivo stimabile in circa 98 miliardi di euro.

La dimensione effettiva delle risorse erogate nel biennio 2013-2014 alle 14 Regioni beneficiarie dell’operazione di finanziamento corrisponde a 20,2 miliardi di euro, circa 8,7 miliardi in meno rispetto allo stanziamento complessivo. Con queste risorse, alla data del 30 gennaio 2015, le Regioni risultano aver effettuato pagamenti ai creditori per complessivi 18,1 miliardi circa (12,6 miliardi per debiti sanitari e 5,5 miliardi per debiti non sanitari).

La Regione che ha richiesto le maggiori risorse per anticipazioni di liquidità è il Lazio, per un totale di 8,7 miliardi (di cui 3,9 mld per debiti sanitari e 4,8 mld per debiti non sanitari), pari al 43,1% del totale anticipazioni di liquidità. Altre tre Regioni (Piemonte, Campania e Veneto) si sono divise il restante 36,5%, mentre alle rimanenti dieci Regioni è andato solo un quinto del totale della liquidità disponibile.

Sul piano finanziario, gli enti che hanno fatto ricorso alle anticipazioni di liquidità hanno visto migliorare i propri saldi di bilancio per effetto del più ridotto carico di residui passivi (smaltiti a seguito della immediata ricostituzione delle risorse di cassa), cui non ha corrisposto un analogo smaltimento dei residui attivi. Il conseguente incremento dell’avanzo disponibile (o decremento del disavanzo da ripianare) non è il solo effetto distorsivo prodotto dall’operazione, giacché anche la capacità di spesa dell’ente ha subito una espansione per effetto del maggior accertamento in entrata dovuto all’anticipazione, il quale ha aperto spazi alla copertura di nuove spese correnti senza alterare, formalmente, gli equilibri di bilancio.

Tali problematiche sono state sollevate davanti alla Corte costituzionale dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte sotto il profilo della violazione del divieto di indebitamento per spese correnti, di cui all’art. 119, comma 6, Cost., e della violazione degli equilibri del bilancio garantiti dall’art. 81 Cost.

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Con sentenza 23 luglio 2015, n. 181, la Corte costituzionale, nel confermare che “le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata”, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle leggi della Regione Piemonte n. 16 e n. 19 del 2013 nella misura in cui hanno utilizzato le anticipazioni di liquidità come anomalo mezzo di copertura di nuove spese e di riduzione del disavanzo, senza prevedere misure che ne neutralizzassero gli effetti sul risultato di amministrazione.

Anche altre Regioni non hanno provveduto a sterilizzare integralmente gli effetti delle anticipazioni di liquidità, destinando queste ultime, oltre che alla copertura del deficit di cassa, anche alla copertura dei disavanzi pregressi.

Molteplici sono state le modalità di contabilizzazione e di utilizzo delle anticipazioni di liquidità:

alcune Regioni (5 su 14), seguendo parzialmente le indicazioni fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze, hanno costituito un fondo di accantonamento nel risultato di amministrazione (pari a complessivi 3,1 miliardi) diretto a sterilizzare gli effetti delle anticipazioni di liquidità concesse per il pagamento di debiti scaduti diversi da quelli riguardanti la ricapitalizzazione degli enti del Servizio sanitario;

altre Regioni (come il Lazio e le Marche) ne hanno sterilizzato gli effetti riducendo (per un totale di 7,4 miliardi) l’importo dei mutui “a pareggio” che in passato erano stati autorizzati (ma non contratti) per finanziare spese di investimento in disavanzo;

altre ancora, hanno eluso qualunque forma di sterilizzazione delle anticipazioni di liquidità, utilizzandole a copertura di disavanzi, di trasferimenti agli enti del settore sanitario, di nuove spese di carattere corrente, di debiti fuori bilancio o per la reiscrizione in bilancio di residui perenti.

Avendo le Regioni adottato, in modo sia pur parziale e diversificato, autonome forme di sterilizzazione in bilancio degli effetti dell’operazione finanziata dal d.l. n. 35/2013, per complessivi 10,5 miliardi, l’impatto negativo della sentenza n. 181/2015 della Corte costituzionale sui saldi di bilancio dell’esercizio 2014 risulta inferiore rispetto all’entità complessiva delle anticipazioni di liquidità concesse nel biennio 2013-2014; di fatto, il peggioramento dei risultati di amministrazione dovrebbe corrispondere a circa 9,7 miliardi. A rendere più sostenibile il ripiano dei maggiori disavanzi regionali conseguenti ai principi affermati dalla sentenza n. 181/2015 è il sopravvenuto regime di recupero rateizzato introdotto dall’art. 1 del d.l. 13 novembre 2015, n.

179 (cd. “Salva Regioni”), abrogato dall’art. 1, comma 705, della l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ma riprodotto nei commi 692-701, il quale offre agli enti l’opportunità di utilizzare l’accantonamento al fondo di sterilizzazione, con priorità rispetto alla finalità di finanziamento del fondo crediti di dubbia esigibilità, per il ripiano dell’eventuale disavanzo risultante nell'esercizio di erogazione dell'anticipazione. La misura annuale di detto ripiano, da protrarsi fino al completo utilizzo del fondo, è stabilita in corrispondenza dell’ammontare del rimborso dell'anticipazione stessa effettuato nel corso dell'esercizio.

In ordine ai risultati raggiunti al termine del biennio 2013-2014, risulta che le anticipazioni di liquidità offerte dallo Stato hanno contribuito in misura determinante ad abbattere la massa dei residui passivi anteriori al 31 dicembre 2012, il cui volume iniziale (pari a 62,2 miliardi) si è ridotto, complessivamente, di oltre l’80%. Tuttavia, la contrazione del debito complessivo in sofferenza risulta ampiamente inferiore, essendo passato, nel medesimo arco temporale, da 83,2 miliardi a 66,9 miliardi (-19,6%). Ciò in quanto l’indice di accumulo dei residui passivi si è, nel frattempo, rapidamente innalzato, annullando praticamente gli effetti delle anticipazioni di liquidità erogate dallo Stato.

L’auspicata definizione del problema dei ritardi nei pagamenti delle Amministrazioni regionali sembra, dunque, ancora lontana dall’essere conseguita, giacché la permanenza in bilancio dei residui passivi non dipende tanto da fattori legati alle loro caratteristiche intrinseche, alla inesigibilità del credito o ai reiterati vincoli nei pagamenti derivanti dal patto di stabilità interno,

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quanto, piuttosto, ad un effettivo deficit di cassa, che si è andato consolidando nel tempo per cause strutturali riconducibili, principalmente, a squilibri del settore sanitario ed a vischiosità nella riscossione delle entrate.

L’uso appropriato di misure programmatorie e gestionali conformi ai principi della competenza finanziaria potenziata, all’obbligo della previa verifica della compatibilità degli impegni di spesa con gli stanziamenti di bilancio, nonché agli ulteriori strumenti diretti a prevenire il ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, consentirebbe di affrontare in radice le cause strutturali del deficit regionale, evitando l’impiego di provvedimenti estemporanei o eccezionali, i quali non potrebbero che rinviare nel tempo il riprodursi delle medesime criticità.

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PARTE II La sanità Premessa

Relativamente al settore sanitario si evidenzia il permanere di un particolare profilo di criticità: il ritardo nella definizione del riparto del finanziamento del fondo sanitario nazionale. Le risorse, infatti, dovrebbero essere individuate e trasferite con congruo anticipo rispetto all’inizio dell’esercizio, per consentire alle Regioni di effettuare un’adeguata programmazione nella correlazione tra risorse ed erogazione dei servizi sanitari.

La mancata tempestività nella ripartizione delle risorse destinate al servizio sanitario nazionale comporta rilevanti conseguenze negative che si riflettono nella erogazione dei servizi e, al contempo, rallentano il processo di efficientamento. Inoltre, il ritardo con il quale viene approvato in via definitiva il riparto del FSN comporta una gestione “provvisoria” tra le contabilità speciali delle anticipazioni ricevute, con regolazioni contabili che intervengono in esercizi successivi; in tale contesto si amplificano le difficoltà nella ricostruzione della gestione effettiva e nella valutazione degli equilibri di bilancio.

Un ulteriore profilo critico è costituito dal mancato approntamento di regole per l’omogenea integrazione dei conti del perimetro sanitario di cui al Titolo II del d.lgs. n. 118/2011, con il bilancio regionale generale disciplinato dallo stesso decreto legislativo.

Il settore sanitario resta, tuttora, alla ricerca del difficile equilibrio tra la sostenibilità finanziaria e l’esigenza di erogare un servizio a tutela del fondamentale diritto alla salute.

Vi sono ancora margini di miglioramento dell’efficienza del sistema, ancora carente soprattutto in alcune aree geografiche. La riduzione dei disavanzi sta comunque procedendo (da -6 mld del 2006 a -1,2 mld nel 2014), e ciò è incoraggiante e dimostra anche l’efficacia dei sistema di monitoraggio e controllo posti in essere. I risultati, però sono stati raggiunti anche con maggiori sacrifici per i contribuenti, determinandosi, di fatto situazioni territorialmente diseguali, sia quanto a costi posti a carico dei cittadini, sia quanto a servizi prestati.

Incoraggiante è anche la diminuzione dei debiti verso i fornitori. Nei prossimi esercizi occorrerà verificare se agli interventi straordinari che hanno immesso disponibilità finanziarie nel sistema al fine di eliminare il debito pregresso siano corrisposti interventi strutturali, in grado di evitare l’accumulo di nuovo debito.

Peraltro, il sistema sanitario italiano, pur con i problemi di tipo economico-finanziario che lo caratterizzano, e pur presentando ampi margini di miglioramento quantitativi e qualitativi delle prestazioni erogate, a confronto con i principali Paesi europei resta un ottimo Servizio sanitario.

Il finanziamento del settore sanitario

Il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, nel rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, è stato determinato nel patto della salute 2014-2016 (82/CSR del 10 luglio 2014) per il triennio 2014-2016. Per l’anno 2014 esso ammonta a 109.928 milioni di euro; tuttavia, il finanziamento concordato con il Patto 2014/2016 è stato rideterminato per il 2015 e 2016 rispettivamente in 109.710 e 111.000 milioni di euro (d.l. n. 78/2015 e Legge di Stabilità 2016).

In base alla Delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) n. 52 del 29 aprile 2015, le fonti di finanziamento indistinto dei LEA (ante-mobilità) sono rappresentate per l’87,8% dall’imposizione fiscale diretta (Irap e Irpef) ed indiretta (Iva e accise – d.lgs. n. 56/2000), per l’1,9% dai ricavi ed entrate proprie convenzionali delle aziende sanitarie,

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dall’8,1% dalla partecipazione delle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome e, infine, per il 2,3% dalla voce relativa al fondo sanitario nazionale.

I trasferimenti agli enti sanitari regionali da parte delle Regioni (che a loro volta ricevono erogazioni dallo Stato), costituiscono la principale fonte di finanziamento per le attività svolte;

pertanto, ritardi e/o riduzioni dei trasferimenti possono riflettersi in criticità nella gestione degli enti stessi. Per quanto concerne le erogazioni di cassa effettuate dalle Regioni alle aziende del SSR, si rileva che, anche nel 2014, così come avvenuto per il 2013, quasi la totalità degli enti ha trasferito oltre il 90% del totale delle risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario regionale, come previsto dall’art. 3, co. 7, del d.l. n. 35/2013.

Le anticipazioni di liquidità, erogate solamente alle Regioni che ne hanno fatto richiesta, rappresentano il 5,4% del totale. Tale tipologia di risorse non rappresenta una nuova entrata per la Regione per il finanziamento del settore sanitario, ma ha natura di anticipazione, in quanto finalizzata a ricostituire disponibilità di cassa per il pagamento di spese già finalizzate. Le risorse a carico esclusivo dei bilanci regionali per il finanziamento del settore sanitario, per le Regioni a Statuto Ordinario costituiscono il 2,4% del totale, mentre per le R.S.S. incidono per il 71,2%.

La spesa sanitaria corrente secondo i dati di rendiconto finanziario delle Regioni (impegni e pagamenti)

Tra le varie prospettive di rilevazione della spesa sanitaria, vengono esposte le risultanze sull’andamento della spesa corrente sanitaria ottenute sulla base dei dati di rendiconto (definitivi o provvisori) acquisiti tramite il sistema Con.Te. o apposite integrazioni istruttorie.

Si rammenta che la contabilità delle Regioni segue il criterio della competenza finanziaria, e, conseguentemente, espone esiti diversi da quelli rilevati secondo criteri di contabilità nazionale o sulla base dei conti economici degli enti del servizio sanitario, riepilogati in altra parte della relazione.

I risultati della gestione di competenza della spesa sanitaria corrente

Secondo i dati di rendiconto delle Regioni, gli impegni per spesa corrente sanitaria dell’intero comparto Regioni/Province autonome ammontano, nel 2014, a 120,31 mld di euro, di cui 103,42 ascrivibili alle Regioni a statuto ordinario e 16,89 alle Regioni a statuto speciale e Province autonome. Il peso della spesa sanitaria su quella corrente complessiva è pari nel 2014 al 75,48%, contro il 74,13% del 2013, il 75,58% del 2012 e il 75,78% del 2011.

Differente è la situazione tra le Regioni a statuto ordinario e le Regioni a statuto speciale.

L’incidenza della spesa sanitaria su quella corrente, nel periodo 2011-2014, oscilla tra il 48 e 51%, per le Regioni a statuto speciale e Province autonome, mentre per le Regioni a statuto ordinario varia tra l’81 e l’83%. Ciò è dovuto alla diversità di funzioni attribuite alle une e alle altre, e, conseguentemente, alla composizione della spesa, che, strutturalmente, per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome determina una minore incidenza della spesa sanitaria su quella complessiva.

Focalizzando l’attenzione sulla spesa corrente della sanità nelle Regioni sottoposte a Piani di Rientro, mentre nel triennio 2011-2013 gli impegni di spesa si mantengono sostanzialmente allo stesso livello, nel 2014 si rileva un aumento del 2,92%.

La spesa sanitaria corrente delle Regioni in Piano di rientro (pari, nel 2014, a circa 57,99 mld) incide sulla corrispondente spesa sanitaria nazionale per il 48,20%, mentre pesa sul totale della spesa corrente per circa il 36,38%. Rispetto al 2011 l’incidenza percentuale, sia sulla spesa corrente complessiva che sulla spesa sanitaria corrente nazionale, diminuisce poco meno di 1 punto percentuale, ma aumenta in riferimento ai due anni precedenti.

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I risultati della gestione di cassa della spesa sanitaria corrente

Osservando la gestione di cassa della spesa corrente sanitaria nel periodo 2011-2014, in valori assoluti, si registra, nel 2014, un decremento nei pagamenti pari a circa -3,1 mld di euro, rispetto al 2013, anno in cui si era rilevato un incremento della spesa di circa +4,6 mld, rispetto all’esercizio precedente.

L’incidenza della spesa sanitaria corrente, in termini di cassa, sulla spesa corrente totale passa al 76,10%, incrementandosi rispetto al 2013 (+2,58 punti percentuali), anno in cui l’incidenza si era ridotta in misura quasi speculare (-2,74%).

La dinamica registra un incremento medio nel quadriennio dell’1,21%, con una flessione del 2,67% nel 2014 sul 2013.

Con riferimento alle sole Regioni sottoposte a Piani di rientro, nell’analisi della gestione di cassa della spesa sanitaria corrente, nel quadriennio si osserva che i pagamenti crescono in media del 4,56%, con un aumento dell’1,64% nel 2014 rispetto al 2013.

I pagamenti delle Regioni in Piano di rientro per spesa sanitaria corrente (pari, nel 2014, a circa 58 mld) incidono sulla corrispondente spesa nazionale per il 50,7%, mentre pesano sul totale della spesa corrente dell’insieme delle Regioni/Province autonome per circa il 38,5%. In aumento l’incidenza, nel quadriennio, sulla spesa corrente complessiva (per poco più di due punti percentuali), mentre il rapporto con il totale della spesa sanitaria corrente cresce nel 2014 (50,65%, contro il 45,50 del 2013), con un valore superiore di circa tre punti percentuali rispetto all’inizio del periodo osservato (47,54%).

La spesa sanitaria in termini di contabilità nazionale

Nel 2014, la spesa sanitaria in termini di contabilità nazionale è stata pari a 111.028 milioni, in crescita, quindi, dello 0,9% rispetto al 2013 (+984 milioni). È il primo, contenuto, incremento di spesa nel corso del quinquennio 2010/2014, che tuttavia non interrompe il trend di costante riduzione dell’incidenza della spesa sanitaria nel conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, che, pari al 17% delle uscite primarie correnti nel 2010, si riduce, nel 2014, al 16% (16,1% nel 2013).

Tendenza ancora più evidente nel conto consolidato delle amministrazioni regionali, nel quale la spesa corrente al netto degli interessi aumenta dello 0,9%, da 139,7 (nel 2010) a 144,8 miliardi (nel 2014), mentre l’incidenza della spesa sanitaria sulla spesa corrente primaria regionale si riduce di ben 4 punti percentuali (dall’81,8%, nel 2010, al 77,4%, nel 2014), e la spesa per investimenti regredisce, mediamente, del 6,7%.

Le manovre correttive dei conti pubblici negli anni 2010/2014 hanno stabilizzato l’incidenza della spesa per il SSN sul PIL, che nel 2014 è stata pari al 6,9% (7,0% nel 2010), riducendone significativamente il valore in termini reali: al netto dell’inflazione, nel periodo considerato il PIL è diminuito annualmente ad un valore medio dello 0,52%, mentre la spesa per il SSN ha registrato un decremento più che doppio, pari a -1,36%.

Nel periodo 2010/2014 le disponibilità finanziarie per il SSN sono cresciute mediamente dell’1 %, mentre la spesa sanitaria, grazie alle politiche di riduzione dei costi e alla robusta correzione dei deficit strutturali conseguita dalle Regioni in piano di rientro, si è contratta ad un tasso medio dello 0,5%; ciò ha prodotto una considerevole riduzione del deficit accumulato dal Servizio sanitario nazionale, che regredisce da 2,7 ( nel 2011) a 1,2 miliardi (nel 2014), e un incremento, dal 93,3 ( nel 2010) al 99,0% (nel 2014), del grado di copertura della spesa da parte del Fondo sanitario nazionale. Da evidenziare, tuttavia, la sistematica revisione al ribasso del Fondo sanitario nazionale concordato tra Stato ed enti territoriali attraverso il Patto della Salute, attuata con le manovre correttive dei conti pubblici: per il biennio 2015/16, il finanziamento concordato con il Patto 2014/2016, pari a 112.062 e 115.444 milioni, è stato rideterminato dal d.l. n. 78/2015 e dalla Legge di Stabilità 2016, in 109.710 e 111.000 milioni.

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Esaminando l’andamento dei conti aggregati delle pubbliche amministrazioni per funzioni di spesa, si osserva che nel periodo 2010/2014 le manovre correttive dei conti pubblici hanno operato tagli di risorse al comparto sanitario per 2,5 miliardi, inferiori solo a quelli per l’Istruzione (-3,7 miliardi). Allargando l’orizzonte temporale e confrontando la spesa funzionale del 2014 con il 2000, spicca l’incremento della spesa per l’assistenza sanitaria, che aumenta del 62% (+42 miliardi), mentre le spese per l’Istruzione hanno avuto un incremento ben più modesto, pari a circa 9 miliardi (+18,8%).

L’esame dei principali documenti di finanza pubblica mostra che – se la spesa effettiva per il Servizio sanitario nazionale nel quadriennio 2011/2014 è regredita complessivamente di 1,2 miliardi – rispetto agli andamenti tendenziali delineati dalla Legge di stabilità 2013 la minore spesa in termini di contabilità nazionale è stata pari a 8,4 miliardi.

La spesa per il SSN nel contesto europeo

I dati OCSE sulla spesa sanitaria pubblica indicano che il Servizio sanitario nazionale italiano è mediamente meno costoso di quello della maggior parte dei partner europei, pur classificandosi ai primi posti per qualità dei servizi erogati e grado di copertura dei fabbisogni assistenziali. Dal confronto con gli altri paesi europei, quindi, viste le minori risorse impiegate e la qualità media dei servizi offerti, emerge un giudizio relativamente positivo sull’efficienza ed efficacia della spesa impegnata dal nostro Servizio sanitario nazionale. Tuttavia, la buona performance internazionale del sistema sanitario italiano, che assicura servizi di qualità ad un costo relativamente contenuto, è però composta da realtà regionali diversificate, con differenze tra le singole ASL anche più marcate rispetto a quelle tra Regioni. Il recente Rapporto OCSE/AGENAS sulle performance dei sistemi sanitari regionali mette in luce le inefficienze allocative, ossia l’inappropriatezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, raccomandando, tra l’altro, di ampliare la rete dell’assistenza territoriale e gli ospedali di comunità, di cui le Regioni meridionali sono più carenti rispetto a quelle settentrionali, mentre, sul piano metodologico, sottolinea una generale carenza di informazioni sulla qualità orientata al paziente e sulla qualità dell’assistenza effettivamente erogata.

I principali indicatori finanziari OCSE evidenziano che l’Italia destina all’assistenza sanitaria pubblica una quota di risorse inferiore a quella dei suoi principali partener europei: tutti i paesi considerati spendono più dell’Italia, ad eccezione di Spagna, Grecia, Portogallo e Polonia. In particolare, negli anni 2013/2014 la spesa sanitaria pubblica italiana in termini di PIL (6,8 %) è stata inferiore di circa 1,7 punti percentuali a quella di Francia e Germania, e dello 0,5 % a quella della Gran Bretagna; la spesa sanitaria italiana media pro capite pubblica, pari a 2.012 dollari, è inferiore di circa il 30 % a quella della Germania (2.933 dollari) e del 14% a quella della Francia (3.247 dollari);

nel 2005/2009 il tasso medio annuale di variazione della spesa sanitaria pubblica italiana in termini reali,+0,5%, è il più basso tra i paesi considerati, e nel successivo quinquennio, al netto della Grecia (-7,1%) registra la variazione negativa più sensibile (-1,36%).

La spesa corrente dei servizi sanitari secondo i dati C.E.

Sulla base dei dati di conto economico degli enti sanitari, comunicati dalle Regioni al Nuovo Sistema Informativo della Sanità, la spesa sanitaria corrente ammonta nel 2014 110.675 mln di euro. Nel periodo (2010-2014) il livello della spesa resta sostanzialmente stabile.

La spesa per il personale ammonta nel 2014 a 34.802 mln di euro e incide per il 31,4% sulla spesa corrente sanitaria totale (35% nel 2002). Nel quadriennio 2011-2014 si rileva un andamento decrescente.

La spesa per beni e servizi (ad eccezione dei prodotti farmaceutici), ammonta, nel 2014, a 21.958 mln, in aumento dello 0,8% rispetto al 2013 (21.789 mln), e incide per il 19,8% sulla spesa corrente sanitaria totale.

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