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ACCOGLIENZA PROFUGHI E ZINGARI

QUESTIONI RELATIVE ALL’ACCOGLIENZA

9. ACCOGLIENZA PROFUGHI E ZINGARI

La Regione Veneto è stata la prima Regione italiana a promulgare una legge a riconoscimento della cultura dei Rom e dei Sinti (Legge del 1984 modificata poi con la Legge del 22.12.89 n° 54). Attraverso di essa la Regione dovrebbe finanziare e sostenere Comuni che intendono attrezzare aree per il transito e la sosta degli zingari. La legge contiene infatti indicazioni sui criteri di localizzazione e allestimento dei campi sosta, reperimento ed acquisto di alloggi, attivazione di percorsi formativi di recupero delle attività artigianali, interventi per scolarizzazione.

Tuttavia questa legge, come quelle promulgate in seguito dalle altre regioni a tutela della cultura zingara, ha solo una valenza di indirizzo. Come conseguenza la legge, di fatto, non è stata molto utilizzata, se non per pochi casi e soprattutto per interventi di scolarizzazione. Sono pochi i Comuni del Veneto che ne hanno utilizzato i fondi per realizzare campi sosta (alcuni comuni dell'Alto vicentino, Scorzé - dove è stato realizzato l’unico campo di transito del Veneto - Legnago, Padova ....). Molto spesso, infatti, anche Comuni che registrano presenze più o meno stabili di Rom e Sinti, hanno scelto di non richiedere finanziamenti per attrezzare dei campi, preferendo tollerare presenze stabili e predisponendo minimi interventi; in altri comuni i Rom e Sinti sono a tutt'oggi cittadini "invisibili" e la loro presenza è governata solo con strumenti di ordine pubblico.

Quasi tutte le leggi regionali approvate in questi anni si proclamano a “tutela della cultura zingara”, ma paradossalmente la legge stessa non tiene in debito conto la cultura stessa che vuole tutelare. Un esempio emblematico è la costruzione di campi attrezzati e super regolamentati che la legge prospetta: è lo stesso concetto di campo che non risponde agli elementi fondamentali della cultura zingara, che si sorregge sulla flessibilità delle relazioni e delle strutture. Un altro esempio sta alla base delle condizioni di degrado in cui versano molti campi, cosiddetti "autorizzati": la difficoltà ed i problemi che derivano dalla costrizione a condividere spazi collettivi e servizi comuni (nessuna famiglia è disponibile a “pulire lo sporco dell’altro”) fra famiglie differenti e a volte appartenenti anche a gruppi diversi. Per lo stesso motivo, dal momento che quella di Rom e Sinti è una struttura sociale “senza capi”19, diventa difficile ogni forma di autocontrollo sul numero dei presenti in un campo: nessuno

19 La struttura sociale del Popolo Zingaro si basa sulla famiglia “allargata”, che comprende in genere i nuclei familiari di più fratelli e la coppia di genitori anziani. all’interno del gruppo ognuno è tutt’uno con la sua famiglia, che solidarizza con parenti e tiene rapporti più o meno duraturi con altre famiglie. Normalmente il più anziano ha potere sul più giovane e l’uomo sulla donna, ma non esiste un “capo”: “ognuno è capo della sua famiglia”.

può negare ad un altro gruppo, che vanti parentela o amicizia con un altro gruppo presente nel campo, di accamparsi a sua volta.

Gli zingari oggi in fuga da fronti di guerra (come quelli della Jugoslavia) e da fronti di miseria e intolleranza (Romania, Ungheria, ex Cecoslovacchia) incontrano ovunque, in Europa e anche nel nostro paese, manifestazioni ostili alla loro presenza. Sempre più difficile appare per loro trovare aree in cui fermarsi e riuscire a stabilirsi.

Ma è stato di fronte alle baraccopoli sorte nelle discariche (S. Giuliano a Venezia, per esempio), sotto i piloni delle tangenziali, tra binari e strade di scorrimento veloce o lungo gli argini dei fiumi, che finalmente, dal 1993, iniziano a farsi strada progetti di accoglienza, quasi tutti delegati alle amministrazioni comunali (assessorati alle politiche sociali affiancati da improvvisati “Uffici immigrati e nomadi” o “Uffici nomadi e stranieri”). La risposta adottata in prevalenza è quella dei cosiddetti “campi attrezzati”. L’apertura di questi “campi” permette, da una parte di chiudere luoghi malsani e quindi di assicurare un minimo di igiene, dall’altra risponde al bisogno che le istituzioni hanno di controllo sociale, di limitare la dispersione nel territorio e di concentrare in luoghi circoscritti e spesso controllati da forze dell'ordine o guardiani.

Da una parte si ha l’impressione che finalmente si inizi a fare qualcosa. Dall’altra, però, si osserva la progressiva chiusura di tutti gli spazi liberi usati come “campi” piccoli, auto regolamentati, in cui vivono clan familiari sempre più sprovvisti di servizi e soggetti a frequenti sgomberi.

La realizzazione dei campi segue quasi sempre lo stesso copione: ricerca affannosa di aree disponibili, annuncio della località prescelta, rivolta degli abitanti, nuova ricerca di spazi. A questo compito normalmente rispondono solo le città più grandi in quanto spesso i comuni piccoli rifiutano di fare qualcosa.

Per realizzare i campi vengono utilizzati i fondi stanziati a favore degli sfollati di guerra della ex Jugoslavia dalla legge 390/92, che permette anche il rilascio di permessi di soggiorno e l’acquisizione di diritti a persone fino ad allora non prese in considerazione. Alcuni comuni, oltre che a questi finanziamenti, hanno fatto anche ricorso ai fondi della legge regionale sugli zingari (è, ad esempio, il caso di Padova).

I campi attrezzati appaiono però sempre più dei ghetti sovraffollati in cui non esiste privacy e in cui gruppi diversi di Rom, e spesso di Sinti, vengono stipati

forzatamente insieme. L’arrivo dei Rom della ex Jugoslavia, la presa di coscienza da parte di amministrazioni e associazioni di volontariato della necessità di fare qualcosa per questa gente, con un impegno nuovo e più forte di quello profuso nei confronti degli zingari italiani e di più antico insediamento, fanno sì questi ultimi vivano la situazione come minaccia alla propria immagine e alla propria dignità. Perciò cercano nuove strategie per poter vivere in un determinato territorio: chi tra loro ne ha la possibilità economica inizia ad acquistare piccoli appezzamenti di terreno in cui vivere con la propria famiglia, acquistare case anche diroccate nelle campagne, entrare nelle liste per ottenere alloggi popolari.

In conclusione, l’unico modo per fare vera accoglienza al popolo zingaro è quello di conoscerlo direttamente, costruire assieme ad esso percorsi di convivenza in cui gli zingari possano sentirsi realmente protagonisti delle proprie scelte abitative, senza imporre loro risposte dettate da paure, inquadrandoli in una stretta politica di controllo sociale.

PARTE III