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S01 | Antropocene e ricerca geografica. Prospettive presenti e future

The Anthropocene and geographical research. Present and future

perspectives

Valeria Dattilo

La semiosi dell’Antropocene: un approccio geoetico

Il presente contributo espone la prima formulazione di una proposta teorica che mira a conciliare, o meglio, a far collaborare due differenti approcci: la geoetica e la semiotica di tradizione peirceana, sulla base di alcune importanti affinità di fondo. L’idea alla base della proposta è cercare di spiegare i nuovi processi dell’era dell’Antropocene at-traverso la geoetica e la semiotica e viceversa, impiegando come “meccanismo traduttore” una delle nozioni chiave della semiotica peirceana: il triangolo semiotico. Da una parte, si intende impiegare il paradigma geoetico quale pos-sibile quadro di riferimento per tali processi (o, in altre parole, si intende trovare in esso una esemplificazione signi-ficativa, di tipo ippocratico); dall’altra, si intende impiegare il triangolo geologia/geografia – malattia del pianeta – so-cietà come metafora dei principi e dei processi insiti nell’era stessa dell’Antropocene, capace di restituirli in maniera causale attraverso la triangolazione semiotica peirceana. Infatti, la relazione tra società e malattia del pianeta visibile nel triangolo, che corrisponderebbe, nel triangolo semiotico, alla relazione tra segno e oggetto, è di tipo causale. Le conseguenze in termini di vite umane e/o danni materiali alla società sono indice della malattia del pianeta, ovvero di qualsiasi catastrofe naturale. Ma anche la malattia del pianeta è indice dell’impatto negativo della società/umanità. Infatti, se gli eventi di origine naturale assumono la denominazione e la rappresentazione di catastrofe ogniqualvolta abbiano un forte impatto sull’uomo e sulle sue attività, nello stesso tempo, anche l’intervento spropositato dell’uomo potrà trasformare gli effetti di un evento naturale estremo in catastrofe. Quindi, nel triangolo, la causa e l’effetto non hanno più una consequenzialità univoca, ma l’effetto si ripercuote sulla causa e da effetto diventa a sua volta causa. L’interpretante, nel triangolo proposto in questa sede, è la geologia/geografia che ha, pertanto, responsabilità rile-vanti nei confronti della società, dalla quale, a sua volta, l’importanza etica delle loro azioni è derivata. Un approccio scientificamente corretto può ridurre, o almeno contribuire ad evitare, molte delle gravi conseguenze che sorgono continuamente attraverso l’uso irresponsabile del territorio da parte dell’uomo. Per queste importanti motivazioni, si può parlare oggi di una nuova semiosi geoetica dell’Antropocene in cui la triade semiotica è rappresentata dall’u-manità, dalla malattia del pianeta Terra e dalla geologia/geografia nel ruolo di interpretante. Naturalmente, non è solo il geologo o il geografo ad avere questo ruolo di grande responsabilità, ma la sfida del trasferimento di un’in-formazione efficace e di un’istruzione adeguata alle nuove generazioni deve essere vinta insieme a tutta la comunità scientifica, umanisti compresi, i quali hanno l’obbligo etico di essere in prima linea in tale contesto.

Francesco De Pascale, Loredana Antronico, Roberto Coscarelli, Marcello Bernardo, Francesco Muto

Antropocene e Geoetica: il caso-studio sulla percezione del rischio idrogeologico in Calabria

La geoetica, insieme alla geografia, studia i problemi legati alla gestione dei rischi naturali, all’educazione e alla co-municazione del rischio, al fine di migliorare la resilienza delle comunità di fronte agli eventi estremi. Comprendere la percezione della popolazione è fondamentale per il successo di un’eventuale attuazione dei piani di comunicazio-ne del rischio, come parte delle strategie di riduziocomunicazio-ne dello stesso. Lo scopo di questo lavoro è analizzare, appunto, i meccanismi di percezione e propensione al rischio idrogeologico in un tratto di costa del Tirreno meridionale (Costa degli Dei), situato in provincia di Vibo Valentia (Calabria, Italia). Un questionario strutturato misto è stato sommini-strato a 300 cittadini dei Comuni di Tropea, Parghelia e Zambrone, utilizzando la modalità di campionamento non probabilistico, a scelta ragionata. Infatti, sul detto tratto costiero sono presenti numerose conoidi alluvionali che, negli ultimi cinquant’anni, sono state oggetto di un significativo sviluppo urbano (costruzione di edifici pubblici e privati, strutture alberghiere ed infrastrutture). Negli anni 2009, 2010 e 2011, tali conoidi alluvionali, densamente po-polate, hanno subito gli effetti di numerose colate di detrito e di alluvionamenti, causati da eventi piovosi, anche non particolarmente eccezionali. In conseguenza di ciò, oltre a molteplici danni alle strutture ed infrastrutture presenti nell’area, si sono verificate condizioni di alto rischio per la popolazione. L’obiettivo del contributo, pertanto, è quello di analizzare: la conoscenza della popolazione residente, o che lavora nell’area di studio, dei fenomeni idrogeologici (frane e alluvioni); la capacità della popolazione di affrontare e gestire situazioni di emergenza legate a detti

fenome-ni; il rapporto di fiducia della popolazione nei confronti degli amministratori. I primi dati emersi dall’indagine sono piuttosto allarmanti: la comunicazione tra istituzioni e cittadini viene percepita dai cittadini stessi come inesistente. Inoltre, il 74% degli intervistati ritiene che le frane e le alluvioni siano “causate dall’uomo”, indicando “abusivismo edi-lizio”, “gestione del territorio”, “disinteresse da parte degli amministratori pubblici locali” tra i fattori che influiscono maggiormente sul verificarsi di frane ed alluvioni. Dalla ricerca effettuata risulta, dunque, preoccupante il deficit di comunicazione tra istituzioni e cittadini; esso potrebbe essere colmato solo tramite eventuali campagne informative e la diffusione dei Piani di emergenza. Inoltre, è in aumento la percentuale di cittadini che considera i fattori umani decisivi nello scatenarsi di una catastrofe legata ad eventuali frane ed alluvioni. Ciò avvalora ancora di più la perce-zione di Crutzen e Stoermer, ripresa da altri studiosi, secondo cui ci troviamo nell’era geologica dell’Antropocene. Secondo Bonneuil e Fressoz, ciò che sta accadendo al nostro pianeta non è altro che “una rivoluzione geologica di origine umana”.

Cary Yungmee Hendrickson

Giving trees: contested conventions of value, ethics and responsibility in the voluntary market for forest carbon offsets

Global forests play a major role in climate change mitigation: as the biggest terrestrial carbon sink, forests account for nearly half of the world’s global terrestrial carbon stock. Carbon forestry projects are increasingly common because of their potential to sequester carbon dioxide and mitigate climate change. Since first introduced, voluntary carbon offset markets have been enthusiastically received by many for their potential to cost-effectively mitigate climate change and their ability to be self-financed through the sale of carbon credits. In addition to receiving payments for engaging in the production of voluntary carbon offsets, forests provide a number of social and economic benefits to rural communities and farmers and stories about delivering local, social and economic benefits to communities participating in climate change mitigation are fundamental to selling carbon offsets. The ideological and material values and traits ascribed to producing, as well as consuming carbon offsets, are actively constructed, re-circulated, and mobilized within the carbon offset value chain. Carbon offset value chains span different locations, cultures and actors and the configuration and functioning of carbon markets are mediated by social relations. Stories told about carbon offsetting are the means through which carbon offset producers and consumers justify their decisions and create value in the carbon value chain. This study applies a novel approach to unpacking the different narratives mo-bilized by actors and exploring their contestation, contradiction and transformation. Using a conventions theory and discourse analytical approach, I identify and examine how different conventions are mobilized by actors involved in the Plan Vivo carbon offset value chain, where these narratives interact, how they are transformed and by whom. The aim is to interrogate contrasting ideas of the value of carbon offsetting, and what carbon offsets achieves, by looking at the different conventions mobilized within the value chain. Conventions are not merely passed down by global actors to local carbon forestry producers but mutually constructed by different actors within the value chain. I show that conventions converge, interplay and are translated differently as they ‘travel’ along the value chain, and that their mobilization is not necessarily an issue of scalar perspectives or hierarchies, but more of a selective appro-priation by different actors pursuing their own interests.

Adriana Conti Puorger

Natura non facit saltus

Le Nano-Bio-Info-Cogno tecnologie sono le scienze alle quali si sta affidando la società nella speranza di trovare vie sostenibili per la crescita nell’Antropocene. Se sono ormai note le possibilità e le criticità insite nella rivoluzione dell’informazione e della comunicazione (World Development Report 2016: Digital Dividends) è ancora aperto, e in un certo senso agli inizi, il dibattito su quanto e come il legame tra tale rivoluzione e quella delle manipolazioni di composti organici e inorganici possa innescare ulteriori stravolgimenti che necessitano di essere orientati. Sono tematiche, infatti, che coinvolgono l’universo uomo/natura. Nell’Antropocene, espressione geologica del particolare rapporto società/ambiente che emerge dalla rivoluzione industriale, si sono sviluppate le riflessioni e i dibattiti sui temi dei limiti e della sostenibilità, rimarcando come l’azione umana sia divenuta “determinante” rispetto alla natura. Qual è la novità? Mi sembrano interessanti a tale proposito le parole di Sverker “Our belief that science alone could deliver us from the planetary quagmire is long dead.” (Sverker, 2012). Un esempio della condivisone di questa con-siderazione sono i piani quali EUROCORES, nato nel 2008, e RESCUE (2011) dell’European Science Foundation per promuovere iniziative di ricerca interdisciplinare in aree non tradizionali, nel tentativo di facilitare i collegamenti tra comunità scientifiche e umanistiche impegnate nelle analisi dei fenomeni e delle dinamiche del cambiamento am-bientale globale che non può prescindere dalla dimensione umana. La novità quindi risiede nel sentimento diffuso della ricerca di valori e significati che superino letture in chiave dicotomica uomo/ambiente cercando nuovi rapporti

di identità (Palsson, 2006) che permettano di discernere nell’attuale nuovo contesto. Molti autori, come quelli già citati, richiamano e ribadiscono come fondamentali per puntellare le scelte i valori culturali. Aspetto questo che, a mio avviso, “fa tremar le vene e i polsi” (Divina Commedia Inferno I Canto, v.90), a quali valori ci si può appellare se la realtà conferma che “homo homini lupus”? (Plauto, Asinara II, 4, 88). A riprova di quanto sia avvertito questo antico proverbio si può considerare che il concetto di sostenibilità è legato all’etica e viene per questa ragione sviluppato e richiamato anche nelle conferenze sulla sicurezza e la cooperazione, quindi come possibile baluardo contro le guerre per le risorse. (OCSE, Vilnius Declaration, 2009; Tbilisi Declaration, 2016). L’uomo va, dunque, educato! Serve un educatore, espressione che introduce un altro aspetto della riflessione rispetto al convegno in atto poiché casua-lità vuole che fu proprio Lutero ad abolire il ruolo del mediatore! L’interesse del mio lavoro è nella ricerca di quali sono oggi gli interlocutori in geografia rispetto alle domande sul concetto di “ambiente umanistico”, sui suoi confini, sull’autonomia e/o la dipendenza.

Giacomo Zanolin

L’uomo e la natura nell’antropocene: tra wilderness, conquista e neo-ruralità

J. Jono narra la storia di “un uomo che piantava gli alberi” avviando la rinascita naturalistica del territorio e la sua riappropriazione da parte della comunità locale. L’opera di Jono è frutto della fantasia, offre però un interessante spunto per riflettere sull’antropocene considerando l’uomo nella nuova era geologica non solo nel suo ruolo di di-struttore. Già G.P. Marsh aveva sottolineato gli effetti negativi dell’agire umano sul patrimonio forestale, in modo simile P. Crutzen sottolinea come il disboscamento, in atto soprattutto alle latitudini tropicali, stia contribuendo in maniera rilevante alla modificazione degli equilibri non solo della biosfera, bensì anche dell’atmosfera e quindi del clima. In un breve passo egli propone anche un cenno al processo inverso in atto alle medie latitudini dove, nelle regioni montuose, il patrimonio forestale sta guadagnando lo spazio lasciato incolto dall’abbandono delle pratiche alpicolturali e dall’introduzione di forme di agricoltura più efficienti. Il presente contributo intende riflettere sul signi-ficato di tale processo di riforestazione, al fine di dimostrare che esso può essere considerato come una conferma della complessità dei processi che definiscono l’antropocene. Dopo secoli di sfruttamento dei pascoli, l’equilibrio naturale ha infatti raggiunto una certa stabilità integrando l’attività umana tra i fattori naturali. La zootecnia rap-presenta quindi una sorta di presidio che garantisce la resilienza dei sistemi agroambientali. Sulle montagne del sud Europa l’abbandono dei pascoli ha portato a una riforestazione naturale incontrollata che ha causato numerosi problemi, portando alla nascita dei cosiddetti boschi poveri, disomogenei, fragili e poco utili all’uomo. La creazione di una sempre più estesa area naturale avulsa dal contesto antropico rischia di essere il preludio a un processo di degrado nel medio o lungo periodo. In tale contesto, si intende proporre una riflessione sul rapporto tra uomo e natura nell’antropocene, concentrandosi su tre differenti questioni: la wilderness di ritorno, dovuta alla rinaturaliz-zazione delle montagne; il rapporto tra l’atto predatorio nei confronti della natura e i sistemi economici dominati (tra neo-liberismo e post-capitalismo); il ruolo di forme di neo-ruralità, intese come germogli di un possibile ritorno a una dimensione naturale. Sulla base di alcune testimonianze si proverà a porre l’accento sull’importanza di processi di territorializzazione che, mantenendo vivo il legame tra uomo e natura, permettono il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali e anche il rafforzamento di equilibri naturali altrimenti in via di degrado. Per giungere a questo punto si rende necessario un ripensamento dei fondamenti della relazione uomo-natura, superando una visione puramente antropocentrica e aprendosi a prospettive inclusive tese a inquadrare l’uomo tra gli esseri attivi nella definizione degli equilibri ecosistemici.

S02 | Atlanti, mappe, narrazioni. Tradizionali linguaggi di conoscenza

e innovative modalità di visualizzazione

SLOT 1

Vladimiro Valerio

Mappe e raccolte cartografiche del Rinascimento Italiano

Nella seconda metà degli anni sessanta del Cinquecento, alcuni editori e stampatori italiani avevano iniziato a mette-re insieme in un unico volume l’ingente produzione di stampe geografiche mette-realizzate in Italia, sebbene di dimensioni, di contenuti e di manifattura diversa. Ciò che di seguito analizzerò sono le peculiarità sia della produzione carto-grafica italiana che di queste raccolte di immagini di carattere geografico, nelle quali trovano collocazione mappe, piante e vedute urbane, scene di battaglia, luoghi fantastici o recentemente scoperti. Tali prodotti editoriali sono

certamente l’embrione di un vero e proprio atlante geografico e suggeriscono molteplici spunti di riflessione che vanno dalla materialità dell’oggetto ai significati di cui queste immagini sono portatrici, passando per il variegato mondo della produzione e della diffusione della cultura geografica in Italia e in Europa. In queste raccolte fattizie possiamo ritrovare tutto quello che ha a che fare con la cultura materiale che le ha prodotte, dall’elaborazione del disegno al passaggio al medium calcografico o xilografico, dalla richiesta di privilegi di stampa alla distribuzione, così come possiamo leggere la nascita e l’affermarsi di identità geografiche e politiche tanto nazionali quanto locali, che andavano conformandosi nel variegato mondo culturale del Rinascimento europeo. La loro particolare natura di raccolta disorganica (ma non tanto visto il modello tolemaico di riferimento) li rende estremamente permeabili e sensibili alle richieste del mercato e agli avvenimenti contemporanei. Trattandosi di prodotti editoriali non rigidi sono adattabili alle esigenze del mercante o dell’acquirente.

Luisa Spagnoli

L’Atlante storico italiano: un progetto incompiuto

Sebbene la produzione di atlanti storici abbia caratterizzato l’Europa sin dall’età moderna, l’Italia ha mostrato un ri-tardo incolmabile. È la tradizione della cartografia tedesca (lo Stieler, il Kiepert, lo Spruner, il Menke e Putzger) a pre-valere nel mercato editoriale nostrano, quasi a “invadere” lo sprovvisto territorio nazionale, sia sul piano dell’editoria sia su quello grafico-cartografico. A fronte di alcuni timidi segnali che vanno verso l’acquisizione della dimensione storica degli atlanti anche in Italia fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento – come le proposte di Arcange-lo Ghisleri per l’Istituto Italiano d’Arti grafiche e Luigi Visentin, Mario Baratta, Plinio Fraccaro per la De Agostini – è diffusa tra gli studiosi e l’opinione pubblica l’idea di una mancanza necessariamente da colmare. Un vuoto, «una lacuna sentitissima», scrive Renato Biasutti, quando è interpellato sull’opportunità o meno che anche l’Italia si doti di un atlante storico, non limitato però alla sola penisola italiana, ma esteso a tutto il mondo e, così facendo, «dare al pubblico un’opera finalmente completa». Questi i presupposti affinché si gettino le basi per un progetto, frutto di un intenso dibattito interdisciplinare (geografico-storico) e di una lenta maturazione, che punterà alla costruzione dell’Atlante storico italiano. In tal senso, l’intervento intende approfondire la vicenda del progetto relativo all’Atlante storico, con la finalità di scandagliare i momenti che più hanno influito nel suo processo di gestazione, mettendo a fuoco gli intendimenti e le aspirazioni di coloro i quali furono più o meno direttamente coinvolti in tale programma-zione. Un progetto, questo, che ha visto la partecipazione di geografi e storici, coinvolti con ruoli e pesi diversi a se-conda dei differenti momenti che furono spesi per la sua elaborazione. Se emerge una qualche disattenzione in seno alla storiografia più recente che ha trascurato di tornare sull’argomento – tranne che negli ultimi decenni – ancor più “silenzioso” è apparso il dibattito geografico, che non sembra aver offerto alcuna riflessione critica in merito alla vicenda progettuale, a dispetto del consistente coinvolgimento della geografia principalmente nella sua fase iniziale. Simonetta Conti

Atlanti spagnoli e iberoamericani del secolo XVIII

Nel XVIII secolo, dopo l’avvento al trono di Carlo di Borbone, re di Napoli, con il nome di Carlo III nel 1759, la Spagna che, già con Filippo V aveva iniziato un processo di modernizzazione, soprattutto per ciò che riguarda il pensiero e la ricerca scientifica, che aveva avuto il suo punto culminante nella spedizione franco-spagnola al Perù per il calcolo del meridiano, continuò a modernizzarsi e a ricercare sistemi scientifici per illustrare i propri territori, sia di terraferma che delle colonie. Due furono i tipi di intervento per raggiungere lo scopo che Carlo III e i suoi ministri si erano prefis-si. Il primo si estrinsecò mediante tutta una serie di viaggi di esplorazione scientifica nei possedimenti spagnoli nelle Americhe. Le nuove idee scientifiche entrarono a far parte del bagaglio conoscitivo dei cadetti dell’Armada spagnola (la Marina Militare) e che vede soprattutto nelle figure di Antonio de Ulloa e Jorge Juan. In tutte le spedizioni scien-tifiche alle Americhe e alle Filippine, da quella franco-spagnola fino a quella di Alessandro Malaspina, la cartografia gioca un ruolo estremamente importante per la conoscenza reale dei luoghi. Questo avvenne perchè la cartografia da sempre costituisce un forte legame tra l’uomo e l’ambiente. Questo forte legame si estrinsecò per il regno di Spa-gna per merito dello stesso re e del suo ministro il Conte di Floridablanca. Nel 1789, dopo molti anni di lavoro vide la luce il miglior prodotto cartografico, dovuto a Miguel Vicente Tofiño de San Miguel, che è l’Atlas Marítimo de España. La realizzazione dell’Atlante dette un prodotto di primissima qualità che unisce alla scientificità matematica, fisica e astronomica, un disegno dovuto ai migliori incisori della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Sempre nello stesso periodo vide la luce anche l’Atlante terrestre a firma di Tomas Lopez ma che in realtà riunisce carte do-vute a più autori, alcune delle quali risalenti a qualche anno prima. Il culmine degli studi cartografici, soprattutto per ciò che riguarda i possedimenti spagnoli di Ultramar, si devono alla spedizione scientifica di ricognizione territoriale e sociale comandata dall’ammiraglio Alessandro Malaspina (1789-1804) che può essere considerata il canto del cigno del secolo illuministico.

Gabriele Pedullà

Letteratura, geografia, atlanti: qualche bilancio

Negli ultimi anni sempre più spesso gli storici della letteratura (e più in generale della cultura) hanno fatto ricorso a mappe e carte per collocare nello spazio un gran numero di fenomeni diversi. L’Italia sembra in particolare aver svolto una funzione di traino in questo settore di esperimenti. È possibile anzi cominciare a fare qualche primo bi-lancio, a cinque anni dal completamento del più impegnativo (per mole e numero degli studiosi coinvolti) dei diversi

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