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L’abbandono come negozio unilaterale

Nel documento L'abbandono mero degli immobili (pagine 89-92)

57. La facoltà insita nel diritto di proprietà, di abbandonare la cosa, sempre per quanto emerge in termini dominanti all’esito dell’evoluzio- ne storica, può essere esercitata mediante un negozio unilaterale.

58. Ad ammettere che in diritto romano, in particolare nel primo di- ritto classico, si sia radicata la più volte citata disputa tra proculeiani e sabiniani sulla struttura della derelictio e che tale disputa si sia svolta nei termini descritti dalla romanistica dominante, possiamo affermare che almeno in un primo momento storico si è aperta sull’abbandono una discussione che ricorda da vicino i nostri dibattiti sulla struttura unilaterale o bilaterale degli atti. Come ricorderemo, i proculeiani ri- connettevano l’effetto estintivo della proprietà all’acquisto del bene da parte di un terzo. La vicenda non vedeva protagonista il solo rinuncian- te, ma anche il terzo acquirente. Non ha, ai nostri fini, particolare im- portanza chiedersi fino a quale punto sia legittimo sovrapporre a quella vicenda categorie concettuali moderne. L’importante è sottolineare che, nell’impostazione proculeiana (sempre, ribadiamo, che l’impostazione sia quella descrittaci dalla romanistica dominante), la vicenda estintiva non si esauriva nella sfera del rinunciante.

A partire dalla soluzione della disputa tra proculeiani e sabiniani (§ 20), prende piede l’idea di un atto, la derelictio, che vede come unico attore il rinunciante e che produce senz’altro un effetto estintivo. Tant’è che gli spunti giustinianei favorevoli a riconoscere profili traslativi al- l’istituto (sul modello dello iactus missilium) e quindi a coinvolgere i terzi successivi acquirenti, non vengono colti dalla tradizione che giun- ge ai moderni codici (§ 25). Il codice Napoleone prevede sì che la cosa abbandonata passi in proprietà dello Stato, ma secondo una tradizione (quella che ruota attorno al principio nulle terre sans seigneur) che non ha nulla a spartire con l’idea di una trasmissione della proprietà e quin- di con la partecipazione alla vicenda estintiva del Fisco (§§ 26 e 27). Il codice del 1865 addirittura non regola la sorte del bene abbandonato, così manifestando continuità con la tradizione, italiana, che vede l’ef- fetto estintivo prodursi per effetto del solo abbandono e che reputa il bene abbandonato acquistabile per occupazione o comunque a titolo originario. Il codice del 1942 introduce l’art. 827 c.c., ma anche quella

norma, ricollegandosi alla tradizione francese, non prevede trasmissioni del diritto né coinvolge nella vicenda il Fisco: prevede un semplice ac- quisto a titolo originario.

Insomma, l’evoluzione si è svolta nel segno dell’unilateralità dell’at- to d’abbandono.

Su questa evoluzione la dottrina ottocentesca ha sovrapposto una tassonomia ben nota (oggi per gran parte superata a livello di teoria ge- nerale)26. Si sono distinte tre classi di rinuncia: le rinunce preventive,

quelle traslative, quelle estintive o abdicative27. Le prime si contraddi-

stinguerebbero per il rifiuto d’acquistare un nuovo diritto; le seconde comporterebbero la trasmissione del diritto dal rinunziante ad un altro; le terze avrebbero il semplice effetto di far estinguere il diritto. Muo- vendo da tale classificazione, si è detto che le rinunce traslative nor- malmente presentano carattere bi- o plurilaterale, quelle abdicative o estintive carattere unilaterale. Ciò perché la trasmissione del diritto al quale si rinuncia, incidendo sulla sfera giuridica dell’acquirente, richie- de di norma il suo consenso. La mera estinzione del diritto, non inci- dendo in sé sulla sfera di alcuno, non richiede accettazioni28. Né rileva

se, per avventura, nella rinunzia abdicativa il diritto dismesso viene ac- quistato da altri: l’acquisto del diritto, si precisa tradizionalmente, si verifica non quale effetto del negozio abdicativo, ma per atto del suc- cessivo acquirente o per legge (così nell’occupazione, nel caso previsto dall’art. 827 c.c., nell’accrescimento, etc.). Il negozio abdicativo può

26 La dottrina è ormai pressoché concorde nel sottolineare l’improprietà del concet-

to di rinuncia traslativa, sottolineando come una rinuncia che importa acquisto del dirit-

to in capo ad altri non è più una rinuncia, ma un’alienazione: cfr. F. MACIOCE, Il nego-

zio di rinuncia nel diritto privato. I. Parte generale, cit., 146-147 e autori ivi citati.

27 Cfr., per la dottrina formatasi nel vigore del codice del 1865, F. A

TZERI (VACCA),

Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., 39-40 (il quale ricorda, oltre alle tre

classi, quella delle rinunce dichiarative, che contengono «la nuda recognizione del dirit- to altrui e della insussistenza del diritto proprio», osservando però come «impropria- mente si dà in questo caso alla ricognizione l’appellativo di rinunzia: la rinunzia impli- ca il concetto di dismessione, di abbandono. Ora si dismette ciò che si ha (…), mentre, colla ricognizione, se si riconosce, che un dato diritto o facoltà appartiene ad altri, è semplicemente contraddittorio dire, che si fa una rinunzia»).

28 Cfr. F. A

TZERI (VACCA),Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., 36-

creare le condizioni per il successivo acquisto ma non comporta alcuna trasmissione del diritto, donde la conclusione che non è necessaria al- cuna accettazione29.

Prendendo a base questa tassonomia, la nostra rinuncia è stata ascrit- ta alla classe di quelle abdicative, per loro natura unilaterali30.

29 Cfr. F. A

TZERI (VACCA),Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., 37-

38: «la rinunzia non fa che creare le condizioni esterne che, secondo il nostro ordina- mento giuridico, rendono ad altri possibile l’acquisto del diritto dismesso: ma – quando tali condizioni sorgono – l’acquisto del diritto, dismesso da parte d’altri, si verifica in forza del diritto, che all’acquirente stesso può competere (…). Il diritto, che i secondi acquistano in seguito alla rinunzia, non ha nulla a che vedere con quello estinto per effetto di questa».

30 Ancora oggi, M. B

ELLINVIA, La rinunzia alla proprietà ed ai diritti reali di go-

dimento, Consiglio Nazionale del Notariato, studio 216-2014/C, 2014, § 3.1.: l’atto «è

certamente unilaterale, essendo diretto unicamente alla dismissione del diritto, e non produce effetti traslativi, in quanto l’acquisto che ne deriva in capo allo Stato non è un effetto negoziale voluto dal rinunziante, bensì la conseguenza ordinamentale di un atto in cui la volontà è diretta unicamente all’estinzione della situazione giuridica soggetti- va. La natura puramente abdicativa e non traslativa della rinunzia esclude, di conse- guenza, la necessità di un’accettazione». Da sottolineare che nel tempo la dottrina ha utilizzato anche criteri positivi per distinguere tra rinunce unilaterali e bilaterali. La dot- trina più moderna, in particolare, appare critica nei confronti della possibilità di delineare requisiti, tratti strutturali o di disciplina costanti a tutte le rinunce o anche solo a quelle abdicative. Piuttosto che muovere da asseriti caratteri universali per concludere che ogni atto qualificabile come rinuncia è un atto unilaterale si preferisce muovere dal singolo

atto e chiedersi se il legislatore richieda la bilateralità o plurilateralità (cfr. G. SICCHIERO,

Rinuncia, cit., 653: «è peraltro evidente che ogni qualificazione sottende una già inter-

venuta analisi della fattispecie, di cui solo in apparenza sembra possibile non tener con- to nel tracciarne anche nei minimi termini i requisiti: la peculiarità di talune regole, che non varrebbero per l’individuazione della disciplina generale della rinuncia, il suo ca- rattere unilaterale, la non rilevanza degli effetti mediati o delle vicende della posizione rinunciata, in tanto possono essere ricondotti alla rinuncia in quanto la conclusione risulti giustificata dalle fonti positive»). Anche l’utilizzo di questo secondo questo crite- rio permette di qualificare l’abbandono come negozio unilaterale. Nessuna delle norme tradizionalmente invocate per fondare il nostro istituto (art. 827, 882, 888, 923, 1070, 1104, 1350, 2643 c.c.) autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto richiedere la manifestazione di una volontà di altri rispetto al rinunziante. Né sembra si possano trarre indicazioni contrarie dalla storica disputa che si registra in ordine al carattere unilaterale della rinuncia alla proprietà del fondo servente (art. 1070 c.c.), disputa che ha visto un’autorevole dottrina propendere per il carattere bilaterale di tale rinuncia

59. Ciò che la storia ci ha trasmesso è quindi l’idea che la facoltà di abbandonare la cosa possa essere esercitata mediante un atto (negozia- le) unilaterale.

Detto questo si impone una precisazione. Quanto appena concluso non significa che nel corso dell’evoluzione storica non si sia discusso e che a tutt’oggi non si discuta di rinunce alla proprietà di immobili che si presentano come elementi di più ampi negozi bi- o plurilaterali o in col- legamento con negozi bi- o plurilaterali. Non significa, in altri termini, che la rinuncia debba necessariamente assumere carattere unilaterale.

Una discussione sugli altri tipi di rinuncia, per quanto marginale, c’è sempre stata31, ma non interessa. Nel modello che intendiamo isolare,

quello che risponde all’oggetto del nostro studio, la facoltà di abbando- nare l’immobile può essere esercitata mediante un atto unilaterale.

Nel documento L'abbandono mero degli immobili (pagine 89-92)