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Il reato di maltrattamenti contro familiari e il reato di sequestro di persona: brevi cenni

Sentenze, Ordinanze e Decreti

2. Il reato di maltrattamenti contro familiari e il reato di sequestro di persona: brevi cenni

Orbene, per comprendere a fondo le rationes che sottostanno a siffatto orientamento, è necessario analizzare singolarmente le due norme oggetto della pronuncia.

Ictu oculi i reati divergono in ordine alla loro struttura: il reato di maltrattamenti contro familiari è un reato abituale; il reato di sequestro di persona, invece, è costituito da un’unica con-dotta che si protrae nel tempo determinando una continua lesione del bene giuridico tutelato dalla norma, pertanto trat-tasi di un reato permanente.

L’art. 572 c.p. (4), rubricato “Maltrattamenti contro familiari o conviventi” (5), come detto, è caratterizzato dalla reitera-zione nel tempo di (almeno due) condotte “maltrattanti” che acquistano rilevanza penale proprio per effetto del loro ripe-tersi nel tempo, in un’ottica di continuità e omogeneità, in

quanto, singolarmente considerate, esse possono anche essere penalmente irrilevanti (reato abituale proprio) (6).

Nel reato de quo, sebbene collocato impropriamente all’in-terno del Titolo del codice penale dedicato ai “Delitti contro la famiglia”, e nel capo dei “Delitti contro l’assistenza fami-liare” (7), la condotta tipica dei maltrattamenti investe non soltanto i rapporti parentali e la famiglia come struttura ba-sata sugli stessi, bensì la “famigliarità”, che si sostanzia in rap-porti psicologici di varia natura, intercorrenti anche fra persone tra le quali non vi sia un rapporto di coniugio, di pa-rentela o di affinità (8). Detta fattispecie, in altri termini, si configura anche allorquando le condotte maltrattanti coin-volgano soggetti - l’agente e la vittima - fra i quali esiste un rapporto qualificato, tipicamente nell’ambito di relazioni ca-ratterizzate da una subalternità della persona offesa rispetto al reo (sottoposto o affidato all’altrui autorità per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’e-sercizio di una professione o di un’arte).

Il bene giuridico oggetto del reato di maltrattamenti, non-ostante la topografia della fattispecie, la quale lascia intendere che si tratti di una norma posta a tutela dell’assistenza fami-liare, è l’integrità psicofisica dell’individuo (9), più in generale l’integrità della dignità di persona umana (10), che ne rende-rebbe più adeguata la collocazione tra i reati posti a tutela della personalità individuale, specie se considerata l’ultima normativa in materia (L. n. 69/2019), che ne ha inasprito le pene in un’ottica di maggior tutela dei soggetti coinvolti (11).

La stessa giurisprudenza, del resto, ravvisa il bene giuridico tutelato dall’art. 572 c.p. nella “identità fisica o psichica del sog-getto passivo” (12).

Per quanto riguarda più squisitamente le modalità della con-dotta, si osserva che l’espressione “maltratta” utilizzata dalla norma si presta a comprendere comportamenti variegati, la cui definizione è demandata all’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, con evidenti conseguenze circa i profili di precisione e determinatezza della norma (13).

Invero, il reato di maltrattamenti si presta - proprio come nel caso oggetto della pronuncia della Suprema Corte - alla possi-bilità di ritenere assorbiti nel suo ambito applicativo determinati comportamenti, già ex se considerati penalmente rilevanti.

Con riguardo, infine, all’elemento soggettivo del reato, la norma non richiede un dolo specifico, essendo sufficiente che l’agente agisca reiterando comportamenti connotati da ves-satorietà (14).

L’art. 605 c.p., invece, dedicato al “Sequestro di persona”, in-dividua un reato permanente che si perfeziona nel momento in cui la vittima venga privata della libertà personale per un apprezzabile lasso di tempo, e che si esaurisce nel momento in cui cessa l’offesa al bene giuridico tutelato, o per volontà del reo o per il sopravvenire di cause esterne che ne impedi-scono l’ulteriore protrarsi.

La norma, collocata all’interno dei delitti contro la libertà per-sonale, è posta a tutela della libertà di agire, intesa soprattutto come libertà di locomozione - rectius, come la capacità degli individui di collocarsi autonomamente nello spazio. Detta specificazione consente, invero, di ritenere invocabile la tutela ex art. 605 c.p. anche da parte di soggetti che, per diverse ra-gioni, non possiedono la libertà di locomozione, come, ad esempio, i neonati, i bambini, gli incapaci o i detenuti (15).

La giurisprudenza di legittimità, storicamente, aderisce a sif-fatto orientamento, ritenendo che il bene giuridico della li-bertà personale, costituzionalmente garantito, venga leso da

“qualsiasi apprezzabile limitazione della libertà, intesa quale pos-sibilità di movimento privo di costrizioni” (16).

Con riguardo alle modalità della condotta, il sequestro di per-sona è un reato causalmente orientato, sicché per la sua inte-grazione non sono richiesti schemi particolari.

Sentenze, Ordinanze e Decreti

Comunemente si ritiene che la condotta possa consistere, oltre che in un’azione - come tipicamente si manifesta -, anche in una omissione, come nel caso in cui il colpevole, es-sendo titolare di un obbligo giuridico di provvedere ex art.

40, c. 2 c.p. alla liberazione della vittima, non si attivi in tal senso. Con evidenza, presupposto della fattispecie è che il fatto sia commesso nei confronti di una persona dissenziente, fermo restando che il dissenso può anche manifestarsi in un momento successivo all’inizio della condotta.

Nel silenzio della norma, dottrina e giurisprudenza ammet-tono che l’impedimento alla riacquisizione della libertà non sia sempre assoluto, potendosi risolvere anche in una vi-cenda del tutto temporanea (17) - apprezzabile dal punto di vista temporale (18). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ritiene sussistente il reato anche allorquando esista una possibilità per il soggetto passivo di recuperare la li-bertà, se detta possibilità lo espone a rischi per la sua inco-lumità personale (19).

Anche in relazione a detta fattispecie, con riferimento all’ele-mento soggettivo è sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto dalla norma alcun fine ulteriore rispetto a quello di privare taluno della propria libertà di locomozione (20).

2.1. (segue): La giurisprudenza di legittimità.

A ben vedere, dunque, le fattispecie in esame sono struttu-ralmente differenti (sebbene entrambe non richiedano par-ticolari modalità di manifestazione della condotta) non solo in ordine al loro estrinsecarsi temporalmente - l’una abi-tuale, l’altra permanente -, bensì anche in relazione al bene giuridico tutelato - l’integrità psicofisica della persona, da un lato, e la libertà di collocarsi autonomamente nello spa-zio, dall’altro. L’unico elemento che pare accomunarle è rap-presentato dal dolo generico, giacché ambedue non richiedono finalità ulteriori per la commissione del reato - ma, con evidenza, si tratta di un elemento di comunanza particolarmente debole, sicuramente insufficiente a ritenere che le due norme possano essere caratterizzate da specialità l’una rispetto all’altra.

Non stupisce, pertanto, la pronuncia dei Giudici di Legitti-mità de qua, considerato che l’orientamento che nega il rap-porto di specialità tra le due fattispecie è restato pressoché invariato nel tempo.

Il leading case in materia è stato deciso dalla Corte di Cassa-zione nel 2006 (21), allorquando ha dovuto pronunciarsi nell’ambito di una vicenda che aveva visto il figlio patire dei soprusi reiterati compiuti dal padre, concretizzatisi - anche - nella segregazione del minore all’interno di una cella angusta ricavata nella loro abitazione.

La Corte confermò la decisione del Tribunale di Varese, che aveva individuato la penale responsabilità del padre in rela-zione sia alla fattispecie ex art. 572 c.p. sia a quella di cui al-l’art. 605 c.p., valorizzando le dichiarazioni rese dalla persona offesa nonché da altri testimoni.

Alcun rilievo è stato accordato dai Giudici di Legittimità alla tesi difensiva secondo la quale il reato di cui all’art. 605 c.p.

risulterebbe assorbito nell’alveo delle condotte ricomprese nei maltrattamenti, su un duplice presupposto: la diversità di beni giuridici e la diversa estrinsecazione delle condotte. È stato infatti affermato che: “Non sussiste rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di per-sona, trattandosi di reati che non solo tutelano beni giuridici di-versi, ma sono anche caratterizzati da un diverso elemento materiale, in quanto per la sussistenza del reato di maltrattamento è che necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a continue vessazioni, mentre per la sussistenza del reato di sequestro di persona è necessario che l’agente privi taluno della libertà personale”.

Nella vicenda concreta, la Corte ha evidenziato l’autonomia e la distinzione delle condotte realizzate dal padre, in relazione alle due ipotesi di delitto, così escludendo l’assorbimento del reato di sequestro in quello di maltrattamenti (22).

L’orientamento manifestato nella pronuncia de qua, ripresa dalla Suprema Corte nella sentenza qui in commento, è stato in seguito confermato in relazione ad un caso in cui la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribu-nale per il riesame di Milano che aveva escluso il concorso del reato di sequestro di persona con quello di cui all’art. 572 c.p., relativamente alle condotte di imbragare o legare su pas-seggini o seggiolini bambini in tenerissima età nell’ambito di maltrattamenti compiuti in loro danno all’interno di un asilo (23).

Il Tribunale aveva negato la sussistenza del reato di sequestro di persona, pur affermando l’astratta possibilità che detta fat-tispecie concorra con quella ex art. 572 c.p., sul presupposto che il luogo della collocazione nonché le modalità con le quali i bambini venivano “segregati” non valessero a qualificare la condotta in termini di compressione della libertà di movi-mento dei piccoli, pur denotando una mortificazione reiterata delle esigenze degli stessi (24). Pertanto, si sarebbe trattato unicamente di elementi indicativi della ravvisabilità del delitto di maltrattamenti, senza che potessero valorizzarsi ai fini del reato di sequestro di persona.

La Corte di Cassazione, negando l’orientamento espresso dal Tribunale, e dando autonoma rilevanza alle condotte di “se-gregazione” rispetto a quelle dei maltrattamenti, si è dunque concentrata sull’inquadramento di dette condotte al fine di stabilire se le stesse potessero denotare la sussistenza del reato di sottrazione di persone incapaci di cui all’art. 574 c.p., in luogo del delitto ex art. 605 c.p.

Dopo un’analisi puntuale, la Corte ha chiarito che dinanzi ad una ipotesi di sottrazione di persona incapace non ci si trovi automaticamente al cospetto del sequestro di persona; e, al contrario, che la ravvisabilità del delitto ex art. 605 c.p. in danno di un minore non comporta ipso facto la sussistenza degli estremi del meno grave reato di cui all’art. 574 c.p.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, i minori non fu-rono vittima di una sottrazione qualificabile ai sensi del delitto di sottrazione di persone incapaci, dal momento che l’eserci-zio della potestà genitoriale non venne leso dalle condotte perpetrate; pertanto, proprio valorizzando il difetto di una so-stanziale amotio, la Corte conclude nel senso di escludere il delitto ex art. 574 c.p., ed affermare la sussistenza del reato di sequestro di persona.

Ciò posto, poi, la Corte di Cassazione si è concentrata sulle con-crete modalità di estrinsecazione della condotta degli imputati, al fine di comprendere se le condotte direttamente incidenti (sebbene in una minima parte) sulla libertà di movimento dei bambini potessero rientrare nell’ambito della “condotta mal-trattante” ovvero se detti comportamenti fossero ulteriori ri-spetto a quelli specificamente volti al maltrattamento.

In particolare, in quest’occasione, la Corte ha fornito una pre-cisazione in materia, laddove ha affermato che “Il reato di se-questro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 c.p., soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non sono ulteriori ed autonome rispetto a quelle specificatamente maltrattanti”.

Vagliata, tuttavia, l’analisi condotta dal Tribunale, i Giudici di Legittimità sono giunti a ritenere necessaria una nuova valu-tazione sulle condotte perpetrate, proprio allo scopo di veri-ficare la loro autonoma rilevanza ovvero la loro conformità con le condotte tipiche del reato di cui all’art. 572 c.p., deci-dendo così di annullare l’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame della vicenda.

Sezione di diritto penale Sentenze e Ordinanze

3. Conclusioni.

Dall’analisi della - invero non copiosa - giurisprudenza of-ferta in materia, pare non revocabile in dubbio il concorso tra il reato di maltrattamenti contro familiari e quello di sequestro di persona. E la recente pronuncia in commento conferma l’orientamento sin oggi sviluppatosi.

Certamente ha suscitato alcune perplessità l’indicazione of-ferta dalla Suprema Corte con la quale ha ammesso la possi-bilità che il reato di sequestro di persona possa ritenersi assorbito in quello di maltrattamenti dinanzi a condotte com-pressive della libertà di movimento che non siano “ulteriori ed autonome” rispetto a quelle specificamente maltrattanti. Il che significherebbe - in altre parole - ritenere assorbito il reato di cui all’art. 605 c.p. in quello di cui all’art. 572 c.p. solo quando la condotta dell’agente volta alla limitazione della li-bertà di movimento sia finalizzata alla realizzazione del più grave reato di maltrattamenti.

Però, a ben vedere, proprio in virtù della diversità del bene che entrambe le fattispecie intendono tutelare, nel caso in cui la limitazione della libertà personale avvenisse per un apprez-zabile periodo di tempo, come richiesto per l’integrazione del reato di sequestro di persona, la lesione cagionata parrebbe idonea a considerare entrambe le ipotesi di reato.

Dunque, in siffatta ipotesi, in un’ottica maggiormente repres-siva, sembrerebbe più corretto considerare l’ipotesi del con-corso di reati in luogo di quella dell’assorbimento del delitto ex art. 605 c.p. nel delitto di maltrattamenti in famiglia.

Nel caso contrario, ovverosia in assenza dell’elemento strut-turale della durata apprezzabile della costrizione, neppure po-trebbe ipotizzarsi la sussistenza del reato di cui all’art. 605 c.p., e la condotta sarebbe ex se assorbita nel reato di maltrat-tamenti, così come affermato dalla Corte di Cassazione.

Prescindendo dalle precedenti considerazioni, l’orientamento dei giudici di legittimità è stato ribadito, poco dopo la pubbli-cazione della pronuncia de qua, dalla stessa V sezione della Cas-sazione, la quale ha affermato che “il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non siano ulteriori ed autonome rispetto a quelle spe-cificatamente maltrattanti. Tale esegesi è in linea con quella svilup-patasi sul tema, ad esempio, dei rapporti, tra il delitto di violenza sessuale e quello, appunto, di sequestro di persona, secondo cui il de-litto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale sol-tanto quando vi sia piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa. Quando, invece, la condotta integrante il reato di cui all’art. 572 c.p. non si esaurisca negli episodi di violenza sessuale, ma s’inserisca in una serie di atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti, i due reati concorrono”. (25)

Martina Duina Dottoressa in Giurisprudenza Specializzanda in Professioni Legali

Note.

(1) Corte d’Appello di Genova, sez. II penale, sentenza del 28 marzo 2018 n. 1149.

(2) Cass., sez. I, sentenza del 02/05/2006 n. 18447 in Rv. 234673.

(3) Vedi supra.

(4) L’art. 572 c.p. (Maltrattamenti contro familiari o conviventi), risulta recentemente modificato dalla L. n. 69 del 19 luglio 2019 - c.d. “Codice Rosso”; la nuova formulazione prevede: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comun-que convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da

tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

(5) Rubrica modificata a seguito della L. n. 172/2012 (Ratifica Conven-zione di Lanzarote)

(6) Ex multiplis, Cass., Sez. III, sentenza n. 22850 del 16/05/2007, in De-Jure: “Il reato di maltrattamenti in famiglia configura un’ipotesi di reato necessariamente abituale costituito da una serie di fatti, per lo più com-missivi, ma anche ocom-missivi, i quali acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Trattasi di fatti singolarmente lesivi dell’integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare, per la configurabilità dei maltrattamenti, una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.”

(7) Per una completa disamina sul punto, si veda F. COPPI, Maltratta-menti in famiglia, in ESI, Univ. Di Perugia, 1979, pp. 175 ss.

(8) In questo senso, G. Pisapia, voce “Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli”, in DigDPen, vol. VII, Torino 1993; V. Paterniti, La famiglia nel diritto penale, Milano 1970, p. 140.

(9) T. Vitarelli, Maltrattamenti mediante omissione? in Riv. it. dir proc. pen., 1998, 183 ss.; F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia, op. cit., pp. 222 e ss.;

S. Vitelli, Maltrattamenti “ambientali” tra prassi applicativa e riforme le-gislative (art. 61 11-quinquies c.p.), in www.lalegislazionepenale.eu, p.

4; C. Cassani, La nuova disciplina dei maltrattamenti contro familiari e con-viventi. Spunti di riflessione, in www.archiviopenale.it, fascicolo n. 3/2013;

A. Cadoppi, sub art. 572 c.p., in Delitti contro la moralità pubblica, di pro-stituzione, contro il sentimento per gli animali e contro la famiglia, a cura di A. Cadoppi, Trattato di diritto penale, Parte Speciale, VI ed., Torino 2009, 631, il quale ha preferito parlare di integrità della “personalità”, termine più vago e sfumato di “integrità fisica e psichica”, ma più capace di espri-mere una situazione in cui l’offesa è più profonda di una sofferenza fisica o psichica, consistente nel disconoscimento della dignità umana, nella li-mitazione e nell’oppressione ingiustificata della libertà fisica e morale.

(10) In questi termini v. F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia, cit., pp. 222 ss. Anche in giurisprudenza il bene tutelato viene ravvisato nella identità fisica o psichica del soggetto passivo (Cass. pen., sez. III, sentenza del 12 giugno 2007, R., in Mass. Uff.)

(11) C. Cassani, La nuova disciplina dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. Spunti di riflessione, op. cit., la quale critica la collocazione co-dicistica della norma, rimasta invariata anche a seguito dell’intervento sulla fattispecie operato dalla L. 172/2012, ritenendo che la connotazione più opportuna collocherebbe il reato di maltrattamenti all’interno dei reati contro la persona.

(12) Cass., Sez. III, sentenza del 12 giugno 2007, R., Mass. Uff.

(13) F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia, cit., pp. 286 ss.; C. Cassani, La nuova disciplina dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. Spunti di riflessione, op. cit.

(14) Cass., Sez. III, sentenza del 16/10/2018 n. 1508 in Rv. 274341, ha affermato: “La sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrat-tamenti di cui all’art. 572 cod. pen. non implica l’intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria.” Ed ancora, in Cass., Sez. VI, sentenza del 18/03/2008 n. 27048 in Rv. 240879, si afferma che: “Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti, l’art. 572 cod. pen. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un si-stema di sopraffazioni e di vessazioni che ne avviliscono la personalità.”

(15) P. Pisa, Giurisprudenza commentata di diritto penale, vol. I, Delitti contro la persona e contro il patrimonio, ed. V, 2016, CEDAM, p. 350 e ss.

(16) Cass., Sez. I, sentenza del 14/02/1994, in Riv. Pen. 1994, 1310.

(17) F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, Milano, 2008 pp. 156 e ss.; F. Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, I, Padova, 2005, pp. 309 e ss.

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(18) Quanto all’elemento cronologico della durata, perché sia configu-rabile il delitto di sequestro di persona, si ritiene necessario che la priva-zione della libertà personale non sia momentanea, ma si protragga per un tempo giuridicamente apprezzabile secondo la valutazione

(18) Quanto all’elemento cronologico della durata, perché sia configu-rabile il delitto di sequestro di persona, si ritiene necessario che la priva-zione della libertà personale non sia momentanea, ma si protragga per un tempo giuridicamente apprezzabile secondo la valutazione