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37. πολλ[ή] : l’aggettivo con molta probabilità sottintende il termine πομπή , vale a dire la processione degli iniziati guidata da Iacco durante la celebrazione
dei Grandi Misteri (vedi supra v. 36, ἰάκχων ); cfr. Gallavotti 1951, p. 149, Lloyd-Jones e Parsons 1983, p. 326 e in ultimo Latte 1954, p. 15 il quale,
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92 pensando sempre che il verso faccia riferimento alla processione dei misti, sottintende un termine che significa ‘folla’ o ‘fama’. Come si legge in Foucart 1914, p. 324 «de toutes les cérémonies extérieures des Mystères, la journée dans la quelle les Objets Sacrés étaient reconduits d’Athènes à Éleusis était la plus solennelle et la plus imposante». Tali oggetti sacri, che costituivano il fulcro divino della processione, venivano trasportati il 14 Boedromione, prima della solenne processione, da Eleusi ad Atene nell’Eleusínion. Il 19 Boedromione aveva poi luogo la grande processione lungo la Via Sacra verso Eleusi e gli oggetti, che costituivano τὰ ἱερά, erano condotti in processione dentro dei recipienti coperti – solo gli iniziati potevano infatti essere a conoscenza del contenuto sacro - come la κίστη o il λίκνον (cfr. Call. H. Cer. 126 λικνοφόροι ) e il κάλαθος trasportato su carro nel corteo di Alessandria (cfr. Call. H. Cer. 1); cfr. Burkert 2003, pp. 219- 220. Filico sembra accennare ad un corteggio immenso che partecipava alla solenne processione. In effetti sappiamo che i partecipanti erano numerosi, a partire da coloro che rivestivano ruoli precisi nel corteo sacro. Come scorta degli oggetti sacri vi erano gli efebi che marciavano in fila, armati di lancia e di scudo e coronati di mirto. A guida del corteo era Iacco, come abbiamo precedentemente visto (vedi supra v. 36, ἰάκχων), ed una sua statua era condotta su di un carro accompagnato dallo ἰακχαγωγός. Seguiva il grande carro che trasportava gli oggetti sacri, scortato dalle sacerdotesse di Demetra. Subito dopo venivano lo ierofante, il daduco, gli altri sacerdoti e le altre sacerdotesse del tempio, le famiglie degli Eumolpidi e dei Cèrici insieme con altre legate al culto di Demetra e Core. In questa parte iniziale del corteo aveva posto anche il seguito degli iniziati guidati ciascuno dal proprio ‘mistagogo’. Una seconda parte del corteggio era costituita dall’immensa folla di cittadini ateniesi, in primis personalità che rivestivano cariche civili come i magistrati o cariche religiose, a seguire venivano l’Areòpago, il Consiglio dei Cinquecento e infine la massa dei cittadini (uomini, donne e bambini compresi), degli schiavi e dei meteci; sull’argomento in generale cfr. Foucart 1914, pp. 325-327.
ἐγδεξαμένη: la forma del composto verbale presenta un’assimilazione di una specie non sconosciuta al testo (cfr. lo stesso v. 37 e vv. 61, 30), che Gallavotti
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93 scioglie in maniera duplice, o come nell’edizione prima ἐνδεξαμένη, o come nella sua seconda edizione ἐκδεξαμένη. In realtà è sicuramente quest’ultima la forma da intendere: non ha senso gutturalizzare il ν (dentale) davanti a dentale; inoltre non c’è possibilità di dubbio che l’ἐγ δὲ γυναικῶν del v. 61 sia assimilazione di ἐκ δὲ γυναικῶν. Nella sostanza il participio, nel caso in cui regga il complemento νήστην, farebbe riferimento all’adempimento dell’atto rituale del digiuno.
παρὰ κῦμα: Lloyd-Jones e Parsons 1983, p. 326 ritengono che il costrutto si riferisca al secondo giorno della celebrazione dei Grandi Misteri, il 16 Boedromione, che veniva chiamato Ἅλαδε μύσται. Come sostiene Foucart 1914, p. 314, tale denominazione ha origine dal grido di esortazione degli iniziati a raggiungere il mare dove aveva luogo una cerimonia di purificazione nell’acqua salata e dove veniva compiuto il sacrificio dei maialini. Questa era la seconda purificazione dopo quella dei Piccoli Misteri, ed era sotto la guida di epimeleti ai quali spettava probabilmente il compito di pronunciare il grido di ‘Mystes, à la mer’ (cfr. Foucart 1914, p. 317). Richardson 1974, p. 166 diversamente ritiene che l’espressione τὸμ παρὰ κῦμα νήστην del v. 37 faccia riferimento al digiuno durante la processione di Iacco, la quale costeggiava la Baia di Eleusi vicino i Reiti (vedi infra commento a v. 39, κρηναῖον ἓν ὕδωρ).
νήστην: il riferimento al digiuno è uno degli aspetti rituali descritti nell’inno di Filico che fa parte delle celebrazioni misteriche di Eleusi. In particolare è una pratica rituale che si riscontra esclusivamente nel culto in onore di Demetra, tanto da permettere a Foucart 1914, p. 284 di affermare che «cette pratique exceptionnelle accentue le caractère spécial de la religion d’Éleusis […]». Al riguardo l’inno omerico a Demetra è un supporto mitologico preziosissimo, poiché, come abbiamo già avuto modo di notare a proposito delle fiaccole e del loro valore rituale (vedi supra commento a v. 6, λαμπάδας), descrive vari aspetti dell’episodio mitico di Demetra e Core di cui si rintraccia chiaramente la connessione con le pratiche rituali eleusine. Ai vv. 47-50 dell’inno omerico, quando la dea addolorata vaga alla ricerca della figlia, si dice:
COMMENTO AI FRAMMENTI 94 ἐννῆμαρ μὲν ἔπειτα κατὰ χθόνα πότνια Δηὼ στρωφᾶτ᾿ αἰθομένας δαΐδας μετὰ χερσὶν ἔχουσα· οὐδέ ποτ᾿ ἀμβροσίης καὶ νέκταρος ἡδυπότοιο πάσσατ᾿ ἀκηχεμένη, οὐδὲ χρόα βάλλετο λουτροῖς.
Nuovamente Omero torna a descrivere il digiuno della dea al v. 200 (ἀλλ᾿ἀγέλαστος ἄπαστος ἐδητύος ἠδὲ ποτῆτος) quando, nella sezione eleusina dell’inno, Iambe tenta con i suoi motteggi di rallegrare Demetra, la quale finalmente rompe il suo digiuno bevendo il ciceone (vv. 197-211). Nella variante orfica del mito (Orph. fr. 52 Kern) è Baubo ad offrire il ciceone a Demetra (sul personaggio di Baubo vedi Introd., Mito e contenuto, p. XVIII sgg.). In Ovidio,
Met. 5, 446-450 si trova un episodio differente in cui la dea, assetata per l’esasperata ricerca della figlia, trova ristoro da una vecchia che lymphamque
roganti / dulce, dedit tosta quod texerat ante polenta (vv. 449-450). Nei Fasti ovidiani (4, 531-536) è il papaver che pone fine al digiuno della dea in prossimità della notte, per cui tempus habent mystae sidera visa cibi (v. 536). Anche l’Inno a
Demetra callimacheo (vv. 6-9) sottolinea che soltanto Ἕσπερος ha persuaso la dea a bere e dunque ad interrompere il digiuno sul far della sera.
Così come Demetra, nei giorni precedenti all’iniziazione vera e propria, che aveva luogo la notte del 21 e del 22 Boedromione nel τελεστήριον eleusino, gli iniziati si astenevano dal cibo fino all’ora del tramonto per un numero di giorni imprecisato. Al riguardo Deubner 1932, p. 80 puntualizza che nei giorni precedenti alla celebrazione dei misteri veri e propri il digiuno consisteva nell’astensione da alcuni cibi in particolare, mentre il giorno successivo all’arrivo della processione nel santuario di Eleusi, il 20 Boedromione, veniva osservato un digiuno totale; cfr. a tale proposito anche Foucart 1914, pp. 284 sgg. e la distinzione di Richardson 1974, p. 22 tra «partial abstention and strict». Giunta la notte il digiuno veniva interrotto con l’assunzione del ciceone, la bevanda sacra della cui composizione ci informa l’inno omerico (vv. 208-210): una bevanda di acqua, farina d’orzo e menta mescolate insieme. Tra l’altro Deubner 1932, p. 80 ritiene che una tale bevanda favoriva una particolare disposizione psichica degli iniziati che, arrivati al santuario eleusino, si preparavano ad esperienze sacrali
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95 nuove e fortemente simboliche. I riti preparatori dei misteri si concludevano con una formula pronunciata dagli iniziati probabilmente quando stavano per entrare nel τελεστήριον per assistere alle rivelazioni misteriche. Tale σύνθημα, che riassume una prima fase delle celebrazioni e con cui gli iniziati dichiaravano di aver adempiuto agli obblighi rituali, ci è rivelato dal cristiano Clemente Alessandrino Protrept. 2, 21, 2 p. 16, 18 Stählin: ἐνήστευσα, ἔπιον τὸν κυκεῶνα, ἔλαβον ἐκ κίστης, ἐργασάμενος ἀπεθέμην εἰς καὶ ἐκ καλάθου εἰς κίστην (la questione se anche nella seconda fase culminante dei misteri venisse seguito il digiuno è posta da Deubner 1932, p. 80 sulla base della congettura di Lobeck, la quale nel passo in questione di Clemente Alessandrino al tradito ἐργασάμενος sostituisce ἐγγευσάμενος, da cui il problema dell’identificazione degli oggetti contenuti nella κίστη, se appartenenti alla sfera del cibo, o diversamente inerenti alla sfera sessuale o agraria; cfr. per le varie ipotesi Deubner 1932, pp. 80 sgg., Burkert 2003, pp. 513-514, Foucart 1914, pp. 378 sgg. Sulla segretezza degli oggetti rituali contenuti nella cesta ci informa Call. H. Cer. 4-6).
Per quanto concerne la forma, già Norsa 1927, p. 91 ha fatto notare la particolarità del sostantivo, in quanto la flessione più comune e adoperata sia da Omero (Il. 19, 207; Od. 18, 370) sia dai tragici ( Aesch. Pr. 573; Eur. IT. 973) è νῆστις. Data l’indifferenza metrica della sillaba finale dell’ultimo metron, è evidente una scelta cosciente (voluta) di Filico per la forma con suffisso -της, la quale è attestata in Semonide 38 West, nella prosa di Aristotele fr. 232 Rose e, come precisato da Norsa 1927, p. 91, in Matrone di Pitane SH 534, 10, nel quale tra l’altro ci aspetteremmo νῆστις che il modello omerico suggeriva per la sua parodia epica. La valutazione dell’atticista Frinico Ecl. p. 375 Rutherford suggella tale particolarità: νήστης βάρβαρον, τὸ δ᾿ ἀρχαῖον νῆστις διὰ τοῦ ι. Latte 1951, p. 4 interpreta tale forma come risalente alla κοινή; la forma νήστης è attestata anche in area dorica in un’iscrizione di Lebena (SIG 1171. 9) e in papiri di età tarda (POxy. 1088. 44; PLit. Lond. 171).
38. Körte 1931, p. 451 ipotizza che -μη sia la sillaba finale di un sostantivo