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L’autoelogio tra prassi e teoria: linee di uno sviluppo attraverso i generi letterar

Prospetto delle occorrenze in Eustazio

1.5.2 L’autoelogio tra prassi e teoria: linee di uno sviluppo attraverso i generi letterar

Il De laude ipsius costituisce la prima trattazione interamente dedicata all’autoelogio ad esserci pervenuta: un’analisi ʻa tutto campoʼ, in cui i piani retorico, politico ed etico si sovrappongono e si intersecano, risultando spesso difficili – se non impossibili – da isolare e analizzare separatamente.

Alla περιαυτολογία, intesa sia in senso lato come discorso (elogiativo) su di sé sia nella sua accezione tecnica che la qualifica come strumento retorico in contesti precisi e ben delimitati, fecero ricorso a partire dal V a.C. e con progressiva frequenza, numerosi autori all’interno di opere appartenenti a generi letterari diversi. Alcuni di questi testi costituirono la base per le successive formulazioni teoriche dell’autoelogio – che all’epoca di Plutarco doveva occupare uno spazio rilevante nelle scuole di retorica, come oggetto di insegnamento e di esercizio –, ed è in questa prospettiva che essi verranno considerati in questa sede: le modalità e le finalità con cui la περιαυτολογία è utilizzata (talvolta accompagnata da brevi e fugaci riflessioni sul suo utilizzo) costituiscono infatti un prezioso indicatore della valutazione che la società greca e quella romana espressero sull’autoelogio nei secoli e contribuiscono a comprendere l’evoluzione della sua elaborazione teorica, di cui il De laude ipsius costituisce il testo più importante in nostro possesso.

Prima di procedere nell’analisi di questi precedenti letterari è opportuno premettere alcune considerazioni sia sull’impostazione adottata in questa indagine, sia su alcune caratteristiche formali dell’autoelogio e sui risvolti sociali da esso prodotti:

i) Il punto di riferimento per ogni studio dedicato alla περιαυτολογία, che includa sia gli aspetti retorico-linguistici sia le problematiche legate alle implicazioni etico-sociali di tale strumento, resta il già citato fondamentale contributo di Pernot, che ripercorre la storia letteraria dell’autoelogio con un approccio che tiene conto degli aspetti socio- antropologici e retorici, individuando un vasto repertorio di esempi di περιαυτολογία nel campo dell’oratoria ed esaminando i trattati che la affrontano176; al fine di analizzare

176 PERNOT 1998. Questo lavoro non è soltanto apprezzabile per la qualità e la validità delle osservazioni

il De laude sotto questi aspetti, si è tuttavia reso necessario operare un tentativo di interpretare le linee fondamentali della storia e dello sviluppo dell’autoelogio – sia per quanto riguarda il suo impiego diretto in letteratura (testi poetici, oratoria e storiografia) sia per quanto concerne la sua teorizzazione – adottando una prospettiva ʻplutarcheaʼ, tenendo cioè come punto di riferimento il testo del Cheronese e focalizzando l’attenzione su ciò che in maniera più o meno e diretta può avere esercitato un’influenza nella formulazione e nella stesura del trattato177. La ʻtrasversalitàʼ dell’autoelogio e la mancanza di una definizione condivisa che ne individui in maniera netta e precisa i limiti pone alcune difficoltà, tra cui il rischio di considerare autoelogiativi elementi che possono presentare alcune affinità con la περιαυτολογία, ma da cui sono distinti: stabilire, ad esempio, una linea di demarcazione netta tra autoelogio e autopresentazione o tra autoelogio e autobiografia si rivela spesso un’operazione problematica e legata a scelte e valutazioni in cui è inevitabilmente presente un certo grado di soggettività. Si è pertanto scelto di considerare come autoelogiative esclusivamente quelle porzioni di testo in cui è possibile individuare chiaramente un’intenzione da parte dell’oratore (che può coincidere o meno con l’autore) – al di là del genere letterario e del contesto – di produrre un’immagine positiva di sé, presentando le qualità e i meriti della propria persona e/o arte.

ii) L’autoelogio presenta nella struttura e nel linguaggio significative affinità con il discorso di lode, di cui costituisce una forma particolare (quella in cui l’autore e il destinatario della lode coincidono)178: tali analogie non risiedono unicamente nelle scelte lessicali e nelle soluzioni retoriche adottate, ma interessano motivi particolari che diventano ricorrenti in entrambi i tipi di elogio, come l’attenzione rivolta a evitare lo φθόνος dell’uditorio e/o dei lettori, un topos presente in ogni genere di elogio, che si spiega tenendo conto delle implicazioni sociali di questo procedimento retorico179. Pernot ha rilevato che l’attenzione prestata al valore etico della περιαυτολογία – valore legato al suo impatto sulla collettività e, pertanto, alla sua dimensione pubblica – nasce

in Plutarco ed Elio Aristide). Tra i contributi di maggiore rilievo si segnalano quelli quelli di SPATHARAS 2011 e MILETTI (2011, 2014 e 2015).

177 In questo senso una solida base è fornita dal già citato contributo di VALLOZZA 1991, dedicato alle

strategie argomentative e alle caratteristiche retorico-formali dell’opera.

178 Sulla retorica del discorso di lode cfr. lo studio fondamentale di PERNOT 1993. 179 Sullo φθόνος cfr. infra, 98ss.

e si sviluppa in un contesto storico-sociale preciso: la tendenza a provare fastidio o invidia nei confronti di chi elogia se stesso – e, di conseguenza, ad evitare, fin dove possibile, di ricorrere a tale pratica – non è un sentimento insito nella natura umana, bensì si origina e matura entro determinate coordinate socioculturali180. È in un contesto sociale in cui si presuppone una condizione di uguaglianza politico-civile tra oratore e uditorio che si pone il problema dell’impiego dell’autoelogio181: esso diventa quindi

180 PERNOT 1998, 111-12 afferma che “la réserve devant l’éloge de soi-même n’est pas une attitude

inscrite de toute éternité dans la nature humaine, et que les Grecs auraient découverte ou révélée. Il s’agit bien plutôt de la construction d’une problématique dans un cadre culturel et social”. Questa posizione sembrerebbe in contrasto con alcune osservazioni presenti, fra gli altri, nei testi di Plutarco e Quintiliano, i quali definiscono l’autoelogio fastidioso e insopportabile per natura (De laud. 547D; Inst. or. XI, 1, 16), indipendentemente dalle ragioni che ne determinano l’impiego. Occorre rilevare a questo proposito che le riflessioni sull’autoelogio di questi autori sono sviluppate in un’epoca e in una società profondamente distanti da quelle in cui erano vissuti i loro principali modelli di riferimento (Demostene su tutti), nonostante ne condividessero e riproponessero almeno in parte principi e fondamenti etico- comportamentali. Sono state fornite diverse interpretazioni dell’incremento di attenzione nei confronti della περιαυτολογία in età imperiale: se BAKHTIN 1981, 132-35 lo motivava con la progressiva alienazione dell’individuo dalla società, RUTHERFORD 1995, 199ss. ha individuato nel decorum uno dei cardini su cui ruotano la valutazione e l’impiego dell’autoelogio: “most of the tradition in rhetoric is the working out of a problem of decorum created by a conflict between the social pressure to assert oneself in public and the social criticism of excessive assertiveness” (p. 201). FIELDS 2008b, al contrario dello studioso russo, considera la società greco-romana nell’Alto Impero una “élite culture in which people are intensely engaged with others” e, pur condividendo la posizione di Rutherford, ha recentemente dimostrato come il problema non sia soltanto una questione di decorum. All’epoca di Plutarco l’attenzione riposta a misurare l’autoelogio – e, in generale, ogni forma di self-presentation – senza suscitare reazione avverse (e, di conseguenza, lo sviluppo di riflessioni su di essa) era verosimilmente superiore rispetto alle epoche precedenti: “Because the statesman to whom Plutarch directs his advice operates within the larger hierarchy of the Roman Empire, he must of necessity be more careful than his classical predecessors in avoiding contentious self-promotion so that the remaining local Greek autonomy might not be lost” (p. 172).

181 SPATHARAS 2011, 217 conclude così la sua indagine: “If my analysis is not mistaken, the rhetoric of

περιαυτολογία seems to corroborate recent scholarly work showing that social envy is an egalitarian emotion rather than an unspeakable psychic disease”. Questa condizione paritaria, tuttavia, non implica necessariamente – come sostiene PERNOT 1998, 111, il quale definisce l’autoelogio “admissible dans les sociétés aristocratiques” e “un problème dans la cité démocratique”– un’uguaglianza estesa di tipo democratico, ma, più genericamente, un’uguaglianza che pone sullo stesso piano l’oratore e il

lecito soltanto in circostanze determinate, quando cioè non è generato dall’ambizione personale o dalla volontà di ostentare la propria superiorità sugli altri, ma è dettato dalla necessità di difendersi da un’accusa (e in questo caso trova la sua applicazione nell’oratoria giudiziaria)182 o di rivendicare il proprio operato (nell’oratoria deliberativa o politica)183.

Partendo da queste premesse, si sono presi in considerazione alcuni dei testi principali, soprattutto orazioni di tipo giudiziario o deliberativo, che presentano al loro interno componenti autoelogiative significative, concentrandosi in particolare su quelli che acquisirono un valore esemplare e furono studiati nelle scuole di retorica, costituendo il punto di partenza per il successivo sviluppo della teoria dell’autoelogio. Si è tuttavia tenuto conto del fatto che le esigenze cui risponde la περιαυτολογία non appartengono esclusivamente ai generi dell’oratoria, sebbene in essi le occasioni che lo richiedono e lo legittimano si presentino con maggiore frequenza e rientrino in quella dimensione politico-giudiziaria entro la quale Plutarco teorizza l’applicazione dell’autoelogio. Allargando lo sguardo sulla letteratura, sono stati individuati elementi autoelogiativi in testi appartenenti a generi molto diversi, nei quali spesso l’autore affronta la necessità di rispondere ad accuse personali, rivendicando e ricordando al pubblico di ascoltatori e/o lettori le qualità della propria arte (è il caso della lirica corale e della commedia), o di difendere le proprie scelte metodologiche (ad esempio nelle opere storiografiche).

pubblico/uditorio con cui si confronta e può essere ristretta a un determinato gruppo sociale di pares o limitata a un contesto specifico.

182 Nel suo studio sulla presenza di elementi autobiografici nella letteratura greca MOST 1989, 124 giunge

a conclusioni analoghe: “all the few genuine autobiographies that remain in pre-Hellenistic Greek literature are found to conform to the pattern of the fictional autobiographies in Greek romances: all include complaints about misfortune or mistreatment (however much self-praise they may also contain), all are produced in a situation of need organically linked with that misfortune or mistreatment. Almost invariably, these texts take the form of self-defences against legal attacks”.

183 Salvo alcuni casi particolari che verranno esaminati in questo capitolo, è successivo il suo impiego

nell’oratoria epidittica (di ambito politico), legato soprattutto alla formula della gratiarum actio dei magistrati romani, nonché nelle declamazioni fittizie (cfr. PERNOT 1998, 105-06).

La lirica corale: l’autoelogio del poeta e la ‘minaccia’ dello φθόνος

Sono numerosi gli autori che a partire dal V a.C. inseriscono elementi autoelogiativi nelle loro opere. Quest’uso, inizialmente limitato soprattutto alle orazioni giuridiche di tipo difensivo, sarà oggetto di riflessioni teoriche che troveranno spazio, seppur contenuto (non più di un paragrafo o un capitolo, almeno fino a Plutarco), in trattazioni specifiche: l’oratoria, però, non è l’unico genere in cui l’impiego dell’autoelogio ha un ruolo importante, né tantomeno il primo184.

I primi esempi di autoelogio in letteratura si trovano infatti – come si è rilevato a proposito della scelta degli exempla plutarchei e dei Commentarii di Eustazio – nei poemi omerici, dove i protagonisti delle vicende sono spinti in più occasioni a elogiare se stessi.Oltre alle situazioni descritte in precedenza, in cui l’impiego dell’autoelogio è motivato da esigenze apologetiche o parenetiche (nel De laude esemplificate con versi pronunciati rispettivamente da Achille e Odisseo-Nestore), nei poemi omerici si presentano altre occasioni in cui gli eroi elogiano se stessi: una struttura tematica in cui il motivo del vanto ricorre frequentemente è quella della monomachia185. Nel duello l’autoelogio dell’eroe può essere successivo all’assalto (e all’uccisione) dell’avversario, diventando una proclamazione pubblica della vittoria e una celebrazione del proprio κλέος, oppure anticiparlo: in quest’ultimo caso, nello scontro verbale tra i due rivali che si affrontano, il confronto assertivo con l’identificazione di se stessi, il vanto del γένος e l’affermazione delle proprie virtù risultano funzionali all’esaltazione della propria τιμή. Come rileva Camerotto, questa esaltazione rappresenta “una dichiarazione dell’adeguatezza e una proiezione della propria superiorità”186 e, conseguentemente, contribuisce a intimorire e inibire l’avversario ponendolo in una condizione psicologica di inferiorità. Questo aspetto è stato notato da Plutarco, che in De laud. 545A cita le

184 In questa sede, prima di prendere in esame le opere che – come il De laude – hanno trattato dal punto

di vista teorico la περιαυτολογία, verranno considerati sia testi in cui l’autoelogio è espresso in prima persona da chi scrive, quando cioè vi è una coincidenza precisa tra l’autore e il destinatario della lode, sia testi in cui l’autoelogio è formulato da un io poetico corale (lirica e commedia), è preparato dall’autore per essere pronunciato da altri (come nei discorsi di Lisia) o è inserito in orazioni epidittiche di argomento fittizio (Gorgia).

185 Cfr. CAMEROTTO 2003 e 2010, cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici. 186 CAMEROTTO 2010, 30.

parole rivolte da Diomede a Glauco (e da Achille ad Asteropeo)187 come esempio di autoelogio utile per ottenere un effetto intimidatorio e inibitorio nei confronti dei nemici (πρὸς πολεμίους καὶ ἐχθρούς).

Dopo Omero, i primi testi in cui si possono individuare motivi e schemi autoelogiativi appartengono al genere della lirica corale188, e in particolare alle composizioni poetiche di Pindaro189. Negli epinici del poeta di Cinocefale, infatti, si trovano esempi di (auto)elogio dell’abilità poetica del cantore, ma anche le modalità di elogio dei cantati e le considerazioni ad esso legate presentano interessanti punti di contatto con la prassi autoelogiativa dell’oratoria, in particolare laddove l’attenzione è incentrata sullo φθόνος. Naturalmente, la presenza di questi elementi nella produzione pindarica non poteva sfuggire a un lettore attento come Plutarco, che nel primo paragrafo del De laude cita proprio Pindaro tra gli esempi di περιαυτολογία negativa (539C). Il Cheronese, pur ribadendo un giudizio più che positivo sul poeta affermato anche altrove190, lo accusa di essersi servito spesso dell’elogio della propria δύναμις in maniera inappropriata, nonostante sia stato lo stesso poeta ad affermare l’esigenza di evitare il vanto inopportuno (παρὰ καιρόν: Ol. 9, 37-38). Plutarco cita soltanto due versi dell’Olimpica,

187 Il. VI, 127 (= Il. XXI, 151).

188 A questo proposito occorre osservare che la società arcaica era governata da una rigida opposizione tra

lode e biasimo, elevati a regolatori sociali. I valori binari sanciti dalla cultura orale erano infatti disposti tra alcuni poli oppositivi (καλός/χρηστός e κακός/πονηρός) che regolavano la posizione sociale dell’individuo (cfr. e.g. Pind. Pyth. 2, 52-56); tuttavia, la loro validità era subordinata alla proclamazione di fronte a un pubblico solidale con l’autore dell’enunciato (sul tema cfr. in particolare GENTILI 2006, 175ss.): anche l’autoelogio, in qualità di forma particolare di lode, rientra in queste dinamiche.

189 Non si entra nel merito della complessa valutazione dell’‘io’ nella poesia lirica arcaica e, in

particolare, negli epinici pindarici, su cui si dispone di un’imponente bibliografia: su questo tema si rinvia innanzitutto ai fondamentali studi di LEFKOWITZ (1991 e 1995) e, per un sintetico e aggiornato status quaestionis, in cui sono riassunte anche le altre principali teorie moderne (Bremer, D’Alessio e Calame) con alcune osservazioni sull’io meta-poetico professionale, a SERAFINI 2015. In questa sede ci si limita a rilevare che le dichiarazioni autoelogiative cui ci si riferisce – indipendentemente dalle caratteristiche dell’‘io’ che nei singoli passi possono variare in base al contesto e alle modalità di esecuzione – sono prevalentemente di tipo meta-poetico.

190 Pindaro è un autore molto caro a Plutarco, il terzo poeta più citato dopo Omero ed Euripide. Cfr. in

particolare Quaest. Conv. VII, 706D; De Her. mal., 857F; De garr. 511B. Sulla presenza di Pindaro in Plutarco si veda CANNATÀ FERA 1992 e 2004. Cfr. anche CASTAGNA 1991.

ma è utile estendere la lettura a una porzione di testo maggiore per chiarire il concetto espresso dal poeta (vv. 36-41):

ἀπό μοι λόγον τοῦτον, στόμα, ῥῖψον· ἐπεὶ τό γε λοιδορῆσαι θεούς ἐχθρὰ σοφία, καὶ τὸ καυχᾶσθαι παρὰ καιρόν μανίαισιν ὑποκρέκει. μὴ νῦν λαλάγει τὰ τοι- αῦτ’· ἔα πόλεμον μάχαν τε πᾶσαν χωρὶς ἀθανάτων·191

Il significato rivestito in questa occasione dal termine καιρός risulta chiaro: con questa preterizione Pindaro afferma che è opportuno parlare bene degli dèi, evitando di toccare temi scabrosi che possano offenderli (ἐχθρὰ σοφία) e addirittura di vantarsene (τὸ καυχᾶσθαι)192. La sua preoccupazione non è quindi quella di rinunciare al vanto e all’elogio della propria abilità poetica, quanto quella di farlo in maniera opportuna, quando cioè tale δύναμις, concretizzatasi positivamente e conformemente a ciò che è lecito, merita il giusto risalto. Pindaro in più occasioni esalta insieme al ruolo del poeta e al potere celebrativo della poesia, la propria abilità e, pertanto, se stesso: la critica ha evidenziato come tale prassi risulti funzionale alle peculiarità del genere dell’epinicio, in cui l’autore deve affermare la propria abilità nel canto di lode, rammentandola al committente e al pubblico. Come ha sottolineato P. Angeli Bernardini, “la valorizzazione della propria arte e l’autopresentarsi come dotato di prestigio e quindi come modello ci comportamento, di savoir-faire, di qualità innate, di doti profetiche ecc.”193 sono operazioni legate alla funzione elogiativa della poesia. Attraverso questo tipo di περιαυτολογία il poeta assicura “il committente nel momento dell’hic et nunc

191 “Getta lontano da me, o mia bocca, queste parole, perché insultare gli dei è arte odiosa, e il vanto

inopportuno è all’unisono con la follia. Non blaterare simili ciarle, lascia ogni guerra e battaglia lontano dagli dei” (Trad. GIANNINI).

192 Sul passo cfr. infra, 190-91. 193 ANGELI BERNARDINI 1983, 48.

della performance corale che la scelta di colui che renderà eterno il ricordo dell’impresa compiuta è stata una scelta felice” (ibid.). Per ottenere l’assegnazione della stesura dell’epinicio, il poeta corale doveva infatti essere l’oggetto della scelta del committente, misurandosi con rivali estremamente competitivi: in questa prospettiva l’autoelogio assumeva un’importante funzione di self-publicity194, che rispondeva ad esigenze promozionali e concorrenziali. Tale funzione, tuttavia, non rientra nella dimensione in cui Plutarco concepisce e legittima l’autoelogio, una dimensione che come egli stesso afferma riferendosi esplicitamente al πολιτικὸς ἀνήρ – riferimento, questo, non solo espresso direttamente nell’incipit e in altri passi195, ma documentato dalla scelta degli exempla letterari, storici e aneddotico-apoftegmatici che hanno come protagonisti per lo più uomini di stato – è, va ribadito, essenzialmente politica e pubblica.

Un altro aspetto proprio del genere dell’epinicio, che presenta interessanti affinità con le modalità di realizzazione dell’autoelogio nell’oratoria, è l’attenzione che in questi componimenti viene rivolta allo φθόνος, sia in relazione alla figura del laudatus (il committente) e pertanto ricca di analogie con l’oratoria di tipo encomiastico196, sia a quella del laudator (il poeta): il tema dell’invidia nella lirica corale (in particolare nell’eulogia pindarica) è stato ampiamente studiato e dibattuto e in questa sede è sufficiente limitarsi a evidenziare che alcuni termini e motivi legati allo φθόνος presenti in questo genere letterario mostrano significative analogie con l’oratoria197. La lirica

194 L’espressione è utilizzata da GZELLA 1969-70, 171ss., che riflette sull’esigenza per i poeti corali di

promuovere se stessi nell’ambito della competizione con i rivali: “he (scil. the choral poet) – scrive Gzella – praised his own person telling roundly he was superior in abilities to his competitors and he praised his own poetry enumerating its merits and excellencies” (p. 173). Nello stesso paragrafo, intitolato Self- praise of choral poets, lo studioso individua alcuni esempi di “self-respect”, “self-assertion” e ὑπερφανία nei componimenti di Alcmane e Ibico, per poi concentrarsi sulla “note of boastfulness” che si trova in più occasioni nelle opere di Pindaro e di Bacchilide, stilando un elenco di circa 65 passi (pp. 173-74).

195 531C, 542D, 545D, 545E.

196 Su questo aspetto cfr. VALLOZZA 1990.

197 Sull’invidia nella lirica corale, e in particolare in Pindaro, cfr. almeno VALLOZZA 1989, BULMAN

1992, MOST 2003 e KURKE 20132. Le carattertisiche del ruolo dello φθόνος nell’eulogia pindarica sono

efficacemente sintetizzate da BORSONI 2015, 48: “Pindaro dedica allo φθόνος un’attenzione pressoché sistematica, al punto che esso, da fondamentale categoria etica del momento eulogistico, diviene senza soluzione di continuità anche imprescindibile categoria poetologica: dal momento che lo φθόνος è detrazione invidiosa che colpisce l’eccellenza, soprattutto sotto forma di atti verbali antitetici alla parola

costituisce pertanto la prima tappa di un processo di codificazione che sarà successivamente fissato nella formulazione teorica dell’autoelogio, di cui il De laude ipsius rappresenta il testo più importante.

L’oratoria di V e IV secolo: apologie fittizie e reali

Sebbene nella lirica corale la presenza di elementi autoelogiativi sia consistente, è però nell’oratoria che si trovano, come è lecito attendersi, le applicazioni più numerose dell’autoelogio.

Prima di prendere in considerazione il De corona di Demostene, che, come si è osservato, riveste un ruolo determinante non solo nella stesura del De laude ipsius, ma più in generale nello sviluppo di tutta la teoria del discorso di lode, ci si concentrerà su alcune delle orazioni che, se non possono essere ritenute altrettanto fondamentali, risultano rilevanti ai fini di questa indagine, sia per la qualità degli esempi pratici di autoelogio che forniscono sia per le riflessioni che li accompagnano, grazie alle quali è possibile comprendere i meccanismi che definivano le modalità di impiego della περιαυτολογία, nonché alcune delle problematiche ad essa legate e diversi elementi topici: si tratta della Difesa di Palamede di Gorgia (di fatto il primo esempio di