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Gli effetti dell’atto d’abbandono

Nel documento L'abbandono mero degli immobili (pagine 92-96)

60. L’abbandono, atto negoziale unilaterale, nel modello ormai do- minante (nel contesto italiano) produce un effetto diretto estintivo e comporta una conseguenza ulteriore costituita dall’acquisto del bene da parte del Fisco (Stato o Regione).

Sull’individuazione degli effetti dell’atto d’abbandono non si regi- strano soverchi dubbi. Possono invece sorgere incertezze sulla loro qua- lificazione. Per evitare equivoci concettuali, dobbiamo, prima di dar veste strutturale agli effetti dell’abbandono come lasciatoci dalla tradi- zione, precisare quale concetto d’effetto negoziale intendiamo adottare.

(cfr. B. BIONDI, Forma e bilateralità della rinunzia a servitù, in Foro it., 1957, I, 414-

415). La tesi, oltre ad inserirsi in un dibattito del tutto specifico, è infatti rimasta isolata.

31 L’abbandono, lo abbiamo visto incidentalmente nel primo capitolo, può inserirsi

in un più complesso contratto sinallagmatico, come quando le parti si accordino nel senso che l’una rinuncia alla proprietà in favore dell’altra. Si tratta, in queste ipotesi, di una rinuncia traslativa, che perde natura e causa del mero abbandono per assumere quelle del contratto sinallagmatico, così rivestendo il carattere di un negozio bilaterale

(cfr. M. BELLINVIA, La rinunzia alla proprietà ed ai diritti reali di godimento, Consi-

glio Nazionale del Notariato, studio 216-2014/C, 2014 e D.M.S. GALEARDI,G. PAPPA-

61. Aderendo a note (e tradizionali) conclusioni dottrinali, definia- mo effetto negoziale una vicenda modificativa della sfera giuridica del singolo32. Muovendo da questa definizione, è intuitivo distinguere, in

seno a tutti i possibili effetti negoziali, alcuni che derivano in via diretta dal negozio, altri che ne derivano in via riflessa (o, volendo usare altri termini invalsi in dottrina, mediata, indiretta, derivata, strumentale, eventuale, etc.). Molto più difficile è tracciare confini netti tra l’una e l’altra classe di effetti. Tralasciando di soffermarci analiticamente su un dibattito che anima da tempo la dottrina, definiremo effetti diretti, per dirla con Donisi, quelle vicende o modificazioni «la cui fattispecie è costituita dal negozio giuridico, sì che risultano (…) ad esso riannoda- bili in via diretta e immediata». Con la locuzione effetti riflessi desi- gneremo quelle vicende o modificazioni «che discendono da una fatti- specie, ad integrare la quale (…) viene chiamato non l’atto d’autono- mia, ma l’effetto al medesimo attribuito» e che pertanto «si allacciano in via di stretta consequenzialità non al negozio, ma al suo effetto (c.d. diretto)» e come tali «non appaiono imputabili in guisa diretta ed

immediata al primo»33. A tali effetti diretti e riflessi affiancheremo una

terza classe di effetti, quella delle conseguenze ulteriori. Tale classe è composta dagli effetti che «lontan[i] dal trovare nell’atto d’autonomia la loro fattispecie e dunque dal riferirsi ad esso in via diretta, neppure sono rapportabili immediatamente agli effetti diretti dello stesso»34.

A questa prima distinzione, che si gioca sul collegamento tra gli ef- fetti e la fattispecie che li genera, accompagneremo l’altra, altrettanto

32 C. D

ONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, 75-77 e bi-

bliografia citata (specie a nt. 23). Donisi accoglie in tutta evidenza la concezione tradi-

zionale di fattispecie (sulla quale v. tra i molti E. BETTI, Teoria generale del negozio

giuridico, cit., 2-3), e a questa concezione anche noi ci affidiamo, fermi restando i ben

noti problemi che il concetto porta con sé, sui quali v., tra i molti, A. CATAUDELLA,

Nota breve sulla «fattispecie», in Riv. dir. civ., 2015, 245; N. IRTI, La crisi della fatti-

specie, in Riv. dir. proc., 2014, 36 e ss.; R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio, Torino,

2005, 10 e ss.

33 C. D

ONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., 77-79, corsivi del-

l’autore.

34 C. D

ONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit, 83, corsivo dell’auto-

tradizionale, che ruota attorno alla natura dell’effetto. Così distingue- remo effetti attributivi, costitutivi, modificativi, estintivi, accertativi35.

62. Così definito l’effetto e individuatene le classi che più rilevano ai nostri fini, possiamo procedere a qualificare gli effetti del nostro isti- tuto, come concepito dal modello dominante.

Quando si afferma che l’abbandono comporta la perdita della pro- prietà del bene da parte del rinunciante si evidenzia un primo effetto dell’istituto, appunto una vicenda modificativa della sfera giuridica del rinunciante. Si tratta di un effetto diretto, perché la vicenda trova la sua fattispecie nell’atto d’abbandono. Si tratta poi di un effetto estintivo, perché la proprietà, come diritto, si estingue. A tal proposito occorre fare una precisazione. Parte della moderna dottrina, trattando più in ge- nerale delle rinunce, è solita sottolineare come l’effetto diretto di queste non sia estintivo ma piuttosto consista, più genericamente, nella perdita del diritto. Ciò perché a fronte di una rinuncia il diritto non sempre si estingue36. La precisazione, che si può condividere, non deve trarre in

inganno circa la natura dell’effetto diretto dell’abbandono per come lo conosciamo. La rinuncia alla proprietà dell’immobile non si limita a produrre la perdita del diritto in capo al rinunciante. Per come si è stori- camente evoluta, rientra tra quelle rinunce in cui la proprietà non solo si perde, ma in più si estingue. Abbiamo infatti visto come venga ritenuto

35 Cfr., per gli effetti della rinuncia, F. M

ACIOCE, Il negozio di rinuncia nel diritto

privato. I. Parte generale, cit., 81 e ss.

36 Se nell’individuare gli effetti della rinuncia si pone l’accento sul diritto si può

quindi concludere che «rinunciare non vuol dire estinguere il diritto (…) vuol dire di-

smettere il diritto, escluderlo dal proprio patrimonio» (P. PERLINGERI, Appunti sulla

rinunzia, in Riv. not., 1968, 348; conformi F. MACIOCE, Il negozio di rinuncia nel dirit-

to privato. I. Parte generale, cit., 82-85; L.V. MOSCARINI,Rinunzia, I, Diritto civile,

cit., 2). Parte della dottrina preferisce peraltro riguardare l’effetto tipico della rinuncia non sotto il profilo della situazione giuridica, bensì sotto quello del rapporto. Cambian- do punto di vista si deve giungere a conclusioni diverse: la rinuncia avrebbe un effetto,

a seconda dei casi, modificativo soggettivo o estintivo del rapporto (F. MACIOCE, Il

negozio di rinuncia nel diritto privato. I. Parte generale, cit., 87). Pur sottolineando la

validità di entrambe le prospettive d’analisi, ci atterremo alla prima, quindi riguardere- mo gli effetti della nostra particolare rinuncia, l’abbandono, dalla visuale del diritto soggettivo. Non solo e non tanto perché si tratta di una visuale più intuitiva, ma soprat- tutto perché tra le due è quella che offre gli strumenti d’analisi più opportuni per l’inda- gine che andremo a compiere.

pacifico che il successivo acquisto da parte del Fisco sia a titolo origi- nario e non derivativo. In altri termini, viene ritenuto pacifico che il diritto del rinunciante si estingua e che in suo luogo si costituisca un nuovo diritto in capo al Fisco.

Quando poi si afferma che il bene, abbandonato e quindi divenuto vacante, viene acquistato dal Fisco, si individua un secondo effetto del- l’abbandono. La qualificazione di questo secondo effetto è tanto fon- damentale quanto delicata. Non si possono nutrire dubbi sul fatto che l’acquisto da parte del Fisco non possa essere qualificato come effetto diretto. Gli effetti sono diretti, per quanto abbiamo visto, quando la vi- cenda modificativa in cui si sostanziano trova la sua fattispecie nell’atto d’autonomia. L’acquisto da parte del Fisco non trova la sua fattispecie nel negozio d’abbandono. Tant’è che l’art. 827 c.c. non dice che con l’abbandono la proprietà del bene passa al Fisco. Dice che i beni immo- bili che non sono di proprietà di nessuno passano al Fisco.

Pacifico che non si tratti di effetto diretto, occorre chiedersi se l’ac- quisto del bene da parte di Stato o Regione integri un effetto riflesso o una conseguenza ulteriore. L’effetto è riflesso quando trova la sua fatti- specie nell’effetto diretto dell’atto d’autonomia. Ma l’acquisto da parte del Fisco non sembra trovare la sua fattispecie nell’effetto diretto del- l’abbandono. Questo è infatti costituito, per quanto visto, dall’estinzio- ne del diritto di proprietà in capo al rinunciante e l’estinzione non pro- duce l’acquisto da parte del Fisco. L’estinzione del diritto di proprietà in capo al rinunciante determina la vacanza del bene e questa vacanza, come ogni altra ipotesi di vacanza, integra la fattispecie (costitutiva) dell’acquisto da parte del Fisco (art. 827 c.c.).

Preferiamo quindi concludere nel senso che l’acquisto da parte di Stato o Regione vada qualificato non alla stregua di un effetto diretto o riflesso dell’atto d’abbandono, ma di una conseguenza ulteriore37.

Conclusione, questa, che oltre a trovare sostegno in una rigorosa let- tura delle cennate categorie concettuali, esprime un dato storico indi- scutibile: le due vicende, quella estintiva (l’estinzione della proprietà del rinunciante) e quella costitutiva (l’acquisto da parte del Fisco), a

37 Nello stesso senso C. D

ONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit.,

partire quantomeno dal momento in cui la tesi proculeiana ha preso il sopravvento (§ 20), si sono evolute in modo autonomo, senza che le vicende dell’una si ripercuotessero su quelle dell’altra (tant’è che l’odierna idea che il bene abbandonato spetti allo Stato trae le sue ori- gini, lo abbiamo visto, dalla disputa tra i sostenitori del principio nulle

terre sans seigneur e quelli dell’opposto principio nul seigenur sans titre, disputa che con l’abbandono e più in generale con la rinuncia non

ha nulla a che fare: § 26).

Sotto l’altro profilo l’acquisto da parte del Fisco va qualificato come effetto costitutivo e non traslativo. Abbiamo già più volte visto che per opinione univoca Stato e Regione acquistano a titolo originario, sicché in capo a loro si costituisce un nuovo diritto di proprietà.

63. Con ciò abbiamo isolato il modello che appare dominante al culmine dell’evoluzione storica dell’abbandono mero e abbiamo chiari- to, nelle sue linee generali, quale ne è la struttura.

L’abbandono, nel modello che prendiamo a riferimento, è per un verso e sotto un profilo per così dire statico, l’oggetto di una situazione giuridica soggettiva. Il proprietario gode di una facoltà d’abbandonare l’immobile. Per altro verso e sotto un profilo per così dire dinamico l’atto d’abbandono è un negozio giuridico unilaterale produttivo di un effetto diretto estintivo (si estingue la proprietà) e che ha come conse- guenza ulteriore la costituzione di un diritto dominicale in capo al Fi- sco. È appena il caso di sottolineare come con ciò non si sia esaurita l’analisi strutturale. C’è però quanto basta per procedere oltre nell’inda- gine.

Nel documento L'abbandono mero degli immobili (pagine 92-96)