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Περιαυτολογία, περιαυτολογέω, περιαυτολόγος: attesta zioni e impiego dei termini da Filodemo a Eustazio

Prospetto degli exempla storici e aneddotico-apoftegmatici

1.5 Plutarco e l’autoelogio

1.5.1 Περιαυτολογία, περιαυτολογέω, περιαυτολόγος: attesta zioni e impiego dei termini da Filodemo a Eustazio

Sebbene il termine περιαυτολογία risulti attestato per la prima volta in Plutarco, è possibile affermare con certezza che non si tratta di un neologismo del Cheronese: come si può ricavare dalle parole usate dallo stesso Plutarco nel De laude ipsius103, alla sua epoca il vocabolo possedeva infatti, accanto al significato generico di “vanto, millanteria”, una precisa valenza tecnica, verosimilmente acquisita all’interno delle scuole di retorica104.

Filodemo e Plutarco

Si potrebbe individuare un indizio che porta in questa direzione nell’impiego del verbo περιαυτολογέω – il cui significato è spiegato nel Lessico di Fozio (s.v. περιαυτολογεῖν 642, p. 207 vol. III Theod.) e in Suda (s.v. περιαυτολογεῖν,p. 92 vol. IV Adler) con περὶ

103 549E (τῆς καλουμένης περιαυτολογίας).

104Va tenuto presente che la lingua greca già a partire dall’età classica, cioè quando lo strumento retorico dell’autoelogio ha iniziato a essere utilizzato e analizzato nel campo dell’oratoria, in luogo di questo termine specifico si serviva di una serie perifrasi che esprimevano sostanzialmente lo stesso concetto. Tra queste, messe opportunamente in evidenza da PERNOT 1998, 102, le più comuni erano: ἑαυτὸν ἐγκωμιάζειν, ἑαυτοῦ ἐγκώμιον, ἑαυτὸν ἐπαινεῖν, ἑαυτοῦ ἔπαινος, ἑαυτὸν ε λέγειν, περὶ ἑαυτοῦ λέγειν, περὶ ἑαυτοῦ μεγαληγορεῖν. Lo stesso Plutarco, nel De laude, alterna il sostantivo περιαυτολογία con alcune di queste espressioni. Per quanto riguarda l’origine del termine appare suggestiva e, ancorché difficilmente dimostrabile, non priva di fondamento, l’ipotesi secondo cui il titolo del trattato plutarcheo e lo stesso termine περιαυτολογία deriverebbero da due espressioni usate da Demostene nel De corona (4: πολλάκις λέγειν ἀναγκασθήσομαι περὶ ἐμαυτοῦ; 321: οὔτω γὰρ μοι περὶ ἐμαυτοῦ λέγοντι ἀνεπιφονώτατον εἰπεῖν): cfr. DE LACY-EINARSON 1959, 110. Certamente questa orazione fu un modello per i maestri di retorica e non si può escludere che il sostantivo περιαυτολογία sia stato coniato proprio a partire dal suo testo.

ἑαυτοῦ λέγειν· τουτέστι μετὰ ὑπερηφανίας105 – da parte di Filodemo di Gadara circa due secoli prima di Plutarco106. Il filosofo epicureo impiega il verbo nel De bono rege (Col. XXXIX, 29 Dorandi). All’interno di una sezione dedicata alla ὕβρις, Filodemo cita alcuni versi di Omero per dimostrare che il comportamento di un re che elogia le proprie imprese non deve essere oggetto di biasimo; al contrario, il filosofo critica aspramente chi mette in mostra qualità esteriori o non realmente possedute107. Al termine di una breve serie di exempla omerici, chiusa da due versi dell’Iliade pronunciati da Nestore (IX, 104-105)108, Filodemo conclude così:

Καὶ πάντ ες ο ǀτοι, δι’ ἅς εἶπον αἰτίας, χρῶǀνται τοῖς ἰδίοις ἐγκ ωμίοις, ǀ ἀλλ’ οὐχ ἵνα περιαυτολογ[ή]ǀσωσιν [δ]ιαφέρ[ον]τ ε [ς ἤδη ǀ τ[ο]ιούτων. [οὐ]δ’ ἐκεῖνο ǀ τοῦ ποητοῦ πα[ρα]πεμ[πτ]έ ο ν ǀ ὅτι109

105 La voce è presente anche nei Lexica Segueriana (p. 337 Bachmann), dove al posto di λέγειν si trova

λαλεῖν.

106 Un passo – come segnala PERNOT 1998, 101 – che non figura tra i testi che compongono il TLG

online.

107 Sulle problematiche relative alla genesi del trattato e al ruolo assegnato alla poesia all’interno della

scuola filosofica epicurea si vedano la prefazione di DORANDI 1982, 15-47 e il più recente contributo di DE SANCTIS 2006, che delinea così i processi ermeneutici alla base del De bono rege (p. 52): “L’interpretazione della poesia che emerge dall’opera ha come presupposto il fatto che dall’epos si possono desumere continui παραδείγματα, finalizzati alla correzione delle δυναστεῖαι”. Il βασιλεύς di cui Filodemo considera e analizza i problemi relativi alla vita privata e pubblica è costantemente paragonato ai sovrani omerici: i temi affrontati nell’opera vengono così esemplificati “attraverso un epos che corrobora i διδάγματα più caratterizzanti il Κῆπος” (ibid.).

108 Sulla figura di Nestore nel De bono rege si veda ancora DE SANCTIS (pp. 62-63); sulla tendenza

all’autoelogio dell’eroe e sulla sua presenza nel De laude cfr. infra, 260 e 265-67. Per quanto riguarda la scelta degli esempi, GRIMAL 1966, 267-68 ha proposto un’interpretazione del testo di Filodemo basata sul rapporto causa-effetto che lega περιαυτολογία e invidia, condivisa da DORANDI (199ss.), e ha individuato nel riferimento a Odisseo un’analogia con il passo del De laude ipsius (545E) in cui Plutarco cita Od. XII, 209-12: “ La plus importante [scil. ragione dell’autoelogio] était probablement la nécessité pour le «roi» d’assurer la confiance de ceux qui se trouvaient soumis à son autorité. Ainsi, dit Plutarque, faisait Ulysse lorsqu’il rappelait à ses compagnons effrayés qu’il les avait tirés des mains du Cyclope. La beauté, le prestige du roi, dans la mesure où celui-ci sait les assurer, surmontent l’invidia qui détruit les empires”.

109 Riporto in traduzione l’intero passo: “Poiché, come dicevo, non con ostentazione di sé (mostrando) …

(Omero) privò (Odisseo) della facoltà di segnalare i suoi meriti, grazie alla quale, a parte le altre cose, egli potrà rivelarsi ai poco informati, rinfrescare la memoria agli immemori, cavar gli occhi agli ingrati … a

In realtà, il passo sembra suggerire che qui Filodemo non intende riferirsi a un procedimento retorico codificato come tale. Dal testo, infatti, emerge una netta separazione tra χρῆσθαι τοῖς ἰδίοις ἐγκωμίοις e περιαυτολογεῖν: “servirsi dell’elogio di sé” è quindi cosa diversa dall’“autoelogiarsi”. Ma su quale piano si determina questa differenza? Con il termine περιαυτολογέω, Filodemo delinea un comportamento o un atteggiamento connotato da ὑπερηφανία o μεγαλαυχία (e pertanto valutato in maniera negativa), e non quello strumento retorico che trova qui piena legittimazione nella necessità di prendere le distanze (διαφέροντες) da tale condotta110.

Dopo il filosofo epicureo non risultano altre attestazioni fino a Plutarco, che nei suoi scritti impiega il termine περιαυτολογία 15 volte: 11 nel De laude ipsius111, due nel De audiendo, una nel De audiendis poetis e una nella synkrisis delle Vitae di Demostene e Cicerone. Se il significato di fondo – cioè “parlare (bene) di sé” e, quindi, in maniera autoelogiativa – rimane sempre inalterato nella sostanza, il vocabolo assume connotazioni e sfumature diverse a seconda delle occasioni e dei contesti in cui è utilizzato: nei casi in cui non viene impiegato nella sua accezione tecnica, in particolare, il suo valore tende a diventare negativo112. È il caso del De audiendo (41B-C), dove la περιαυτολογία dell’oratore è intesa non tanto come uno strumento che consiste nel ricorrere in determinate circostanze e con precisi schemi retorici all’elogio delle proprie azioni o qualità, quanto, in maniera simile a ciò che si è visto in Filodemo, come la

chi avesse omesso … Il cavallo: «l’insidia che sull’acropoli portò Odisseo luminoso» (Od. VIII, 494). Ma quando glielo domandavano diceva: «Sono Odisseo di Laerte, che per tutte le astuzie / son conosciuto tra gli uomini, e la mia fama va al cielo» (Od. IX, 19-20) e di nuovo lo stesso contro Achille: «ma io per senno forse t’avanzo / assai» (Il. XIX, 218-19)… molto chiaramente dice ora che «non si potrà pensare pensiero migliore di questo / ch’io penso da tempo; sì, come adesso” (Il. IX, 104-05). E tutti questi, per i motivi che ho detto, si servono dell’elogio di se stessi, non per autolodarsi, ma distinguendosi da simili persone. Né bisogna trascurare quel detto del poeta che …”. (Trad. DORANDI). La parte successiva è estremamente lacunosa e di difficile interpretazione.

110 Più sfumata, secondo MILETTI 2014, 88, questa differenza lessicale: “Come in Plutarco, anche qui è

evidente l’intento di distinguere una buona περιαυτολογία, motivata da seri propositi, da una cattiva, frutto di mero narcisismo”.

111 539C, 539E, 540B, 540F, 544C, 546B (due volte), 546C, 546D, 546E, 547C.

112 Un’analisi dell’impiego del termine in Plutarco incentrata esclusivamente sull’aspetto etico fu

condotta da HADZSITS 1906, 46-47, che finì per subordinare completamente la περιαυτολογία alla κενοδοξία, trascurando il valore retorico del termine.

tendenza a vantarsi parlando di sé in termini fortemente elogiativi, ed è inserita tra i “vani apparati” (τὰ κενά) che spesso inquinano l’ascolto, riconducibili ai difetti dell’oratore:

ὡς γὰρ πολέμου, καὶ ἀκροάσεως πολλὰ τὰ κενά ἐστι. καὶ γὰρ πολιὰ τοῦ λέγοντος καὶ πλάσμα καὶ ὀφρῦς καὶ περιαυτολογία, μάλιστα δ’ αἱ κραυγαὶ καὶ οἱ θόρυβοι καὶ τὰ πηδήματα τῶν παρόντων συνεκπλήττει τὸν ἄπειρον ἀκροατὴν καὶ νέον ὥσπερ ὑπὸ ῥεύματος παραφερόμενον113.

Rispetto agli altri elementi (πολιὰ, πλάσμα e ὀφρῦς), opportunamente classificati da Hylliard come “external factors” in contrapposizione a quelli attinenti alla sfera della λέξις (affrontati da Plutarco a 41C-E)114, la περιαυτολογία sembra rientrare in una categoria differente. Se infatti i primi sono legati ad aspetti esteriori e non alla tecnica di elaborazione del discorso – sia che, con Hylliard, si attribuisca a πλάσμα un riferimento alla postura o al movimento, sia che lo si connetta all’intonazione della voce –, anche la περιαυτολογία potrebbe essere valutata sotto questo punto di vista: nel contesto, infatti, non delinea tanto uno strumento retorico a disposizione dell’oratore, quanto un atteggiamento o una tendenza comportamentale.

In un altro passo della stessa opera, la περιαυτολογία ἐνδιάθετος non è annoverata tra i difetti dell’oratore, bensì tra quelli dell’ascoltatore presuntuoso, che resta impassibile e non mostra alcun segno di interesse o approvazione per le parole che ascolta. Anche in questa occasione il significato del termine, posto in correlazione con l’οἴημα ὕπουλον, non è tanto quello di “autoelogio” inteso come strumento retorico, quanto quello di “considerazione di sé”. Inoltre, l’accostamento dell’aggettivo ἐνδιάθετος, che ha il valore di “insito, radicato nell’animo”, contribuisce a individuare nella περιαυτολογία un tratto del carattere, una predisposizione individuale legata alla φιλαυτία che, naturalmente, ha per Plutarco un valore negativo sul piano morale (44A):

113 De aud. 41B-C: “Come in guerra, così anche in un ascolto ci sono molti vani apparati: la canizie,

l’intonazione suadente, lo sguardo accigliato e la tendenza all’autoelogio di chi parla, ma soprattutto le acclamazioni, gli applausi e i sobbalzi del pubblico sconcertano l’ascoltatore giovane ed inesperto, che finisce per essere come trascinato via dalla corrente.” (Trad. PISANI).

Δεῖται δὲ καὶ τὸ περὶ το ς ἐπαίνους καθῆκον εὐλαβείας τινὸς καὶ μετριότητος διὰ τὸ μήτε τὴν ἔλλειψιν αὐτοῦ μήτε τὴν ὑπερβολὴν ἐλευθέριον εἶναι. βαρ ς μὲν γὰρ ἀκροατὴς καὶ φορτικὸς ὁ πρὸς πᾶν ἄτεγκτος καὶ ἀτενὴς τὸ λεγόμενον, οἰήματος ὑπούλου καὶ περιαυτολογίας ἐνδιαθέτου μεστός, ὡς ἔχων τι τῶν λεγομένων βέλτιον εἰπεῖν, μήτ’ ὀφρῦν κατασχηματίζων μήτε φωνὴν εὐγνώμονος μάρτυρα φιληκοΐας προϊέμενος, ἀλλὰ σιγῇ καὶ βαρύτητι καταπλάστῳ καὶ σχηματισμῷ θηρώμενος δόξαν εὐσταθοῦς καὶ βάθος ἔχοντος ἀνδρός, ὥσπερ χρημάτων τῶν ἐπαίνων ὅσον ἄλλῳ μεταδίδωσιν αὑτοῦ δοκῶν ἀφαιρεῖσθαι115.

Anche nel De audiendis poetis (29A-B) la περιαυτολογία sembra essere considerata principalmente sotto l’aspetto etico e, associata alla μεγαλαυχία, viene a delineare una condotta da cui i giovani devono tenersi lontani. Plutarco, confrontando le reazioni di Stenelo e Diomede alle parole di Agamennone (Il. IV, 370ss.), una riprovevole e l’altra esemplare116, commenta così:

ἡ γὰρ τοιαύτη διαφορὰ μὴ παρορωμένη διδάξει τὸν νέον ἀστεῖον ἡγεῖσθαι τὴν ἀτυφίαν καὶ μετριότητα, τὴν δὲ μεγαλαυχίαν καὶ περιαυτολογίαν ὡς φαῦλον εὐλαβεῖσθαι117.

Prima di passare al De laude ipsius, occorre soffermarsi su un passo della synkrisis delle Vitae di Cicerone e Demostene, che risulta di grande importanza non solo per

115 De aud. 44A-B: “Anche il tributare elogi è compito che richiede cautela e senso della misura perché

difetto ed eccesso non s’addicono a un uomo libero. Pesante e rozzo è l’ascoltatore che rimane freddo e impassibile di fronte a qualunque riflessione, e pieno di una presunzione incancrenita e di un’autoconsiderazione profondamente radicata, convinto com’è di saper esprimere qualcosa di meglio di quel che sente dire, non batte ciglio, come invece educazione vorrebbe, e non emette sillaba a testimonianza del fatto che sta seguendo volentieri e con interesse, ma se ne resta in silenzio e ostentando una gravità affettata e di maniera cerca di cattivarsi la reputazione di persona di solide e profonde convinzioni, dando a vedere di valutare gli elogi alla stregua del denaro e di pensare che nella proporzione in cui se ne elargiscono agli altri si finisce per privarne se stessi.” (Trad. PISANI).

116 Per un’analisi dell’episodio, citato anche nel De laude, cfr. infra, 206-08.

117 “Tali diversità, se non si trascurano, insegneranno al giovane a considerare garbate la modestia e la

moderazione, e a guardarsi al contrario dalla iattanza e dall’autoelogio, giudicandoli indizio di cattivo gusto”. (Trad. PISANI).

quanto riguarda le osservazioni plutarchee sull’autoelogio, ma anche – come si è visto – per le questioni della genesi e della datazione del trattato118. Qui il giudizio del Cheronese verte sulla realizzazione tecnica della περιαυτολογία e in particolare sul suo μέτρον: Ἔτι τοίνυν ἐν τοῖς συγγράμμασι κατιδεῖν ἔστι τὸν μὲν ἐμμελῶς καὶ ἀνεπαχθῶς τῶν εἰς ἑαυτὸν ἁπτόμενον ἐγκωμίων, ὅτε τούτου δεήσαι πρὸς ἕτερόν τι μεῖζον, τἆλλα δ’ εὐλαβῆ καὶ μέτριον· ἡ δὲ Κικέρωνος ἐν τοῖς λόγοις ἀμετρία τῆς περιαυτολογίας ἀκρασίαν τινὰ κατηγόρει πρὸς δόξαν, βοῶντος ὡς τὰ ὅπλα δεῖ τῇ τηβέννῳ καὶ τῇ γλώττῃ τὴν θριαμβικὴν ὑπείκειν δάφνην119.

Se Demostene viene lodato perché parla di sé ἐμμελῶς καὶ ἀνεπαχθῶς, l’ἀμετρία τῆς περιαυτολογίας di Cicerone costituisce uno dei principali difetti della sua oratoria120. Ricorrendo continuamente alla pratica dell’autoelogio, infatti, l’Arpinate dà prova, secondo Plutarco, di una vera e propria ἀκρασία nei confronti della gloria.

Venendo infine al De laude, va notato come Plutarco, dopo un primo impiego del termine in un’accezione non tecnica e con un significato prossimo a quello di “autocelebrazione” o “autoproclamazione”121, passi a usarlo con una connotazione precisa a partire dal riferimento al “cosiddetto autoelogio” (τῆς καλουμένης περιαυτολογίας)122. Dopo aver utilizzato questa espressione, infatti, nella parte centrale del trattato Plutarco impiega il sostantivo per indicare un procedimento retorico ben delineato e l’espressione da lui adottata lascia pensare che si riferisca a un uso del termine proprio delle trattazioni di carattere tecnico; il pubblico cui era indirizzato il trattato (Ercolano in primis), evidentemente, doveva avere una buona familiarità con

118 Cfr. supra, 10 n. 32.

119 Comp. Dem. et Cic. 2, 1 : “Nelle loro opere è possibile vedere che l’uno [scil. Demostene] elogiava la

propria attività con misura, e senza urtare nessuno, quando lo doveva fare per qualche scopo superiore, mentre per il resto era misurato e prudente; Cicerone invece nei suoi discorsi, parlando di sé, dava a vedere in modo smodato una illimitata brama di gloria, quando a gran voce dice, ad esempio, che «le armi devono cedere alla toga, e all’eloquenza deve cedere l’alloro del trionfatore». (Trad. MAGNINO).

120 Cfr. De laud. 540F. Su Cicerone e la sua tendenza all’autoelogio cfr. infra, 208-09. 121 539C (a proposito di Timoteo di Mileto).

l’argomento. Nei capitoli conclusivi del trattato, che Plutarco dedica alla necessità di evitare di autoelogiarsi in modo inopportuno, la περιαυτολογία torna infine ad assumere il significato più generico ed eticamente connotato di “tendenza all’autoelogio e al vanto”123.

Dal II al V secolo: la letteratura cristiana e la περιαυτολογία paolina