• Non ci sono risultati.

2. BACKGROUND

2.4 Difficoltà di gestione del paziente psichiatrico

2.4.2 Aggressività

Una delle principali cause che provocano difficoltà di gestione del paziente con malattia psichiatrica negli ospedali di cure generali è l’aggressività. Essa viene definita come un’inclinazione ad infliggere danno, questo potrebbe essere espresso verbalmente con minacce, oppure il risultato di un danno vero e proprio. Per violenza si intendono, invece, gli atti dove viene usata la forza per procurare un danno fisico (Wright in Norman & Ryrie, 2013).

C’è una percezione pubblica dei pazienti con patologia psichiatrica che li categorizza come soggetti pericolosi (Norman & Ryrie, 2013), così come alcuni professionisti del settore sanitario sono intimoriti da queste persone e potrebbero reagire creando un distanziamento sociale (Confederazione Svizzera, 2015).

La problematica principale di queste situazioni è che quando i pazienti si presentano intimidatori, spesso è perché si trovano in una condizione di paura e la comunicano inconsciamente agli infermieri per allontanarli, per distanziarsi da qualcosa che vivono come potenzialmente pericoloso. Risulta dunque fondamentale che gli infermieri siano consapevoli di ciò e che garantiscono al paziente una giusta distanza. È importante non allontanarlo troppo lasciandolo da solo alimentando di conseguenza la sua paura e la sua solitudine, ma neanche avvicinarlo troppo perché verrebbe vissuto dalla persona come una potenziale minaccia (Ferruta & Marcelli, 2001).

La violenza e l’aggressività sono fenomeni complessi, non è possibile definire esattamente da quali fattori siano causate, infatti ci sono moltissimi studi e teorie a riguardo, ma per poterle valutare risulta fondamentale comprendere quali sono gli elementi che potrebbero provocarle.

Secondo NICE (2005) sono stati identificati alcuni fattori che influenzano violenza e aggressività:

- Fattori demografici o personali: Storia di violenza o comportamento inadeguato, abuso di sostanze, uso di armi in passato, minacce verbali di violenza, evidenza di recenti stress importanti come una perdita, crudeltà su animali, perdita dei parenti prima degli otto anni, …

- Fattori clinici: abuso di sostanze, agitazione o eccitamento, ostilità e sospetto, bassa collaborazione con i trattamenti, delusioni o allucinazioni centrati su una persona in particolare, tratti della personalità impulsivi, disfunzioni organiche, ...

- Fattori ambientali: Un reparto ospedaliero è un ambiente innaturale che generalmente non trasmette sicurezza, non concede un’atmosfera familiare e usualmente non trasmette una sensazione di sicurezza e privacy. Inoltre, noia e mancanza di attività strutturate possono aumentare il rischio di episodi di violenza ed aggressività, così come quando il ruolo di un membro del personale curante è poco chiaro.

- Fattori legati al personale curante: personale curante temporaneo, l’attitudine di esso, il poco coinvolgimento tra staff e paziente, demoralizzazione e incompetenza del personale curante.

Dal momento in cui si presentano episodi di aggressività è indispensabile un intervento appropriato. Il modello di Novaco (1983) parla dell’aggressività come uno stato di eccitazione psicologica che porta a tensione e irritabilità che a sua volta porta a cognizioni che producono modelli di pensiero antagonisti. Se l’eccitazione psicologica continua, questi modelli di pensiero portano a una valutazione errata del comportamento o delle situazioni.

Quindi meccanismi di coping inappropriati in risposta ad un aumento di stress possono causare aggressività (in Norman & Ryrie, 2013).

Goleman (1995) parla dell’aggressività come una risposta a un senso di minaccia o pericolo che evoca un meccanismo di difesa che a sua volta richiama pensieri rabbiosi che contribuiscono ad aumentare il livello di eccitazione fisiologica rendendo la persona più suscettibile a fattori scatenanti esterni (in Norman & Ryrie, 2013).

Entrambi i modelli ci suggeriscono che la rabbia e l’aggressività possono essere osservate in un’“escalation” e l’aggressione fisica può essere prevenuta se questo percorso di escalation viene osservato, riconosciuto e successivamente messo in atto un intervento precoce. Esistono delle abilità/azioni che permettono la de-escalation, ovvero il processo nel quale l’aggressività del paziente diminuisce ed esso torna in uno stato di calma (Norman

& Ryrie, 2013).

• Comprendere le ragioni di rabbia/aggressività: la persona potrebbe aver vissuto o percepito di essere trattato in maniera inadeguata, di essere stato criticato o di provare frustrazione per via del comportamento di una terza persona. Oppure, è anche possibile che questi episodi di rabbia possano essere scatenati direttamente dal personale curante, che potrebbe aver imposto frustranti richieste o essersi comportato in una maniera che la persona reputava scorretta. Uno studio nel 2002 ha evidenziato che spesso il personale curante attribuisce episodi di violenza e aggressività a fattori interni mentre invece il paziente li correla a fattori esterni (Norman & Ryrie, 2013).

• Comunicazione non verbale: è importante mantenere un’adeguata distanza quando una persona è arrabbiata perché la vicinanza potrebbe essere vissuta come una minaccia: mantenere un normale contatto visivo senza fissare, apparire calmi e

parlare lentamente usando parole chiare e frasi corte, rendersi conto delle proprie reazioni che potrebbero scaturire paura e rabbia, e infine è fondamentale considerare il punto di vista del paziente.

• Comunicazione verbale: impegnarsi nella conversazione e riconoscere le preoccupazioni, concedere alla persona di esprimere le proprie angosce e recriminazioni, utilizzare l’ascolto riflessivo per poi usare frasi come “mi rendo conto perché sei arrabbiato/deluso …”, trasmettere che si vuole aiutare la persona a trovare una soluzione, senza però fare promesse che non si possono mantenere.

Secondo i protocolli dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale esiste un ciclo dell’aggressione. Questo ciclo rappresenta le fasi tipiche che avvengono durante una situazione di aggressività. Esso ci concede la possibilità di effettuare un intervento appropriato in base alla fase in cui si trova il soggetto.

2

Come si vede dall’immagine il ciclo dell’aggressione viene suddiviso in cinque fasi:

1. Fase scatenante (trigger): primo allontanamento psico-emotivo dalla situazione abituale. Qui si possono identificare segni di allarme come espressioni di rabbia, sudorazione, contatto visivo prolungato, atti minacciosi, … Ci possono essere varie cause, tra cui l’uso di sostanze, eventi che causano un aumento dello stress oppure la persona potrebbe aver avuto la percezione di essere provocata. L’intervento appropriato in questa fase è quello della negoziazione, assecondare significherebbe potenziare l’atteggiamento di violenza o aggressività. Un ulteriore intervento sarebbe quello di rimuovere la causa dal momento in cui è stata identificata (CO, 2013).

2. Fase di escalation: in questa fase è fondamentale intervenire tempestivamente; qui è consigliato l’uso di un contatto verbale mirato per contenere il paziente permettendo di riconoscere la sua esigenza e iniziare immediatamente la negoziazione (talk down). Potrebbe essere utile allontanare la persona dall’ambiente, soprattutto quando si sono identificati fattori ambientali quali i trigger del comportamento aggressivo (CO, 2013). Per mettere in atto il talk down è importante non assumere atteggiamenti negativi verso il paziente. Bisogna mantenere la giusta distanza senza

2 Figura 2: (CO, 2013)

invadere il suo spazio personale e avere un approccio verbale con frasi brevi e chiare utilizzando un tono rassicurante. Non bisognerebbe contrastare il paziente ma piuttosto dire di essere d’accordo con ciò che viene espresso, ma fornendogli delle scelte alternative per distaccare la sua attenzione dalla rabbia (Maier & Van Rybroek in Eichelman & Hartwig, 1995).

3. Fase critica: In questa fase viene raggiunto il picco dell’aggressività, qui bisogna focalizzarsi sulla sicurezza e sul limitare gli eventuali danni conseguenti. L’intervento appropriato in questa fase è il contenimento, la fuga, l’autoprotezione e la farmacoterapia (CO, 2013).

4. Fase del recupero: Durante questa fase avviene un progressivo ritorno al comportamento normale, ma con maggiore sensibilità a nuovi possibili fattori scatenanti. Questa è la fase che viene reputata maggiormente delicata, essendo che se vengono applicati degli interventi troppo precocemente senza permettere l’elaborazione dell’accaduto, questi potrebbero causare un effetto scatenante che aprirebbe una porta al ritorno della crisi (CO, 2013).

5. Fase della depressione post-critica: in questa fase il paziente percepisce emozioni negative come il senso di colpa oppure l’imbarazzo. Qui gli interventi sono volti a permettere alla persona di elaborare la situazione che si è verificata, per poter risolvere i sentimenti di colpa. Qui si potrebbe effettuare un colloquio tra il paziente aggressore e la vittima (che sia operatore o un altro paziente) (CO, 2013).

A partire dalle nostre esperienze sappiamo – come curanti – quanto gli episodi di aggressività sia verbale che fisica lascino dentro di noi una ferita che potrebbe segnare il percorso lavorativo. Questo aspetto viene sottolineato dagli infermieri intervistati nella nostra ricerca di tesi (vedi capitolo 4).