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Una semiotica dell’immagine speculare attraverso Lo specchio delle Brame di

Capitolo 1. L’immagine speculare tra segno e non segno

1.5 Una semiotica dell’immagine speculare attraverso Lo specchio delle Brame di

Sulla base dell’indagine riguardo l’immagine speculare come un segno o un non segno portata avanti nei paragrafi precedenti, è adesso possibile iniziare a delineare il profilo della natura semiotica (o non semiotica) delle immagini dei genitori di Harry Potter (Lily e James).

Una delle interessanti affermazioni di J. I. Levin, nell’ambito della formulazione di quella che a suo dire rientra nella definizione122 di specchio, è: “La copia [l’immagine speculare] è accessibile solo alla vista”123. L’affermazione categorizza l’oggetto reale posizionato davanti allo specchio, quindi, come

‘originale’ creando una naturale e automatica illusione di sdoppiamento del referente. Ma nel caso preso in esame, la copia in questione, come appare sullo Specchio delle Brame (e come in tutti gli specchi piani, del resto), non è solo impossibile da esperire con i sensi altri alla vista, ma non costituisce per nessuna ragione una copia delle figure originali di James e di Lily, poiché questi sono assenti, in special modo deceduti. Lily e James sono, infatti, e per prima cosa, dei simulacri. Va da sé che dove esiste il simulacro esiste necessariamente il segno, poiché il simulacro, in quanto simulacro ‘di’ un qualcosa, è per filo e per segno un’icona, una forma che condensa tutte le caratteristiche dell’oggetto a cui allude (come era il caso della video-performance Untitled (1972) di Hidetoshi

122 Nel suo saggio, Levin descrive lo specchio in diciassette punti atti a sostenere la dicotomia dello specchio come oggetto sia materiale che semiotico. Ju.I. LEVIN, Lo specchio come potenziale oggetto semiotico, in R. GALASSI, M. DE MICHIEL (a cura di), Il simbolo e lo specchio. Scritti della scuola semiotica di Mosca-Tartu, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 130-152.

123 Ibidem, qui pag. 133.

Nagasawa). La caratteristica dell’icona, e quindi del simulacro, non è però di semplice allusione del referente, che la porrebbe in netta sudditanza rispetto all’originale a cui riferisce. Il simulacro, infatti, non esiste in quanto sostituto imperfetto del referente a cui allude (che non potrebbe mai eguagliare), bensì come

‘parte’ o ‘estensione’ del referente assente che, in tal modo, è esperibile con i sensi.

Come afferma Victor Stoichita: “Costruzione artificiale mancante di un modello originario, il simulacro si dà come esistente per sé. Non copia necessariamente un oggetto del mondo, ma vi si proietta. Esiste”124.

Tuttavia, le immagini che appaiono sullo Specchio delle Brame possono dirsi dei segni molto singolari, perché se non dipendono né dal medium o canale attraverso cui si modula l’immagine speculare (lo specchio) né intrattengono davanti allo specchio un rapporto primario con i loro corpi ‘originali’ (evento impossibile, poiché assenti), è vero che essi non sono segni indipendenti, perché vincolati dai desideri delle persone che vi guardano. Nessuno, a parte Harry, è in grado di vedere Lily e James. Secondo l’affermazione di Eco, per cui “L’immagine speculare [che nel caso di Lily e James si presenta, invece, con le caratteristiche di un’immagine]

non è correlabile a un contenuto […], ovvero potrebbe anche esserlo, ma solo grazie a un suo rapporto necessario con il referente”125, il contenuto in questione è visto e conosciuto soltanto da Harry. La loro esistenza come segni dipende

‘magicamente’ dal referente. La definizione di immagine e di segno, quindi, che designa due fenomeni che dovrebbero essere dotati della capacità di ‘passare’ da un supporto ad un altro e di essere riconosciuti dalla comunità nella quale si sono

124 V. I. STOICHITA, L’effetto Pigmalione. Breve storia dei simulacri da Ovidio a Hitchcock, il Saggiatore, Milano, 2006, pp. 10-11.

125 U. ECO, Sugli specchi e altri saggi, Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno 1985, qui pag.

25.

formati, in questo caso, se non viene meno, come minimo si presenta sotto spoglie singolari: non solo l’immagine di Lily e di James non può manifestarsi in altro supporto oltre che sullo specchio magico, ma non può neanche essere vista, e conseguentemente riconosciuta come segno, da altri. Il simulacro in questione è un segno che veicola un contenuto ‘per’ e attraverso solo Harry e che si genera e si estingue al suo stanziarsi o lasciare lo spazio di riflessione. L’immagine racchiude, quindi, due caratteristiche opposte che la rende per metà un segno e per metà un non segno.

Infine, sarebbe doveroso porsi un interrogativo sullo stesso Harry e sulla sua immagine speculare. Osservando la sequenza filmica notiamo, infatti, che l’immagine speculare di Harry non è proprio una copia fedele dello stesso: nello specchio vediamo Lily poggiare una mano sulla spalla del figlio (Fig. 28). Harry ruota di impulso il capo in direzione della spalla senza trovare, però, la mano della madre (Fig. 29).

Figure 28-29. Il simulacro di Lily poggia una mano sulla spalla di Harry e Harry si tocca la spalla incredulo, still dal film Harry Potter e la pietra filosofale, 2001, regia di Chris Columbus.

Lo stesso Harry è incredulo di quello che sta guardando: confondendo le immagini dei genitori come reali, e di conseguenza le azioni da loro attuate, Harry si aspetterebbe di trovare sulla sua spalla ‘reale’ la stessa mano che poggia sulla spalla della sua immagine speculare. Così, invece (naturalmente), non accade.

Harry capisce in questo modo che l’intera composizione virtuale è il grande simulacro di un suo desiderio, di cui il sé stesso speculare è parte e che, interagendo con il simulacro di Lily, non corrisponde alla sua immagine speculare ma al suo doppio. La rappresentazione speculare di Harry, per un momento identica all’originale, in un secondo momento ne differisce portando l’opposizione di guardare in sé stessi e guardare sé stessi.

La natura sia materiale che semiotica dello specchio sembra condurre sulle soglie di esperienze ibride, che pongono i presupposti alla sua indipendenza sia come oggetto protesico che come simbolo del desiderio e della riflessione sul confine tra vita e morte.