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2.3 Autocomplete, Ricerche Correlate e reato di diffamazione per-

2.3.2 Affermazione o domanda

Non è dunque per la sua responsabilità come ISP che Google viene sanzio- nata, ma per il danno che il prodotto di un suo software arreca, anche in assenza di dolo, alla persona nominata, facendo scattare l’applicazione del- l’art. 2043 del Codice Civile. L’oggetto del ricorso non è l’attività di host provider, e quindi di ISP, di Google, ma il risultato della modalità di un servizio messo a punto da questo. La Corte respinge in toto il reclamo di

Google, soprattutto la tesi secondo la quale non avrebbe considerato la sua natura di ISP e quindi delle sue relative responabilità.

Curiosamente, due anni dopo la stessa Corte di Milano si trova ad af- frontare una situazione pressoché identica, ma questa volta assolve Google proprio ai sensi degli artt. 15-17 del d.lgs 70/2003. Secondo il Tribunale, i termini che Autocomplete associa al ricorrente (che in questo caso è il presi- dente di due associazioni no profit che ha trovato il proprio nome associato a “truffa”, “truffatore”, “plagio” e “setta”) non costituiscono un archivio, non sono strutturati, organizzati o influenzati da Google, il quale si limita ad analizzarne la popolarità in base ad un software: si tratta di un’attività di caching, cioè memorizzazione provvisoria e automatica di dati di cui non è responsabile, come non lo è il sistema di ricerca né i suoi risultati9.

Per di più, i termini isolati non costituiscono una frase di senso compiu- to, né rappresentano quello che Google pensa: l’accostamento di termini in una stringa o un profilo di ricerca non costituisce un’affermazione bensì una suggerimento di ricerca sulla base di dati statistici o indicizzati presenti nella memoria di Google e quindi non può essere considerato atto diffamatorio.

Gli esiti così diversi di due casi molto simili rivelano come la legislazio- ne italiana non fornisca una direttiva definita riguardo al trattamento dei contenuti che servizi come Autocomplete applicano, lasciando ai giudici l’in- terpretazione della natura di questi software e dei loro risultati. Il problema di fondo è che è difficile definire cosa effettivamente rappresenti la stringa di suggerimento generata da Autocomplete: mentre nel processo del 2011 ne era stato valutato soltanto il danno, ma non l’identità, in quello del 2013 viene considerato come suggerimento del tutto neutrale e assolutamente non definibile come affermazione né tantomeno come contenuto generato attiva- mente da Google. Mentre nel primo caso il ricorrente riconosceva a pieno il fatto che Google rappresentasse un service provider e che dunque non fosse responsabile dei contenuti che mette a disposizione, nel processo del 2013 la parte offesa sostiene che, dal momento che la funzione di autocomple- tamento è messa a punto da Google, questo vada considerato un content provider, in quanto il contenuto visualizzabile tramite questi servizi è pro- dotto e diffuso dallo stesso Google. La Corte di Milano tuttavia respinge la qualità di content provider di Google e ribadisce la neutralità dei risultati di Autocomplete.

È sensato considerare la stringa generata automaticamente da un soft- ware un contenuto? Sicuramente, anche se non costituisce una frase di senso compiuto, una stringa come “Mario Rossi truffatore” lascia bene intendere un certo significato e può infondere in chi la legge qualche sospetto. La stringa inoltre è effettivamente generata, anche se in via automatica e sull’elabo- razione statistica di altri contenuti, dal software di Google ed è dunque da considerare un suo esclusivo prodotto. Ma anche se si volesse considerare queste stringhe come veri e propri contenuti e quindi Google come content provider, resta il fatto che, indipendentemente dalla compiutezza del suo si- gnificato, la stringa di Autocomplete è tecnicamente una query, vale a dire una domanda. Di una domanda quindi, e non di un’affermazione, può essere ritenuto responsabile Google e una domanda non può essere, per sua stessa natura, foriera di cattiva reputazione. Se poi i contenuti accessibili tramite queste query confermano ciò che nelle query è formulato soltanto come ipote- si, la cattiva luce sotto cui ricadrà l’interessato non può essere riconducibile alla responsabilità del motore di ricerca.

Capitolo 3

Monitoraggio e analisi

dell’identità sui motori di

ricerca

3.1

Il check-up reputazionale: considerazioni preli-

minari

Il primo passo per poter assumere il controllo dell’identità digitale è impa- rare a conoscerla. Il gesto è tecnicamente molto semplice: accedere a un browser, collegarsi a www.google.com (o .it), digitare il nome e cognome del soggetto di cui si vuole analizzare l’identità. Quella pagina dei risultati è un vero e proprio profilo, come un profilo Facebook o Twitter, una ba- checa che offre pubblicamente informazioni, contenuti e notizie riferibili a quel nome e cognome (non necessariamente al soggetto, ma questo può non essere immediatamente chiaro all’utente). La differenza fra qualsiasi profilo e quello prodotto da Google è che quest’ultimo non è sotto la responsabilità di nessuno, se non dell’algoritmo che l’ha generato.

Monitorare la pagina dei risultati di Google (SERP) significa raccogliere i dati che ci permettano di prevedere l’esito di quella che nel primo capitolo è stata definita “stretta di mano digitale”. È chiaro che il monitoraggio della SERP soltanto non basta ad ottenere uno spettro completo dell’identità digitale: la SERP si limita a rappresentare un sommario non ragionato e dall’accuratezza poco controllabile della presenza del soggetto su tutti i canali del web, come i social, i blog, webzine, contenuti video, foto ecc. Tuttavia,

l’analisi e il monitoraggio limitati al motore di ricerca merita particolare interesse per due ragioni: la prima è che corrisponde al gesto più basilare ed immediato dell’accesso a Internet per cercare informazioni su qualcosa o qualcuno; la seconda sta nel fatto che l’identità digitale restituita dalla SERP è, per certi versi, la rappresentazione di cosa il motore di ricerca “conosce” di una persona, cosa risponde alla virtuale domanda «chi è Mario Rossi?».

Dopo una prima ispezione della SERP è probabile che l’identità digitale del soggetto ricada genericamente in una delle seguenti quattro categorie:

• Identità positiva: compaiono solo risultati positivi ed in linea con le aspettative del soggetto.

• Identità compromessa: compaiono uno o più risultati non positi- vi o non desiderati dal soggetto. Purtroppo basta anche solo un ri- sultato negativo, che si trova in una posizione di alta visibilità, per compromettere l’intera immagine del soggetto.

• Identità non pertinente: compaiono risultati non riferibili al sog- getto per ragioni per lo più riconducibili a casi di omonimia.

• Identità nulla: compaiono risultati che non forniscono alcuna infor- mazione sul soggetto, causa la scarsissima presenza online dello stesso. Per quanto questo tipo di categoria si traduca poi nell’identità non pertinente, è uno scenario possibile e benché possa sembrare la condi- zione più idonea alla salvaguardia della reputazione, è esposta a molti rischi, capiremo in seguito perché.

Questa prima classificazione è molto generica e ha molte zone grigie: an- che se un’identità è complessivamente positiva, per esempio, non è detto che contenga solo e soltanto contenuti riferibili, così come un’identità non perti- nente può dare luogo a identità compromessa. Soprattutto, non è facile fare una netta distinzione tra identità non pertinente e identità nulla in quanto, eccetto casi estremi, il motore di ricerca restituirà sempre qualcosa una vol- ta interrogato e dunque un profilo relativo a quel nome, sia pur nebbioso e fuorviante, si delineerà in ogni caso.

Se da un lato è quasi banale, da un punto di vista intuitivo, capire se un soggetto gode di una buona reputazione online o meno, non è altrettanto facile stabilire dei criteri oggettivi per eseguire un’analisi sistematica e quanto più possibile scientifica dell’identità digitale.

Nell’analisi vanno presi in considerazione vari fattori: i primi due sono fondamentali, positività/negatività e riferibilità/non riferibilità dei risulta- ti. A questi si aggiungono la tipologia prevalente di contenuto - come testo, video, immagini - l’effettivo controllo che il soggetto esercita su ogni contenu- to, se questo deriva da una piattaforma social e se si riferisce a vita privata, professione o formazione.

Questo tipo di attività richiede metodo, capacità di osservazione e so- prattutto costanza nel tempo. Monitorare una volta sola o di rado l’identità digitale non crea le condizioni per poter reagire tempestivamente e con i giu- sti mezzi all’insorgere, potenzialmente quotidiano, dei contenuti. I motori di ricerca sono realtà molto dinamiche, variano e aggiornano i propri indici continuamente, così come i loro criteri di “risposta” alle richieste dell’uten- te. La periodicità è un aspetto fondamentale del monitoraggio dello stato di salute della reputazione sulla Rete.

Definire i criteri base dell’analisi della reputazione online non è semplice perché è lo stesso concetto di reputazione a non essere facilmente scompo- nibile in una serie finita di variabili universalmente definibili, alle quali as- segnare valori quantificabili. La reputazione è una previsione d’esito di una relazione: conoscendo poco o niente di una persona, un individuo effettua una proiezione su come potrebbe svolgersi un incontro, una conversazione o una collaborazione con lei, basandosi sulle informazioni che raccoglie da fonti esterne. Questa previsione è spesso molto istintiva, si basa su associazioni che facciamo in pochi istanti tra la persona in questione e il contesto in cui è immersa.

Cercare di sistematizzare il processo di analisi e fornire uno schema di va- lutazione reputazionale universale è rischioso, dal momento che quest’attività oscilla tra il semplice buon senso e le necessità peculiari di ogni singolo caso. Tuttavia, è necessario individuare quali aspetti della presenza sui motori di ricerca devono essere considerati in relazione alla reputazione personale, se- condo i quali classificare le informazioni e i dati materialmente reperibili ed estraibili dalla SERP che devono poi essere utilizzati nel processo di analisi, indipendentemente dai criteri scelti per eseguire quest’ultima.

L’identità digitale infatti è il risultato dell’interazione di più forze, come per esempio la visibilità di un contenuto, il contesto in cui è calato o che esso stesso genera, la sua potenziale capacità di aprire casualmente nuovi spunti di ricerca e approfondimento, il suo grado di attualità o obsolescenza.

Una volta compresi tutti gli aspetti della reputazione online, il passo successivo è conoscere l’ambiente di lavoro, cioè la SERP, la sua struttura anatomica, il suo comportamento e il suo funzionamento. Capire la SERP ci aiuta a capire chi la usa e dunque cosa può trovarci dentro. Ci sono tanti strumenti più o meno sofisticati per misurare e valutare la web presency, ma niente è più efficace che imparare ad utilizzare il motore di ricerca così come si presenta al pubblico generico. Inoltre l’analisi di tutti gli elemen- ti che compongono la SERP è necessaria per capire dove andare a cerca- re i dati da classificare secondo gli aspetti della reputazione online definiti precedentemente.

Compreso il motore di ricerca nella sua incarnazione più immediata (e più usata dall’utenza media), si può passare ad un utilizzo più avanzato, che mira non tanto a monitorare ciò che si trova sulla SERP di un generico nome e cognome, ma a setacciare gli indici di Google per trovare qualsiasi contenuto riferibile al soggetto. Google infatti offre degli Operatori di Ricerca Avanzata che permettono di affinare la ricerca secondo criteri di filtraggio, ordinamento e relazioni fra parole chiave che permette di reperire informazioni meno facili da trovare con l’interrogazione standard.

Per rendere l’indagine ancora più sofisticata, è possibile costruirsi ma- nualmente richieste HTTP sfruttando i parametri del protocollo di ricerca di Google Search da inviare al motore di ricerca.

Questi strumenti di ricerca consentono già un alto livello di monitoraggio, ma hanno un limite: richiedono un lavoro manuale consistente. Sia che si faccia una scansione di una SERP, che si usino operatori di ricerca o si costruiscano richieste HTTP ad hoc, la raccolta di dati va effettuata a mano e ciò richiede tempo e metodo. Questo aspetto genera due difficoltà: il monitoraggio su lungo periodo e la normalizzazione dei dati.

Come già accennato in precedenza, i motori di ricerca sono realtà in continuo movimento e necessitano di un controllo periodico, soprattutto se si vuole tracciare l’andamento della reputazione nel tempo o si ha necessità di verificare l’efficacia di interventi migliorativi/riparatori sull’identità di un soggetto sulla SERP1.

In secondo luogo, è probabile avere la necessità di avere dati normalizzati e pronti per essere utilizzati su strumenti di calcolo come per esempio uno spreadsheet. Intabellare dati a mano richiede molto tempo e può dar luogo

ad errori. Per questo, uno strumento di raccolta automatica di dati sarebbe di gran lunga preferibile alla raccolta manuale di informazioni.

3.2

I sei aspetti della reputazione sui motori di ri-