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alla luce della giurisprudenza più recente

3. ADS e sostituzione fedecommissaria

All’amministratore segnala persino una questione di ambito testamentario assai poco trattata, prossima soprattutto alla sensibilità e al vissuto notarile, circa l’applicabilità della so-stituzione fedecommissaria al discendente sottoposto ad ADS. I termini della questione sono noti, è centrale il testuale riferimento da parte degli artt 692 ss al solo interdetto. Anche qui Massimo Dogliotti sposta la tesi più liberale, sponsoriz-zando il richiamo del 692 ss nel decreto di nomina.

Quindi penso di non tradire il pensiero né dei colleghi notai né dei professori di diritto privato comparato nel ringraziare Massimo Dogliotti per aver prodotto questo pregiato volume.

Andrea Fusaro Ordinario di diritto privato comparato Università di Genova

* testo dell’intervento formulato all’incontro su “Amministrazione di sostegno, Tutela, Curatela”, organizzato da Aiaf Liguria a Genova il 17 aprile 2019 intorno alla presentazione del volume di Massimo Dogliotti, “Capacità, in-capacità, diritti degli incapaci. Le misure di protezione”, pubblicato nel Trat-tato Cicu-Messineo, Giuffrè, Milano.

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Terrorismo nei porti. Minaccia da terra e dal mare (protezione, difesa, contrasto)

MARCO BANDIOLI Il Faro, Trento, 2018 EAN: 9788875652814, pagine 132

All’indomani dei tragici e noti eventi dell’11 settembre 2001, la Comunità internazionale è entrata in una nuova dimensione storica, nella quale tutto deve essere interpretato ed adeguato alla luce dell’esigenza di garantire la sicurezza dei consociati.

Si tenta, quindi, di trovare la via per superare un periodo sto-rico incerto, colmo di insidie e di pesto-ricoli, nella difficoltosa ri-cerca di un giusto equilibrio tra gli strumenti che permettono di garantire il più elevato grado sicurezza possibile ai consociati, senza cadere però nell’errore di comprimere, attenuandole si-gnificativamente, le libertà civili che fanno del nostro sistema una vera democrazia. Come è noto, il Patriot Acts (1), emanato negli Stati Uniti sulla spinta emotiva dell’attacco alle Torri Ge-melle, secondo molti avrebbe inaugurato un nuovo modello di sicurezza. Tuttavia, alla prova dei fatti, i due provvedimenti che lo costituiscono hanno pericolosamente leso diritti fondamen-tali, quali ad esempio la privacy, nonché i diritto di associazione, circolazione e difesa processuale. Sono questi gli errori in cui il nostro legislatore non deve assolutamente cadere. L’ispira-zione politico-ideologica propria di uno Stato democratico come l’Italia, non può infatti limitarsi alla tutela in via esclusiva dei presupposti della sicurezza dei cittadini, magari riesumando il tradizionale impianto dei cosiddetti “delitti politici”, tanto cari al legislatore penale degli anni ’30. (2) L’oggetto della tutela penale deve infatti essere necessariamente inserito in un con-testo assai più ampio, all’interno del quale appaiono meritevoli di protezione l’ordine costituzionale democratico e le forme istituzionali che lo realizzano, ma la pur legittima tutela dell’or-dine costituzionale del nostro Paese, deve fare i conti con l’esi-genza di circoscrivere l’area del penalmente rilevante entro il limite strettamente necessario, attraverso un’accurata tipizza-zione degli strumenti idonei a reprimere quei comportamenti realmente minacciosi per l’ordine democratico-costituzionale dello Stato. Alla protezione di una tranquilla, sicura, ordinata e prospera navigazione delle navi nazionali ed estere, il legislatore italiano ha dedicato il Capo IV (Dei delitti contro la sicurezza della navigazione), Titolo II (Dei delitti in particolare), della parte terza del Codice della navigazione (Disposizioni penali e disciplinari). Come è noto, le fattispecie criminose dolose e colpose ivi presenti, poste a tutela della sicurezza della naviga-zione, il cui soggetto passivo principale è lo Stato italiano, ven-gono a sommarsi ai delitti contro l’ incolumità pubblica, (3) contenuti nel Libro II, titolo VI, del Codice penale, creando se-condo alcuni una discutibile frammentazione (4). Autorevole Dottrina (5) ha, peraltro, sostenuto che la “sicurezza della na-vigazione”, si concretizza in un vero e proprio sottosettore della incolumità pubblica, costituito dunque dalle norme poste a tu-tela della perfetta riuscita della spedizione marittima, onnicom-prensivamente considerata (6). In ogni epoca è stata infatti sentita la necessità di elaborare norme che fossero sempre più rispondenti a fronteggiare i rischi connessi all’evoluzione della metodologia del trasporto e delle merci trasportate, ciò soprat-tutto al fine di tutelare la sicurezza intesa come salvaguardia della vita umana e della sua qualità, oltre che dei beni a rischio.

Ed invero, la nozione di “sicurezza marittima”, venendo a com-prendere una molteplicità di interessi eterogenei (protezione dell’ambiente marino da inquinamento, (7) soccorso e attività di ricerca e di salvataggio delle persone, (8) tutela del lavoro nautico, (9) ivi compresi i trattamenti minimi in materia di si-curezza e previdenza sociale, gli standards di addestramento e abilitazione, la sicurezza dell’ambiente di lavoro etc.), non è un

concetto statico ed immutabile, ma dinamico ed in continua evoluzione, che dovrà essere costantemente ridefinito ed ag-giornato al fine di contrastare ogni possibile presente e futura minaccia arrecata al pacifico svolgimento dei traffici marittimi.

Tuttavia, il quadro delineato a livello internazionale ed europeo posto a tutela della sicurezza della navigazione marittima, è stato ormai messo in crisi dal sorgere del preoccupante feno-meno del cosiddetto “terrorismo internazionale”. (10) Si è, in-fatti, sentita fortissima l’esigenza di una tutela della vita umana e dei beni trasportati, nei confronti di tale nuova, terribile e sempre mutevole minaccia; cosicché al concetto di sicurezza inteso come salvaguardia della vita dei passeggeri e dell’equi-paggio, da quei tipici pericoli connaturati all’attività della navi-gazione marittima (la cosiddetta “safety”), si è affiancato il concetto di sicurezza, inteso come salvaguardia della sicurezza pubblica (la cosiddetta “security” (11)), da atti violenti ed in-tenzionali di natura terroristica. Dottrina e giurisprudenza si sono adoperate nella ricerca di una definizione che potesse fis-sare dei punti fermi nella nozione di “terrorismo”. (12) Invero, l’unica caratteristica del reato di terrorismo generalmente ac-cettata, è quella in base al quale il terrorismo comporta la vio-lenza e la minaccia della viovio-lenza. Tale definizione, a parere di chi scrive, risulta essere assai vaga, dai contorni sfumati e ca-ratterizzata unicamente dalla sussistenza di un dolo specifico.

(13) L’eterogeneità definitoria che si riscontra (14), non giova per il resto di certo alla predisposizione di una disciplina co-mune atta a combattere il pericolo che viene a concretizzarsi.

Si dovrà pertanto, da parte degli Stati, evitare assolutamente di predisporre norme interne ed uniformi vaghe, che manchino di una corretta definizione della finalità cui mira il terrorismo, non identificando esattamente l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, limitandosi unicamente ad un rinvio generico a si-gnificati esterni alla norma. È questo, purtroppo, il caso della normativa italiana, la quale all’art. 270 bis comma 3° c.p., (15) nel vietare le associazioni con finalità di terrorismo internazio-nale, non precisa cosa debba intendersi per la detta finalità. Tale disposizione recita infatti: “Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione ed un organismo internazio-nale”. Il cosiddetto “atto violento” non riceve quindi dal terzo comma alcuna puntualizzazione, circa la sua dimensione fina-listica e modale, cosicché l’esame letterale della norma apre la strada a tre diverse ipotesi interpretative:

la norma fa riferimento a tutti gli atti violenti diretti contro i soggetti passivi individuati (16);

la norma fa riferimento a tutti gli atti violenti di natura politica selezionati nel comma 1°, ossia gli atti di terrorismo e gli atti violenti eversivi; una variante di questa lettura potrebbe con-templare tutti gli atti di violenza politica, inclusi nel capo II, compresi quelli sovversivi (17);

la norma fa riferimento solo agli atti violenti con finalità di terrorismo.

A ben vedere, sembra che la norma de qua, essendo generica ed indeterminata (18) apra due diversi scenari: o esautori il Giudice della possibilità di distinguere tra condotte violente, secondo la loro effettiva finalità e natura, individuando sem-pre il fine terroristico nella condotta contro lo Stato estero, oppure renda il Giudice l’unico vero arbitro della funzione repressiva penale, di cui invece dovrebbe essere dotata uni-camente la fattispecie normativa. In questa seconda ipotesi, sarà pertanto il Giudice a dover stabilire l’applicazione della fattispecie, a seguito della selezione dei significati del com-portamento violento secondo un ordine culturale e di espe-rienza che il medesimo Giudice, in una relativa libertà e fuori da uno stringente controllo normativo, dovrà necessariamente darsi. La norma appare così idonea ad operare in modo on-nivoro, indifferente alle finalità specifiche dell’agente, con la

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conseguenza di considerare la fattispecie integrata tutte le volte che l’atto violento colpisca proprio i soggetti passivi in-dividuati. Così operando, la natura e l’identità del soggetto passivo assumono il potere di colorare una determinata con-dotta di quel disvalore penale rientrante nell’ambito del comma 3° dell’art. 270 bis c.p., senza che residuino margini significativi di accertamento della finalità perseguita. Non-ostante dunque le evidenti difficoltà di reperire una defini-zione (19) soddisfacente ed univoca del fenomeno del terrorismo, vista la sua ampiezza e soprattutto la sua contin-genza storico-politica, ci si chiede se, allo stato attuale, sia possibile superare i problemi derivanti dalle diverse imposta-zioni ideologiche dei singoli Stati, (20) al fine di pervenire al-meno ad una collaborazione giuridica internazionale per combattere tale fenomeno. Benché, infatti, all’interno della comunità degli Stati la condanna del terrorismo internazio-nale riceva generale consenso, ad oggi esso non costituisce di per sé una violazione del diritto internazionale e, tanto meno, in materia vi sono definizioni univoche che trovino l’accordo dei diversi Paesi. (21) Il diritto internazionale manca di una consuetudine concernente l’obbligazione di prevenzione e re-pressione del terrorismo, ragion per cui, fino agli anni ’90, la comunità internazionale è dovuta ricorrere all’elaborazione di strumenti convenzionali, considerati gli unici in grado di vincolare efficacemente gli Stati. L’approccio pattizio ha visto come protagoniste numerose organizzazioni internazionali (IMO, ICAO etc.), vere e proprie fucine per la redazione di tali accordi, l’elaborazione dei quali ha indotto la Dottrina a distinguere tra convenzioni cosiddette “globali”, che discipli-nano la materia in modo unitario, e convenzioni cosiddette

“settoriali” che si incaricano di tutelare esclusivamente deter-minate fattispecie e che, contrariamente alle globali, sono prive di riferimento alcuno a definizioni di terrorismo o a norme esistenti in materia. In tale ultima direzione si sono mosse la Convenzione dell’Aja del 16 dicembre 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili, la Convenzione di Montreal del 23 settembre 1971 per la repressione di atti illeciti diretti contro la sicurezza dell’aviazione civile, la Con-venzione di Roma del 10 marzo 1988 per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima (SUA) (22) e il Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate sulla piatta-forma continentale, entrati in vigore il 1° gennaio 1992, e re-centemente sottoposti ad emendamenti da parte dell’IMO.

Ed invero, come è già stato ampiamente sottolineato in pre-cedenza, la difficoltà pratica di armonizzare i singoli ordina-menti degli Stati intesi a definire unitariamente il terrorismo, implica come logica conseguenza la necessità di seguire la via del cosiddetto approccio “settoriale” nella lotta al terrorismo stesso. Ciò consiste, quindi, nel trascurare la classificazione degli aspetti ideologici-politici del terrorismo internazionale, con tutte le conseguenze che ne derivano e di concentrare piuttosto ogni sforzo nell’identificare quelle condotte che co-stituiscono l’attività programmatica ed esecutiva del terrori-smo stesso, elaborando ogni strumento idoneo alla loro prevenzione e/o repressione. Tale risultato potrà essere rag-giunto predisponendo uno schema che si fondi su tre obbli-gazioni principali gravanti su tutti gli Stati parte delle suddette Convenzioni, ed in particolare:

ai fini dell’ armonizzazione degli ordinamenti, ogni Stato ade-rente ha l’onere di considerare illecite tutte le fattispecie in-dicate nelle Convenzioni;

il secondo obbligo, sicuramente basilare per una cooperazione giudiziaria internazionale, prevede l’eliminazione di aree di impunità (i cd. “safe havens”), per le condotte individuate, e una comune base legale che regolamenti l’estradizione tra gli Stati parte. Circa il divieto di safe havens, le Convenzioni

pre-vedono che su ogni Stato aderente gravi l’obbligo di provve-dere a norme specifiche finalizzate alla detenzione, al giudizio e all’eventuale estradizione nei confronti degli individui so-spettati dei reati in oggetto; le Convenzioni si applicano anche se tra lo Stato parte e l’indagato non vi è alcun collegamento;

il terzo caposaldo dello schema disciplina la materia dell’e-stradizione, richiamata dal principio dell’ “aut dedere aut iu-dicare”, secondo cui lo Stato parte che non abbia intenzione di perseguire l’indagato, ma la regola vale anche per il con-dannato, avrà il compito di estradarlo verso lo Stato richie-dente; a tale fine, vi è l’obbligo per gli Stati parte o di emendare i rispettivi accordi bilaterali di estradizione, o porne in essere di nuovi, ricordando che, qualora non sia approntata tale misura, la Stessa Convenzione potrà fungere da accordo tradizionale multilaterale.

Differiscono da questo schema le Convenzioni preventive che, invece di identificare le condotte terroristiche, hanno la finalità specifica di privare le organizzazioni terroristiche stesse dei mezzi (finanziamenti, armi convenzionali e BCN, etc.) neces-sari per l’attuazione dei loro scopi, obbligando gli Stati ad adot-tare controlli in determinati settori, così da prevenire eventuali iniziative terroristiche (23). La sicurezza dei porti, e delle rela-tive infrastrutture portuali, viene trattata partendo dalla pura teoria dottrinale della sicurezza marittima sino a giungere alla realizzazione pratica di strutture difensive di un complesso por-tuale nonché all’organizzazione di attività operative finalizzate non solo alla difesa ma anche al contrasto e alla neutralizza-zione di forze ostili di natura terroristica. Invero, il volume af-ferma che, nonostante dunque le evidenti difficoltà di reperire una definizione soddisfacente ed univoca del fenomeno del ter-rorismo, vista la sua ampiezza e soprattutto la sua contingenza storico-politica, ci si chiede se, allo stato attuale, sia possibile superare i problemi derivanti dalle diverse impostazioni ideo-logiche dei singoli Stati, al fine di pervenire almeno ad una col-laborazione giuridica internazionale per combattere tale fenomeno. Benché, infatti, all’interno della comunità degli Stati la condanna del terrorismo internazionale riceva generale con-senso, ad oggi esso non costituisce di per sé una violazione del diritto internazionale e, tanto meno, in materia vi sono defini-zioni univoche che trovino l’accordo dei diversi Paesi. Il diritto internazionale manca di una consuetudine concernente l’ob-bligazione di prevenzione e repressione del terrorismo, ragion per cui, fino agli anni ’90, la comunità internazionale è dovuta ricorrere all’elaborazione di strumenti convenzionali, conside-rati gli unici in grado di vincolare efficacemente gli Stati. L’ap-proccio pattizio ha visto come protagoniste numerose organizzazioni internazionali (IMO, ICAO etc.), vere e proprie fucine per la redazione di tali accordi, l’elaborazione dei quali ha indotto la Dottrina a distinguere tra convenzioni cosiddette

“globali”, che disciplinano la materia in modo unitario, e con-venzioni cosiddette “settoriali” che si incaricano di tutelare esclusivamente determinate fattispecie e che, contrariamente alle globali, sono prive di riferimento alcuno a definizioni di terrorismo o a norme esistenti in materia. In tale ultima dire-zione si sono mosse la Convendire-zione dell’Aja del 16 dicembre 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili, la Convenzione di Montreal del 23 settembre 1971 per la repres-sione di atti illeciti diretti contro la sicurezza dell’aviazione ci-vile, la Convenzione di Roma del 10 marzo 1988 per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della naviga-zione marittima (SUA) e il Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale, entrati in vigore il 1° gennaio 1992, e costantemente sottoposti ad emendamenti da parte dell’IMO.

Avv. Filippo Maria Torresi

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Note.

(1) Il primo è un provvedimento del 25 ottobre 2001 denominato “Uni-ting and Strengthening America Act”; il secondo invece si intitola “Home-land Security Department”, che consiste in una struttura a cui sono attribuite le tipiche competenze del nostro Ministero dell’Interno, che ha essenzialmente l’obiettivo di garantire la sicurezza interna e dei confini tramite una capillare opera di prevenzione utilizzando intelligence.

(2) Sulle originarie caratteristiche politico-ideologiche del sistema dei delitti politici delineato dal legislatore degli anni ’30 si vedano: Fiandaca, Il codice Rocco e la continuità istituzionale in materia penale, in La questione crim., 1981, 67; Gallo E.-Musco, Delitti contro l’ordine costituzionale, Bo-logna, 1984, 17; Marconi, I delitti contro la personalità dello Stato, Milano, 1984; Padovani, voce Stato (reati contro la personalità dello), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 815 ss.; Galaterio, voce Personalità dello Stato (delitti contro la personalità dello Stato), in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990.

(3) Sulla definizione del concetto di “incolumità pubblica”, si vedano:

Sammarco, voce Incolumità pubblica (reati contro la), in Enc. dir., XXI, Mi-lano, 1971, 28; Dean, L’incolumità pubblica nel diritto penale, MiMi-lano, 1971; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, Torino, 1981, 243; Ardizzone, voce Incolumità pubblica (Delitti e contravvenzioni), in Di-gesto disc. pen., vol. VI, Torino, 1992, 361. Sulle modifiche apportate al-l’originaria disciplina codicistica, e sulle ipotesi di reato a tutela della pubblica incolumità disciplinate nella legislazione speciale, si veda per tutti: Marini, voce Incolumità pubblica (Delitti contro la), in Noviss. dig. it., Appendice, Torino, 1983, 152.

(4) Il De Vincentiis, Reati marittimi e aeronautici, vol. XIV, Torino, 1976, 939 ss., è estremamente critico nei confronti della scelta operata dal le-gislatore a riguardo. Altresì la Dottrina ha distinto varie tipologie di reati marittimi, basati ora su elementi meramente formali, ora sistematico-for-mali (reati popri-impropri); infine vi è stato chi ha stabilito la sussistenza di un genus dei c.d. reati propri in quanto esclusivi della navigazione, cfr.

Berlingieri F. Sen., Note di diritto penale marittimo con particolare riguardo alla riforma della vigente legislazione, in Dir. mar., 1930, 247.

Sul diritto penale della navigazione, in generale, si vedano: Leone, Con-siderazioni sulla sistemazione del diritto penale della navigazione, in Studi per la Codificazione, I, Roma, 1940, 115 ss.; Vidali, Diritto penale della na-vigazione, in N.D.I., V tomo, Torino, 1960, 985 ss.

(5) De Vincentiis-Montanara, voce Sicurezza della navigazione (Delitti contro), in Enc. dir., XL, Milano, 1990, 487.

(6) Sulla sicurezza della navigazione marittima in generale, si vedano:

T.C. Giannini, La recente Convenzione di Londra per la sicurezza della na-vigazione, in questa Rivista, 1929, 391; Carboni, La convenzione SOLAS del 1948, in questa Rivista, 1951, 138; A. Giannini, L’organizzazione ma-rittima consultiva intergovernativa IMCO e sue funzioni, in Riv. dir. nav., 1956, I, 269; Soldà, La conferenza internazionale per la sicurezza in mare del 1960, in questa Rivista, 1960, 581; Pescatore, Problemi giuridici attuali della sicurezza della navigazione, in Riv. dir. nav., 1963, I, 148; Righetti, Sicurezza della navigazione marittima, in N.D.I., XVII, Torino, 1967, 291;

Vallario, Sicurezza in mare, Padova, 1979; Miele-Vigilante, Recenti svi-luppi della cooperazione internazionale, in Studi mar., 6/1980, 29; Leanza, La sicurezza marittima, relazione presentata alla “Conferenza nazionale del mare”, Napoli 19-21 novembre 1981; Leanza, Le convenzioni inter-nazionali in materia di sicurezza marittima, in Studi mar., 12/1981, 81;

Grigoli, Il problema della sicurezza nella sfera nautica, I, La sicurezza dei beni prodromici dell’esercizio nautico, Milano, 1989; Grigoli, Il problema della sicurezza nella sfera nautica, II, La sicurezza nell’esercizio nautico, Mi-lano, 1990; Turco Bulgherini, Sicurezza della navigazione, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 461 ss.; Corbino M.L., Sicurezza della navigazione marittima, in Dig. Comm., Milano, 1996, 409 ss.; Righetti, Trattato di di-ritto marittimo, vol. I, Milano 1999; Lefebre-D’Ovidio-Pescatore-Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2004; Scovazzi, La tutela della vita umana in mare, in Riv. dir. int., 2005, 106.

(7) La Comunità internazionale si è sforzata di ricercare soluzioni appa-ganti sia sul piano della tutela risarcitoria con le Convenzioni di Bruxelles CLC del 1969 e FUND 1971, sia sul piano della prevenzione, con la Convenzione MARPOL 73/78 sulla progettazione e l’esercizio di navi petroliere, modificata da diversi emendamenti successivi (un ulteriore protocollo è stato aggiornato il 26 settembre 1997), per ridurre ulterior-mente i rischi da versamento di idrocarburi. Sul punto si veda: Lefebre-D’Ovidio-Pescatore-Tullio Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2004, 32. A seguito del naufragio, avvenuto nel dicembre 1999, della

(7) La Comunità internazionale si è sforzata di ricercare soluzioni appa-ganti sia sul piano della tutela risarcitoria con le Convenzioni di Bruxelles CLC del 1969 e FUND 1971, sia sul piano della prevenzione, con la Convenzione MARPOL 73/78 sulla progettazione e l’esercizio di navi petroliere, modificata da diversi emendamenti successivi (un ulteriore protocollo è stato aggiornato il 26 settembre 1997), per ridurre ulterior-mente i rischi da versamento di idrocarburi. Sul punto si veda: Lefebre-D’Ovidio-Pescatore-Tullio Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2004, 32. A seguito del naufragio, avvenuto nel dicembre 1999, della