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Achille, Neottolemo, Filottete

Ζεῦ ἄλλοι τε θεοί, δότε δὴ καὶ τόνδε γενέσθαι Παῖδ᾿ἐμόν, ὡς καὶ ἐγώ περ, ἀριπρεπέα Τρώεσσιν, ὧδε βίην τ᾿ἀγαθόν, καὶ Ἰλίου ἶφι ἀνάσσειν·

καί ποτέ τις εἴποι ‘ πατρός γ᾿ὅδε πολλὸν ἀμείνων ᾿268

Zeus e voi altri dei, fate che questo mio figlio sia, come anche io sono, che si distingua fra i Troiani per forza e valore, e regni su Ilio; e un giorno qualcuno dica: ‘Costui è molto migliore del padre.’

Queste sono le parole, oltremodo celebri, che Ettore rivolge al suo unico figlio Astianatte, poco prima di tornare in battaglia, nel VI libro dell’Iliade. Ettore desidera dal profondo del suo cuore che suo figlio non solo si distingua, non solo sia degno di lui, ma lo superi, sia migliore. Quando nasce un figlio a un padre valoroso e famoso, è naturale chiedersi se sarà più forte del padre, se sarà degno della sua fama e della sua eredità morale. Se lo augura Aiace, tenendo fra le braccia il piccolo Eurisace – anche se non mostra il commosso desiderio di Ettore che Astianatte sia migliore, vuole solo essere eguagliato in valore, perché il buon nome della famiglia non cada in disgrazia;269

ne gioisce l’ombra di Achille, quando Odisseo lo informa dei successi del figlio, nell’Odissea;270 e anche Enea afferma lo stesso, stringendo Ascanio, prima di lanciarsi

contro Turno.271 Era un problema pressante, soprattutto in una società come quella

omerica, dove il nome del padre è così importante che non importa quanto un uomo sia grande, famoso o valoroso, sarà sempre identificato con il suo patronimico. Non importa il fatto che le gesta di Achille sorpassino di gran lunga quelle di Peleo, verrà

268 Il. 6.476-479.

269 Soph. Aj. 550-551: ὦ παῖ, γένοιο πατρὸς εὐτυχέστερος, / τὰ δ᾿ ἄλλ᾿ὅμοιος· καὶ γένοι᾿ ἂν οὐ

κακός.

O figlio, che tu sia più fortunato del padre, per il resto uguale; e non saresti da poco.

270 Od. 11.538-540: […] ψυχὴ δὲ ποδώκεος Αἰακίδαο / φοίτα μακρὰ βιβᾶσα κατ' ἀσφοδελὸν

λειμῶνα, / γηθοσύνη, ὅ οἱ υἱὸν ἔφην ἀριδείκετον εἶναι.

[…] l’anima dell’Eacide veloce camminava a lunghi passi sul prato d’asfodelo, felice, perché gli avevo riferito che suo figlio si distingueva fra i mortali.

271 Virg. Aen. 12.435-436: disce, puer, virtutem ex me verumque laborem, / fortunam ex aliis.

70 sempre chiamato Pelide; Aiace, come abbiamo visto, è ossessionato dal giudizio di Telamone, dal terrore di non esserne degno; la paura più grande di Teucro, allo stesso modo, è essere spogliato della sua appartenenza alla casa degli Eacidi. Il paragone è inevitabile, impresso nell’identità stessa dell’individuo.

All’interno della produzione letteraria legata agli eventi della Guerra di Troia, sono tre i figli che vediamo effettivamente crescere all’ombra di lasciti minacciosi di padri distanti, modelli lontanissimi ai quali è inesorabilmente legato il loro destino: Telemaco, figlio di Odisseo, Oreste, figlio di Agamennone e Neottolemo, figlio di Achille.

La prima volta che troviamo citato il nome di Neottolemo è in Iliade XIX 327. Achille si sta rivolgendo al corpo di Patroclo, piangendo la sua morte e lamentandosi per la propria sorte: nulla di peggiore gli sarebbe mai potuto accadere, non avrebbe sofferto tanto se gli fosse giunta la notizia della morte di Peleo, suo padre, o di Neottolemo, suo figlio. ἦ ῥά νύ µοί ποτε καὶ σύ, δυσάµµορε, φίλταθ’ ἑταίρων, 315 αὐτὸς ἐνὶ κλισίῃ λαρὸν παρὰ δεῖπνον ἔθηκας αἶψα καὶ ὀτραλέως, ὁπότε σπερχοίατ’ Ἀχαιοί Τρωσὶν ἔφ’ ἱπποδάµοισι φέρειν πολύδακρυν ἄρηα· νῦν δὲ σὺ µὲν κεῖσαι δεδαϊγµένος, αὐτὰρ ἐµὸν κῆρ ἄκµηνον πόσιος καὶ ἐδητύος, ἔνδον ἐόντων, 320 σῇ ποθῇ. οὐ µὲνγάρτι κακώτερον ἄλλο πάθοιµι, οὐδ’ εἴκεν τοῦ πατρὸς ἀποφθιµένοιο πυθοίµην, ὅς που νῦν Φθίηφι τέρεν κατὰ δάκρυον εἴβει χήτει τοιοῦδ’ υἷος· ὃδ’ ἀλλοδαπῷ ἐνὶ δήµῳ εἵνεκα ῥιγεδανῆς Ἑλένης Τρωσὶν πολεµίζω. 325 ἠὲ τόν, ὃς Σκύρῳ µοι ἐνι τρέφεται φίλος υἱός, εἴ που ἔτι ζώειγε Νεοπτόλεµος θεοειδής. πρὶν µὲν γάρ µοι θυµὸς ἐνὶ στήθεσσιν ἐώλπει οἶον ἐµὲ φθίσεσθαι ἀπ’Ἄργεος ἱπποβότοιο αὐτοῦ ἐνὶ Τροίῃ, σὲ δέ τε Φθίηνδε νέεσθαι, 330 ὡς ἄν µοι τὸν παῖδα θοῇ ἐνὶ νηῒ µελαίνῃ Σκυρόθεν ἐξαγάγοις καί οἱ δείξειας ἕκαστα, κτῆσιν ἐµὴν δµῶάς τε καὶ ὑψερεφὲς µέγα δῶµα. ἤδη γὰρ Πηλῆάγ’ ὀΐοµαι ἢ κατὰ πάµπαν τεθνάµεν, ἤπου τυτθὸν ἔτι ζώοντ’ ἀκάχησθαι 335 γήραΐτε στυγερῷ καὶ ἐµὴν ποτιδέγµενον αἰεί

71 λυγρὴν ἀγγελίην, ὅτ’ἀποφθιµένοιο πύθηται.

Anche tu un tempo – mio carissimo compagno, dal terribile destino – preparasti un buon pasto nella nostra tenda, velocemente e con abilità, quando gli Achei erano impazienti di portare terribile guerra contro i Troiani domatori di cavalli. Ma ora giaci qui, il corpo straziato, e il mio cuore è indifferente al cibo e alle bevande, anche se entrambi sono disponibili, a causa del desiderio di te: nient’altra cosa orribile potrei mai soffrire, nemmeno la notizia della morte del mio stesso padre, che ora forse sta versando pesante lacrime a Ftia per la perdita di un tale figlio, che ora in una terra straniera, per colpa dell’odiosa Elena, è in guerra con i Troiani; neppure per la morte del mio caro figlio, che sta crescendo a Sciro, se è vero che Neottolemo simile a un dio ancora vive. Prima d’ora il cuore nel mio petto aveva sperato che solamente io sarei morto lontano da Argo ricca di cavalli, qui a Troia, ma che tu saresti tornato a Ftia e che tu avresti preso mio figlio da Sciro nella tua veloce nave nera e che gli avresti mostrato tutto ciò che era mio, i miei beni, i miei servi, la mia splendida casa dagli alti soffitti, dal momento che penso che ora Peleo debba essere morto o, se ancora vivo, soffra oppresso dalla dolorosa vecchiaia e dall’attesa infinita della notizia dolorosa della mia morte.

Il fatto che il nome e il personaggio stesso di Neottolemo vengano introdotti all’improvviso, in maniera quasi brusca, ha fatto pensare, fin dai tempi dei commentatori alessandrini, che questi versi fossero perlomeno problematici. In particolare, gli scoli riportano che Aristofane di Bisanzio stesso, per primo, avesse sospettato che il v. 327, dove appunto viene citato il nome proprio di Neottolemo, fosse spurio, poiché Sciro non è molto lontana da Troia e dunque Achille avrebbe sicuramente saputo della morte del figlio, se fosse avvenuta; inoltre egli sostiene che l’epiteto sia inappropriato.272 Entrambe le motivazioni appaiono inconsistenti: l’epiteto

è generico ed è usato in questo modo, a seguito del nome proprio, per molti nomi

272 Sch. Il. 327α Erbse: εἴ που ετι ζώει γε ‹Nεοπτόλεμος θεοειδής› : καί 'Αριστοφάνης προηθέτει τὸν στίχον, ὥς φησι Καλλίστρατος. τό τε γὰρ έπὶ παιδός κομιδῆι λέγεσθαι διστακτικώς εἴ που ἔτι ζώει, καί ταῦτα μηδέ πόρρω τῆς Σκύρου κειμένης, ὔποπτον, τό τε θεοειδής άκαίρως προσέρριπται. τεκμήριον δέ τής διασκευής τό καὶ έτέρως φέρεσθαι τόν στίχον, ,,εί που ἔτι ζώει γε Πυρῆς έμός, όν κατέλειπον"

‘Se pur ancora vive Neottolemo simile a un dio’: anche Aristofane espunge il verso, come dice Callistrato. Infatti esprimere un dubbio sulla salute del bambino, se ancora vive, e dal momento che Sciro non è lontana, è sospetto, e ‘simile a un dio’ è messo lì in modo inappropriato. E in un testimone dell’edizione, per di più, il verso è riportato diversamente ‘Se pur è ancora vivo il mio Pirro, che ho abbandonato’.

72 all’interno del poema e anche il fattore geografico è facilmente ignorabile,273 basti

pensare, per esempio, a Filottete abbandonato a Lemno, isola che si trova a meno di un giorno di navigazione da Troia. Di questa opinione, però, sono molti studiosi,274 i quali sostengono che i vv. 326-337 siano interpolati per trasportare una figura della Piccola

Iliade, dell’Iliou Persis e dei Nostoi all’interno dell’Iliade, dal momento che nell’Iliade

l’unica famiglia di Achille appaiono essere i suoi genitori275. In più, West e Monro

aggiungono che il passo che inizia al v. 326 appare collegato a ciò che precede da una ‘strana sintassi’ (ἠὲ τόν)276, e che, infine, l’idea espressa al vv. 334 che Peleo sia morto

sia in contrasto con quanto espresso al v. 322, mentre la sua alternativa, al v. 335, ripeterebbe quanto detto al v. 322. Monro aggiunge anche che il fatto che Achille immagini Patroclo che torna a casa senza di lui sarebbe in contrasto con Iliade XVIII 10-14, dove Achille stesso dice che avrebbe dovuto sapere che Patroclo sarebbe morto per primo.

Questo passo è chiaramente problematico, dal momento che già gli antichi giudicavano il v. 327 spurio, ma è forse esagerato considerare tali anche tutti gli altri, fino a 337. Le motivazioni addotte dagli studiosi non sono sufficientemente cogenti: per quanto riguarda l’obiezione che pone West riguardo a un contrasto fra 322 e 334-335, non trovo che essa sia sostenibile, dal momento in epica la reiterazione dei concetti è molto frequente; quella di Monro, inoltre, pone a paragone un passo in cui Achille, vedendo Antiloco tornare da solo, sta riportando alla mente una profezia di Teti – profezia secondo la quale il più forte dei Mirmidoni sarebbe morto con Achille ancora in vita – e non un suo pensiero personale; ciò non esclude, dunque, che avesse potuto fantasticare su un ritorno in patria di Patroclo in compagnia di Neottolemo. Inoltre, bisogna tenere in considerazione che i vv. 315-337 sono il lamento funebre di Achille sul corpo di Patroclo, lamento che segue quello di Briseide.277 Entrambi possono essere

273 Cfr. Edwards 1991 273.

274 Payne Knight 1820 59; Monro 1893 355-356, 363; Leaf-Bayfield 1898 477-478; West 2001 12; West

2003 9; West 2011 359.

275 Cfr. p.e. Il. 19.422, 24.538-540. Cfr. Beck 1964 146-150.

276 Monro 1893 363, West 2011 359. Monro aggiunge che la posizione di μοι del v. 326 e il fatto che

Omero trascuri il ϝ di ἕκαστα sono sospetti.

73 definiti dei veri e propri threnoi, lamentazioni rituali fortemente connotate da topoi comuni che si ripetono. Paragonare Patroclo – l’unica famiglia che Achille ha a Troia – alla sua vera famiglia – il padre e il figlio – aumenta il pathos e sottolinea in maniera esasperata il dolore di Achille. Non solo la morte di Patroclo è più dolorosa per Achille di quanto sarebbe quella di suo padre – figura estremamente importante per lui e presente nel pensiero dell’eroe lungo tutto il poema – ma è più dolorosa anche di quanto lo sarebbe quella del suo unico figlio ed erede; erede non solo della sua fama, ma del suo regno e del lascito dell’intera casa degli Eacidi. L’inserimento della figura di Neottolemo crea quindi una climax di importanza non indifferente. In più, i vv. 322 e 337 sono speculari e riflettono la reciprocità del rapporto tra Achille e Peleo: ‘neanche se sentissi la notizia della morte di mio padre’ (οὐδ’ εἴκεν τοῦ πατρὸς ἀποφθιµένοιο πυθοίµην) e ‘quando venga a sapere che sono morto’ (ὅτ’ἀποφθιµένοιο πύθηται).278

Non è impossibile che qui l’immagine di Peleo che attende il suo unico erede susciti in Achille il ricordo del suo stesso figlio, lasciato a Sciro nella speranza che un giorno Patroclo sarebbe tornato al posto di Achille, suo alter ego, e l’avrebbe riportato a casa. Dal momento che Patroclo è morto, però, questa fantasia è spezzata: non vi è più un ponte fra le due generazioni;279 è forse per questo che più avanti Achille negherà che la casa di Peleo abbia una discendenza.280

La seconda e ultima volta in cui Neottolemo è nominato all’interno dell’Iliade è nel libro XXIV al v. 467. Ermes appare a Priamo e lo accompagna e nasconde attraverso l’accampamento greco, fino alla tenda di Achille. Lì, gli consiglia il modo migliore per supplicare Achille, dicendogli di fare appello al suo affetto per il padre, per la madre e per il figlio. τύνη δ᾿εἰσελθὼν λαβὲ γούνατα Πελείονος, 465 καί μιν ὑπὲρ πατρὸς καὶ μητέρος ἠυκόμοιο λίσσεο καὶ τέκεος, ἵνα οἱ σὺν θυμὸν ὀρίνηις. 278 Cfr. Felson 2002 44.

279 Achille associa Patroclo con suo padre e la sua terra natia diverse volte all’interno dell’Iliade, dopo

la sua morte: Il. 16.13-16, 18.88-90, 101, 330-332. Cfr. Edwards 1991 272.

74 Ma tu afferra abbracciando le ginocchia del figlio di Peleo, e per suo padre e sua madre dalla bella chioma e suo figlio supplicalo, affinché tu tocchi il suo cuore.

I vv. 466-467 sono stati considerati sospetti dagli studiosi già citati, in parte perché sarebbe impossibile considerare questi autentici e quelli del libro XIX spuri, e in parte perché più avanti nel libro Priamo non nominerà né Teti né Neottolemo nella sua supplica ad Achille, ma si concentrerà solamente su suo padre Peleo.281 Questa argomentazione è facilmente contestabile: Priamo imposta il suo discorso come un parallelo fra se stesso e Peleo, l’intero scambio fra Achille e Priamo è volutamente costruito come un parallelo fra la relazione tra Priamo ed Ettore e quella fra Peleo e Achille, in modo che i due rapporti si fondano nell’incontro fra Priamo e Achille; dunque una menzione della madre e del figlio sarebbe stata fuori luogo. Questo intreccio fra le due coppie padre-figlio, chiaramente voluto dal poeta, sembra quindi stonare con le parole di Ermes, che inserisce nella supplica anche la madre e il figlio. Eppure è facile rispondere anche a questa obiezione: il dio sta descrivendo una pratica formalizzata nel mondo omerico.282 La supplica è un sistema ritualizzato: il supplice è sempre a terra, inginocchiato o raggomitolato, abbraccia le ginocchia della persona a cui la supplica è rivolta, tocca e bacia le mani in segno di subordinazione.283 Il riferimento agli affetti, poi, generalmente sistemati in una climax, è estremamente comune.284 Negli ultimi libri dell’Iliade, il poeta ha spesso in mente episodi della saga Troiana che avvengono dopo la fine dell’Iliade, ma non possiamo sapere se questi corrispondessero esattamente alle versioni date nei poemi Ciclici, più tardi.285 Achille è una figura leggendaria molto antica,286 quindi è possibile che il personaggio di suo

281 Cfr. Kammer 1889 335; Leaf-Bayfield 1898 593; West 2000 354; West 2011 420. 282 Cfr. Macleod 1982 124; Scodel 1999 82ss.

283 Giordano 1999 21-26.

284 Cfr. Il. 15.659-666: Nestore all’esercito: parenti, bambini, spose, beni; Il. 22.338: Ettore ad Achille:

vita, ginocchia, genitori; Od. 2.68: Telemaco: Zeus, Temi; Od. 11.66-68: Elpenore a Odisseo: coloro che sono rimasti a casa, ovvero la moglie, il padre il figlio; Od. 15.261ss.: Teoclimeno a Telemaco: la vittima, il dio, i compagni. Cfr. Bierl-Latacz 2009 164.

285 Cfr. Edwards 1991 273. 286 West 1997 334-401.

75 figlio sia stato creato abbastanza presto.287 Inoltre, considerare spuri i vv. 466-467 significherebbe concludere il discorso di Ermes con un brusco invito ad abbracciare le ginocchia di Achille senza una spiegazione, cosa che appare irragionevole.288 Infine, un riferimento a Sciro e di una permanenza – seppur breve, essendo solamente menzionato il fatto che venne conquistata da Achille – nell’isola si può trovare anche nel nono libro al v. 668.289

Dunque, mi trovo in disaccordo con chi sostiene che Neottolemo sia una figura assente dall’Iliade ed è interessante vedere come il rapporto tra lui e il padre si sviluppa da queste due brevi menzioni, la prima delle quali fatta da Achille stesso, attraverso l’Odissea, fino alla tragedia.

Quando Achille menziona Neottolemo per la prima volta, al v. 326 del XIX libro dell’Iliade, ci troviamo, come abbiamo detto, in un momento in cui Achille sta piangendo la morte di Patroclo, il suo dolore è smisurato, tanto che lo porta a porre il compagno al di sopra di ogni altro, nella sua scala degli affetti. Il suo dolore è superiore a quello che proverebbe se fosse morto Peleo, suo padre, superiore anche alla morte dell’unico figlio. L’importanza di Patroclo è considerata tale che, come detto, egli si sostituisce in tutto e per tutto ad Achille, sarebbe stato lui ad andare a prendere Neottolemo a Sciro, lui che l’avrebbe riportato in patria, dopo la morte di Achille a Troia. Questo passo ci dice di più sui sentimenti di Achille verso Patroclo, piuttosto che su quelli per Neottolemo.

Nel passo del XXIV libro, invece, Ermes pone Neottolemo all’apice degli affetti di Achille: esorta Priamo a supplicare l’eroe in nome del padre, della madre e infine del figlio. Neottolemo si trova esattamente al culmine della climax.

287 Beck 1964 147. 288 Cfr. Beck 1964 149.

289 Il. 9.668: Πάτροκλος δ' ἑτέρωθεν ἐλέξατο· πὰρ δ' ἄρα καὶ τῷ / Ἶφις ἐΰζωνος, τήν οἱ πόρε δῖος

Ἀχιλλεὺς / Σκῦρον ἑλὼν αἰπεῖαν Ἐνυῆος πτολίεθρον.

Dall’altro lato giaceva Patroclo; e accanto a lui allo stesso modo Ifi dalla bella cintura, che gli aveva regalato Achille divino, quando prese Sciro dirupata la città di Enieo.

76 Similmente il poeta tratterà la questione nell’Odissea, nel libro XI. Dopo aver dismesso con la celebre frase: ‘Preferirei essere vivo e schiavo di un altro uomo, che essere re fra i defunti’ la rassicurazione riguardo alla sua fama da parte di Odisseo, Achille chiede immediatamente di Neottolemo, prima ancora di informarsi sulla sorte di Peleo. Odisseo gli risponde in modo esauriente, descrivendogli le gesta del figlio, e Achille ne è soddisfatto, infatti, al termine della risposta, si allontana con animo lieto (ψυχὴ … γηθοσύνη). ’ὦ Ἀχιλεῦ, Πηλῆος υἱέ, μέγα φέρτατ' Ἀχαιῶν, ἦλθον Τειρεσίαο κατὰ χρέος, εἴ τινα βουλὴν εἴποι, ὅπως Ἰθάκην ἐς παιπαλόεσσαν ἱκοίμην· 480 οὐ γάρ πω σχεδὸν ἦλθον Ἀχαιΐδος οὐδέ πω ἁμῆς γῆς ἐπέβην, ἀλλ' αἰὲν ἔχω κακά. σεῖο δ', Ἀχιλλεῦ, οὔ τις ἀνὴρ προπάροιθε μακάρτερος οὔτ' ἄρ' ὀπίσσω· πρὶν μὲν γάρ σε ζωὸν ἐτίομεν ἶσα θεοῖσιν Ἀργεῖοι, νῦν αὖτε μέγα κρατέεις νεκύεσσιν 485 ἐνθάδ' ἐών· τῶ μή τι θανὼν ἀκαχίζευ, Ἀχιλλεῦ.’ ὣς ἐφάμην, ὁ δέ μ' αὐτίκ' ἀμειβόμενος προσέειπε· ’μὴ δή μοι θάνατόν γε παραύδα, φαίδιμ' Ὀδυσσεῦ. βουλοίμην κ' ἐπάρουρος ἐὼν θητευέμεν ἄλλῳ, ἀνδρὶ παρ' ἀκλήρῳ, ᾧ μὴ βίοτος πολὺς εἴη, 490 ἢ πᾶσιν νεκύεσσι καταφθιμένοισιν ἀνάσσειν. ἀλλ' ἄγε μοι τοῦ παιδὸς ἀγαυοῦ μῦθον ἐνίσπες, ἢ ἕπετ' ἐς πόλεμον πρόμος ἔμμεναι ἦε καὶ οὐκί. εἰπὲ δέ μοι Πηλῆος ἀμύμονος εἴ τι πέπυσσαι, ἢ ἔτ' ἔχει τιμὴν πολέσιν μετὰ Μυρμιδόνεσσιν, 495 ἦ μιν ἀτιμάζουσιν ἀν' Ἑλλάδα τε Φθίην τε, οὕνεκά μιν κατὰ γῆρας ἔχει χεῖράς τε πόδας τε. εἰ γὰρ ἐγὼν ἐπαρωγὸς ὑπ' αὐγὰς ἠελίοιο, τοῖος ἐὼν οἷός ποτ' ἐνὶ Τροίῃ εὐρείῃ πέφνον λαὸν ἄριστον, ἀμύνων Ἀργείοισιν, – 500 εἰ τοιόσδ' ἔλθοιμι μίνυνθά περ ἐς πατέρος δῶ, τῶ κέ τεῳ στύξαιμι μένος καὶ χεῖρας ἀάπτους, οἳ κεῖνον βιόωνται ἐέργουσίν τ' ἀπὸ τιμῆς.’ ὣς ἔφατ', αὐτὰρ ἐγώ μιν ἀμειβόμενος προσέειπον· ’ἦ τοι μὲν Πηλῆος ἀμύμονος οὔ τι πέπυσμαι, 505 αὐτάρ τοι παιδός γε Νεοπτολέμοιο φίλοιο πᾶσαν ἀληθείην μυθήσομαι, ὥς με κελεύεις· αὐτὸς γάρ μιν ἐγὼ κοίλης ἐπὶ νηὸς ἐΐσης

77 ἤγαγον ἐκ Σκύρου μετ' ἐϋκνήμιδας Ἀχαιούς. ἦ τοι ὅτ' ἀμφὶ πόλιν Τροίην φραζοίμεθα βουλάς, 510 αἰεὶ πρῶτος ἔβαζε καὶ οὐχ ἡμάρτανε μύθων· Νέστωρ δ' ἀντίθεος καὶ ἐγὼ νικάσκομεν οἴω. αὐτὰρ ὅτ' ἐν πεδίῳ Τρώων μαρναίμεθ' Ἀχαιοί, οὔ ποτ' ἐνὶ πληθυῖ μένεν ἀνδρῶν οὐδ' ἐν ὁμίλῳ, ἀλλὰ πολὺ προθέεσκε, τὸ ὃν μένος οὐδενὶ εἴκων· 515 πολλοὺς δ' ἄνδρας ἔπεφνεν ἐν αἰνῇ δηϊοτῆτι. πάντας δ' οὐκ ἂν ἐγὼ μυθήσομαι οὐδ' ὀνομήνω, ὅσσον λαὸν ἔπεφνεν ἀμύνων Ἀργείοισιν, ἀλλ' οἷον τὸν Τηλεφίδην κατενήρατο χαλκῷ, ἥρω' Εὐρύπυλον· πολλοὶ δ' ἀμφ' αὐτὸν ἑταῖροι 520 Κήτειοι κτείνοντο γυναίων εἵνεκα δώρων. κεῖνον δὴ κάλλιστον ἴδον μετὰ Μέμνονα δῖον. αὐτὰρ ὅτ' εἰς ἵππον κατεβαίνομεν, ὃν κάμ' Ἐπειός, Ἀργείων οἱ ἄριστοι, ἐμοὶ δ' ἐπὶ πάντ' ἐτέταλτο, [ἠμὲν ἀνακλῖναι πυκινὸν λόχον ἠδ' ἐπιθεῖναι,] 525 ἔνθ' ἄλλοι Δαναῶν ἡγήτορες ἠδὲ μέδοντες δάκρυά τ' ὠμόργνυντο, τρέμον θ' ὑπὸ γυῖα ἑκάστου· κεῖνον δ' οὔ ποτε πάμπαν ἐγὼν ἴδον ὀφθαλμοῖσιν οὔτ' ὠχρήσαντα χρόα κάλλιμον οὔτε παρειῶν δάκρυ' ὀμορξάμενον· ὁ δέ με μάλα πόλλ' ἱκέτευεν 530 ἱππόθεν ἐξέμεναι, ξίφεος δ' ἐπεμαίετο κώπην καὶ δόρυ χαλκοβαρές, κακὰ δὲ Τρώεσσι μενοίνα. ἀλλ' ὅτε δὴ Πριάμοιο πόλιν διεπέρσαμεν αἰπήν, μοῖραν καὶ γέρας ἐσθλὸν ἔχων ἐπὶ νηὸς ἔβαινεν ἀσκηθής, οὔτ' ἂρ βεβλημένος ὀξέϊ χαλκῷ 535 οὔτ' αὐτοσχεδίην οὐτασμένος, οἷά τε πολλὰ γίνεται ἐν πολέμῳ· ἐπιμὶξ δέ τε μαίνεται Ἄρης.’ ὣς ἐφάμην, ψυχὴ δὲ ποδώκεος Αἰακίδαο φοίτα μακρὰ βιβᾶσα κατ' ἀσφοδελὸν λειμῶνα, γηθοσύνη, ὅ οἱ υἱὸν ἔφην ἀριδείκετον εἶναι.290 540

‘O Achille, figlio di Peleo, il più forte fra gli Achei, giunsi per cercare Tiresia, perché mi desse un consiglio per tornare a Itaca scoscesa: infatti non sono ancora giunto vicino all’Acaia né ho posato piede sulla mia patria, ma ho infiniti guai. Nessuno, Achille, è più felice di te né in passato, né in futuro: prima, quando eri vivo, noi Argivi ti onoravamo come una divinità e ora che sei qui governi sui morti. Dunque non essere addolorato, Achille, se sei morto.’ Così dicevo ed egli rispondendo mi disse: ‘Non tentare, valoroso Odisseo, di rendere più dolce la mia morte. Vorrei essere un servo che lavora per un padrone sulla terra, senza proprietà e senza

78 abbondanza di beni, piuttosto che essere signore dei morti. Ma dimmi del mio nobile figlio, se è andato in guerra come primo oppure no. E dimmi se sai qualcosa di Peleo glorioso: è ancora rispettato fra i Mirmidoni numerosi o lo disprezzano nell’Ellade e a Ftia perché la vecchiaia lo ostacola nelle mani e nei piedi? Non ci sono io per proteggerlo, sotto la luce del sole, come una volta quando mi trovavo nella Troade ampia e massacravo gli eroi proteggendo gli Argivi. Se potessi tornare a essere tale solo un istante alla casa del padre, terribili sarebbero la mia ira e le mie mani inarrestabili a chiunque lo attacchi e lo disonori.’ Così diceva e io dissi in risposta: ‘Non so niente di Peleo valoroso, ma ti parlerò di tuo figlio Neottolemo, come chiedi, dicendo tutta la verità: io stesso su una concava nave ben bilanciata lo condussi da Sciro agli Achei dai forti schinieri. Quando progettavamo macchinazioni intorno a Troia, egli parlava sempre per primo e a ragione: solo io e Nestore simile agli dei lo vincevamo. E quando noi Achei battagliavamo nella piana di Troia, non indugiava nella mischia, tra i forti, ma correva avanti, non era secondo a nessuno nell’impeto. Molti uomini massacrò nella tremenda battaglia. Non posso dirti ed elencarti tutti i combattenti che uccise salvando gli Argivi, ma come uccise col bronzo l’eroe Euripilo, figlio di Telefo, intorno al quale morirono molti compagni cetei per doni ricevuti da donne. Era il più bello che vidi, dopo il nobile Memnone. E quando noi, i migliori degli Argivi, ci calammo nel cavallo costruito da Epeo, e io solo dovevo aprire e chiudere la trappola robusta, gli altri capi e consiglieri dei Danai si asciugavano il pianto, le loro membra tremavano, ma io non vidi mai lui impallidire nel volto o asciugare le guance dal pianto, ma ripetutamente pregava che balzassimo fuori dal cavallo e brandiva la spada e la lancia pesante di bronzo, desiderando mali per i Troiani. Ma, quando prendemmo l’alta città di Priamo, risaliva sulla nave senza una ferita con la sua magnifica parte di bottino, mai colpito dal bronzo appuntito né ferito nel combattimento corpo a corpo, come spesso accade nello scontro: Ares colpisce alla cieca.’ Così dissi, e l’anima dell’Eacide veloce camminava a lunghi passi sul prato d’asfodelo, felice, perché gli avevo riferito che suo figlio si distingueva fra i mortali.’

Odisseo descrive Neottolemo come un esempio di condotta eroica, un guerriero capace allo stesso tempo di dare e accettare consiglio.291 Lo ritiene secondo solo a lui stesso e Nestore. L’abilità a parlare è la prima qualità di Neottolemo che Odisseo sceglie di rivelare ad Achille: lo tira sotto la propria ala, sottolineando che era stato lui ad andare a Sciro per condurlo a Troia e che insieme organizzavano piani. Soltanto dopo nomina

79 la sua abilità in battaglia. Questa descrizione suggerisce allo stesso tempo un paragone e un contrasto con la carriera stessa di Achille: lui stesso ammette di non essere tra i migliori parlatori in Iliade XVIII 105-106.292 In più, Odisseo non nomina nessuna delle azioni efferate per le quali Neottolemo diventerà notorio, si limita a citare la morte di Euripilo e il sacco della città, alludendo vagamente al fatto che Neottolemo si impossessi di una parte del bottino, forse con l’intenzione di far notare la mancanza di una trattazione più approfondita riguardo a questi dettagli.293 Più spazio è riservato invece alla sua condotta prudente all’interno del cavallo, al fatto che entri a Troia in un’imboscata (λόχος) e non seguendo l’ethos del padre (ἀλλ' ἄγε μοι τοῦ παιδὸς ἀγαυοῦ μῦθον ἐνίσπες, / ἐς πόλεμον πρόμος ἔμμεναι ἦε).294 Il Neottolemo che

Odisseo presenta ad Achille sembra già trovarsi a metà strada fra il suo illustre padre e quello che appare essere il suo nuovo padre, Odisseo stesso. Troviamo qui la prima allusione a una situazione che sarà poi presa a modello da Sofocle: la tensione fra i due modelli principali di condotta eroica.295

Nell’incontro fra Achille e Odisseo possiamo notare un eco del discorso di Ermes a Priamo: la famiglia viene posta al centro. Achille non gioisce della gloria imperitura di cui gode, ma delle gesta di suo figlio: non solo egli vive, ma è paragonabile a lui per gesta. All’eroe sopravvive un figlio ugualmente eroico, il futuro del nome degli Eacidi è apparentemente assicurato. La gloria personale di Achille si trasferisce sulla persona del figlio e non per un mero riflesso, ma perché Neottolemo è realmente capace di dimostrarsi degno del padre. Il fulcro si sposta quindi dall’èthos iliadico, basato sulla gloria e l’onore, a quello odissiaco, incentrato sulla famiglia.296 ‘The worst thing

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