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Il paradigma di Achille. Studi sull'Aiace e sul Filottete di Sofocle

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

C

ORSO DI

L

AUREA IN

F

ILOLOGIA E

S

TORIA DELL

ANTICHITÀ

TESI DI LAUREA

Il paradigma di Achille

Studi sull’Aiace e sul Filottete di Sofocle

CANDIDATO

RELATORE

Martina Delucchi

Chiar.mo Prof. Enrico Medda

CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Andrea Taddei

(2)
(3)

1

Indice

Introduzione

2

Achille e Aiace

7

Achille, Neottolemo, Filottete

69

Appendice: Achille e Prometeo

117

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2

Introduzione

Non vi è autore che più di Omero abbia esercitato la sua influenza sulla letteratura a lui successiva, non vi è genere letterario più dell’epica che sia testimone di un corpus di nozioni e racconti che hanno costituito per secoli il bacino da cui attingere per chiunque si sia accinto a narrare una storia. Non vi sarebbe stato nessun “miracolo greco” senza l’Iliade e l’Odissea e tutti i poemi minori che le circondavano. Omero si fa interprete di idee ed elabora i fondamenti propri della società del suo tempo e di quelle passate, basi che sopravvivranno e si svilupperanno nei secoli: uno fra tutti il concetto di eroismo. Cedric Whitman sosteneva che fossero i Greci ad averlo inventato e con esso ad aver creato per primi gli eroi, uomini caratterizzati da una tendenza all’autodistruzione e dalla vicinanza agli dei.1 La sua tesi è però difficile da sostenere,

soprattutto perché non solo è rischioso escludere dalla conta figure del Vicino Oriente antico che vengono da lui scartate perché tacciate di eccessiva megalomania – non sono forse gli eroi greci megalomani? – ma anche perché non si può estendere la sua definizione a tutti coloro che erano considerati eroi nell’antichità. Tuttavia, è facile notare quanto le caratteristiche fondamentali che lui attribuisce – a torto – a tutti gli eroi, calzino a pennello a quello che è generalmente visto come l’eroe per eccellenza o l’archetipo dell’eroe: Achille. Egli infatti è allo stesso tempo l’uomo che nessuno può distruggere e quello che finisce per distruggere se stesso: è invulnerabile, velocissimo, indossa un’armatura forgiata dagli dei, cavalca cavalli immortali eppure sceglie un destino di morte in cambio della gloria. Ed è questa scelta a renderlo Achille. La seconda caratteristica è, come detto sopra, l’agire in comunione e in accordo con gli dei, averli al proprio fianco: Atena trattiene Achille per i capelli quando sta per attaccare Agamennone nel primo libro dell’Iliade, Teti, madre divina, è sempre al fianco del figlio per sostenerlo e aiutarlo in ogni occasione, Zeus ha a cuore il destino del Pelide e Achille ne rispetta il volere, ancora Atena è colei che lo affianca sulla piana di Troia, quando infine affronta Ettore e il suo destino. Gli dei guidano le azioni degli

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3 uomini e degli eroi e ne controllano il fato e la divinità è qualcosa a cui aspirare, ma che non può e non deve essere raggiunta. Achille non sarebbe Achille se scegliesse una vita lunga e senza gloria: egli deve aspirare alla fama, assaporare la propria grandezza, sacrificare se stesso all’idea di se stesso e al proprio eroismo, altrimenti non sarebbe all’altezza di sé. L’eroe è un paradigma, un mito, personifica allo stesso tempo la parte migliore e peggiore di tutti gli esseri umani2 e diviene così un modello per i secoli a venire, in particolar modo in letteratura.3 Questo esempio di individuo potente ma tormentato dal conflitto fra la propria morale eroica e la società in cui vive viene acquisito, in epoca classica, sia dal teatro – comico4 e tragico – che da Platone.5 Il Prometeo del Prometeo Incatenato, la Medea di Euripide, ma soprattutto gli eroi di Sofocle acquisiscono evidenti caratteri dell’eroe omerico: Antigone, Edipo, Aiace, Filottete. Su questi ultimi due in particolare si concentra la nostra ricerca.

Nella prima parte del nostro lavoro ci soffermiamo sulla figura di Aiace e del suo debito nei confronti del personaggio-Achille all’interno dell’omonimo dramma di Sofocle. L’isolamento del protagonista, sia fisico che emozionale, la sua unicità – ad Aiace e ad Achille è attribuito il ruolo di ‘baluardo degli Achei’, l’uno è secondo solo all’altro – e il suo ruolo sociale all’interno di una comunità di tipo omerico fanno riferimento all’Achille dell’Iliade. Allo stesso tempo, però, Sofocle non trascura di trarre ispirazione anche dal più grande dei tragediografi che lo precedono: l’immobilità e il mutismo di Aiace, i ripetuti tentativi di stabilire un contatto da parte del coro non possono che riportare alla mente l’Achille silenzioso dei Mirmidoni di Eschilo, tragedia perduta e un tempo famosissima, tanto da subire lo scherno di Aristofane almeno sessant’anni dopo la sua messa in scena. Procedendo nell’esaminare l’opera di Sofocle, i due personaggi appaiono associati sotto diversi punti di vista. In entrambi i casi è

2 Whitman 1982 23-24. 3 Cfr. Gill 1996 115-124.

4 Alcuni dei protagonisti di Aristofane, in particolare Diceopoli, Pisetero e Trigeo condividono aspetti

del proprio carattere con l’Achille dell’Iliade. Per approfondimento vd. Whitman 1964; Sutton 1980; Whitman 1982; Sifakis 1992; Henderson 1993.

5 Alcune caratteristiche dell’Achille omerico si possono riconoscere nel Socrate dei primi dialoghi di

Platone e nei re-filosofi della Repubblica. Per approfondimento vd. Loraux 1995 167-182; Gill 1996 307-320.

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4 focale il problema dell’onore e della perdita dello stesso per mano di un’autorità tirannica che non rispetta il patto non scritto fra eroe e società: gli Atridi, e in particolare Agamennone, sono nemici giurati e sono disprezzati in maniera assoluta da entrambi. Il rapporto di Aiace e Achille con i rispettivi affetti è poi egualmente speculare: Telamone e Peleo, padri distanti che non rivedranno più i rispettivi figli, svolgono una funzione imprescindibile nella vita di entrambi e un ruolo parallelo giocano anche Tecmessa e Briseide, spose di lancia, che si trovano a metà strada fra semplice possedimento e dono di guerra e compagne legittime. Entrambi, inoltre, convergono verso lo stesso antagonista: Ettore, il quale passa dall’essere un avversario rispettato a ‘il più odiato fra gli stranieri’, catalizzatore dei sentimenti violenti e dell’ira di Aiace e Achille. Infine, è evidente come il percorso dei due eroi possa concludersi solo con la propria auto-distruzione: come Aiace terminerà la sua vita lanciandosi sulla spada donata dal nemico per eccellenza, così Achille decreterà la propria disfatta affrontando e uccidendo Ettore, ultimo ostacolo che separava il ‘migliore degli Achei’ dal suo destino di morte.

Nella seconda parte, invece, ci concentriamo su un’altra opera di Sofocle, questa volta appartenente alla fase finale della sua produzione: il Filottete. Si tratta di una tragedia molto diversa dall’Aiace, dove nessuno dei personaggi spicca veramente sugli altri nel ruolo di protagonista e dove la vicenda si sviluppa grazie all’azione congiunta dei tre caratteri principali: Odisseo, Neottolemo e, naturalmente, Filottete. Per cominciare, è necessario osservare come e quando la figura di Neottolemo abbia fatto la sua comparsa sul panorama letterario antico e come sia stata differentemente interpretata in epica e in tragedia prima di Sofocle. Neottolemo è il figlio di Achille e dunque sempre porta il peso di una tale eredità: fin dalla sua prima menzione, all’interno dell’Iliade, il rapporto col padre appare quantomeno nebuloso, incerto, poco definito. Prima di fare la sua comparsa nel Ciclo Epico, Neottolemo è il figlio che Achille non ha mai conosciuto, su cui non ha nemmeno mai posato gli occhi e dal quale il Pelide si aspetta una totale corrispondenza con se stesso. Quando infine fa il suo ingresso in letteratura, egli viene dipinto come un sostituto di Achille, uno specchio di suo padre, sì, ma ancora più

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5 violento e sanguinario. È un personaggio difficile da approcciare per i tragici: Eschilo non lo userà mai nelle sue tragedie, Euripide, invece, ne stravolgerà completamente l’essenza. Non vi è tragedia tramandata, scritta da Euripide, che veda Neottolemo come personaggio tragico, eppure sono almeno due – Ecuba e Andromaca – le opere in cui la sua assenza pesa più di un’eventuale presenza. Attraverso un sapiente gioco di allusioni e per mezzo dello sfruttamento del peso del suo nome – e di quello di suo padre – Euripide crea un personaggio nuovo, chiaroscurale, deliberatamente escluso. Sarà Sofocle a inventare il Neottolemo personaggio drammatico. Sappiamo di sei, forse sette tragedie composte da Sofocle in cui Neottolemo doveva comparire; la nostra attenzione, però, si concentra principalmente sul Filottete. Achille aleggia sullo sfondo dell’intera tragedia come un fantasma, onnipresente pur essendo morto da diverso tempo. Fin dall’inizio, Neottolemo sente pesare su di sé l’eredità paterna, il suo desiderio più profondo è assomigliare a suo padre, essere come lui, non disonorare il suo nome. Fin dall’inizio, però, allo stesso tempo, Neottolemo viene preso sotto l’ala di quello che nel V secolo è identificato come l’esatto opposto di Achille: Odisseo. Intrigante e macchinatore, il signore di Itaca tenta in tutti i modi di fare leva sulla giovane età del ragazzo per cambiarne la natura. Tutta la tragedia ruota intorno a due grandi conflitti: quello di Neottolemo, in bilico fra ciò che ci si aspetta da lui in quanto figlio di Achille e ciò che può diventare seguendo il modello di Odisseo, e quello di Filottete, l’ultimo degli eroi. Filottete è la figura achillea per eccellenza della tragedia: isolato, solo, in completo contrasto con la società e con l’autorità, valuta l’onore e la lealtà – alle sue condizioni – più di ogni altra cosa. Egli non è un secondo Achille, come lo era Aiace, ma, abbandonato per dieci anni su un’isola remota, è rimasto indietro a un mondo e a dei valori che non esistono più, fagocitati da una nuova realtà, personificata da Odisseo, l’ingannatore. Filottete è il rappresentante di un èthos e di un’epoca perduti e l’intera tragedia è la sua Iliade. Il dramma è costruito come il nono libro dell’Iliade e come i Mirmidoni: Filottete, isolato e adirato, viene visitato da diversi personaggi che tentano di convincerlo a tornare in guerra. Le ambascerie si susseguono, fallimentari, una dopo l’altra, fino alla definitiva risoluzione per intervento di un affetto: la comparsa di Eracle è ciò che per Achille è la morte di Patroclo, l’unica

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6 ragione che spinga il protagonista ad agire. Allo stesso tempo, si risolve anche il dilemma di Neottolemo: non è necessaria una scelta fra i due modelli paterni, è possibile trovare un compromesso. Sofocle mette a confronto due concezioni della vita, una achillea e una odissiaca, ne valuta pro e contro e infine sembra mostrare che l’unica soluzione sia fonderle fra di loro, non scegliere l’una piuttosto che l’altra.

Cosa rimane, dunque, di Achille, in queste opere monumentali? Egli resta modello e paradigma di una società che non esiste più, che non è mai veramente esistita nella forma descritta dal suo autore, ma che è stata rivista e reinterpretata dal poeta che con la sua opera ha dato il via alla letteratura occidentale. Achille, attraverso il teatro, continua a mostrarsi figura multiforme, soggetta al cambiamento, esattamente come gli eroi tragici di cui è il paradigma, il riferimento, il primo esemplare. Le qualità – e i difetti – da lui impersonati – l’onestà, la forza, il valore, ma anche l’ostinato individualismo, l’ira, la violenza, il furore – continuano a essere ripresi, rimaneggiati all’interno del teatro, poiché rappresentano i prototipi irrinunciabili, gli stampi dai quali vengono create statue sempre più complesse, variegate, nuove. E Sofocle, in particolare, è maestro di questa arte: i suoi eroi tragici non perdono mai di vista il modello, ne sono espressione, ne traggono caratteristiche che se a una prima occhiata possono sembrare nascoste, a una lettura più approfondita non è possibile trascurare. Eduard Fraenkel, nei Due seminari romani, disse: ‘De Sophocle Homeri discipulo è il lavoro che vorrei fare, ma una vita non basterebbe’ e non vi è nulla di più vero: il modo in cui il poeta riesce a isolare i grandi temi dell’epica – e in particolare l’eroe dell’epica per eccellenza – e a riportarli all’interno di un mondo nuovo, sfaccettato, in continuo mutamento com’era quello del V secolo, modificandoli e modellandoli intorno alla nuova realtà pur senza snaturare la loro natura, è una caratteristica unica del suo teatro, che non può che farci desiderare che quell’opera, un giorno, venga scritta.

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7

Achille e Aiace

L’eroe – che esso sia omerico, tragico o moderno – è sempre una figura sola.

Questa solitudine deriva dalla sua natura eccezionale: essere unico è ciò che lo fa risaltare e lo identifica come sovraumano. Solamente queste caratteristiche tracciano la linea comune a ogni eroe in ogni epoca: la solitudine intrinseca e l’eccezionalità. Comunque, se ci concentriamo di più sui particolari, apparirà chiaro che le similitudini finiscono qui: Achille ha ben poco in comune con Amleto e nessuno penserebbe mai di associare Antigone ed Emma Bovary.

L’eroe classico, sia quello omerico che quello tragico, mostra i propri splendori e le proprie miserie e deve rientrare in categorie definite dal tempo e dalla società. Il suo primo obiettivo è dimostrare la propria peculiarità. L’eroe deve ‘distinguersi nello sforzo agonale – “essere sempre il migliore” – in energia, coraggio, risolutezza e abilità’, come Wolfgang Schadewaldt sottolinea nella sua opera Der Aufbau der Ilias.6

Ci sono ulteriori elementi che fanno sì che un eroe si distingua dalla gente comune – l’essere aristocratico, il valore militare, l’onore, la lealtà – ma tutte loro trovano inevitabilmente il loro punto focale in questo.

L’eroe deve essere ἄριστος, il migliore, per essere, nel concreto, un eroe e la sua ἀριστεία deve essere riconosciuta dalla comunità, il cui giudizio è essenziale. Infatti, quando questo riconoscimento viene a mancare, il legame tra l’individuo e i suoi compagni si spezza e chi era prima identificato come eroe, immediatamente passa da essere umano eccezionale a emarginato. Il patto tra la società e l’eroe può essere spezzato in molti modi, ma ogni volta è l’eroe che sceglie deliberatamente di provocare questa rottura, mostrando che non può e non vuole vivere in una comunità che è naturalmente portata a isolarlo: Achille sceglie di ritirarsi dalla battaglia, Aiace sceglie

6 Schadewaldt 1975 7: ‘sich vor allem im agonalen Streben – ›immer der Beste sein‹ – durch Tatkraft,

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8 di uccidere i capi Achei. Alla radice di questa scelta, tuttavia, c’è una causa e questa causa è generalmente il diritto dell’eroe a essere τίμιος, onorato; se l’eroe sente che la comunità ha tradito questo principio, se si sente ἄτιμος, allora compirà la sua scelta e le conseguenze non porteranno ad altro che dolore e morte.

Non a caso ho usato Achille e Aiace come esempi, dal momento che sono due eroi strettamente connessi l’uno all’altro, sia nell’epica che in tragedia. La notevole influenza che la figura di Achille ha avuto sul teatro greco è particolarmente evidente nella persona del protagonista del capolavoro di Sofocle.

Non è un mistero che Sofocle sia famoso per essere ‘il più omerico’ dei tragici;7 fu un

tale cliché nell’antichità da divenire proverbiale: Diogene Laerzio riporta che lo scolarca Polemone, il terzo successore di Platone, fosse solito dire che Omero era il Sofocle dell’epica e Sofocle l’Omero della tragedia.8 Questa affermazione può essere

considerata vera se la prendiamo come punto di partenza: Sofocle può essere considerato veramente omerico se con questo intendiamo che portò ‘new kinds of perception and sensibility’9 nei suoi modelli epici. A partire da questo assunto

possiamo dire che fu in grado, forse più di ogni altro, di trasferire la sua contemporaneità, i nuovi valori, la nuova sensibilità, all’interno di un mondo che appariva lontano ed estraneo; allo stesso tempo, riuscì a calare una società fittizia e perduta nell’Atene del V secolo. Nelle sue tragedie convivono due mondi distantissimi e opposti, due modelli di società che non possono coesistere e quindi non fanno altro che scontrarsi, pur, inevitabilmente contaminandosi l’uno con l’altro.

Alla luce di ciò, Aiace appare essere il più omerico dei suoi personaggi e il suo modello più ovvio viene ad essere Achille.

7 Cfr. Davidson 2012 245-246.

8 Diog. Laert. 4.20: ἔλεγεν οὖν τὸν μὲν Ὅμηρον ἐπικὸν εἶναι Σοφοκλέα, ‹τὸν› δὲ Σοφοκλέα Ὅμηρον

τραγικόν.

Dunque diceva che Omero è il Sofocle dell’epica e Sofocle l’Omero della tragedia.

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9 L’Achille di Omero è senza dubbio il fulcro principale per Sofocle, ma non può essere trascurato come l’Achille di Eschilo possa aver influenzato Sofocle. Si è supposto che i Mirmidoni, la più famosa e più rappresentata tragedia della ricostruita Achilleide di Eschilo,10 sia stata messa in scena per la prima volta nella seconda decade del V secolo. Tuttavia, questa datazione alta presenta a suo sostegno soltanto documenti iconografici. All’inizio dei Mirmidoni, Achille appariva al pubblico seduto presso la sua tenda, silenzioso e velato, refrattario a qualunque contatto, in modo da esprimere drammaticamente la sua ira e il suo sdegno. Questa posa è ripresa in numerose rappresentazioni vascolari,11 le più antiche delle quali risalgono al 490 a.C., che rappresentano la scena della famosa ambasceria ad Achille, narrata nella sua versione più conosciuta nel nono libro dell’Iliade. Inoltre, essa si ritrova in un dipinto di Duride sul tondo di una coppa conservata al Getty Museum (83.AE.217; LIMC: MID16785, SMID17449, ‘Odysseus’ 951p), databile al 490: Hellström12 la interpreta come una

scena di seduzione tra un erastes e un eromenos – rappresentato alla maniera dell’Achille corrucciato – che sarebbero lo specchio del rapporto omoerotico fra Achille e Patroclo, esplicito nei Mirmidoni.13 Datare un’opera teatrale basandosi sulle

rappresentazioni vascolari, tuttavia, presenta problemi:14 innanzitutto, banalmente, la datazione vascolare è una ‘scienza inesatta’15 e, in secondo luogo, se è vero che è

possibile che i dipinti vascolari si siano ispirati ad Eschilo, è anche possibile che

10 Cfr. Schadewaldt 1936.

11 P.e. ‘Ambasciata ad Achille’, Basel, Antikenmuseum und Sammlung Ludwig, Inventory: BS 477 (1.

Inv.), ca. 480 a.C., LIMC: MID12573, SMID55038, ‘Achilleus’ 453; ‘Ambasciata ad Achille’, München, Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek, Inventory: N.I. 8770 (1. Inv.), ca. 480 a.C., LIMC: MID6001, SMID6111, ‘Achilleus’ 445; ‘Ambasciata ad Achille’, London, British Museum, Inventory: E 56 (1. Inv.), LIMC: MID44234, SMID46517, ‘Achilleus’ 444; ‘Briseide viene portata via’ London, British Museum, Inventory: E 76 (1. Inv.), 1843.11-3.92 (2. Inv.), LIMC: MID27338, SMID28721, ‘Briseis’ 1, ‘Briseis’ 14; ‘Achille velato’ London, British Museum, Inventory: E 363 (1. Inv.), LIMC: MID15525, SMID16033, ‘Achilleus’ 515. Cfr. Döhle 1967, Döhle 1983, Kossatz-Deissmann 1987, Kossatz-Kossatz-Deissmann 1981, Müllner 2012.

12 Hellström 1990 cit. ap. Totaro 2010 161. 13 Cfr. frr. *134a-137 Radt. Cfr. Dover 1978 197.

14 L’unico caso in cui possiamo essere certi che una scena rappresentata su un vaso faccia riferimento a

un dramma è quello in cui ci è possibile vedere dipinti oggetti scenici sul vaso stesso, come affermò Maria Pia Pattoni al Colloquio Internazionale Eschileo tenutosi all’Accademia dei Lincei nel Maggio 2016, in seguito a una mia domanda in proposito.

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10 Eschilo abbia fatto riferimento a un modulo iconografico già sperimentato, influenzato da scene dell’ambasceria epica.16 Tuttavia, non mi sento di affermare che sia

impossibile ipotizzare una datazione per i Mirmidoni: dal fr. 131 Radt sappiamo che la tragedia si apriva con il canto del coro. Troviamo la coincidenza prologo-parodo solo in altre due tragedie: i Persiani e le Supplici. I Persiani è la più antica tragedia a noi arrivata (472 a.C.), mentre le Supplici è una tragedia volutamente arcaizzante; infatti, benché messa in scena intorno al 463, essa presenta elementi di arcaicità: la forte preponderanza del coro e il ruolo subordinato del deuteragonista – o comunque la preponderanza quasi esclusiva del primo attore – elementi che fino alla scoperta del P.Oxy. 2256, avevano portato gli studiosi a considerarla la più antica, datandola addirittura al 490. Su questa base, dunque, da ciò che possiamo evincere dalla conoscenza che abbiamo delle opere rimaste di Eschilo, i Mirmidoni si possono collocare tra i Persiani e le Supplici o tra i Persiani e i Sette a Tebe (467 a.C.) o ancora prima dei Persiani.17

I Mirmidoni comprende gli eventi narrati nei libri IX-XVIII dell’Iliade. Doveva aver riscosso un grande successo, dal momento che Aristofane ne fa la parodia – insieme ad altre famose tragedie composte da Eschilo – nelle Rane almeno sessant’anni dopo, prendendo in considerazione la datazione più recente tra quelle suggerite sopra. Dunque, sembra alquanto possibile che tale rappresentazione di Achille possa aver avuto un notevole impatto su Sofocle18. Inoltre, ci è noto dalla Vita di Eschilo e da altre fonti19 che gli Ateniesi approvarono un decreto che permetteva a chiunque lo volesse di ottenere un coro per mettere in scena qualsiasi dramma di Eschilo dopo la sua morte.

16 Cfr. Massei 1969 148-165, Giuliani 2003 233-241, Taplin 2007 84.

17 Sommerstein 2009 135 ipotizza che possa essere stata la prima vittoria di Eschilo nel 485/4 a.C. 18 Incrociando le informazioni dateci da Plinio il Vecchio (Nat. Hist. 18.12.65) e da Plutarco (Cim. 8)

possiamo affermare che Sofocle partecipò all’agone teatrale per la prima volta nel 469-468 a.C. Infatti, Plutarco ci dice che gareggiò per la prima volta sotto l’arcontato di Apsefione (469-468 a.C.), e Plinio che il suo primo lavoro fu il Trittolemo, messo in scena 145 anni prima della morte di Alessandro Magno (fr. 600 Radt). Anche sul Marmor Parium (56) è riportata una vittoria di Sofocle a 28 anni, durante l’arcontato di Apsefione. Cfr. Radt 19862 446; Lessing 1766 98ss.; Pohlenz 1961 84. La datazione di

Eusebio al 470 precede di un solo anno quella qui data.

19 Scil. Sch. Aristoph. Ach. 8-11 Wilson; Quint. Inst. Or. 10.1.66; Philostr. Ap. 6.11; Sch. Aristoph. Ran.

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11 Nonostante ci siano dubbi sul fatto che questo decreto sia realmente esistito – non è riportato nessun dettaglio, né l’anno di pubblicazione, né il nome dell’arconte – è innegabile che la pratica delle antiche repliche divenne prassi comune sicuramente a partire almeno dalla fine del V secolo,20 quindi non si può escludere che questa pratica possa aver avuto inizio proprio con uno speciale permesso riguardante le tragedie di Eschilo.

La prima caratteristica che Achille – sia omerico che tragico – e Aiace hanno in comune è l’isolamento – e non solo un isolamento metaforico:21 si dice in Iliade VII, 8-9 che

Achille e Aiace hanno allestito i loro alloggi alle estremità del campo greco, Aiace a est, Achille a ovest. Sono gli eroi più forti e valorosi, dunque è naturale che a loro siano assegnate ‘the end positions because those are the sectors which are most vulnerable to attack, and so need the strongest defenders’.22 Nell’Iliade, sia Achille che Aiace sono

chiamati ἕρκος Ἀχαιῶν; la definizione è piuttosto comune per Aiace,23 mentre la

troviamo solo una volta riferita ad Achille: Nestore usa la parola ἕρκος per riassumere il suo ruolo nella guerra, supplicando Agamennone di restituirgli Briseide e placare la sua ira.24 Come appare chiaro dalle occorrenze del termine, Aiace, in un certo senso ‘seems to take over the defensive responsibilities of his absent colleague’,25 divenendo

il suo sostituto. Aiace sarà chiamato ἕρκος Ἀχαιῶν finché non affronterà Ettore; l’ultima volta è in Iliade VII, 211, mentre cammina verso il suo nemico. Il duello, però, non si conclude: nessuno dei due eroi muore, smettono di combattere nel momento in cui la notte cala (νὺξ δ᾽ ἤδη τελέθει).26 Da lì in poi, Aiace perde il suo ruolo di

‘baluardo degli Achei’: un muro fisico verrà costruito poco dopo per difendere i Danai dai Troiani. Aiace veste i panni di Achille solo fino al momento in cui si trova faccia a

20 Cfr. Lamari 2015 195: ‘Cf. Herodotus on Phrynicus (above, this chapter), Aristophanes, ancient

scholia (to follow, this chapter), as well as the archaeological evidence based on the remains of theatres across Greece (in Csapo/Wilson, this volume).’

21 Cfr. Hesk 2003 40-41. 22 Taplin 2015 307 n. 4. 23 Il. 3.229, 6.5, 7.211. 24 Il. 1.284. 25 O’Higgins 1989 45. 26 Il. 7.293.

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12 faccia con Ettore, fino all’ultimo stadio possibile: uccidere l’antagonista non è il compito di un sostituto, è quello del primo attore, non è il destino di Aiace, è quello di Achille.

Sofocle non usa questa parola (ἕρκος) né questa espressione (ἕρκος Ἀχαιῶν) nella sua tragedia, ma indugia sulla posizione isolata degli alloggi di Aiace proprio all’inizio: Atena informa immediatamente il pubblico riguardo alla posizione dei suddetti. All’inizio del prologo dice, rivolgendosi a Odisseo: καὶ νῦν ἐπὶ σχηναῖς σε ναυτικαῖς ὁρῶ / Αἴαντος, ἔνθα τάξιν ἐσχάτην ἔχει.27 È sia un modo di dare ‘stage directions’

che un espediente per ricordare che Aiace ha, in un certo senso, il diritto di pretendere l’eredità ‘materiale e simbolica’28 di Achille, perché egli è il suo doppio. Allo stesso

tempo, come abbiamo detto, dire che Aiace vive lontano dal resto dei capi, come Achille prima di e contemporaneamente a lui, mostra la profonda e completa solitudine dell’eroe, di entrambi gli eroi.

Aiace è sempre solo, lungo tutta la tragedia: agisce da solo, massacrando il bestiame,29 lo dice Atena e specifica che è solo e furtivo, un aggettivo che non si addice al tipico comportamento di Aiace;30 quindi si ritira nella sua tenda e quando il coro lo chiama e chiede di lui, durante la parodo, è Tecmessa ad uscire, lasciando l’eroe alla sua miseria; prima di andare a togliersi la vita, Aiace pronuncia l’unico monologo in cui un personaggio si trovi a essere completamente solo in scena;31 infine, muore

27 Soph. Aj. 3-4.

28 Paduano 1982 164 n. 2.

29 Sofocle specifica tre volte che Aiace è solo: la prima volta ad Aj. 29, quando Odisseo descrive le azioni

di Aiace ad Atena (καί μοί τις ὀπτὴρ αὐτὸν εἰσιδὼν μόνον), poi a Aj. 47, quando Atena risponde alle pressanti domande di Odisseo riguardo le dinamiche della vicenda (νύκτωρ ἐφ᾽ ὑμᾶς δόλιος ὁρμᾶται μόνος.); infine anche Tecmessa dice che era μόνος nel compiere il gesto efferato (Aj. 194: κἀγὼ μαθοῦσ᾽ ἔληξ᾽, ὁ δ᾽ ἐσσύθη μόνος.). Cf. Finglass 2011 146 n. vv. 29-31.

30 Cfr. Medda 20159 13.

31 È vero che l’Elettra di Sofocle e forse anche la sua Deianira pronunciano due monologhi

completamente sole, ma lo fanno durante il prologo delle rispettive tragedie: sono sole perché il coro non è ancora entrato in scena. Cfr. Medda 1983 64-66 e Medda 20159 6-7.

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13 totalmente solo, allontanandosi dall’accampamento greco e muovendosi maggiormente verso oriente, isolandosi ancora di più.32

Alla fine del prologo, Aiace rientra nella sua tenda per torturare l’ariete che crede sia Odisseo, ma poi, quando torna in sé, reagisce violentemente, piangendo e lamentandosi in un modo molto inusuale, per lui, almeno. Tecmessa lo nota e afferma di non averlo mai sentito gemere e piangere in quel modo, poiché egli ha sempre detto che lamentarsi era adatto solamente ai codardi.33 Nel concreto, Aiace stesso dirà che le lacrime sono tipiche delle donne, all’interno del dramma: μηδ᾿ ἐπισκήνους γόους / δάκρυε. κάρτα τοι φιλοίκτιστον γυνή.34 Questo rifiuto dell’atto del lamento, che appare peculiare se

pensiamo all’Iliade, dove gli uomini piangono molto e non vi è nulla di vergonoso nel loro pianto, sarebbe suonato invece giusto, probabilmente, all’orecchio di un pubblico del V secolo: dopo i poemi omerici, la lamentazione appare essere strettamente legata alle donne quando incontrollata e gli uomini sono spesso criticati e giudicati troppo effeminati nel momento in cui piangono e si lamentano esageratamente.35 Dunque

abbiamo qui un fenomeno tipicamente epico, descritto dal punto di vista del V secolo. In effetti, questa reazione ricorda quella di Achille, ‘the hero most practiced in the genre of lament’,36 quando Antiloco gli annuncia la morte di Patroclo nel diciottesimo libro

dell’Iliade: entrambi gli eroi, Achille e Aiace, piangono, gemono e si lamentano, entrambi ululano di dolore, colpiscono la propria testa con le mani e si strappano i capelli. Addirittura, Sofocle, per sottolineare a livello retorico il pathos della situazione drammatica, utilizza una figura etimologica ai vv. 308-309, così come fa Omero al v. 26.

32 Aiace è completamente solo e isolato e non dovrebbe, perché ciò sarà la sua rovina: il Messaggero

dice esplicitamente che, seguendo la profezia di Calcante, non dovrebbe essere lasciato solo, né dovrebbe avere l’opportunità di vagare, come anche Teucro ha ordinato (Aj. 795-796: ἐκεῖνον εἴργειν Τεῦκρος ἐξεφίεται / σκηνῆς ὕπαυλον μηδ᾽ ἀφιέναι μόνον). Nuovamente troviamo la parola μόνος a fine verso.

33 Soph. Aj. 317-320: ὁ δ᾽ εὐθὺς ἐξῴμωξεν οἰμωγὰς λυγράς, / ἃς οὔποτ᾽ αὐτοῦ πρόσθεν εἰσήκουσ᾽

ἐγώ· / πρὸς γὰρ κακοῦ τε καὶ βαρυψύχου γόους / τοιούσδ᾽ ἀεί ποτ᾽ ἀνδρὸς ἐξηγεῖτ᾽ ἔχειν. E subito esplose in gemiti amari, che in precedenza io non avevo mai sentito venire da lui; infatti diceva sempre che tali grida sono proprie solo di una nullità e di un vigliacco.

34 Soph. Aj. 579-580. 35 Cfr. Suter 2009 61. 36 Martin 1989 86-87.

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14

Il. XVIII 22-38 Soph. Aj. 307-322

ὣς φάτο, τὸν δ᾽ ἄχεος νεφέλη ἐκάλυψε μέλαινα· ἀμφοτέρῃσι δὲ χερσὶν ἑλὼν κόνιν αἰθαλόεσσαν χεύατο κὰκ κεφαλῆς, χαρίεν δ᾽ ᾔσχυνεπρόσωπον· νεκταρέῳ δὲ χιτῶνι μέλαιν᾽ ἀμφίζανε τέφρη. 25 αὐτὸς δ᾽ ἐν κονίῃσι μέγας μεγαλωστὶ τανυσθεὶς κεῖτο, φίλῃσι δὲ χερσὶ κόμην ᾔσχυνε δαΐζων. δμῳαὶ δ᾽ ἃς Ἀχιλεὺς ληΐσσατο Πάτροκλός τε θυμὸν ἀκηχέμεναι μεγάλ᾽ ἴαχον, ἐκ δὲ θύραζε ἔδραμον ἀμφ᾽ Ἀχιλῆα δαΐφρονα, χερσὶ δὲπᾶσαι 30 στήθεα πεπλήγοντο, λύθεν δ᾽ ὑπὸ γυῖα ἑκάστης. Ἀντίλοχος δ᾽ ἑτέρωθεν ὀδύρετο δάκρυα λείβων χεῖρας ἔχων Ἀχιλῆος: ὃ δ᾽ ἔστενε κυδάλιμον κῆρ· δείδιε γὰρ μὴ λαιμὸν ἀπαμήσειε σιδήρῳ. σμερδαλέον δ᾽ ᾤμωξεν· ἄκουσε δὲ πότνια μήτηρ 35 ἡμένη ἐν βένθεσσιν ἁλὸς παρὰ πατρὶ γέροντι, κώκυσέν τ᾽ ἄρ᾽ ἔπειτα: θεαὶ δέ μιν ἀμφαγέροντο πᾶσαι ὅσαι κατὰ βένθος ἁλὸς Νηρηΐδες ἦσαν.37 καὶ πλῆρες ἄτης ὡς διοπτεύει στέγος, παίσας κάρα 'θώϋξεν· ἐν δ᾽ ἐρειπίοις νεκρῶν ἐρειφθεὶς ἕζετ᾽ ἀρνείου φόνου, κόμην ἀπρὶξ ὄνυξι συλλαβὼν χερί. 310 καὶ τὸν μὲν ἧστο πλεῖστον ἄφθογγος χρόνον· ἔπειτ᾽ ἐμοὶ τὰ δείν᾽ ἐπηπείλησ᾽ ἔπη, εἰ μὴ φανοίην πᾶν τὸ συντυχὸν πάθος, [κἀνήρετ᾽ ἐν τῷ πράγματος κυροῖ ποτέ.] κἀγώ, φίλοι, δείσασα τοὐξειργασμένον 315 ἔλεξα πᾶν ὅσονπερ ἐξηπιστάμην. ὁ δ᾽ εὐθὺς ἐξῴμωξεν οἰμωγὰς λυγράς, ἃς οὔποτ᾽ αὐτοῦ πρόσθεν εἰσήκουσ᾽ ἐγώ· πρὸς γὰρ κακοῦ τε καὶ βαρυψύχου γόους τοιούσδ᾽ ἀεί ποτ᾽ ἀνδρὸς ἐξηγεῖτ᾽ ἔχειν· 320 ἀλλ᾽ ἀψόφητος ὀξέων κωκυμάτων ὑπεστέναζε ταῦρος ὣς βρυχώμενος.38

Riguardo al tema dell’isolamento, c’è un’altra somiglianza tra i due eroi, ma in questo caso possiamo trovarla interamente all’interno della produzione teatrale greca.

Mirmidoni è una tragedia esemplare, per quanto riguarda l’isolamento; possiamo

comprenderlo facilmente esaminando la trama e possiamo notarlo anche dagli scarsi frammenti che abbiamo. Achille è la quintessenza dell’isolamento – isolamento volontario: si ritira dalla battaglia, indugia nella sua rabbia, solo nella sua tenda. Questo tipo di caratterizzazione sembrerebbe essere identico a quello dell’Iliade, in realtà, l’Achille di Eschilo è molto più solo e molto più individualistico: il coro lo supplica di parlare, di lasciare la sua κλισία, di tornare in battaglia in due diversi interventi, prima

37 L’edizione di riferimento per l’Iliade è quella di Allen (1931). 38 L’edizione di riferimento per l’Aiace è quella di Finglass (2011).

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15 nella parodo/prologo39 e poi nel primo stasimo;40 l’ambasceria, che nell’Iliade troviamo al libro IX, verosimilmente lo supplica nel primo episodio,41 ma Achille non risponde, insistendo nel suo testardo esilio. Infine, risponde alla preghiera di Fenice42 durante il secondo episodio – probabilmente intorno alla metà della tragedia43 –, ma, nonostante tutto, sceglie nuovamente di non tornare a far parte della comunità,44 decide accanitamente di rimanere fermo, immobile e muto.

Come Atena sottolinea la solitudine di Aiace all’inizio della tragedia di Sofocle, così il coro fa notare l’isolamento e la immobilità di Achille nel primo frammento dei

Mirmidoni, un frammento che, grazie allo scolio nel manoscritto delle Rane che ne cita

una parte, sappiamo essere l’inizio della tragedia.45

• Fr. 131 Radt ˪Τάδε μὲν λεύσσεις, φαίδιμ᾿ Ἀχιλλεῦ,˩ δοριλ˪υμάντους Δαναῶν μόχθους,˩ οὓς σὺ π̣˪ροπιν εἴσω˩ κλισία˪ς οὕνε̣[ δηΐ . [ ηρ . [ τον̣[ . . .

Tu guardi questo, glorioso Achille,

le sofferenze dei Danai distrutti dalla guerra, 39 Fr. 131 Radt. 40 Cfr. Aesch. Sept. 287 ss. 41 Fr. 132 Radt. 42 Fr. **132b Radt. 43 Cfr. Aristoph. Ran. 923-924. 44 Fr. **132c Radt.

45 Sch. Aristoph., Ran. 992 Chantry: ‘τάδε — Ἀχιλλεῦ’, πρὸς τὸν Αἰσχύλον ὁ χορὸς ἀπὸ τῶν αὐτοῦ·

ἔστι δὲ ἀρχὴ αὕτη Μυρµιδόνων Αἰσχύλου, τοῦτο τὸ ἔπος Αἰσχύλου ἀρχὴ τῶν Μυρµιδόνων. ‘guarda – Achille’, in Eschilo, il coro su di lui: è proprio l’inizio dei Mirmidoni di Eschilo, questo verso è l’inizio dei Mirmidoni di Eschilo.

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16 che sacrific[46 a un tuo interesse . . . dentro

la tua tenda . . . 4

… … … …

Questo frammento che sopravvive, in maniera molto parziale, in P. Oxy. 2163 (II sec. d.C.), doveva appunto porsi all’inizio della tragedia. Le lacune del testo del papiro sono parzialmente integrabili grazie alla tradizione indiretta, che include, oltre al menzionato scolio, il corrispondente passo di Aristofane47, il Lessico dei dieci oratori di Arpocrazione48 e il Commentario all’Odissea di Eustazio di Tessalonica.49

Il v. 1 ci arriva da tradizione indiretta, tramite gli scoli ad Aristofane. Il papiro inizia al v. 2: abbiamo solamente le prime lettere dei versi dal secondo all’ottavo. Il secondo verso è ricostruibile grazie alla collazione con il testo di Arpocrazione. Il terzo verso è il più problematico: sul papiro leggiamo ο̣υccυπ̣[ .50 Arpocrazione presenta a sua volta

un testo incompleto.

τάδε μὲν λεύσσεις, φαίδιμ᾿Ἀχιλλεῦ δοριλυμάντους Δαναῶν μόχθους, οὓς * * * εἴσω κλισίας

Dindorf, nella sua edizione, ci informa che segue l’Αldina nell’indicare lacuna dopo οὓς.51 Inserendo semplicemente il lemma che Arpocrazione sta analizzando, il verso risulterebbe metricamente inaccettabile (οὓς προπεπωκότες εἴσω κλισίας), dunque,

46 [ : è verosimile che si tratti di una forma non identificabile di προπίνω (‘sacrificare qualcosa a un

proprio interesse’).

47 Aristoph. Ran. 992.

48 Harp.1 259,10 Dind.: προπεπωκότες· ἀντὶ τοῦ προδεδωκότες. ἐκ μεταφορᾶς δὲ λέγεται.

Δεμοσθένης ὑπὲρ Κτησιφῶντος (18,196). ἐν ἀρχῆι τῶν Μυρμιδόνων Αἰσχύλος ‘τάδε μὲν λεύσσεις, φαίδιμ᾿Ἀχιλλεῦ / δοριλυμάντους Δαναῶν μόχθους, / οὓς * * *εἴσω κλισίας᾿.

προπεπωκότες (‘che ha tradito’, ‘traditore’): al posto di προδεδωκότες. È detto in senso metaforico. Demostene lo dice a proposito di Ctesifonte. All’inizio dei Mirmidoni, Eschilo: ‘Tu guardi questo, glorioso Achille, le sofferenze dei Danai distrutti dalla guerra, che * * * tenda’.

49 Eustath. Od. 1941 46. 50 Cfr. Lobel 1941 23.

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17 vi è una lacuna e/o una corruttela. Sono state fatte varie ipotesi per sanare il testo: Heath52 ipotizzò προπεπωκώς dopo οὓς seguito, prima o dopo εἴσω κλισίας da un verbo alla seconda persona; Hermann53 proseguì su questa strada, indicando come

possibile scelta μίμνεις o θάσσεις. Più di recente, anche Cantarella54 accetta la lezione

di Heath, proponendo però di inserire, dopo εἴσω κλισίας, il verbo κείσαι. Da tutti si distingueva Blomfield55, integrando οὓς σὺ προπίνεις. Questa lezione è accettata da Sommerstein56 che accoglie anche θάσσων proposto da Taplin57: οὓς σὺ προπίνεις

<θάσσων> εἴσω / κλισίας (‘che tu sacrifichi a un tuo interesse, stando seduto dentro la tua tenda’). Invece Smyth e Lloyd-Jones58 seguono Heath ed Hermann restituendo

così il testo οὓς <προπεπωκὼς> εἴσω κλισίας / <θάσσεις> (‘avendo sacrificato […] a un tuo interesse, stai seduto dentro la tua tenda’). Mette59 aveva invece proposto: οὓς

προπίνων θάσσεις εἴσω κλισίας (‘sacrificando […] a un tuo interesse, stai seduto dentro la tua tenda’).

Dunque, la lacuna che abbiamo nel papiro e che in qualche modo troviamo anche in forma di corruttela e/o di vera e propria lacuna nella tradizione indiretta, non ci permette di avere il verbo chiave al v. 3, ma gli studiosi – anche se, come abbiamo visto, non concordi sul modo di emendare – sono d’accordo nel dire che doveva comprendere o trattarsi di un verbo che implichi stasi. Achille vede, osserva (λεύσσει), la distruzione dell’esercito; eppure non fa nulla, ma sta fermo (θάσσει).60 ‘A cet

immobilisme s’ajoute le silence obstiné du personnage’61, che, come abbiamo detto, si

rifiuta di parlare per, probabilmente, quasi metà tragedia.

52 Heath 1762 160. 53 Hermann 1834 137. 54 Cantarella 1948 99. 55 Blomfield 1830 xvii. 56 Sommerstein 2009 136-137. 57 Taplin 1972 66 n. 27.

58 Smyth, Lloyd-Jones 1957 ad loc. 59 Mette 1959 ad loc.

60 Parafrasando l’emendamento di Sommerstein 2009 136-137. 61 Deschamps 2010 182.

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18 D’altra parte, non possiamo asserire che Aiace sia un protagonista muto, ma vi è qualcosa nella caratterizzazione sofoclea che fa riferimento al silenzio di Eschilo, reso famoso da Aristofane nelle Rane. Nel passo che inizia al v. 907 e termina al v. 926, il personaggio-Euripide sta criticando Eschilo per la sua tendenza a rendere comparse, attori di sfondo, i personaggi principali per la prima metà dei suoi lavori, traendo in inganno il pubblico, fino a che essi infine iniziano a parlare, usando termini ‘pesanti come buoi’.62

Aiace entra in scena presto, all’interno del prologo; viene chiamato da Atena (vv. 71-73) e pronuncia le sue prime parole al v. 91, dopo il breve, quasi comico alterco fra la dea e Odisseo. Nei versi seguenti, osserviamo Atena prendersi gioco dell’eroe che ella stessa aveva fatto impazzire. Quindi, poco dopo, al v. 117, Aiace torna dentro la tenda, lasciando Atena e Odisseo soli; il prologo si conclude dopo il rapido scambio di parole tra di loro e subito dopo inizia la parodo.

62 Aristoph. Ran. 907-926: ΕΥ. καὶ μὴν ἐμαυτὸν μέν γε, τὴν ποίησιν οἷός εἰμι, / ἐν τοῖσιν ὑστάτοις φράσω, τοῦτον δὲ πρῶτ’ ἐλέγξω, / ὡς ἦν ἀλαζὼν καὶ φέναξ, οἵοις τε τοὺς θεατὰς / ἐξηπάτα, μώρους λαβὼν παρὰ Φρυνίχῳ τραφέντας. (910) / πρώτιστα μὲν γὰρ ἕνα τιν’ ἂν καθεῖσεν ἐγκαλύψας, / Ἀχιλλέα τιν’ ἢ Νιόβην, τὸ πρόσωπον οὐχὶ δεικνύς, / πρόσχημα τῆς τραγῳδίας, γρύζοντας οὐδὲ τουτί. | ΔΙ. μὰ τὸν Δί’ οὐ δῆθ’. | ΕΥ. ὁ δὲ χορός γ’ ἤρειδεν ὁρμαθοὺς ἂν (914,bis) / μελῶν ἐφεξῆς τέτταρας ξυνεχῶς ἄν· οἱ δ’ ἐσίγων. (915) | ΔΙ. ἐγὼ δ’ ἔχαιρον τῇ σιωπῇ, καί με τοῦτ’ ἔτερπεν / οὐχ ἧττον ἢ νῦν οἱ λαλοῦντες. | ΕΥ. ἠλίθιος γὰρ ἦσθα, (917,bis) / σάφ’ ἴσθι. (918) | Δι. κἀμαυτῷ δοκῶ. τί δὲ ταῦτ’ ἔδρασ’ ὁ δεῖνα; (918,bis) | ΕΥ. ὑπ’ ἀλαζονείας, ἵν’ ὁ θεατὴς προσδοκῶν καθῇτο, (919) / ὁπόθ’ ἡ Νιόβη τι φθέγξεται· τὸ δρᾶμα δ’ ἂν διῄει. (920) | ΔΙ. ὢ παμπόνηρος, οἷ’ ἄρ’ ἐφενακιζόμην ὑπ’ αὐτοῦ. / τί σκορδινᾷ καὶ δυσφορεῖς; | ΕΥ. ὅτι αὐτὸν ἐξελέγχω. (922,bis) / κἄπειτ’ ἐπειδὴ ταῦτα ληρήσειε καὶ τὸ δρᾶμα (923) / ἤδη μεσοίη, ῥήματ’ ἂν βόεια δώδεκ’ εἶπεν, / ὀφρῦς ἔχοντα καὶ λόφους, δείν’ ἄττα μορμορωπά, (925) / ἄγνωτα τοῖς θεωμένοις.

EU. Che cosa valgo io nella poesia, lo dirò alla fine: prima voglio smascherare costui, quanto era

ciarlatano e truffatore e come imbrogliava gli spettatori, che già gli erano arrivati rincretiniti dalla scuola di Frinico. All’inizio metteva in scena qualcuno imbacuccato, Achille o Niobe, senza neanche far

vedere la faccia. Vere e proprie comparse, che non spiccicavano parola. | DI. È vero, perdio! | EU.

E il coro ci appoggiava anche quattro filze di canti una dopo l’altra; e quelli sempre zitti. | DI. Però a me piaceva quel silenzio, non meno delle chiacchiere di oggi. | EU. Perché eri un ingenuo. | DI. Pare anche a me. Ma perché faceva così? | EU. Te l’ho detto, perché era un ciarlatano: lo spettatore stava ad aspettare che Niobe parlasse, e il dramma andava avanti. | DI. Maledetto, così mi imbrogliava? (A Eschilo.) Ma perché ti agiti e smanii? | EU. Perché lo smaschero. Poi, dopo queste insulsaggini, quando

il dramma era verso la metà, ci piazzava una dozzina di parole pesanti come buoi, superbe e

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19 Il coro inizia a cantare rivolgendosi personalmente ad Aiace (Τελαμώνιε παῖ, τῆς ἀμφιρύτου / Σαλαμῖνος ἔχων βάθρον ἀγχιάλου)63, in modo simile, il coro si

rivolge ad Achille all’inizio dei Mirmidoni ([…] φαίδιμ᾿ Ἀχιλλεῦ) ed entrambi i personaggi non rispondono immediatamente.64

Non possiamo sapere con certezza quanto tempo dopo questo appello l’Achille di Eschilo iniziasse a parlare ma, come abbiamo fatto presente prima, probabilmente doveva essere dopo il primo episodio – durante il quale l’ambasceria corrispondente a quella del nono libro dell’Iliade doveva essere rappresentata – e dopo il primo stasimo, quindi almeno dopo circa cinquecento versi. È vero che non dovremmo dare del tutto credito ad Aristofane65 – plausibilmente sta esagerando – ma allo stesso tempo dobbiamo considerare che ha basato l’intero contrasto fra Eschilo ed Euripide sul fatto che i personaggi di Eschilo fossero famosi per i loro silenzi mentre quelli di Euripide per la loro loquacità. Quando Eschilo entra in scena per la prima volta nelle Rane, rimane in silenzio di fronte alla battuta iniziale di Euripide, Dioniso stesso attira l’attenzione del pubblico su questo silenzio ed Euripide lo prende in giro fino a che egli non esplode, in una chiara parodia dei suoi personaggi.66 Achille, infatti, non è l’unico personaggio a essere stato in silenzio per lungo tempo, Niobe era l’altra protagonista che Aristofane prende a esempio: ella rimane in silenzio per due giorni sulla tomba dei suoi figli e lo sappiamo non solo da Aristofane, ma anche da un papiro (PSI 1208 F 173 Mette).67 Questo significa che nell’Atene del V sec. questa contrapposizione

doveva essere sentita dal pubblico del teatro di Dioniso: i silenzi di Eschilo erano probabilmente quasi proverbiali.68

63 Soph. Aj. 134-135. 64 Scil. alla fine della parodo.

65 Cfr. Taplin 1972 59: ‘This is not Aristophanes of Byzantium: our Aristophanes can no more be taken

at face value as a source for the history of literature than for the history of politics of philosophy. But he still must have had certain scenes from Aeschylus in mind, and they would have to be recognisable beneath the comedy.’

66 Aristoph. Ran. 830-840.

67‹τριταῖ›ον ἧμαε τόνδ᾿ἐφημένη τάφον. La congettura τριταῖον fu fatta da E. Wolff, ma anche senza,

il paragone con Vit. Aesch. 6 è cogente: ἕως τρίτης ἡμέρας ἐπικαθημένη τῶι τάφωι. Cfr. Di Benedetto 1967 376-377.

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20 Sofocle aspetta duecentosedici versi prima di inserire un intervento di Aiace, riservando il ruolo del primo (e anche privilegiato) interlocutore del coro a Tecmessa,69 anche se esso si era rivolto direttamente ad Aiace all’inizio della parodo.

Prendendo innanzitutto in esame il momento in cui Aiace inizia a parlare, si può notare che la prima frase pronunciata da Aiace dopo essere tornato in sé non è una vera e propria frase, ma un’espressione di dolore, pronunciata dall’interno della tenda: ἰώ μοί μοι70, ripetuta identica dopo pochi versi, al v. 336. Al v. 339 Aiace chiede di

suo figlio, poi, ai vv. 342-343 di suo fratello, con parole che potremmo nel concreto definire, usando l’espressione aristofanea ‘pesanti come buoi’71: Τεῦκρον καλῶ. ποῦ

Τεῦκρος; ἢ τὸν εἰσαεὶ / λεηλατήσει χρόνον, ἐγὼ δ᾽ ἀπόλλυμαι;. Inoltre, ῥήματα βόεια sono anche le parole che pronuncia quando entra fisicamente in scena (vv. 349-361), dal momento che si rivolge finalmente al coro parlando delle onde vorticose di una tempesta di sangue72 e, dopo la loro risposta, chiede loro di ucciderlo.73

Durante il dialogo fra Tecmessa e il coro, quest’ultimo le chiede quale sia l’origine della follia di Aiace74 ed ella inizia un lungo discorso (dal v. 284 al v. 330) in cui narra gli eventi della notte trascorsa. Nel bel mezzo di esso, al v. 311, fa notare che dopo aver capito cosa gli è accaduto, Aiace è rimasto seduto a lungo, senza parlare: καὶ τὸν μὲν ἧστο πλεῖστον ἄφθογγος χρόνον75, verso che riecheggia la frase che Achille pronuncia nel frammento **132b Radt dai Mirmidoni: πάλαι σιωπῶ κοὐδεν […] / […] ἀντέλεξα76 quando finalmente prende la parola.

69 Soph. Aj. 233. 70 Soph. Aj. 333. 71 Cf. Ar. Ran. 924.

72 Soph. Aj. 351-353: ἴδεσθέ μ’ οἷον ἄρτι κῦ- / μα φοινίας ὑπὸ ζάλης / ἀμφίδρομον κυκλεῖται.

Guardate quale onda sotto il soffio di un’incombente tempesta di sangue mi avvolge.

73 Soph. Aj. 361: ἀλλά με συνδάιξον.

Avanti, uccidimi.

74 Soph. Aj. 282-283: Τίς γάρ ποτ᾿ ἀρχὴ τοῦ κακοῦ προσέπτατο; / Δήλωσον ἠμῖν τοῖς

ξυναλγοῦσιν τύχας.

Quale fu l’origine del male che lo prese? Rendi manifesto ciò che accadde a noi che soffriamo con te.

75 Cf. Finglass 2011 223 n. ad vv. 284-330; 231 n. ad v. 311. 76 Fr. **132b Radt 8-9: πάλ]αι σιωπῶ κοὐδ|εν [.]στ . μ[

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21 Non è sorprendente né esagerato che Aiace chieda di essere ucciso. Come abbiamo detto prima, l’eroe omerico è profondamente legato al suo proprio senso dell’onore, la sua τιμή, e quando ne è privato quando non riceve un pubblico riconoscimento di essa, la sua vita perde di significato. Comunque, sarebbe inaccurato restringere il significato di τιμή solo al senso astratto di ‘onore’; infatti, questa parola è strettamente connessa a γέρας, il ‘segno d’onore’, ‘dono onorifico’, e talvolta i due significati appaiono giustapposti.77 Solo i capi hanno il permesso di avere un γέρας; questo dono non viene dal bottino che è generalmente equamente suddiviso tra i membri dell’esercito, ma è esclusivo e personale. Il greco usa parole diverse per indicare ciò che viene suddiviso in parti uguali all’interno della comunità: le parole μοῖρα e αἶσα trasmettono l’idea di una società basata su una sostanziale equità, una società verso la quale possiamo solo lanciare un’occhiata, a questo punto.78

Sia Achille che Aiace sono stati privati dei loro doni: Agamennone ha sottratto Briseide ad Achille,79 gli Atridi si sono rifiutati di assegnare le armi di Achille ad Aiace, armi che – dice Aiace – Achille gli avrebbe dato, se fosse stato ancora vivo.80 Entrambi hanno conquistato i loro γέρα combattendo in guerra, soffrendo grandemente,81 ed

entrambi sono ora disonorati dagli stessi pari che un tempo avevano riconosciuto la loro grandezza.82

Inoltre, entrambi gli eroi sono convinti di essere stati trattati ingiustamente, che la loro umiliazione non sia giustificata né giustificabile.83 Nell’Aiace, le parole di Teucro insistono su questo concetto, sottolineando il coraggio di Aiace, che avrebbe meritato

77 Cfr. Il. 9.601-605. Cfr. Adkins 1960 28-30. 78 Cfr. Ciani-Avezzù 1998 109 n. 23.

79 Cfr. Il. 1.161: καὶ δὴ μοι γέρας αὑτὸς άφαιρήσεσθαι ἀπειλεῖς.

E tu proprio minacci di togliermi il premio.

80 Soph. Aj. 441-446: εἰ ζῶν Ἀχιλλεὺς τῶν ὅπλων τῶν ὧν πέρι / κρίνειν ἔμελλε κράτος ἁριστείας

τινί, / οὐκ ἄν τις αὔτ’ ἔμαρψεν ἄλλος ἀντ’ ἐμοῦ. / νῦν δ’ αὔτ’ Ἀτρεῖδαι φωτὶ παντουργῷ φρένας / ἔπραξαν, ἀνδρὸς τοῦδ’ ἀπώσαντες κράτη.

Se Achille fosse vivo e riguardo alle sue armi avesse voluto scegliere di attribuire una vittoria in valore a qualcuno nessun altro avrebbe potuto impugnarle tranne me.

81 Cfr. Il. 1.162: [γέρας] ᾧ ἔπι πολλὰ μόγησα.

[Un dono] per il quale ho sofferto moltissimo.

82 Cfr. Il. 1.149-171; Soph. Aj. 98, 426-427, 446. 83 Cfr. Gill 1996 206-207.

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22 una χάρις speciale,84 e anche Odisseo ammette che Aiace è stato trattato

ingiustamente.85 Nell’Iliade, Achille si lamenta a proposito di questa ingiustizia nel nono libro, quando si trova davanti all’ambasceria.86

Per essere onorato e per meritare onore, all’eroe devono essere riconosciute le sue gesta militari, gesta che lo hanno portato ad ottenere lo status di ἀρείων, ma deve anche ricevere una ricompensa concreta in termini di oro, ricchezze, donne. Il riconoscimento e la ricompensa devono coesistere. Possiamo dire che il γέρας è la prova fattuale di questo riconoscimento, senza di esso, semplicemente, le parole non sono abbastanza.87 ‘Ajax is blinded by his vision of being áristos much more than by Athena’,88 è

disperatamente ossessionato dall’idea che debba essere il migliore per due ragioni: in primo luogo, perché il suo retaggio lo esige, suo padre Telamone ha dato l’esempio prima di lui e ci si aspetta che Aiace raggiunga gli stessi obiettivi;89 in secondo luogo, perché crede di essere il migliore.90

Mentre la scelta iniziale dell’Achille omerico è la gloria, Aiace si concentra nel mantenere la reputazione familiare intatta all’interno del suo γένος.91 La figura di Telamone è centrale lungo l’intera tragedia92 e Aiace – insieme a Tecmessa, Teucro e

il coro – continuamente torna a lui con i suoi pensieri. Ciò che Aiace teme di più è essere giudicato, ha paura di non essere degno del suo nome e se all’inizio la cosa che spaventa di più Aiace è il disprezzo dei suoi nemici93 – e dei suoi compagni – mano a mano che la tragedia procede è suo padre la persona di fronte alla quale si sente coperto di vergogna, è suo padre che rappresenta ciò che Bernard Williams chiama ‘the

84 Soph. Aj. 1266-1287. 85 Soph. Aj. 1338-1341. 86 Il. 9.315-317.

87 Ho deliberatamente usato il verbo ‘dovere’ diverse volte in queste poche righe: è il ‘dovere’ morale

che l’eroe si autoimpone per soddisfare la propria eticità. L’eroe deve comportarsi in un certo modo perché è ciò che ci si aspetta dal suo sistema di valori.

88 Nesbit Lawall 1959 290. 89 Cfr. Soph. Aj. 432-440. 90 Soph. Aj. 423-425. 91 Cfr. Soph. Aj. 460-472; 548-551. 92 Cfr. Soph. Aj. 203-204, 434-440, 462-465, 470-472, 845-849, 1008-1016, 1299-1301. 93 Cfr. Soph. Aj. 367.

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23 internalized other’, la figura proiettata che deve affrontare per il resto della sua vita, se non fa ciò che ci si aspetta che faccia, se non si comporta nel modo in cui gli altri si aspettano che si comporti.94

Quando Aiace deve decidere cosa fare per espiare la sua vergogna e il suo senso di colpa, si chiede se debba ‘abbandonare i quartieri delle navi, lasciando soli gli Atridi, e tornare a casa attraverso il mar Egeo’,95 che chiaramente riecheggia i versi 161-171

– parte del discorso di Achille – nel primo libro dell’Iliade: ‘E ora tornerò a Ftia, perché è molto meglio tornare a casa alle concavenavi che stare qui senza onore, penso, e raccogliere tesori e ricchezze per te’.96 Ma, mentre Achille sta facendo una

dichiarazione – una dichiarazione molto pesante e minacciosa, dal momento che si tratta dell’ultima frase della sua risposta ad Agamennone – Aiace si sta mettendo in discussione.

Achille ha deciso, è ostinato, apparentemente irremovibile; nel momento in cui pronuncia quella frase, non sappiamo che esiterà fino al nono libro, quando proclamerà nuovamente la sua intenzione di andarsene.97 Invece, allo stesso tempo, Aiace dubita;

non può nel concreto compiere la scelta perché non vi è scelta per lui: non può tornare indietro perché non sarebbe in grado di guardare negli occhi suo padre. ‘Ajax is identified with the standards of excellence represented by his father’s honours’,98 non può agire contro di essi. Non può tornare perché nella sua mente non è stato in grado

94 Williams 1993 84-85. 95 Soph. Aj. 460-461: πότερα πρὸς οἴκους, ναυλόχους λιπὼν ἕδρας / μόνους τ’ Ἀτρείδας, πέλαγος Αἰγαῖον περῶ; Cfr. Finglass 2011 272. 96 Il. 1.169-171: νῦν δ’ εἶμι Φθίην δ’, ἐπεὶ ἦ πολὺ φέρτερόν ἐστιν / οἴκαδ’ ἴμεν σὺν νηυσὶ κορωνίσιν, οὐδέ σ’ ὀΐω / ἐνθάδ’ ἄτιμος ἐὼν ἄφενος καὶ πλοῦτον ἀφύξειν. 97 Il. 9.356-363: νῦν δ’ ἐπεὶ οὐκ ἐθέλω πολεμιζέμεν Ἕκτορι δίῳ / αὔριον ἱρὰ Διὶ ῥέξας καὶ πᾶσι θεοῖσι / νηήσας εὖ νῆας, ἐπὴν ἅλα δὲ προερύσσω, / ὄψεαι, αἴ κ’ ἐθέλῃσθα καὶ αἴ κέν τοι τὰ μεμήλῃ, / ἦρι μάλ’ Ἑλλήσποντον ἐπ’ ἰχθυόεντα πλεούσας / νῆας ἐμάς, ἐν δ’ ἄνδρας ἐρεσσέμεναι μεμαῶτας· / εἰ δέ κεν εὐπλοίην δώῃ κλυτὸς ἐννοσίγαιος / ἤματί κε τριτάτῳ Φθίην ἐρίβωλον ἱκοίμην.

Ma ora poiché non voglio combattere contro Ettore divino, domani compiuti i riti per e per tutti gli dei, avendo ben caricato le navi, dopo averle trascinate in mare, vedrai, se lo vorrai e se ciò ti interessa, le mie navi che navigano sull’Ellesponto ricco di pesci alle prime luci del mattino, e uomini in coperta remare con forza; e se il glorioso scuotitore della terra darà buona navigazione, al terzo giorno giungerò a Ftia dalle grosse zolle.

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24 di essere all’altezza delle aspettative di suo padre. Aiace si vergogna perché non ha potuto mantenere intatto il nome della sua famiglia, lo ha macchiato con le sue azioni.

Dunque, l’unica scelta possibile è morire con onore, perché è αἰσχρόν per un uomo a cui è stata rifiutata la buona sorte vivere una lunga vita.99 Di nuovo, ci viene ricordata

la scelta di Achille di una vita breve e gloriosa, contrapposta a una lunga e senza eventi di rilievo;100 ma mentre lui aveva potuto scegliere, Aiace non ha scelta, l’εὐγενής ‘should either live καλῶς or die so (479-480)’.101

Questo Telamone che Aiace teme così tanto di affrontare è abilmente ritratto da Teucro dopo la morte di suo fratello:102 è un uomo violento, inasprito dalla tarda età, bellicoso, una persona che non è mai stata capace di rivolgere un sorriso gentile a nessuno, nemmeno nella buona sorte. Pare molto diverso dalla figura descritta dal Messaggero:

κεῖνος δ’ ἀπ’ οἴκων εὐθὺς ἐξορμώμενος ἄνους καλῶς λέγοντος ηὑρέθη πατρός. ὁ μὲν γὰρ αὐτὸν ἐννέπει, “τέκνον, δορὶ βούλου κρατεῖν μέν, σὺν θεῷ δ’ ἀεὶ κρατεῖν.” 765 ὁ δ’ ὑψικόμπως κἀφρόνως ἠμείψατο, “πάτερ, θεοῖς μὲν κἂν ὁ μηδὲν ὢν ὁμοῦ κράτος κατακτήσαιτ’· ἐγὼ δὲ καὶ δίχα κείνων πέποιθα τοῦτ’ ἐπισπάσειν κλέος.” τοσόνδ’ ἐκόμπει μῦθον […] 99 Soph. Aj. 473-474: αἰσχρὸν γὰρ ἄνδρα τοῦ μακροῦ χρῄζειν βίου, / κακοῖσιν ὅστις μηδὲν ἐξαλλάσσεται.

Infatti è vergognoso che desideri una lunga vita, chi non vede rivolgimenti nei suoi mali.

100 Anche se, in ogni caso, la vita di Achille non sarebbe stata macchiata dalla vergogna. 101 Zanker 1992 22. 102 Soph. Aj. 1008-1018: ἦ πού <με> Τελαμών, σὸς πατὴρ ἐμός θ’ ἅμα, / δέξαιτ’ ἂν εὐπρόσωπος ἵλεώς τ’ ἰδὼν / χωροῦντ’ ἄνευ σοῦ. πῶς γὰρ οὔχ; ὅτῳ πάρα / μηδ’ εὐτυχοῦντι μηδὲν ἥδιον γελᾶν. / οὗτος τί κρύψει; ποῖον οὐκ ἐρεῖ κακὸν / τὸν ἐκ δορὸς γεγῶτα πολεμίου νόθον, / τὸν δειλίᾳ προδόντα καὶ κακανδρίᾳ / σέ, φίλτατ’ Αἴας, ἢ δόλοισιν, ὡς τὰ σὰ / κράτη θανόντος καὶ δόμους νέμοιμι σούς. / τοιαῦτ’ ἀνὴρ δύσοργος, ἐν γήρᾳ βαρύς, / ἐρεῖ, πρὸς οὐδὲν εἰς ἔριν θυμούμενος.

Certo Telamone, tuo padre e anche mio, mi accoglierà con espressione affabile e mite, tornando io senza di te. Come no? Lui che nemmeno nella buona sorte sorride un po’ più dolcemente. Cosa egli lascerà impunito? Quale parola malvagia non pronuncerà verso il bastardo nato dalla lancia di guerra? Dirà che ti ho abbandonato per pusillanimità e codardia, o amatissimo Aiace, o per inganno, in modo che, alla tua morte mi impadronissi del tuo diritto regale e della tua casa. Queste cose dirà quell’uomo bellicoso, aspro nella vecchiaia, lui che si infervora per un nonnulla nella contesa.

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25 E lui, quando stava lasciando la sua casa, mostrò la sua sconsideratezza di fronte alle parole legittime di suo padre. Dunque, gli disse, ‘Figlio, desidera di trionfare con la tua lancia, ma trionfa sempre con l’aiuto del dio.’ Ma lui, rispose con irriguardosa arroganza, ‘Padre, anche coloro che non sono nulla possono vincere con l’aiuto degli dei, mentre io so che otterrò la gloria anche senza di loro.’ E così si pavoneggiava. […]

Queste poche righe ricordano il discorso di Peleo ad Achille che Fenice narra in Iliade IX 252-259: ὦ πέπον ἦ μὲν σοί γε πατὴρ ἐπετέλλετο Πηλεὺς ἤματι τῷ ὅτε σ’ ἐκ Φθίης Ἀγαμέμνονι πέμπε· “τέκνον ἐμὸν κάρτος μὲν Ἀθηναίη τε καὶ Ἥρη δώσουσ’ αἴ κ’ ἐθέλωσι, σὺ δὲ μεγαλήτορα θυμὸν 255 ἴσχειν ἐν στήθεσσι· φιλοφροσύνη γὰρ ἀμείνων· ληγέμεναι δ’ ἔριδος κακομηχάνου, ὄφρά σε μᾶλλον τίωσ’ Ἀργείων ἠμὲν νέοι ἠδὲ γέροντες. ὣς ἐπέτελλ’ ὃ γέρων, σὺ δὲ λήθεαι· […]”

Mio caro, il giorno in cui tuo padre Peleo ti ha mandato da Ftia ad Agamennone, ti ha detto: ‘Figlio mio, Era e Atena ti daranno la forza, se vorranno, ma trattieni il tuo cuore orgoglioso, perché la gentilezza è la miglior qualità; tieniti lontano dai conflitti mortali con gli Achei e sia i giovani che i vecchi ti onoreranno di più.’ Così parlava e tu lo stai dimenticando. […]

Il consiglio di Peleo ad Achille è più lungo e Sofocle ne trae solo il concetto che gli è utile per dare il messaggio che gli interessa ovvero la parte riguardante gli dei. La risposta arrogante di Aiace lo porterà alla rovina: rifiuta l’aiuto degli dei, si pone al di sopra di loro, una cosa che nemmeno Achille oserebbe mai fare.

Nell’Iliade, Fenice non riporta la risposta di Achille a Peleo, dice solamente che l’eroe sta dimenticando il consiglio di suo padre, ma è possibile che questa risposta fosse molto diversa da quella di Aiace – non necessariamente meno antagonistica, come dice Patrick Finglass103 – ma probabilmente più concentrata non sull’aiuto degli dei, ma

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26 sugli onori che avrebbe dovuto accettare da Agamennone e dagli Achei. Possiamo dire ciò perché, duecento versi dopo, Achille in effetti risponde a Fenice sul problema degli onori. Dunque, non abbiamo la risposta di Achille a Peleo nel resoconto di Fenice, ma abbiamo la risposta che Achille dà a Fenice sulla stessa questione.

Il discorso di Fenice, andando avanti, è prettamente concentrato sul problema di ricevere onori dai compagni, dal momento che il suo scopo è persuadere Achille ad accettare le offerte di Agamennone. Inizialmente racconta il mito di Meleagro104 e poi conclude dicendo: ‘Torna per i doni e gli Achei ti onoreranno come un dio’.105 Ma Achille risponde: ‘Padre mio, vecchio Fenice, di famiglia divina, io non ho bisogno di questa τιμή, credo di ricevere onore già da Zeus’.106

Dunque, dove Aiace è blasfemo, Achille è pio,107 anche se, a differenza di Aiace, Achille può esserlo, in quanto molto sicuro della sua posizione in relazione agli dei. Aiace è certo, a torto, dell’aiuto di Atena solo nella sua follia.

Nell’Aiace, ci sono altri tre passaggi sopra i quali aleggia l’ombra dei sentimenti di Peleo per suo figlio. In primo luogo, quando Tecmessa supplica Aiace, ella richiama alla mente i genitori dell’eroe,108

ἀλλ’ αἴδεσαι μὲν πατέρα τὸν σὸν ἐν λυγρῷ γήρᾳ προλείπων, αἴδεσαι δὲ μητέρα

πολλῶν ἐτῶν κληροῦχον, ἥ σε πολλάκις θεοῖς ἀρᾶται ζῶντα πρὸς δόμους μολεῖν.

Rispetta tuo padre, che hai lasciato alla sua amara vecchiaia, e rispetta tua madre, che è molto vecchia e prega spesso gli dei che tu torni a casa ancora vivo. 104 Il. 9.527-599. 105 Parafrasando Il. 9.602-603: […] ἀλλ’ ἐπὶ δώρων / ἔρχεο· ἶσον γάρ σε θεῷ τίσουσιν Ἀχαιοί. 106 Il. 9.607-608: Φοῖνιξ ἄττα γεραιὲ διοτρεφὲς οὔ τί με ταύτης / χρεὼ τιμῆς· φρονέω δὲ τετιμῆσθαι Διὸς αἴσῃ. 107 Cfr. Paduano 2010. 108 Soph. Aj. 506-509.

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27 Poi, il coro evoca la reazione che Eribea, la madre di Aiace, potrebbe avere alla notizia della rovina del figlio:109

ἦ που παλαιᾷ μὲν σύντροφος ἁμέρᾳ, 622/3 [str. 2 λευκά τε γήρᾳ μάτηρ νιν ὅταν νοσοῦν- 624/5 τα φρενοβόρως ἀκούσῃ, 625/6 αἴλινον αἴλινον 627 οὐδ’ οἰκτρᾶς γόον ὄρνιθος ἀηδοῦς ἥσει δύσμορος, ἀλλ’ ὀξυτόνους μὲν ᾠδὰς 629/30 θρηνήσει, χερόπληκτοι δ’ 631 ἐν στέρνοισι πεσοῦνται δοῦποι καὶ πολιᾶς ἄμυγμα χαίτας

Forse sua madre, vivendo i suoi tardi anni, e bianca per la tarda età, quando sentirà che lui soffre di una malattia che consuma la sua mente, nella sua miseria leverà un grido lugubre, ahimè, e non lamento dell’uccello pietoso, l’usignolo – no, lei piangerà canti acutissimi, e colpi battuti dalla mano cadranno sul suo petto, e lo strazio della chioma grigia.

Infine, Aiace stesso riporta alla mente i suoi genitori, alcuni versi prima di togliersi la vita:110 σὺ δ’, ὦ τὸν αἰπὺν οὐρανὸν διφρηλατῶν 845 Ἥλιε, πατρῴαν τὴν ἐμὴν ὅταν χθόνα ἴδῃς, ἐπισχὼν χρυσόνωτον ἡνίαν ἄγγειλον ἄτας τὰς ἐμὰς μόρον τ’ ἐμὸν γέροντι πατρὶ τῇ τε δυστήνῳ τροφῷ. ἦ που τάλαινα, τήνδ’ ὅταν κλύῃ φάτιν, 850 ἥσει μέγαν κωκυτὸν ἐν πάσῃ πόλει.

E tu, Sole, che guidi il tuo carro nel cielo più alto, quando vedrai la mia terra, stringendo le redini dorate, annuncia le mie sfortune e il mio destino al mio vecchio padre e a mia madre sciagurata. Povera madre, quando udirà la notizia, leverà per tutta la città un grido acuto.

109 Soph. Aj. 622/3-633. 110 Soph. Aj. 845-851.

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