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affermatasi la procedura per formulas – fra iudicium e arbitrium ex compromisso 499 attestata da

Cicerone: lo iudicium, descritto come «directum, asperum, simplex», è posto in contrapposizione

all’arbitrium, presentato invece come «mite» e «moderatum» (Cic. pro Rosc. com. 10-11)

500

:

498 Cfr. G.BROGGINI, Iudex arbiterve. Prolegomena zum Officium des römischen Privatrichters, Köln-Graz 1957, pp. 24 e ss. e la sua nota revisione della teoria sull’origine arbitrale del processo civile romano di M.WLASSAK, Römische Prozessgesetze. Ein Beitrag zur Geschichte des Formularverfahrens, II, Leipzig 1888-1891, pp. 287 e ss. Vedi anche le recensioni di A. BURDESE, Recensione a G. BROGGINI, Iudex arbiterve. Prolegomena zum Officium des römischen Privatrichters, cit., in Riv. filologia e istruzione classica 86, 1958, pp. 397 e

ss., ora in Recensioni e commenti. Sessant’anni di letture romanistiche, I, Padova 2009, pp. 75 e ss.; e di G. PUGLIESE, Recensione a G.BROGGINI, Iudex arbiterve. Prolegomena zum Officium des römischen Privatrichters,

cit., in Iura 9, 1958, pp. 214-229, ora in Scritti giuridici scelti, I, Napoli 1985, pp. 255 e ss. L’autore è tornato a riflettere su questi temi, a cinquant’anni di distanza, in G.BROGGINI, «Iudex arbiterve», in Rivista di diritto romano 2, 2002, pp. 425 e ss. ora in Studi di diritto romano e storia del diritto, Napoli 2007, pp. IX e ss.

499 Cfr. da ultimo T. DALLA MASSARA, Reciproche relazioni e integrazioni tra arbitrato e ‘iudicium’: un itinerario

della giurisprudenza classica, in L.GAROFALO (a cura di), Il giudice privato nel processo civile romano. Omaggio ad Alberto Burdese, II, cit., pp. 112-113, secondo il quale l’arbitrato «si colloca al polo opposto rispetto al iudicium». A differenza di altri luogi, dove – come si vedrà – Cicerone utilizza in modo almeno

apparentemente interscambiabile i termini iudicium e arbitrium – è proprio nel luogo della pro Rosc. com., dove si evidenziano le nette differenze fra i due procedimenti, che l’Arpinate sembra esser maggiormente rigoroso nell’utilizzo dei termini iudicium e arbitrium (cfr. B.BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’editto giulianeo, Milano 2002, p. 249).

500 Si veda la ricostruzione processuale di R.FIORI, ‘Ius civile’, ‘ius gentium’, ‘ius honorarium’: il problema

della «recezione» dei ‘iudicia bonae fidei’, in BIDR 101-102, 1998-1999, pp. 179 e ss. e ID., Ea res agatur. I due modelli del processo formulare repubblicano, Milano 2003, pp. 144 e ss. – con ampi ragguagli bibliografici –

dove si chiarisce anche la portata del collegamento colto in dottrina fra l’arbitrium ex compromisso del passo in questione e un passaggio successivo dell’orazione, dove l’Arpinate parla di «arbitria honoraria» in contrapposizione a «iudicia legitima»: «[…] perinde ac si in hanc formulam omnia iudicia legitima, omnia arbitria

honoraria, omnia officia domestica conclusa et comprehensa sint, perinde dicemus» (Cic. pro Rosc. com. 15). Condivido

questa impostazione, contraria all’indirizzo generale che vede invece negli «arbitria honoraria» di Cic. pro

Rosc. com. 15 un riferimento all’actio pro socio (o in generale ai bonae fidei iudicia) piuttosto che all’arbitrium ex compromisso (G.BROGGINI, Iudex arbiterve. Prolegomena zum Officium des römischen Privatrichters, cit., pp. 210 e ss.; M.TALAMANCA, Il riordinamento augusteo del processo privato, cit., p. 96; A.SACCOCCIO, Si certum

petetur. Dalla condictio dei veteres alle condictiones giustinianee, Milano 2002, pp. 165 e ss. e 168). Si vedano sul

punto anche le considerazioni di A.MAGDELAIN, Les actions civiles, Paris 1954, pp. 10 e ss.; G.GROSSO,

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Cic. pro Rosc. com. 10-11: «[10] Pecunia tibi debebatur certa, quae nunc petitur per iudicem, in qua legitimae partis sponsio facta est. Hic tu si amplius HS nummo petisti, quam tibi debitum est, causam perdidisti, propterea quod aliud est iudicium, aliud est arbitrium. Iudicium est pecuniae certae, arbitrium incertae; ad iudicium hoc modo venimus ut totam litem aut obtineamus aut amittamus; ad arbitrium hoc animo adimus ut neque nihil neque tantum quantum postulavimus consequamur. Ei rei ipsa v e r b a f o r m u l a e testimonio sunt. [11] Q u i d e s t i n i u d i c i o ? D e r e c t u m , a s p e r u m , s i m p l e x : S I P A R E T H S I Ɔ Ɔ Ɔ D A R I—. Hic nisi planum facit HS IƆƆƆ ad libellam sibi deberi, causam perdit. Q u i d e s t i n a r b i t r i o ? M i t e , m o d e r a t u m : Q U A N T U M A E Q U I U S E T M E L I U S S I T D A R I. Ille tamen confitetur plus se petere quam debeatur, sed satis superque habere dicit quod sibi ab arbitro tribuatur. I t a q u e a l t e r c a u s a e c o n f i d i t , a l t e r d i f f i d i t »

Per Cicerone, la differenza fra iudicia e arbitria risiederebbe proprio nei verba formulae dei

primi che, richiedendo l’accertamento – di regola – di un certum («si paret»), si discostano

dall’arbitrium, di cui la mitezza e la moderatezza sono espressione del parametro indicato per la

decisione e richiamato – di regola – dalle parti nel compromissum arbitrale («quantum aequius et

melius»)

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. Nel passo immediatamente successivo, l’Arpinate esaspera l’antitesi fra le due

fidei iudicia, in Studi in onore di Antonio Segni, Milano 1967, pp. 483 e ss., ora in Scritti storico giuridici, III,

Torino 2001, pp. 725 e ss.; F.CANCELLI, Iudicia legitima, arbitria honoraria e advocatio di Pro Quinto Roscio

Comoedo, 5, 15 nel sistema lessicale-giuridico di Cicerone, in La giustizia tra i popoli nell’opera e nel pensiero di Cicerone,

Roma 1993, pp. 210 e ss.; B.BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’editto giulianeo, Milano 2002, pp. 250 e ss.

501 G.BROGGINI, Iudex arbiterve. Prolegomena zum Officium des römischen Privatrichters, cit., pp. 201 e ss. reputa il riferimento ciceroniano un richiamo a un’ipotetica formula di un’actio pro socio con indicazione dell’aequius et melius anziché dell’ex fide bona su cui le parti avevano modellato il compromissum. Similmente M.TALAMANCA, Ricerche in tema di “compromissum”, Milano 1958, pp. 21 e ss., secondo il quale Cicerone nel luogo citato aveva intenzione di contrapporre l’actio certae creditae pecuniae all’actio pro socio, al fine di creare un parallelismo antitetico fra le due pretese – «fossero queste fatte valere nel processo ordinario o in quello arbitrale» – e non fra i due modi agendi. Per questa interpretazione vedi W.SELB,Formeln mit unbestimmter intentio iuris. Studien zu Formelaufbau, Wien-Köln-Graz 1974, pp. 54 e ss. e anche A. SACCOCCIO, Si certum petetur. Dalla condictio dei veteres alle condictiones giustinianee, cit., pp. 147 e ss. e 164. Contra già M.WLASSAK, s.v. Arbiter, in RE II, Stuttgart 1896, pp. 408-409 e poi V.ARANGIO-RUIZ (a cura di), L’orazione per l’attore comico Quinto Roscio, Milano 1964, p. 290 il quale intravedeva nel passo ciceroniano un richiamo esclusivamente agli arbitria ex compromisso. Da ultimo contrario anche R.FIORI,

‘Ius civile’, ‘ius gentium’, ‘ius honorarium’: il problema della «recezione» dei ‘iudicia bonae fidei’, cit., pp. 179 e ss. a

cui mi sembrano accodarsi B.BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’editto giulianeo, Milano 2002, pp. 249 e 260 e ss. spec. 277 e 282; L.DE GIOVANNI, L’arbitrato nell’esperienza giuridica romana, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli 2010, p. 338; T. DALLA MASSARA, Reciproche relazioni e integrazioni tra arbitrato e ‘iudicium’: un itinerario della giurisprudenza classica, cit., p. 138; N.RAMPAZZO, Sententiam dicere cogendum esse. Consenso e imperatività nelle

funzioni giudicanti in dritto romano classico, Napoli 2012, pp. 90 e ss. A favore dell’ipotesi avanzata da

Broggini, a mio avviso, non depone – non solo Cic. pro Rosc. com. 12, dove l’Arpinate fa espressamente riferimento a un precedente compromissum – ma anche Cic. pro Rosc. com. 24-25, dove l’oratore domanda

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procedure, contrapponendo addirittura l’«infinitam largitionem» dell’arbitrium all’«angustissimam

formulam» dello iudicium (Cic. pro Rosc. com. 12).

Come è tramandato da Gaio, la differenza fra intentio certa e incerta aveva nella procedura