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Da questo verso comincia una nuova sezione dell’inno che, dopo la scena

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51. Da questo verso comincia una nuova sezione dell’inno che, dopo la scena

di un corteggio di dee e di donne attorno a Demetra, vede protagonista la figura di Iambe. Il papiro all’inizio di questo verso nell’interlinea mostra tracce di una

paragraphos: è stato opportunamente rilevato come in effetti in corrispondenza di questo verso vi sia un nuovo segmento narrativo e forse anche un cambiamento di scena senza alcun nesso narrativo (vedi Introd. p. XVI sg.). Gallavotti 1931, pp. 53-54, per giustificare tale mancanza e poiché non si spiega come siano introdotti alcuni elementi per lui nuovi della scena in questione, ipotizza l’esistenza di una lacuna tra il verso 50 e il 51. La paragraphos potrebbe essere allora, come suggerito da Otranto 1998, il segnale dello scriba per indicare tale lacuna (su tale uso della paragraphos cfr. Mc Namee, Sigla and Select Marginalia in Greek

Papyri, Bruxelles 1992, p. 17 e n. 46). In realtà per quanto riguarda la presupposta lacuna va precisato che Gallavotti nella sua prima edizione dell’inno ipotizza che l’ampio discorso dei vv. 22-50 sia un dialogo tra Demetra, che comincia a parlare per prima, e Zeus il quale chiude il suo intervento al v. 50 e dunque non si spiega il nesso ἡ μέν al v. 51 quando ci si aspetterebbe un ἡ δέ riferito a Demetra, la quale fino a quel momento ha ascoltato le parole del dio. Tuttavia si è visto come la ricostruzione dei versi sia dubbia e come sia più

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107 plausibile pensare che i vv. 22-50 siano un lungo discorso di una donna rivolta alla stessa Demetra, senza alcun cambio della persona loquens (sull’interpretazione della persona loquens e dell’ampio discorso dei vv. 22 sgg. vedi supra commento a v. 22). Di conseguenza non è necessario pensare ad una lacuna poiché il v. 51 chiude perfettamente il lungo discorso di una donna, plausibilmente una dea, che ha parlato fino ad ora a Demetra e riprende la narrazione del poeta in terza persona: il μέν del verso può ben essere in correlazione con il successivo δέ dello stesso verso con cui si introduce, attraverso l’immagine delle Ninfe e delle Cariti che molto probabilmente circondano Demetra, il nuovo segmento narrativo (“ella smise dall’ira, per parte loro le Ninfe…”); cfr. al riguardo Körte 1931, p. 450.

L’integrazione [π]ροσεπ[εύχοντο] di Gallavotti (vedi apparato) deve essere valutata con cautela dato che, come precisato già da Latte 1954, p. 5, il composto verbale ha un’attestazione tarda, in particolare nella prosa di Cassio Dione 55, 9.

Νύμφαι: all’interno della vicenda mitica di Demetra queste divinità minori non rivestono un ruolo fondamentale. Nel racconto dell’inno omerico (H. Cer. 5) al momento del rapimento di Persefone la fanciulla è in compagnia delle Oceanine, delle quali viene dato un elenco ai vv. 418-424 dell’inno (il medesimo catalogo è ripreso nel fr. orfico 49 Kern, vv. 20-27). Al v. 51 Filico nomina le Cariti insieme con le Ninfe come corteggio di Demetra (vedi anche l’interpretazione del v. 31). Solitamente però nella tradizione letteraria in compagnia delle Cariti ricorrono più di frequente le Muse (cfr. Hes. Theog. 64, Eur. Hel. 1341-1345): tuttavia le Cariti, le Ore e le Ninfe sono citate insieme in Xen. Symp. 7, 5. Inoltre il riferimento alle Ninfe non è assolutamente fuori luogo poiché queste divinità rappresentano le forze e le entità della natura, in altre parole simboleggiano un contesto campestre che non è affatto estraneo alla dea dell’agricoltura e della vegetazione e che ci riporta direttamente all’episodio mitico della sterilità della terra (lo stesso Gallavotti 1931, p. 47 rileva un collegamento tra il culto di Demetra e delle Ninfe nel romanzo di Longo 4, 10).

Χάριτες: sia il precedente discorso persuasivo dei vv. 22-50 sia il tentativo delle dee di omaggiare Demetra nel nuovo segmento narrativo può rimandare al

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108 medesimo contesto dell’Elena euripidea in cui le Cariti, insieme con le Muse e Afrodite, vengono inviate da Zeus a riconciliare Demetra con gli dei e lo stesso Zeus, appellandosi alle Cariti e alle Muse, dice ai vv.1341-1345: βᾶτε, σεμναὶ Χάριτες, / ἴτε τὰν περὶ παρθένῳ / Δηὼ θυμωσαμένα‹ν› / λυπᾶν ἐξελᾶτ᾿ ἀλαλᾷ/ Μοῦσαί θ᾿ ὕμνοισι χορῶν (vedi inoltre Introd., Mito e contenuto, p. XVIII sgg.). L’accenno alle Cariti, di cui probabilmente si hanno tracce di lettura già al v. 32 (vedi supra commento ad loc.), è importante anche come argomento per l’identificazione della dea che parla a Demetra (al riguardo rimando al commento del v. 22). Si deve inoltre precisare che ad Atene le Cariti erano venerate nel numero di due, diversamente dalla tradizione comune che le identificava come tre sorelle (cfr. Paus. 9, 35, 1).

πειθοῦς: il genitivo è stampato dalla maggior parte degli studiosi con la lettera maiuscola, mentre sia Latte che Loyd-Jones e Parsons, pur riconoscendo entrambe le possibilità, stampano con la minuscola (vedi apparato). Körte, il quale sostiene che sia la dea Peitho a parlare a lungo a Demetra, considera il genitivo come nome proprio: si deve intendere dunque che le Ninfe e le Cariti sono il seguito di Peitho. In effetti si è visto che nella parte conclusiva del lungo discorso il verbo al plurale del v. 42 così come il precedente v. 32 e la locuzione παρ᾿ ἡμῶν al v. 33 presuppongono che colei che parla sia accompagnata da altre figure (vedi supra commento a v. 42). Inoltre nella tradizione mitica non vi è uniformità nei nomi attribuiti alle tre Cariti e a volte la stessa Peitho viene indicata come una di loro (Gallavotti 1931, p. 47 cita in particolare modo la testimonianza di Ermesianatte in Paus. 9, 35, 5 e dello schol. ad Aristoph. Nub. 773, di Procl. ad Hes. Op. 73 e infine Suda κ 123 Adler s.v. Χαρίτας). Nell’ipotesi in cui si interpreti il termine come nome proprio l’aggettivo δικαία funzionerebbe come epiteto della divinità; solitamente gli appellativi di Peitho che maggiormente ricorrono sono relativi alla sfera della seduzione (cfr. Ibyc. 5 PLG; Aesch. Suppl. 1040), ma in Pindaro Pyth. 9, 39 la dea è definita σοφά, la qual cosa permetterebbe di accettare la sfumatura semantica dell’aggettivo δικαία come epiteto di Peitho. Non è neanche escluso che l’aggettivo sia un accusativo riferito alle Cariti, dato che la lettura del termine

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109 Χαριʖτʖέ̣ς è incerta; tuttavia propendo per l’interpretazione di Χαριʖτʖέ̣ς come nominativo sulla base della struttura sintattica di coordinazione. Anche se si considera che a parlare non sia Peitho e si interpreta il genitivo come nome astratto, sembra abbastanza probabile che le Ninfe e le Cariti vadano identificate come le accompagnatrici di colei che parla; ciò sarebbe confermato anche dalla stessa struttura sintattica del v. 51.