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In sintesi, viviamo in un’epoca in cui l’informazione ha un grande valore economico e sociale ma che allo stesso tempo costa pochissimo, non solo in termini di denaro ma di qualsiasi altra risorsa, come tempo, spazio, forza, abilità e talento, grazie al suo formato digitale. Ambiente principe in cui l’informazione digitale circola, si crea, si diffonde e si conserva è il Web, che ha modificato la struttura della nostra conoscenza, da lineare a reticolare, ha abbattuto certi limiti spazio-temporali e ha sconfitto i filtri dei media tradi- zionali. Per necessità o tendenza, anche le nostre identità sono entrate a far parte del Web, sotto forma di informazioni prodotte da noi stessi o da terzi. Le nostre informazioni presentano le stesse caratteristiche di qualsiasi altra informazione digitale: sono riproducibili, accessibili e condivisibili da chiun- que, a costo praticamente nullo. La facilità con cui l’informazione è riprodu- cibile e divulgabile e archiviabile, l’assenza dei tradizionali filtri del sapere e la non linerarità della struttura della rete fa sì che spesso l’informazione venga decontestualizzata.

Wikipedia alla voce “Era dell’informazione”10 fornisce una definizione molto interessante e diversa rispetto alle definizioni più tradizionali: «perio- do in cui il movimento dell’informazione divenne più veloce del movimento fisico». Per quanto molto astratta questa definizione rende bene l’idea di cosa stia alla base di tutti i fattori che hanno dato luogo alla Società dell’In- formazione: la tecnica che ha accelerato a ritmi semplicemente non umani qualsiasi azione intorno all’informazione.

Prima dell’era digitale qualcuno aveva già intuito che se qualcosa può es- sere riprodotto ad una velocità maggiore di quella della mano umana, rischia di perdere il suo autentico valore e, in ultima analisi, essere decontestualiz- zata, cioè alienata da ciò che le dà ragione di essere.

Questo è Benjamin, che in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproduci- bilità tecnica11 sostiene che nel momento in cui l’arte diventa riproducibile tecnicamente (cioè ad un ritmo diverso da quello del semplice lavoro manuale tramite cui fino ad allora era sempre stata riprodotta) questa perde la sua aura, perché si ritrova decontestualizzata dal luogo e momento in cui viene creata, ciò che lui chiama hic et nunc dell’opera d’arte.

Mentre in realtà l’arte è sopravvissuta alla sua riproducibilità tecni- ca e anzi ha trovato nella tecnologia nuovi mezzi tramite cui esprimersi, questo non si può dire dell’identità dell’individuo, perché oggi anche l’Io è riproducibile tecnicamente, con esiti a volte devastanti.

Il fatto che la nostra identità digitale sia costituita da informazioni con- divise e conservate sulla Rete e che queste informazioni, per loro natura digi- tale, sono riproducibili, accessibili e condivisibili, fa sì che la nostra identità, il nostro Io, sia riproducibile tecnicamente. Una foto che ci ritrae, un dato anagrafico o un commento sul Web sono tutte riproduzioni di una piccola o grande parte della nostra identità.

Esattamente come Benjamin dice per l’arte, anche l’Io è stato da sempre riproducibile, soprattutto tramite l’arte figurativa e la letteratura. Dipingere il ritratto di una persona o scriverci sopra una storia, un trattato storiografi- co o semplicemente un articolo di giornale risente però di tutti quei costi che la produzione e la conservazione (e quindi memorizzazione) di questa ripro- duzione di un’identità implica. Riprodurre una persona doveva perciò avere

10

Wikipedia, voce Era dell’informazione, https://it.wikipedia.org/wiki/Era_dell%27informazione, 19/4/2017.

11

W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. di E. Filippini, Einaudi, Torino, 2000.

uno scopo, la sua identità doveva avere un ruolo nella storia, nella società o comunque nell’interesse della collettività. La facilità con cui oggi possiamo fotografare, riprendere, registrare, in poche parole riprodurre tecnicamente una persona e immediatamente rendere la sua immagine riprodotta pubblica a tutto il mondo rischia di far sì che l’Io digitale si alieni da quello reale.

Se infatti l’arte, come dice Benjamin, ha un suo hic et nunc, il qui e ora originario dell’opera che ne stabilisce la sua autenticità, la sua aura, anche l’Io ha il proprio hic et nunc, anzi, ne ha più di uno.

La nostra personalità infatti, che attraverso l’azione stabilisce l’immagi- ne che gli altri hanno di noi, si manifesta attraverso una serie consecutiva di momenti unici e irripetibili, di hic et nunc, che possono essere molto diversi fra loro, ma tutti necessari a definire l’identità di una persona. Più sempli- cemente: ciò che l’individuo fa e dice il sabato sera in birreria con gli amici e ciò che dice e fa il lunedì successivo in ufficio sono cose ben diverse ed è bene che queste due fasi, che si consumano in momenti e luoghi diversi (due diversi hic et nunc appunto), non entrino in contatto fra loro. Il fatto che ci si comporti in modo diverso in due momenti distinti della propria vita non significa essere incoerenti e non implica che una di queste due manifestazioni del proprio Io sia sbagliata, anzi, probabilmente l’una è necessaria all’altra: se una persona è capace di scherzare la sera con gli amici probabilmente sarà di mente più aperta anche in ambito lavorativo, così come il fatto di essere responsabile in ufficio consente di saper riconoscere i limiti del divertimento. Ciò che non deve assolutamente succedere è che quello che avviene in birreria avvenga in ufficio. Le conseguenze sarebbero devastanti, come è facile immaginare. Il problema è che oggi il rischio che questo è accada è altissimo, proprio perché l’Io è riproducibile tecnicamente. Basta che, mentre questa persona si trova in birreria, un amico, o lui stesso, impugni il proprio smartphone ed ecco che il lunedì successivo tutti i colleghi in ufficio potranno vedere cos’ha detto e fatto il sabato scorso.

Un hic et nunc è stato riprodotto tecnicamente ed è stato sovrapposto ad un altro, è stato cioè decontestualizzato. La successione lineare degli hic et nunc che definiscono l’Io ha subito un’interruzione. L’Io reale, fatto da una successione ordinata di hic et nunc, si scontra con l’Io digitale, che è invece sovrapposizione di hic et nunc ripescati dalla storia dell’individuo e cristallizzati.